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16.3.22

L'editoria libertaria italiana, l'anarchismo e il terrorismo

Di seguito trovate la prima “puntata” di una tesi in storia contemporanea, lavoro conclusivo del mio percorso accademico in cui ho conseguito il titolo di Dottore magistrale in Editoria e Scrittura. Questo “lavoraccio”, pubblicato un anno fa e intitolato "L'editoria libertaria italiana: dalla frammentazione della galassia anarchica all'omologazione insurrezionale", si è rivelato cruciale anche per la definizione della mia coscienza politica... In questo primo capitolo troverete una breve storia del movimento anarchico italiano, fusa insieme a uno stringato schema di alcune tappe della storia editoriale italiana e a delle nozioni e considerazioni sul terrorismo e sull’uso della violenza come strumento politico… Ho deciso di dare una certa attenzione a quest’ultimo argomento per la peculiare rilevanza che assume nel contesto “anarchico” (no, anarchia non vuol dire semplicemente caos e violenza se ve lo state chiedendo… anche per questo vi consiglio di proseguire nella lettura e, se vorrete approfondire, di prendere nota dei testi che trovate nella bibliografia).

Buona lettura, grazie per l’attenzione(il testo integrale della tesi lo trovate tramite questo link)! Ps.:non vi risparmiate nei commenti, anche se siete “ravacholisti incalliti” o “tolstoiani fruttariani” e mi insultate, purché diciate qualcosa di costruttivo, grazie!!!

1) Introduzione

Partiamo da una costatazione ovvia: la comunicazione è l’elemento fondamentale, insieme a concetti e ideologie, di ogni movimento politico[1]. Meno ovvio, forse, è che a detta di chi scrive la comunicazione politica ha nell’anarchismo una preminenza maggiore rispetto ad altri movimenti, poiché l’anarchismo è articolato come <<pensiero non dogmatico e al dogmatismo ostile[2]>> e quindi è ontologicamente multiforme e magmatico. In proposito si può affermare che non c’è <<un anarchismo puro>> quanto piuttosto <<tanti anarchismi quanti i tempi, i luoghi, i contesti culturali in cui si manifestano: differenze, difformità e contraddizioni che possono essere ricondotte a molteplici origini e dunque varie radici>>.[3]  Oltre alla “multiformità” intrinseca del movimento, va tenuto in considerazione che senza poter contare su <<sponde o appoggi istituzionali>> gli anarchici possono <<contare esclusivamente sulle proprie forze, e di conseguenza>> assume un ruolo cruciale rispetto ad altri movimenti più “ortodossi” <<lo spazio affidato al lavoro di propaganda>>[4].

 Sin dai tempi dei primi contrasti tra i cosiddetti organizzatori e antiorganizzatori, e poi passando per gli anni di piombo giungendo infine al “primitivismo[5]” di alcuni black bloc, la “propaganda col fatto”[6], per coloro che la ammettono eticamente, non è stato certo l’unico tipo di attività propagandistica, oltre a essere promossa, essa stessa, con i vari mezzi di comunicazione. E questa propaganda, unita alle teorizzazioni dei modelli di diverse società anarchiche e di metodi e pratiche per giungervi, insieme alla ricorrente esigenza pedagogica e formativa delle masse o delle “nicchie”, ha prodotto e continua a produrre una intricata mole di contenuti. In più bisogna considerare anche la produzione poetica, narrativa, iconografica, documentaristica, musicale e cinematografica che contribuisce alla creazione di un’identità libertaria (forse sarebbe meglio dire di una pluralità di identità accomunate dall’antiautoritarismo e dal preminente valore attribuito alla libertà).

Senza la pretesa di trattare in maniera esaustiva l’argomento, questa tesi si focalizza principalmente sul web e sulle case editrici oggi ancora attive, con un’attenzione specifica a quelle di matrice anarco-insurrezionalista; ma è anche un tentativo di abbozzare una sorta di mappatura dei media “libertarianeggianti”: una marea di contenuti al tempo stesso frammentaria e organizzata[7].  Non si ha quindi la pretesa di disegnare una “mappa” definitiva che permetterà l’uscita dal labirinto delle svariate connessioni comunicative, mediatiche e storiche ma piuttosto di tracciare alcune “direzioni” per tentare un primo orientamento: inizio di un lavoro simile al poderoso censimento di un secolo di periodici anarchici iniziato da Leonardo Bettini[8], ma che pone al centro ciò che concerne il web e la presenza in esso dell’anarco-insurrezionalismo.

Ritengo che la mole di prodotti editoriali dell’universo libertario sia allo stesso tempo frammentaria e organizzata, oltre che omologata in certi casi: frammentaria in quanto riflette le spaccature del movimento, gli svariati orientamenti, gli obiettivi politico-sociali e i mezzi da usare per raggiungerli. Ma è anche organizzata: la frammentarietà dei diversi pensieri dell’universo libertario può essere anche generata da teorie e sistemi definiti, precisi, e ciò può valere sia per le correnti organizzatrici che reclamano l’esistenza di una struttura pseudo-partitica, dotata di un programma, e con la principale funzione di coordinamento, sia per quelle antiorganizzatrici[9], di solito portatrici di istanze più orientate in senso spontaneista e individualista. È ciò vale sia per i raggruppamenti “di sintesi” (che ricadono sotto l’ombrello del cosiddetto “anarchismo senza aggettivi”), cioè quelli in cui confluiscono militanti di diverse tendenze libertarie, sia per quelli che si riuniscono intorno a un programma specifico, come nel caso del “piattaformismo” (definibili come “federazioni di tendenza”). Paradossalmente anche chi sceglie la disorganizzazione caotica dell’anarchia nel senso di “anomia” (l’anarchia che non ammette regole di alcuna sorta, più ricorrente nel lessico comune e in quello dei media che nel gergo storico-politico) sta in realtà scegliendo di organizzarsi, anche se in una maniera casuale e caotica. Si pensi agli anticivilizzatori che, nell’eterogeneo mondo dei black bloc, mirano alla mera distruzione tot court della società “moderna” per instaurarne una primigenia e pre-neolitica. Anche loro si organizzano, seppure in maniera estemporanea e disordinata, per distruggere e danneggiare i simboli delle istituzioni del potere e del biasimato progresso, come banche e fast food ... Questi poi potranno produrre testi di rivendicazione o preparazione delle loro azioni che, a loro volta, sono il risultato di teorie e tentativi ossimorici di organizzare la disorganizzazione.

Inoltre la produzione di contenuti libertari è organizzata perché, come provo a dimostrare, perfino le pubblicazioni dei cosiddetti “antiorganizzatori” e insurrezionali-nichilisti implicano un certo grado di coordinamento e anzi, molte di queste finiscono per omologarsi a vicenda in merito a contenuti, registro linguistico e teoria politica. In altre parole: le tendenze, frammentabili in svariati rivoli ideologici, sigle e associazioni, richiedono almeno un grado minimo di organizzazione per divulgare pensieri e strategie.

In questa introduzione si trovano alcune premesse sul terrorismo, sulla genealogia dell’anarco-insurrezionalismo, sul movimento anarchico in Italia e sulla storia dei media italiani. Il secondo capitolo fa una panoramica delle case editrici tradizionali e delle sigle editoriali informali. Il terzo è dedicato alle riviste, in particolare quelle collegate alle realtà menzionate in quello precedente. Il quarto si occupa dell’ambito web.

Nel capitolo conclusivo è contenuta una breve rassegna di altri prodotti mediali, oltre alla menzione dei progetti portati avanti dalla componente libertaria “non ortodossa” (rappresentata dai cosiddetti “anarco-capitalisti” e dal Partito Radicale) e ad alcune considerazioni finali.

1.1) I tre periodi del movimento, i tre “anarchismi” e le tre fasi dei “media”

In questo paragrafo, in maniera estremamente sintetica, cercherò di affrontare una serie di eventi e premesse fondamentali riguardanti le trasformazioni del movimento anarchico e del panorama editoriale-mediatico in Italia.

Una possibile suddivisione della storia del libertarismo in Italia si articola in tre periodi: il primo dalla nascita alla grande guerra, il secondo nel periodo dei totalitarismi e il terzo all’incirca dagli anni sessanta in poi[10].

Ritengo che si possa abbozzare un’ulteriore periodizzazione che, invece della fasi dei movimenti anarchici, tenga conto degli sviluppi tecnologici nel campo della comunicazione, e che coinciderebbe parzialmente con la precedente: una prima fase che va dalla nascita delle prime imprese editoriali fino all’avvento della radio e della televisione. La seconda coinciderebbe dunque con quella che alcuni chiamano la “terza rivoluzione industriale”, ossia quel periodo che coincide grossomodo con la seconda metà dello scorso secolo e che vede l’irrompere sulla scena comunicativa dei primi personal computer e dei Bulletin Board System. Infine il terzo periodo sarebbe quello della “quarta rivoluzione industriale”, quella dei giorni nostri, dove il web, i big data e la comunicazione sui social network la fanno da padrone. A ogni modo, per quanto riguarda questo lavoro, parlando dei diversi periodi, mi riferirò alla prima suddivisione temporale.

Partiamo dal primo periodo: nel corso della seconda metà dell’ottocento incomincia a delinearsi, anche in Italia, la figura dell’editore, che sostituisce quella dello “stampatore-libraio[11]. Sono due i principali modelli editoriali nel panorama italiano del diciannovesimo secolo: quello milanese in cui <<l’aspetto commerciale si intrecciava con l’intento di diffondere la cultura e il sapere a un pubblico nuovo (più vasto) sulla scorta di quei principi illuministici (…) conservati anche dai primi scrittori romantici (…) importante per le sue esortazioni a un rinnovamento e allargamento culturale cui l’editoria non poteva restare estranea>>[12]. Nel capoluogo lombardo verso la fine del secolo si costruiva <<un modello di editoria imprenditoriale rivolta al consumo - e quindi ai generi di maggiore leggibilità -, sulla base del quale si determinava un’omogeneizzazione del mercato librario in chiave giornalistico-letteraria>>, soddisfacendo le esigenze di un mercato che <<si stava allargando numericamente a fasce socialmente più basse, dalla piccola borghesia impiegatizia al proletariato operaio>>[13]. L’altro punto di riferimento editoriale ottocentesco è quello fiorentino, nel quale <<continuava la riflessione dei primi romantici, con gli scrittori raccolti intorno alla rivista “Antologia”>> e in cui <<emergevano invece, con maggiore evidenza, le potenzialità politiche, in chiave risorgimentale, dell’impresa editoriale>>, e che vede come protagonista Felice Le Monnier. Questi <<concepisce l’editoria come un’autonoma attività imprenditoriale rivolta a un profitto, ma è altrettanto convinto della necessità (…) di intervenire sul piano politico-culturale per diffondere, con libri dal prezzo relativamente basso, gli ideali nazionali di un’Italia ancora divisa>>[14]. Il carattere innovativo dell’editore di Verdun si ritrova anche nella scelta di cominciare a pagare gli autori, in un’epoca in cui il diritto d’autore non è ancora fissato per legge[15]. Il suo modello imprenditoriale è quello dell’<<operatore politico-culturale, piuttosto che quello di un editore commerciale tout court o di un animatore culturale sostenuto solo dai suoi ideali>>. Ideali politici che venivano diffusi anche tramite la letteratura[16] e quindi, in questo caso, con la celebre collana “Biblioteca Nazionale[17]. Nello stesso periodo si può collocare la nascita “ufficiale” dell’anarchismo con Pierre-Joseph Proudhon, <<anello di congiunzione tra i pensatori precedenti – intellettuali prevalentemente non militanti (…) e quelli successivi: Bakunin e Kropotkin, infatti, furono insieme sia pensatori sia militanti politici e organizzatori>>[18]. In questo periodo è da segnalare la repressione, giuridica e “mediatica”, del movimento anarchico che in Italia tocca l’apice con le leggi “antianarchiche”[19] del 1894 (del contesto in cui furono attuate si parlerà più avanti). Repressione che riprenderà ovviamente nel “secondo” periodo, con l’avvento del fascismo.

Sul versante dell’imprenditoria editoriale, un altro cambiamento importante, avviene negli anni trenta del novecento con l’emergere dalla figura dell’ “editore protagonista”, ossia quella figura <<capace di imprimere una forte personalizzazione al suo progetto e all’intero processo che va dalla scelta del testo alla veicolazione del prodotto>>[20]. Figura di un arco di tempo che dura fino agli anni settanta e che segna il passaggio dell’editoria italiana <<da una fase artigianale o pre/proto-industriale a una fase industriale avanzata>>[21].

L’entusiasmo del dopoguerra <<con l’ansia di novità e rinnovamento di molti scrittori e intellettuali>> e il <<comune desiderio d’avventura e scoperta dopo anni di oppressione e grigiore>>[22] riguarda anche la propaganda anarchica. Invece sul versante storiografico, nei primi vent’anni del dopoguerra, l’interesse da parte dei libertari verso le proprie radici è scarso: <<accanto al sostanziale e progressivo declino della presenza anarchica nella vita sociale e politica italiana di quegli anni>> si assiste a <<un altrettanto sostanziale declino della capacità di riflessione del movimento sul proprio passato>>[23]. Fatta eccezione per i lavori di Ugo Fedeli e Pier Carlo Masini[24], la storia degli anarchici in questo lasso di tempo viene analizzata principalmente da studiosi marxisti, e quindi da una prospettiva che tende a relegare il movimento libertario in posizione secondaria, dipingendolo come un tipo di <<socialismo primitivo e ascientifico>>[25]. Una tendenza che si invertirà a partire dagli anni settanta, principalmente grazie all’opera di “storici militanti”[26]. Nel secondo dopoguerra il movimento inizia a perdere <<via via quasi tutti gli originari caratteri popolari>>[27] trasformandosi <<da movimento politico sociale con agganci classisti, a movimento politico culturale con agganci a-classisti>>[28]. Inoltre, dopo la costituzione della Federazione Anarchica Italiana nel 1945 e quindi del tentativo di “sintesi” che precede nuove spaccature ideologiche[29], è segnato da una frattura generazionale dovuta ai turbamenti e al dissesto creato dal conflitto, da una <<mancata elaborazione teorica>> che tende a indirizzarlo monodirezionalmente <<verso il legittimo e continuo richiamo ai temi classici e al pensiero di Errico Malatesta>>, e dall’attitudine a ripiegarsi su sé stesso[30]. Questi fattori ne determinano l’impreparazione ad affrontare i due decenni successivi, anni di profondi rivolgimenti e fermenti socio-culturali, del boom economico, del “sessantottismo”, della lotta armata, di controculture politiche e artistiche: <<Per dirla in poche parole [il movimento] si era gonfiato nel 1945-‘46 e poi sgonfiato per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta>>[31]. Queste componenti, insieme alle matrici del pensiero libertario che si ritrovano “all’esterno” del movimento negli anni Sessanta e Settanta, e cioè principalmente le “pulsioni” auto-gestionarie e le pratiche antigerarchiche, sanciscono <<l’insuccesso storico e il successo teorico dell’anarchismo>>: l’emarginazione e il ruolo di secondo piano nella scena politica si affianca all’utilizzo (a volte inconsapevole e dovuto <<a ignoranza>>) o al “saccheggio” <<a piene mani, e senza alcun pudore>> di <<molte teorie, intuizioni, schemi di pensiero, e vere e proprie genialità, prodotti dal pensiero anarchico e libertario>>[32]. Sul versante mediatico la novità “autogestionaria” più rilevante di questo periodo è quella del fenomeno delle “radio libere”[33], preceduta da volantini e riviste ciclostilati come “Mondo Beat” e “Provo”[34].

A proposito dell’anarco-insurrezionalismo e del lottarmatismo, tema caratterizzante gli “anni di piombo”, bisogna sottolineare il ruolo della corrente riconducibile ad Alfredo Maria Bonanno[35], una <<”frazione” importante del movimento che sviluppa un’impostazione organizzativa basata sul concetto dei gruppi di affinità e che si dà quale forma primaria l’attacco insurrezionale immediato alle strutture del dominio>>. Questa corrente si basa <<sulla convinzione che il ruolo degli anarchici sia quello di dare vita ad atti di rivolta contro il sistema di dominio ogni qual volta sia possibile>>[36]. La FAI, in un congresso del 1977, <<condanna la tattica esclusivamente militare delle formazioni armate di stampo leninista>> adottata sia <<da formazioni “miste”>> che da <<Azione rivoluzionaria (Ar), struttura anarchica semiclandestina contigua al resto del movimento>>[37]. La repressione che seguirà negli anni ottanta, insieme alla diffusione dell’eroina, porterà <<alla morte molti militanti e alla scomparsa di intere situazioni di movimento>>, determinando anche <<la fuga verso una dimensione individuale>> e una riduzione drastica dell’attività di molti militanti[38].

In questo decennio (e negli ultimi anni di quello che lo precede) un ruolo cruciale è giocato anche dai “figli” dei “figli dei fiori”: la cultura punk <<influenza e cambia (…) linguaggi e contenuti dell’anarchismo>> insieme all’<<affermarsi degli squat e dei centri sociali, che riattualizzano il tema dell’autogestione e dell’autoproduzione e traghettano le nuove generazioni di libertari fin dentro gli anni Novanta>>. La valenza della cultura dell’autogestione e dell’autoproduzione si ritrova anche nel lato “pubblicistico-informale”: in continuità con le riviste “underground” ciclostilate, e grazie alle innovazioni tecnologiche che facilitano la riproduzione di testi e immagini, continua l’espansione dei contenuti “DIY”, acronimo dell’imperativo “Do It Yourself!” (cioè “auto-produci!”). Le fanzine[39], antesignane cartacee delle digitali webzine[40], costituiscono dalla fine degli anni settanta uno strumento tanto rilevante quanto “sfuggente” e spesso velleitario, nel panorama della comunicazione “antagonista”. Di solito sono dei “fogli” dall’aspetto grafico semplice e con un’impaginazione essenziale, e di cui spesso ne viene incitata la riproduzione da terzi, seguendo una logica diversa da quella del copyright e più affine a quella del copyleft. I contenuti sono i più svariati[41]: da quelli legati a una singola sede politica fino a quelli dedicati a un particolare genere musicale, passando per i pamphlet “sovversivi-nichilisti” (a questi ultimi in particolare si dedicano varie pagine di questo elaborato).

Dagli anni Ottanta e Novanta in poi le lotte e le riflessione degli anarchici in Italia e all’estero, e di riflesso anche quelle delle frange insurrezionali, si vanno legando sempre maggiormente a temi come quello della pedagogia, dell’avversione al patriarcato e soprattutto all’ecologia. Ritengo che ciò avvenga in una qualche misura da sempre, anche se seguendo dinamiche specifiche e fasi storiche diverse: per esempio la lotta “specifica” contro il nucleare appartiene, ovviamente, alla nostra epoca in particolare, così come quella legata alla “Tav/Tac” in Val di Susa.

Non è un caso che una delle principali azioni criminali della sezione italiana delle “Federazione anarchica informale – Fronte rivoluzionario internazionale” (abbreviata in FAI-FRI) sia la gambizzazione dell’amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare nel 2012, perpetrata materialmente da Alfredo Cospito. Evento al centro del processo “Scripta Manent” e ricorrente in questo scritto, in particolare per quanto riguarda questioni “pubblicistiche” della coeva area insurrezionale.

Per quanto concerne il versante mediatico, la fine del “terzo” periodo è caratterizzata da un’esplosione e un’espansione delle possibilità comunicative ed editoriali, soprattutto quelle in proprio, permesse dallo sviluppo delle tecnologie delle telecomunicazioni, e dalle conseguenti possibilità <<inusitate di comunicazione “orizzontale”>> che hanno stravolto le pratiche politiche del Novecento[42]. Siti web e progetti multimediali sbucano dietro ogni angolo del mondo virtuale, in una maniera che forse non è troppo dissimile dalla proliferazione degli innumerevoli periodici e fogli del periodo “classico” (cioè il “primo” qui analizzato): probabilmente ciò è anche il risultato di esigenze basate sulle diversità di visioni politiche, oltre che di fattori contingenti come quelli legati alla censura e alla repressione, proprio come nel “primo” periodo, anche se con dinamiche mutate. II web, con la sua struttura ipertestuale, e le tecnologie informatiche più in generale, facilitano le connessioni relazionali e la circolazione di pensieri, almeno per quanto riguarda l’abbattimento di barriere spaziali e temporali, mentre possono giocare a sfavore nel livello di over-loading informativo e nell’aspetto qualitativo dei contenuti. Anche la questione della diffusione virale di fake news (le quali non sono certo un’invenzione odierna), come potenzialmente quella di ogni altro prodotto mediatico, è legata al livello di complessità delle comunicazioni oltre che agli aspetti cognitivi e culturali della ricezione di queste[43].

Infine, ripropongo una schematizzazione tripartita del movimento dello storico Giorgio Sacchetti, utile anche per enunciare alcune sigle ricorrenti in questo elaborato: <<Nella dizione “Movimento anarchico italiano” si comprendono, oltre ai gruppi autonomi (cioè non-federati), le sigle delle organizzazioni costituite in ambito nazionale: la Fai (Federazione anarchica italiana), fondata nel 1945; i Gia (Gruppi di iniziativa anarchica), scissione anti-organizzatrice del 1965; e i Gaf (Gruppi anarchici federati) attivi come tali nel 1970-1978 e poi presenti come area culturale. Allo stesso tempo, nel crogiolo di quei decenni [gli anni Settanta e Ottanta], si individuano i tre anarchismi contemporanei, che grossomodo corrispondono alle aree politiche e antropologiche differenziate del libertarismo: una “ufficiale” incarnata dalla Fai; l'altra di riflessione teorica, caratterizzata da un dinamismo editoriale e culturale notevole; la terza infine, inafferrabile e sulla bocca di tutti, quella “anarco-insurrezionalista”>>[44]. Sempre secondo Sacchetti, e come spiego meglio nel prossimo paragrafo, la FAI si situa in una posizione intermedia, sia nel “secondo” che nel “terzo” periodo in esame in questo paragrafo: <<La posizione di medianità assunta nell’ambito del più vasto movimento libertario italiano, fra “sinistra” classista (“gaapista”[45] poi piattaformista) e “destra”culturalista, evocata da Berti[46] e riferibile al periodo che va dal dopoguerra agli anni Settanta, si confermerà anche nelle epoche successive>>[47].

1.1.2) I tre “poli ideologici” dell’anarchismo italiano e il tasso di rivoluzionarismo inversamente proporzionale all’elaborazione teorico-culturale

Giorgio Sacchetti ha proposto una schematizzazione del movimento italiano tripartita e con un collegamento proporzionale tra il grado di <<elaborazione teorica e di acculturazione politica>>  connesso al <<tasso di rivoluzionarismo>>: a un estremo la corrente insurrezionalista nota ai più perché analizzata <<da media e veline poliziesche sempre più all’unisono>>; al centro <<la storica e scalcinata Federazione Anarchica Italiana fondata nel 1945, in odor di inconcludente moderatismo socialdemocratico>>[48] e infine l’ultima entità, quella degli “ex” Gruppi anarchici federati[49]. A un’estremità dunque ci sono gli insurrezionalisti con il più alto tasso di componenti e istanze “rivoluzionarie”, al centro la FAI dove si assiste a <<un calo verticale>> di questo tasso che poi si azzera con i GAF più a destra. Viceversa, considerando <<invece il livello di capacità di elaborazione teorica e di acculturazione politica, questo, dalle quote medio basse che si riscontrano nei primi due anarchismi, balza all’improvviso ad altezze stratosferiche solo appropinquandosi all’area culturale, come è naturale che sia>>[50].

In realtà, con una certa forzatura ideologica si può andare ancora più a destra: dopo essere passati attraverso il partito dei Radicali, si arriverebbe propriamente nell’alveo della destra, dove si collocano altre correnti che vanno ad ampliare la frammentarietà intrinseca della classificazione libertaria e anarchica, anche se per alcuni queste ideologie sono intrinsecamente e teoreticamente non anarchiche e libertarie: mi riferisco agli anarco-capitalisti, ultraliberisti anti-statalisti e antidirigisti che professano la libertà e l’autoregolamentazione del “mercato”, da sé, e delle correnti anarco-nazionaliste. Inoltre, se pure verranno citati alcuni esempi di editoria di quest’area “libertariana” e di destra, ritengo che il loro apporto quantitativo, se non anche quello ideologico e teorico, nel panorama editoriale libertario italiano è decisamente modesto se non scarso … E sempre escludendo dalla destra, propriamente detta i radicali che, soprattutto con l’omonima radio, svolgono un servizio informativo degno di nota.

Due, delle tre entità individuate da Sacchetti, possono essere sicuramente indicate anche come i “big” dell’editoria “tradizionale” nell’area anarchica, oltre che maggiormente conosciute tra i militanti libertari e non: le produzioni degli “ex Gaf” con “Elèuthera” e “A rivista anarchica” che sono i loro prodotti editoriali più noti; e la Federazione Anarchica Italiana con l’editrice “Zero in condotta” e il settimanale “Umanità Nova”.

Ci sarebbero poi, avvicinandosi verso il polo sinistro, le edizioni de “La Fiaccola” fondate dall’instancabile Franco Leggio (di quelle esistenti è la più antica nel paesaggio anarchico) con il periodico “Sicilia Libertaria” (oggi anche online), e le “Edizioni Anarchismo” di Alfredo Maria Bonanno considerabili come un ibrido tra editoria tradizionale cartacea militante (anche se con connotati insurrezionali) e l’autoproduzione offerta gratuitamente tramite “l’online”. Infine, questo flusso ideologico, culturale e mediatico, sbucherebbe all’ estremo del polo nelle autoproduzioni meno tradizionali, di solito completamente gratuite, a sottoscrizione volontaria o a prezzi quasi simbolici, e dominate dall’ambito insurrezionale.

1.2) Premessa sulle radici dell’anarco-insurrezionalismo odierno e sul terrorismo

Pur non potendo affermarlo con il rigore di uno studio statistico penso comunque che le pubblicazioni dell’ambito insurrezionale sono numericamente più consistenti nella galassia anarco-libertaria italiana, superando –almeno nel web- sia le altre “autoproduzioni” che i prodotti delle “case editrici” più tradizionali. Questo è il principale motivo per cui mi sono focalizzato sulle pubblicazioni on-line dell’ala “dura” e intransigente del movimento. Occorre quindi inquadrare preliminarmente, seppure in maniera estremamente sintetica e non esaustiva, i termini “insurrezionalimo” e “terrorismo”, oltre ad alcuni concetti politologici e sociologici connessi a questi. Fatto ciò cercherò di tracciare la genesi dei movimenti insurrezionali italiani, soffermandomi sull’aspetto mediatico di questa “geneaologia”.

1.2.1) Terrorismo, insurrezione e i “pregiudizi” sulla violenza

Partendo da un punto di vista prettamente semantico il termine terrorismo ha almeno tre significati principali. Il primo indica un <<metodo di governo fondato sul terrore>> ed è connesso all’etimologia del termine, cioè alla fase della rivoluzione francese nota come “Terrore”[51]. Il secondo, quello principale nel linguaggio comune corrente, è quello indicante <<l’uso sistematico del terrore al fine di ottenere un risultato politico, qualunque esso sia>>, una definizione che <<in qualche modo si attaglia anche alla guerra e, più in generale, anche agli Stati[52]>>. Non è un caso quindi che la stessa etimologia del termine risalga a un sistema impiegato da un governo[53], mentre oggi si tende ad attribuirlo soprattutto a singoli o gruppi che tentano di influire sulle decisioni di un’organizzazione statale. Infine c’è l’uso figurato del termine che indica <<metodi di polemica culturale o di pressione psicologica fondati sull’uso di argomenti semplicistici e intimidatori[54]>>.

Dal punto di vista giuridico non esiste una definizione univoca del termine[55] anche se, a partire dagli anni ottanta, si è cominciato ad affermare il principio secondo cui non era la legittimità dello scopo ultimo di un’azione violenta a tracciare il confine tra un atto terroristico e uno legittimo (in quanto finalizzato al diritto di autodeterminazione e indipendenza), bensì la stessa strategia atta a infondere paura e che rifugge il combattimento vero e proprio,  oltre a colpire deliberatamente e indistintamente vittime sia civili che militari[56]. Quindi, prima dell’affermarsi di questo nuovo punto di vista (che incentra la nozione di terrorismo intorno alle tattiche seguite e non allo scopo ultimo perseguito) l’aforisma che recita “one man’s terrorist is another man’s freedom fighter” e che indica il sottile confine tra il giudicare dell’azioni come atti di terrorismo o il combattere per la libertà, era sostanzialmente valido. Diversamente, oggi, si può affermare: <<Non è vero che è impossibile distinguere un terrorista da un combattente per la libertà: il punto è che col dire che il terrorista di uno è il combattente per la libertà di un altro, semplicemente si confonde l’obiettivo con l’attività. (…) Questa tattica può essere utilizzata da individui o gruppi che perseguono qualsiasi tipo di obiettivo finale, ivi inclusa la liberazione nazionale, ed in effetti nella storia ciò è frequentemente avvenuto>>[57]. Per questo, ritornando nel campo linguistico, di solito l’aggettivo “terrorista” ha una connotazione negativa, mentre parole come “guerriglia” e “insurrezione”, insieme a “combattenti per la libertà” (freedom fighters in inglese) o “partigiani” sono associate a individui e movimenti che, si ritiene, usano legittimamente la violenza[58]. Naturalmente non è detto che queste parole abbiano una connotazione positiva di per sé.

La parola insurrezione infatti indica l’organizzazione del dissenso verso governi e istituzioni, finalizzata al loro rovesciamento con mezzi violenti ed extralegali, con il coinvolgimento delle masse popolari.  A questo punto risulterà chiaro che il terrorismo e la guerriglia sono delle tattiche, dei metodi che possono essere usate all’interno di una strategia insurrezionale[59].

Spostandoci verso il contesto sociologico (e più nello specifico nell’ambito mediatico-comunicativo, maggiormente in considerazione in questo frangente) e prendendo in esame il concetto più generico di “violenza”, si può definire un atto “fisicamente” violento quello caratterizzato da tre elementi: la finalità del danneggiamento “fisico” per l’appunto, la volontarietà dell’azione e il modo diretto o indiretto tramite cui l’atto viene realizzato, ossia se si danneggia immediatamente l’obiettivo dell’azione o se vengono minate le risorse materiali a sua disposizione[60]. Dunque, tralasciando per il momento questioni come la violenza verbale atta ad aizzare le “masse” o quella psicologica che può derivare da un’azione “materialmente” aggressiva, l’approccio per una definizione della violenza nel campo socio-politico in un’ottica “avalutativa-weberiana”[61], deve tenere presente e allo stesso tempo scartare due concezioni della violenza, che lo studioso Mario Stoppino aveva identificato con le espressioni “pregiudizio del conservatore” e “pregiudizio del ribelle”, in quanto entrambi parziali.

Secondo il primo tipo di preconcetto <<la violenza incarna una specie di tabù sociale, che porta alla condanna morale di qualsiasi atto fondato su risorse coercitive>> diverse da quelle usate dallo Stato (e non è secondario il fatto che un governo si caratterizza anche per il monopolio della “forza”). Nel caso del secondo preconcetto invece si esalta la violenza <<come un fatto positivo, che promuove la rigenerazione della società su basi rinnovate e solidaristiche>>[62], e il ricorso a mezzi estremi è giustificato, viceversa, come legittima risposta agli abusi dello “Stato” o del “sistema”.

Inoltre una delle fondamentali caratteristiche della violenza esercitata dagli Stati è la prevedibilità: di norma le circostanze e le regole che determinano delle punizioni o degli atti di guerra “vera e propria”, convenzionale, sono anticipatamente manifeste, mentre i terroristi attaccano in maniera casuale, incalcolabile, generando così paura e incertezza[63]. La strategia terrorista consegue almeno tre risultati in campo sociale: oltre ad attirare l’attenzione e ad affermare, come si è detto, la legittimità del proprio uso della forza, si mira anche all’ottenimento del sostegno all’interno della comunità[64]. Quest’ultima conseguenza è la meno scontata, essendo la strategia terrorista un’arma a doppio taglio che può finire con alienarsi il consenso delle popolazione.

Da una prospettiva storiografica il terrorismo moderno, come fenomeno internazionale, può essere diviso in quattro “ondate”, secondo lo schema proposto dallo studioso americano e professore di scienze politiche David Charles Rapoport[65]: la prima ondata è identificata come quella “anarchica”, iniziata negli anni ottanta dell’ottocento e durata per quarant’anni circa. In Italia potremmo considerarla conclusa con il regicidio a opera di Bresci e, come si spiega nelle prossime righe, gli italiani sono stati protagonisti di questi eventi. La seconda, definita “anti-coloniale”, arriva agli anni sessanta del novecento. La terza, indicata come quella della “New Left”, si sarebbe perlopiù esaurita negli anni novanta e, infine, l’inizio di quella “religiosa” viene posto alla fine degli anni settanta.

1.2.2) “L’Idea” risorgimentale e quella internazionalista

Recentemente, anche a seguito delle politiche della memoria portate avanti dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, si è riacceso il dibattito sul cosiddetto “secondo Risorgimento”: l’espressione indica il periodo storico della Resistenza interpretato come il pieno compimento, tramite l’esito repubblicano e costituzionale, del “primo” che aveva portato all’unità[66]. Mentre la continuità ideologica e politica tra le lotte che hanno portato all’unità d’Italia e la Resistenza è ancora oggetto di accese discussioni, non c’è dubbio che <<il legame tra la tradizione risorgimentale, mazziniana e garibaldina, con l’Internazionale, gli anarchici e i socialisti è cosa nota e verificabile non solo sul piano della trasmissione delle emozioni e delle suggestioni, ma anche nelle biografie di personaggi come>> molti “anarco-garibaldini”,[67] tra i quali probabilmente il più noto  è Amilcare Cipriani. Alla base di questa continuità c’era il modo di pensare <<di derivazione risorgimentale in cui libertà dei singoli e libertà dei popoli si intrecciavano e confondevano e in cui la pianta dell’internazionalismo affondava le sue radici in un terreno impregnato più del volontarismo mazziniano che del determinismo del socialismo scientifico>>[68]. Proprio <<la pervicace tendenza a tenere insieme Marx, Mazzini e Garibaldi rendeva i “maledetti italiani” le pecore nere dell’internazionale>> agli occhi di Engles, e <<anche Bakunin veniva preso in contropiede quando alla chiamata di Garibaldi, i suoi più fidati collaboratori italiani lasciavano tutto e correvano ad arruolarsi>>[69]. Questa continuità tra l’etica del dissenso e dell’azione, la voglia di libertà e gli ideali rivoluzionari dei liberal-democratici e degli anarchici-socialisti si manifestava anche nei legami personali di molti “sovversivi”, con influenze di pensiero reciproche (e in alcuni casi anche di militanze condivise) tra la generazione dei “garibaldini” e quella degli internazionalisti[70].

Infine non è di secondaria importanza in questo contesto ricordare che Garibaldi aderì alla “prima internazionale”[71].

1.2.3) Le radici sovversive ottocentesche dell’anarco-insurrezionalismo di oggi e i primati “terroristici” italiani

Ci sono due attentati che precedono quelli avvenuti durante l’ “ondata anarchica”, quella che Rapoport chiamata anche l’ “età d’oro degli assassinii”[72], e messi in atto per l’appunto da anarchici, quasi sempre italiani. Nel 1856 Agesilao Milano, figlio di un carbonaro, dopo aver prestato giuramento al re Ferdinando II di Borbone tentò di ammazzarlo colpendolo con la baionetta, riuscendo però solo a ferirlo. Due anni dopo Felice Orsini, che era stato iscritto alla Giovine Italia ma poi si era allontanato da Mazzini, con il supporto di altri tre “patrioti-terroristi” attentò alla vita di Napoleone III[73]. Furono usate tre bombe a mano, progettate da lui stesso (e da cui presero il nome) e innovative per l’epoca dato che si innescavano scontrandosi con una superficie dura: il tentativo fallì, l’imperatore e la sua consorte rimasero illesi mentre otto persone morirono e più di centocinquanta rimasero ferite.

Sempre prima dell’ondata “terroristica” e dopo la nascita del Regno ci furono anche due tentativi di scatenare un’insurrezione <<nella certezza che il tempo della rivoluzione fosse imminente, o almeno che – mazzinianamente – l’azione avesse un alto valore pedagogico, anche al di là dei suoi esiti>>[74]. Dei due tentativi velleitari, o al limite “dimostrativi”, il primo nel 1874 fallisce sul nascere, mentre il secondo nel 1877, identificato dai più come l’impresa della “banda del Matese” (dal toponimo della zona tra la Campania e il Molise) viene comunque bloccato, anche se con un dispiego di forze maggiore. Inoltre l’obiettivo insurrezionale viene parzialmente realizzato dal punto di vista “strategico” e, maggiormente, dal punto di vista propagandistico, dopo una vicenda processuale intricata che vede per la prima volta Francesco Saverio Merlino nelle vesti di avvocato difensore[75]. Tra i circa di duecento partecipanti alle sommosse (sommando entrambi i tentativi) vi erano Andrea Costa, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta.

Nel 1878 Giovanni Passannante prova ad accoltellare Umberto I di Savoia mentre sfila a Napoli a pochi mesi dal suo insediamento, ferendolo lievemente, e gridando: <<morte al re! Viva la repubblica universale, viva Orsini>>.

Undici anni dopo, sempre a Napoli, Emilio Caporali, un <<simpatizzante repubblicano di idee anarchiche[76]>> ferisce con una pietra un ex repubblicano eccellente passato alla monarchia, il presidente Francesco Crispi.

Nel 1894 sempre Crispi è vittima di un altro fallito attentato: Paolo Lega tenta di fare fuoco con una pistola che si inceppa, ne ha un’altra con sé ma il secondo tentativo viene stroncato dal cocchiere che guida la carrozza in via Gregoriana a Roma. Dopo l’evento saranno approvate le “leggi antianarchiche”.

A distanza di una settimana, nel Giugno dello stesso anno, Sante Caserio pugnala a morte il presidente della Repubblica francese Carnot: voleva vendicare un altro anarchico francese, Auguste Vaillant, reo di un attentato dinamitardo contro il parlamento francese che aveva provocato molta paura ma nessun morto, e al quale non era stata concessa la grazia.

Pochi giorni dopo Oreste Lucchesi, istigato da altri compagni livornesi, mette fine alla vita di Giuseppe Bandi, garibaldino che dalle colonne de “Il Telagrafo” attaccava Caserio e gli altri <<professori di violenza>>[77].

Nel 1897 Michele Angiolillo uccide a revolverate Antonio Cánovas del Castillo, presidente del Consiglio spagnolo. Voleva vendicare torture e condanne subite da centinaia di anarchici arrestati dopo che, l’anno prima, una “bomba alla Orsini” aveva ammazzato una dozzina di persone e ferito altre trenta a Barcellona durante una processione. Nello stesso anno il romano Pietro Acciarito che <<frequenta qualche volta ambienti socialisti e circoli anarchici, senza peraltro essere anarchico o riconosciuto come tale[78]>> si avventa con un coltello su Umberto I, durante i festeggiamenti per l’anniversario del suo matrimonio, fallendo.

L’anno dopo a Ginevra Luigi Lucheni colpisce a morte Elisabetta di Baviera con una lima, non potendo permettersi un coltello.

Nel 1900 Gaetano Bresci a Monza riuscirà a sparare e uccidere Umberto I, chiudendo tragicamente la prima parte dell’ “ondata” di attentati con quello che ha avuto più eco nell’Italia liberale, oltre a essere il secondo andato a segno sul suolo italiano (il primo è quello di Lucchesi).

Come si noterà in questa sintetica “cronologia” degli attentati italiani dell’ “ondata anarchica”, gli eventi terroristici sono per lo più a opera di singoli e attuati con un impiego di mezzi scarsi o addirittura rudimentali, come nel caso di Lucheni e di Caporali. Due dati, quello degli episodi per mano di singoli e dei mezzi usati, che cozzano con il timore infondato dei “potenti” dell’epoca, i quali avevano ipotizzato un improbabile “complotto” internazionale[79]. Una spiegazione senz’altro più credibile è quella associata a un altro dato che accomuna quasi tutti gli attentatori: quello socio-econonomico. La questione della bassa estrazione sociale oppure, come nel caso del più modesto tipografo Angiolillo della situazione economica comunque precaria, non è da ritenere secondaria [80]. Il contesto di povertà e l’instabilità sociale, psicologica, finanziaria, ma anche quella legale (per esempio la già travagliata esistenza di Luccheni era stata aggravata dalla condanna per non aver ottemperato agli obblighi di leva, mentre Angiolillo era stato condannato per propaganda sovversiva) di questi “propagandisti col fatto” sono probabilmente le spiegazioni principali, insieme al fervore politico e alla voglia di vendetta, della loro radicalizzazione e del ricorso a mezzi estremi. L’ipotesi della connessione alle ingiustizie sociali era contestata da Giuseppe Bandi[81] (la vittima di Lucchesi) mentre Francesco Saverio Nitti, a proposito del sinistro primato italiano e della sua origine, poneva l’enfasi sulla “carbonara” <<passione per il pugnale[82]>>. Una connessione rivendicata, strumentalmente, dagli stessi libertari come Malatesta, che facevano risalire la strategia violenta al percorso democratico e liberale[83].

Inoltre non è secondario notare, a proposito dell’ “ondata” che vede protagonisti gli italiani, che prima della strage del Diana a Milano nel 1921 (che avvenne in un contesto mutato rispetto a quello di fine Ottocento) in Italia il “bombismo”, seppur presente insieme al più “classico” tirannicidio, era mirato a obiettivi simbolici come gli edifici delle istituzioni (il caso del danneggiamento di Montecitorio con un ordigno, nel 1894, è stato quello più rilevante con due vittime e vari feriti, ed escludendo un precedente attentato avvenuto a Firenze nel 1878 che aveva fatto quattro morti e di cui non è certa la paternità), mentre in Francia e Spagna si attaccavano bersagli indiscriminati in virtù di quella che veniva considerata una responsabilità collettiva all’origine delle ingiustizie, degli sfruttamenti e delle morti “per fame”. Responsabilità che, specularmente, era considerata collettiva dalle repressioni indiscriminate verso gli anarchici.

Nella storia del terrorismo internazionale gli italiani hanno dunque conquistato dei tristi primati: quello della moderna versione di tirannicidio; quello dell’uso delle bombe negli attentati con le “bombe alla Orsini” e (come si vedrà meglio più avanti) anche con l’invenzione dell’autobomba (addebitabile quasi certamente a Mario Buda) e in pratica anche dell’attacco con la “locomotiva-kamikaze” di Pietro Rigosi[84] nel 1893, antenata anche degli “aerei-bomba”, da cui prende il nome la celebre canzone di Guccini. Anche dopo la parabola terroristica e insurrezionale ottocentesca, l’apporto di teorici insurrezionali dei nostri giorni, come Alfredo Maria Bonanno e Costantino Cavalleri (di cui parlo più in dettaglio nella prossima sezione di questa tesi), in particolare nell’area mediterranea e nel contesto odierno, stabiliscono un altro primato nel campo insurrezionale e terrorista.

1.2.4) “Ravacholisti” contro “tolstoiani", “analfabeti” contro “dottrinari”, “finimondisti” contro “cittadinisti”, “imbecilli esteti” contro “civilitici” e “spaventapasseri” contro “caca-inchiostro”: lo scontro dialettico dalla carta stampata all’epoca del web tra due anime dell’anarchismo

Ritengo che si possa individuare una contrapposizione nell’anarchismo italiano, ovviamente facendo una forzatura che non tiene conto di tutte le possibili sfumature nella declinazione teorica anarchica e incentrata sul concetto dell’uso della violenza[85], sull’annosa questione dei mezzi e dei fini, e sulle strategie di lotta eticamente o progettualmente condivisibili: da un lato c’è l’ala dura “intransigente” degli insurrezionalisti “classici”, di quelli “nichilisti”, di alcuni “anti-organizzatori” e dei vari propagandisti del fatto con diversi gradi di ardore rivoluzionario e fiducia nel “dogma illegalitario”; dall’altro ci sono i settori più “gradualisti” della galassia anarco-libertaria tendenzialmente o esclusivamente pacifisti e legalitari, alcuni dei quali sono favorevoli a un uso moderato, contestualizzato e meno generalizzato della violenza …  In questo “scontro” ideologico penso ci siano delle costanti nel tempo, ricorrenti nella dialettica intercorrente tra queste due fazioni. Di questi tratti ricorrenti si hanno ampie tracce nella pubblicistica, partendo dal <<pulviscolo di testate dai nomi ardimentosi, a diffusione locale e periodicità incerta>>, che <<servivano più a corroborare una fede già acquisita che a creare nuovi fedeli>>[86], fino alle omologhe “polveriere” dell’era di internet, passando per i contrattacchi e le prese di distanze della “Federazione Anarchica Italiana” dalla “Federazione Anarchica Informale” e le visioni “intermedie” come quella di Malatesta.

Come prima cosa lo scontro teorico (che sfocia nel mero e forse sterile insulto, nelle minacce e anche in quello fisico) vede gli “insurrezionali” imputare il rifugio degli altri nelle lotte legalitarie e il loro rifiuto dell’azione “coi fatti” alla loro vigliaccheria. Accusa di codardia che spesso “organizzatori” e “pacifisti” rimandano agli attentatori “anonimi” (insieme a quelle della spettacolarizzazione fanatica degli attentati e della smania di protagonismo), i quali si difendono dichiarando di nascondersi non per paura, ma per non vanificare i propri sforzi. L’impellente bisogno di <<scannare il padrone>> sentito dagli estremisti del gruppo de “Gli intransigenti” (animato da due italiani nel 1887 a Parigi, dei quali Luigi Parmeggiani era sospettato di essere un infiltrato della polizia)[87] potrebbe derivare dall’assenza di rimorso e della necessità, avvertita come imperiosa, di colpire chiunque non si adegui a queste esigenze, inclusi altri militanti[88]: nell’articolo apparso sul numero unico parigino “Il Ciclone” (gratuito per <<le masse>>), non a caso intitolato <<Codardi e farabutti alla porta>>, si spiegava che era giunto <<il tempo che i buoni compagni si sbarazzino dai pregiudizi che questi schifosi hanno loro inculcato (…) e faccino pubbliche le gesta di questi camaleonti, acciò si possa porvi radicale rimedio (…) Sbarazziamoci da costoro che ci mettono gl’intravi fra le ruote>>[89]. Il gruppo passò poi ai fatti, fallendo nel tentativo di colpire Camillo Prampolini e riuscendo a ferire a coltellate l’ “anarco-garibaldino” Celso Ceretti, che aveva difeso Amilcare Cipriani dalle accuse del gruppo e li aveva bollati come spie[90]. Oltre a questo sul foglio vengono pubblicate le ricette della “Cucina anarchica” per preparare “polpette per la borghesia”: altro non erano che istruzioni per il confezionamento di esplosivi che, insieme a “La salute è in voi” (di cui parlo in maniera più estesa nella sezione dei periodici), precedeva l’odierno “Manuale dell’anarchico esplosivista” della sedicente editrice “James Banf”.

C’è poi, da parte del primo gruppo, una tendenza alla semplificazione teorica che si concretizza nel puntare il dito contro le “inutili” “ciarle”, “formole” e tattiche dei “dottrinari”. Uno di questi riferimenti alla preminenza attribuita al “fatto” rispetto alle “idee” risale al periodo della lotta per l’unificazione e si ritrova nel “Testamento Politico” di Carlo Pisacane dove si dice: <<le idee nascono dai fatti e non questi da quelle>>. Un altro si trova in una frase di Felice Orsini: <<Non ascoltate né poeti né dottrinari: ascoltate gli uomini d’azione: colle parole, coi progetti, coi dibattimenti non si liberano le nazioni, non si cacciano i barbari>>; sempre di Orsini è il riferimento alle <<ciarle>> e alle <<formole>> di cui si deve fare a meno[91].  Fornendo un esempio analogo, a noi più vicino, ne “La gioia armata” di Bonanno[92] si lodano i “compagni” che durante paventate guerriglie urbane attaccano la polizia, il potere e i suoi simboli <<senza fronzoli, senza lunghe premesse analitiche, senza complesse teorie di sostegno>>; un altro esempio lo troviamo nella pubblicazione anonima “La Miccia”[93], dove si afferma riduttivamente e lapidariamente che la violenza è <<la vera essenza dell’idea anarchica>> e che il movimento anarchico è <<sovversivo in sé, perché il suo fine è quello dell’abbattimento dello stato e del capitale, entrambi difesi e affermati grazie a leggi, eserciti e lavaggio del cervello mediatico>>.

 Viceversa i secondi dipingono i più violenti come <<una massa tumultuaria di tipi fra loro disparatissimi che vanno dal ribelle impulsivo al filosofo analfabeta, dal criminale all’esteta>> determinando che <<chi non si atteggia a Ravachol redivivo non meritava il nome di compagno>>[94]. Sempre contro i <<dottrinari scribacchini di castronerie sociologiche>> si scaglia il benestante Paolo Schicchi che, invocando la distruzione <<per intero>> della sua classe sociale (<<questa razza di ladri e d’assassini che chiamasi borghesia>>) proclama: <<Donne, vecchi, bambini, tutti devono essere affogati nel sangue>>[95]. L’anarchico siciliano attaccava anche le <<canaglie legalitarie>> e il loro “bizantinismo”[96] in una maniera che mi sembra affine alle accuse di “cittadinismo” odierne: con questa inusuale parola infatti si accusa chi intraprende battaglie gradualiste e nell’ambito della legalità, come spiegherò meglio più avanti. Dello stesso tenore, tendente alla minimizzazione e “semplificazione” della violenza, sono le parole dei compagni di Paolo Schicchi accorsi in sua difesa <<per le quasi innocue esplosioni esplosioni di Genova, di Palermo, e le altrettanto innocue revolverate contro un poliziotto>>[97]. In risposta il giornale socialista diretto da Camillo Prampolini (che, come si è appena visto, subisce un attento dal gruppo “Gli intransigenti”), “Lotta di classe”, in un articolo intitolato “I martiri inutili” li accusa di avere <<la mente in quel continuo stato di esaltazione che distingue la più gran parte degli anarchici>>[98]. Dopo aver canzonato Schicchi anche per lo stile di vita bohémien si conclude spiegando che nel contesto del sistema costituzionale italiano <<le forze e le tendenze popolari possono, se lo vogliono, modificare e creare un ambiente favorevole alla propaganda socialista>> e che gesti come quello di Schicchi potrebbero <<avere un valore diverso, col sistema del dispotismo assoluto>>[99] russo. Qualche mese dopo, una bomba uccide circa trenta persona a Barcellona in un teatro, e nell’articolo intitolato con il nome della città catalana la condanna è ovviamente ancora più decisa: <<è un attentato orribile ed insensato; non v’ha socialista cosciente che non lo riprovi altamente. Ammazzare per terrorizzare colpendo alla cieca (…) sta agli antipodi di tutto ciò che noi crediamo e predichiamo. Noi non abbiamo nulla di comune con questo sentimentalismo sanguinario>>[100]. Il macabro godimento sanguinario si ritrova anche nella “Gioia armata”[101] di Alfredo Maria Bonanno, mentre si interroga sulla gambizzazione di Montanelli, a opera dei suoi “compagni avanguardisti” delle BR: il teorico siciliano afferma che <<sarebbe stato meglio>> sparargli in bocca, <<ma sarebbe stato anche più pesante. Più vendicativo e più cupo. Azzoppare una bestia come quella può anche avere un lato più profondo e significativo, oltre quello della vendetta, della punizione per le responsabilità di Montanelli, fascista e servo dei padroni. Azzopparlo significa costringerlo a claudicare, farglielo ricordare. E poi, è un divertimento più gradevole di sparargli in bocca, col cervello che gli schizza fuori dagli occhi>>. L’estetica della violenza viene attaccata nel comunicato del 2012 della Federazione Anarchica Italiana, quando venivano confusi con l’altra “FAI informale” che aveva rivendicato la gambizzazione dell’AD di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi a Genova, e mentre era ancora aperta la pista eversiva dietro l’attentato alla scuola superiore di Brindisi[102]. Significativo è in proposito il passo che segue della nota, intitolata <<Della lotta armata e di alcuni imbecilli>>: <<La pratica della libertà attraverso la libertà può essere contagiosa ma non si può certo imporre. Gli estensori del comunicato rifuggono il “consenso” e cercano “complicità”. Se ne infischiano del fine e pensano solo al mezzo, di fatto rinunciando ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale anarchica. Il loro linguaggio e la loro pratica sono un cocktail di pratica avanguardista e retorica estetizzante>>[103]. Anche su “A rivista anarchica” appare un articolo di ferma disapprovazione, firmato da una collaboratrice aderente alla FAI, e maggiormente incentrato sul concetto dell’avanguardismo mascherato da strategia informale. Il titolo dell’articolo sintetizza magistralmente il concetto: <<Leninisti in salsa informale>>[104]. Diametralmente opposta la visione di Alfredo Cospito, l’esecutore della gambizzazione, espressa nella dichiarazione spontanea dell’udienza avvenuta a Settembre 2020. Dopo una presa di distanza dallo “stragismo”, menzionato dal procuratore, e una disquisizione sul termine “terrorismo” in ambito anarchico, (termine che a differenza del primo dice di rivendicare, insieme ai suoi coimputati che avrebbero piazzato bombe “dimostrative” e che non sarebbero state dirette a fare, per l’appunto, una strage) afferma baldanzosamente: <<Un giorno un’internazionale nera sorgerà dalle ceneri delle tante sconfitte che come anarchici-e abbiamo subito nella storia, e quel giorno verrà alla luce uno stupendo ossimoro, un’organizzazione senza organizzazione>>[105].

Più intermedia è la posizione di Malatesta che nel 1921, a processo dopo gli eventi del ”biennio rosso” e difeso anche da Merlino, ricordava: <<Si costituì quel movimento terroristico che è conosciuto sotto il nome di ravacholismo, ed in quella circostanza io insieme col mio vecchio amico avvocato Merlino facemmo una campagna contro quella tendenza, e con discorsi, conferenze e stampati e mettendoci in urto con tanta gente ed esponendoci anche a pericoli personali, riuscimmo a stroncare quella tendenza. È forse una delle più belle memorie della mia vita l’aver contribuito alla distruzione del ravacholismo[106]>>. Secondo Malatesta il ricorso a mezzi estremi doveva essere ponderato, sganciato dalla logica vendicativa, circoscritto a una strategia rivoluzionaria definita e non alimentato dall’odio che avrebbe portato <<ad una nuova oppressione>>: doveva essere <<come il chirurgo che taglia quando è necessario, ma evita di infliggere inutili sofferenze: in una parola, dobbiamo essere ispirati dal sentimento dell’amore degli uomini, di tutti gli uomini>>[107]. L’anarchico campano, distanziandosi anche dai “minimalisti” ricordava la necessità del ricorso alla forza, dato che <<le istituzioni sociali attuali sono tali che appare impossibile di trasformarle per via di riforme graduali e pacifiche; e la necessità di una rivoluzione violenta che, violando, distruggendo la legalità, fondi la società umana su basi novelle, s’impone>>[108]. Non risparmiava critiche nemmeno per i “tolstoisti”, gli appartenenti al <<partito della resistenza passiva, il quale ha per principio che bisogna lasciare opprimere e vilipendere se stesso piuttosto che far male all’aggressore. È quello che è stato chiamato l’anarchia passiva…>>[109]. Il “compagno di banda” di Malatesta, Carlo Cafiero, quando al processo per i fatti del Matese si doveva difendere dall’accusa di aver ferito due carabinieri e di averne ucciso uno (che tecnicamente sarebbe morto per un’infezione successiva al ferimento) per “libidine di sangue” (cosa che avrebbe aggravato anche la posizione processuale degli insorti), mostrò la sua indignazione: <<se noi avessimo ucciso un’intera legione di carabinieri in combattimento, noi non ce ne sentiremmo offesi, ma quando ci si dice che abbiamo ucciso pur una mosca per lascivia di sangue la nostra coscienza si ribella a questa accusa>>[110]. Nelle parole di Cafiero si ritrova anche la centralità risorgimentale dell’azione rivoluzionaria: <<Le idee scaturiscono dai fatti, e non viceversa, diceva Carlo Pisacane nel suo testamento politico, ed è vero. È il popolo che fa il progresso, allo stesso modo che la rivoluzione: la parte ricostruttiva e la parte distruttiva>>. Oltre a questo ne sottolineava anche l’aspetto formativo: <<Con l'azione, si lavora al tempo stesso per la teoria e per la pratica, perché è l'azione che genera le idee, ed è l'azione, ancora, che si incarica di diffonderle per il mondo>>. L’anarco-comunista pugliese, che era stato il primo a introdurre il Capitale di Marx al pubblico italiano con il suo celebre “Compendio”, non lesinava critiche ai moderati <<dottrinari-autoritari, pieni di gravità e saggezza>> precisando di non avere <<niente a che fare con le manovre dei borghesi. Non dobbiamo mischiarci al gioco dei nostri oppressori, se non vogliamo partecipare alla loro oppressione (…) La nostra azione dev'essere la rivolta permanente, attraverso la parola, attraverso gli scritti, col pugnale, col fucile, con la dinamite, e persino, a volte, con la scheda elettorale quando si tratta di votare per Blanqui o Trinquet che sono ineleggibili>>[111].

I contrasti ovviamente non riguardano solo la questione della violenza: un altro leitmotiv è quello dell’accusa, spesso “incrociata”, di delazione. Oltre all’accuse che si erano scambiati Ceretti e “Il Ciclone”, più avanti in questa tesi se ne ritrovano altre due: quello tra Galleani e Serrati [112]e quello tra due siti web del movimento “no tav”, che definiscono dei “burabacio” (parola dialettale che sta per spaventapasseri) gli autori del sito “Finimondo”[113]. C’è poi anche il caso di quella che (come spiega il principale teorico dell’anaco-insurrezionalismo contemporaneo italiano, il già citato Bonanno), negli ambienti carcerari è nota come “delazione alla francese”, ossia di chi prendendo le distanze da certi atti, come un attentato per esempio, metterebbe in risalto chi invece non dichiara esplicitamente la propria contrarietà a tali azioni. Un comportamento che secondo Bonanno è addebitabile all’intera redazione dei <<caca-inchiostro>> di “A rivista anarchica”.

Inoltre è degna di nota anche l’annosa questione della partecipazione elettorale da parte di un anarchico in contesti specifici. Partecipazione che non bisognava precludersi a priori secondo l’anarchico Camillo Berneri[114], evitando comunque di svolgere <<una propaganda che alimenti le illusioni elettorali e parlamentariste>> e <<senza illudersi sui programmi e sugli uomini dei partiti in lista>>[115]. A questo proposito parlava di <<cretinismo anarchico>>, e ironizzava definendolo: <<la fobia del voto anche se si tratti di approvare o disapprovare una decisione strettamente circoscritta (…) alle cose del nostro movimento>>, oppure quella <<del presidente di assemblea anche se sia reso necessario dal cattivo funzionamento dei freni inibitori degli individui liberi che di quell'assemblea costituiscono l'urlante maggioranza>>[116].

In conclusione, provando ad analizzare e ricapitolare sommariamente alcuni punti critici nella comunicazione dell’ala insurrezionale, vorrei sottolineare la fiducia (a volte incondizionata) nel valore del “fatto”, nel “culto dell’azione” che è anche eredità del Risorgimento. A ciò si lega pure l’affidamento assoluto, e più estremizzato, al mito delle azioni “pantoclastiche” che, quasi magicamente, tramite la distruzione diffusa e una “maxi-insurrezione” generalizzata dovrebbero condurre a una nuova società, magari fatta di “super-individui” in grado di autoregolarsi. Ovviamente ci sono anche le teorie dei “piccoli fuochi” da appiccare in vista di un progetto insurrezionale di lungo termine, più classiche, che non mirano alla distruzione in sé e si accompagnano a teorizzazioni di azioni più strutturate. Sempre a proposito della retorica della violenza si verifica l’esaltazione del sacrificio personale, del martirio e dei “compagni incarcerati”, e anche in questi concetti potrebbero essere rintracciate delle connessioni risorgimentali.



[1]Cfr. F. Chiapponi, Comunicazione politica Un approccio teorico, Mondadori, Milano, 2020, p. IX; nello specifico si afferma che <<la comunicazione designa un fenomeno strictu sensu sociale, che permea ogni ambito dell’attività umana, non solo la politica>>, e considerando che il linguaggio è <<un insieme di facoltà che solo l’uomo possiede>>, oltre che “innato” in quanto <<risiede nel nostro corredo genetico>>, ivi p.12, cit.

[2]G. Ragona, Anarchismo, le idee e il movimento, Laterza 2019 p. 8, cit.

[3]G. Berti, Contro la storia Cinquant’anni di anarchismo in Italia (1962-2012), Biblion, Milano, 2016, cit. p. 289

[4]M. Antonioli, Editori e tipografi anarchici di lingua italiana tra otto e novecento, Bfs, Pisa, 2007

[5]Cfr. Ragona, Anarchismo …, pp. 135-137; mi riferisco a un primitivismo meramente distruttivo e “nichilista”, distinto da quello che può essere usato per definire talune civiltà cronologicamente distanti o politicamente diverse dalla nostra.

[6]Con l’espressione propaganda col fatto (a volte si usa anche “propaganda del fatto”) si intende quella forma di lotta politica che si concretizza in “fatti” fisicamente violenti, come attentati e tentativi insurrezionali. Come si spiega in questa tesi nel movimento anarchico sono sempre esistite diverse opinioni sulla legittimità dei vari tipi di “fatti” e quindi sui contesti in cui ricorrere alla violenza.

[7]In G. Sacchetti, Con l’amore nel pugno. Federazione Anarchica Italiana (1945-2012) Storia e documenti, Zero in Condotta, Milano, 2018, si fa una valutazione a proposito: <<censendo le sigle di cui si ha notizia che abbiano autoprodotto materiali si riscontrano, secondo una stima sicuramente al ribasso, almeno 450 associativi anarchici, di varia consistenza e durata, distribuiti nel territorio oltre che nell’asse temporale. Miriadi di gruppi e associazioni locali che, spesso nel giro di poco tempo, nascono e muoiono in tourbillon incredibile>>, cit. p. 104

[8]Di cui parlo più nello specifico nella sezione dedicata ai fogli e alle riviste.

[9]Bisogna precisare, a proposito delle istanze antiorganizzatrici che in realtà <<ben pochi anarchici rifiutano nei fatti il concetto di organizzazione. Infatti gli antiorganizzatori negano la validità di qualsiasi struttura formale stabile e continua perché in essa vedono i primi segni dell'elitismo e della burocrazia, ma ciò non toglie che essi ritengano utile organizzarsi praticamente per migliorare la propria azione rivoluzionaria>>, cit. in A. Senta, Luigi Galleani e l’anarchismo antiorganizzatore, Edizioni Bruno Alpini, 2013 (2012) cit. p. 4.

[10]Cfr. G. Berti e C. De Maria (a cura di), L’anarchismo italiano. Storia e storiografia, Biblion, Milano, 2016, p. 6; e G. Sacchetti, Con l’amore nel pugno. Federazione Anarchica Italiana (1945-2012) Storia e documenti, Zero in Condotta, Milano, 2018, pp. 10-11. Da notare che lo storico Sacchetti illustra anche un’altra divisione fatta di <<cinque ondate>> e individuata dalla <<storiografia internazionale, in specifico quella di indirizzo comunista-libertario>>, cit. p11.

[11]Cfr. A. Cadioli e G. Vigini, Storia dell’editoria italiana dall’Unità a oggi, Editrice bibliografica, Vignate, 2017, pp. 13-14. Sempre in riferimento alla storia editoriale italiana e alle sue trasformazioni si veda anche N. Tranfaglia, A. Vittoria, Storia degli editori italiani, Laterza, Roma Bari, 2000.

[12]Ivi, cit. p. 18.

[13]Ivi, cfr. e cit. p. 25.

[14]Ivi, cit. pp. 18-19.

[15]Ivi, cfr. p. 14 e p. 19. A proposito della questione del diritto d’autore bisogna ricordare che l’editore fiorentino perse una causa intentata da Alessandro Manzoni, come spiegato nella voce del “Dizionario Biografico degli Italiani”, redatta da C. Ceccuti, pubblicata nel vol. 64, 2005: <<Per non chiedere l'autorizzazione all'autore, il L. riprodusse l'edizione del 1827, stampata e ristampata più volte prima del 1840, data in cui era entrata in vigore la convenzione fra gli Stati italiani sul rispetto della proprietà letteraria. (…) Manzoni intraprese le vie legali sostenendo che l'unica eccezione consentita dalla convenzione al principio del rispetto della proprietà fosse la riproduzione iniziata prima dell'entrata in vigore della normativa e non dopo: di tale avviso si mostrarono i giudici nelle tre sentenze sul caso. L'intesa definitiva venne raggiunta solo vent'anni dopo, (…) con il pagamento da parte del L. della rilevante cifra di 34.000 lire, dovuta alle svariate edizioni comunque riprodotte in quel lasso di tempo.>>. La voce è consultabile all’indirizzo treccani.it/enciclopedia/felice-le-monnier_(Dizionario-Biografico) / (url consultata il 01/03/2021).

[16] Sull’influenza letteraria nella cultura dei “sovversivi” di fine secolo si segnala E. Papadia, La forza dei sentimenti. Anarchici e socialisti in Italia, Il Mulino, Bologna, 2019, cap. terzo, Ragione, finzione, cuore.

[17] Sempre nella voce del Dizionario Biografico degli Italiani dedicata a Le Monnier si spiega: << Il successo che gli diede la notorietà arrivò nel 1843, con l'avventurosa e clandestina pubblicazione dell'Arnaldo da Brescia di G.B. Niccolini. L'opera, inneggiante alla libertà dalla tirannia straniera, fu stampata (in 3000 copie presto esaurite) a Marsiglia, rilegata a Livorno e introdotta a Firenze regolarmente attraverso la dogana, la quale fu indotta a trascurare il controllo perché ingannata dalla dichiarazione "carta bianca" che comportava una tassa maggiore. >>. Nella collana si ritrovano più di duecento titoli, principalmente classici letterari italiani affiancati da opere di vari patrioti (non è un caso che nel titolo della collana si richiamava il concetto di nazione). In questo contesto è importante notare per esempio che la pubblicazione delle opere di Foscolo era stata assegnata a Mazzini, che dal suo esilio londinese avrebbe dovuto ricercare scritti inediti del poeta;

cfr. La Biblioteca Nazionale di Felice Le Monnier in <<segnideltempo.it>>, reperibile all’indirizzo

segnideltempo.it/SiteImgs/66%20Biblioteca%20Nazionale%20di%20Felice%20Le%20Monnier.pdf

(url consultata il 01/03/2021).

[18]G. Ragona, Anarchismo …, cit. p.27

[19] Per una definizione e un approfondimento sulle cosiddette leggi antianarchiche cfr. C. Tognoli 1894, Lo scioglimento del partito socialista italiano in <<Critica Sociale>>, 2, 1998, reperibile all’url

criticasociale.net/index.php?&lng=ita&function=rivista&pid=page&id=0003216&top_nav=autori_1998&sintesi=1#.YE5oQUvdLIW

[20]La definizione di “editore-protagonista” si trova in G.C. Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Einaudi, Torino, 2004, cit. p. XI.

[21]Ivi, cit. p. 3.

[22]A. Cadioli e G. Vigini, Storia …, cit. p. 78.

[23]M. Ortalli, La bibliografia sugli anarchici italiani (1945-2013), in <<A rivista anarchica>>, 391, estate 2014, cit. Il saggio è reperibile all’indirizzo arivista.org/riviste/Arivista/391/224.htm (ultima consultazione 01/03/2021) e si ritrova ampliato e corredato da una dettagliata appendice bibliografica in G. Berti e C. De Maria (a cura di), L’anarchismo italiano. Storia e storiografia, Biblion, Milano, 2016, con il titolo La storiografia del movimento anarchico italiano: repertorio bibliografico e bilancio critico (1945-2014).

[24] Per un profilo biografico di Fedeli e Masini si rimanda alle relative voci di AA. VV, Dizionario biografico online degli anarchici Italiani, M. Antonioli, G. Berti, P. Iuso, S. Fedele (a cura di), Biblioteca Franco Serantini, da ora in poi abbreviato in DBAI ai seguenti indirizzi bfscollezionidigitali.org/entita/13371-fedeli-ugo/; bfscollezionidigitali.org/entita/14120-masini-pier-carlo (ultima consultazione 01/03/2021).

[25]Cfr. e cit. M. Ortalli, La bibliografia…

[26]Cfr. Ibidem.

[27]G. Berti e C. De Maria (a cura di), L’anarchismo italiano …, cit. p.6.

[28]Ivi, cit. p. 272. La citazione si trova nel saggio di P. Iuso, Il problema dell’organizzazione nei primi decenni della Repubblica, che riprende le parole di Berti nella prefazione di Un seme sotto la neve, Carteggi e scritti dall’antifascismo in esilio alla sinistra eretica del dopoguerra (1937-1962), a cura di Carlo De Maria, Archivio Famiglia Berneri, 2010, p. X.

[29]Riguardo al “frazionamento” del movimento e alla nascita della FAI si veda la conclusione e le relative note di questo paragrafo.

[30]Riguardo la questione generazionale (riassumibile con la formula dell’<<anello mancante>>) e della tendenza autoreferenziale cfr. il saggio di P. Iuso, Il secondo novecento: temi nuovi e tendenze di fondo per lo studio del movimento anarchico italiano, che si trova nel libro Parlare d’anarchia, Le fonti orali per lo studio della militanza libertaria in Italia nel secondo Novecento a cura di E. Acciai, L. Balsamini e C. De Maria, pp. 82-83. Dalle stesse pagine sono riprese anche le citazioni.

[31]E. Acciai, L. Balsamini e C. De Maria (a cura di), Parlare d’anarchia …, cit. a p. 191 di Paolo Finzi.

[32]G. Berti, Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia (1962-2012), Biblion, Milano, 2016, cit. p. 6.

[33]Cfr. Storia delle radio in <<broadcastitalia.it>> broadcastitalia.it/storia%20delle%20radio.htm (url consultata il 02/03/2021).

[34]Si noti che le due riviste (i cui titoli richiamano i movimenti culturali e politici dei “Beatnik” anglofoni e dei “Provo” olandesi) erano state stampate presso sedi anarchiche, e in particolare la prima nella milanese “Sacco e Vanzetti” con il supporto di Giuseppe Pinelli. Cfr. scheda Mondo Beat di G. Lo Monaco in <<culturedeldissenso.com>> e G. Sacchetti Influenze libertarie nel movimento studentesco italiano in <<Umanità Nova>> 20 Maggio 2018. Reperibili alle url culturedeldissenso.com/mondo-beat/ e umanitanova.org/?p=7583 (consultate il 02/03/2021).

[35]Di Bonanno si parlerà spesso in questa tesi, e in particolare nella sezione dedicata alle case editrici, in cui ripercorro anche la sua vicenda biografica.

[36]A. Senta, Una storia di storie. I molteplici piani del politico e del sociale: il movimento anarchico italiano dal dopoguerra agli anni ottanta, in E. Acciai, L. Balsamini e C. De Maria (a cura di), Parlare d’anarchia, cit. p. 30.

[37]Ivi, cfr. e cit. p. 31.

[38]Ivi, cfr. e cit. p 32.

[39]Cfr. Enciclopedia Treccani, Lessico del XXI Secolo, ad vocem, treccani.it/enciclopedia/fanzine_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/ (url consultata il 02/03/2021).

[40]Cfr. ivi, treccani.it/enciclopedia/webzine_(Lessico-del-XXI-Secolo)/ (url consultata il 02/03/2021)

[41]Per esempio, un blog che riproduce materiale degli anni Novanta <<che ha girato (…) Sui banchetti ai concerti nei Centri Sociali Occupati o spesso per posta>> è il seguente: italicheautoproduzioni.blogspot.com. Tra i contenuti ospitati c’è la fanzine, degli ambienti antagonisti torinesi, che nel titolo fa il verso a “Tuttosport”, ossia “Tuttosquat”. Un sito che ne digitalizzava il contenuto è disponibile sul “Web archive”:

web.archive.org/web/20021115141418fw_/http://tutto.squat.net/sitoa/pagine/biblio.htm (url consultate il 02/03/2021).

[42]Cfr. G. Sacchetti, Con l’amore … e cit. p. 12.

[43]M. Vella, Da Pericle a Trump, passando per Dumas: alle origini delle fake news, in <<vita.it>>, 10 Luglio 2019, articolo all’url vita.it/it/article/2019/07/10/da-pericle-a-trump-passando-per-dumas-alle-origini-delle-fake-news/152185/ (url consultata il 02/03/2021).

[44]G. Sacchetti, Anarchici e lotta armata in Italia (1969-1989), in <<A rivista anarchica>>, 439, Dicembre 2019/Gennaio 2020, cit. Reperibile all’url arivista.org/?nr=439&pag=55.htm (ultima consultazione 11/03/2021).

[45]Come si capirà meglio nelle prossime righe, mentre nel “secondo” periodo la “sinistra”, o comunque l’ala più “rivoluzionaria” può essere identificata con i GAAP (Gruppi Anarchici di Azione Proletaria), nel “terzo” sarà rappresentata dagli anarco-insurrezionalisti. Per un approfondimento sulle varie componenti del movimento anarchico a partire dal dopoguerra e alle sigle qui menzionate (oltre all’ AGL, alla FCL, alla FLI, i GGAF e i GAF) si segnalano: A. Senta, Una storia di storie … pp. 13-17 del volume Parlare d’anarchia Le fonti orali…; P. Iuso, Il problema dell’organizzazione … pp. 269-283 del volume L’anarchismo italiano. Storia e Storiografia …; e infine il saggio Eretici e libertari in G. Sacchetti, Con l’amore … pp.15-70 (riprodotto in forma ridotta in <<Diacronie>> 9,1,2012 e reperibile all’url:

 journals.openedition.org/diacronie/2991; ultima consultazione 02/03/2021).

[46]Il riferimento a Berti indica l’area dei GAF.

[47]G. Sacchetti, Con l’amore …, cit. p. 11.

[48]G. Sacchetti Un interessante libro sull’esperienza dei G.a.f., in <<Umanità Nova>>, 11 Marzo 2017, reperibile all’indirizzo umanitanova.org/?p=4583 cit.

[49]Lo scioglimento “provocatorio” e “formale” del gruppo, ma non sostanziale, avviene in quanto la sua dimensione ridotta non era ritenuta sufficiente per incidere nel contesto politico sociale. Quindi non viene rinnegata l’attività passata della federazione “di tendenza” (ossia articolata secondo un programma definito), ma si mira alla creazione di un più vasto movimento libertario in grado di portare avanti un progetto rivoluzionario. Cfr. G. Berti, Contro la storia … pp. 107-108.

[50]G. Sacchetti Un interessante… cit.. A proposito della “tripartizione” dell’anarchismo italiano Sacchetti dice, in La resistenza sconosciuta, Zero in condotta, Milano, 2005: <<Per quanto riguarda la FAI la sua «centralità» rimane indiscussa. La posizione di medianità assunta nell’ambito del più vasto movimento libertario italiano, fra «sinistra» classista («gaapista» poi piattaformista) e «destra» culturalista, evocata da Berti e riferibile al periodo che va dal dopoguerra agli anni Settanta, si confermerà anche nelle epoche successive. Ai poli opposti questa volta, alle ali dell’anarchismo «tradizionale», non scelte strategiche organizzative, ma opzioni estreme riconducibili alla sfera individuale / collettiva, dettate il più delle volte dalle esigenze della società dello spettacolo: o insurrezionalismo «rivoluzionario» (stilizzazione della violenza) o impegno culturale esclusivo. Tertium non datur?>> cit. p. 11.

 

[51]Vocabolario Treccani, ad vocem, cit. all’indirizzo treccani.it/vocabolario/terrorismo/ (url consultata il 12/02/2021)

[52]R. Barberini, Terrorismo e guerra, in “Questione Giustizia”, reperibile all’indirizzo:

questionegiustizia.it/speciale/articolo/terrorismo-e-guerra_7.php (url consultata il 12/02/2021).

[53]Ibidem, cit. <<I bombardamenti della Raf britannica su Dresda furono “bombardamenti terroristici” non solo nella retorica del Ministero della propaganda di Goebbels: si trattò di attacchi deliberati contro non combattenti. Anche i bombardamenti aerei in Iraq, Afghanistan e Siria hanno provocato terrore e morte tra i civili. >>. Questi sono altri due esempi di forme di terrorismo, in senso lato, messe in atto da governi.

[54]Vocabolario Treccani, Ibidem; per approfondire la vastissima questione linguistica, oltre che storica, del terrorismo si segnala F. Benigno, Terrore e terrorismo, Saggio storico sulla violenza politica, Einaudi, 2018.

[55]Secondo la definizione, aggiornata nel 2016, della NATO: <<l’uso illegale di forza o violenza contro singoli o beni di proprietà, o anche la minaccia di questo uso, che infonde paura e terrore nel tentativo di intimidire o coartare governi o società, oppure per ottenere il controllo di una popolazione in modo da raggiungere obiettivi politici, religiosi o ideologici >>. Trad. mia, dal documento NATO del 06 Gennaio 2016 qui reperibile:

nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/topics_pdf/20160905_160905-mc-concept-ct.pdf. Il Comitato antiterrorismo delle Nazioni Unite invece, nel 1979, decise di non definire giuridicamente il terrorismo (per approfondimenti si rimanda a R. Barberini, La definizione di terrorismo e gli strumenti giuridici per contrastarlo, in <<Gnosis Rivista Italiana di Intelligence>>, 28, Gennaio-Aprile 2004, cfr. par. “La definizione di terrorismo in ambito Nazioni Unite”). A oggi l’Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha ancora definito con precisione cosa si intende per terrorismo, pur prendendo una serie di provvedimenti per <<specifiche forme di terrorismo>> e avendo come primo riferimento, in ordine cronologico, la definizione formulata dalla Società delle Nazioni nel 1937: <<ogni atto criminale diretto contro uno Stato con l’intenzione o la previsione di creare uno stato di terrore nelle menti di persone specifiche, di un gruppo di persone o della popolazione in generale>> (trad. mie), cit. dal documento ONU del 2006 all’indirizzo:

un.org/sc/ctc/wp-content/uploads/2017/01/2006_01_26_cted_lecture.pdf (url consultate il 12/02/2021).

Per dare un’idea di quanto la questione delle definizioni di terrorismo sia dibattuta in ambito internazionale, si segnala che ne sono state censite più di duecentosessanta, a partire da quella data da Robespierre nel 1794, in A.P. Schmid (a cura di), AA.VV, Routledge Handbook of Terrorism and Counterterrorism, Routledge, Londra e New York, 2011, pp 99-148.

[56]Cfr. Barberini, Terrorismo

[57]Ibidem.

[58]Cfr. M.C. Ünal, Terrorism versus insurgency: a conceptual analysis, 2016, Springer, Dordrecht, p.5.

[59]Cfr. S. Coccia, C. Pasqui, Terrorismo ed altri metodi dell’Insurrezione nella Guerra Rivoluzionaria, in <<difesa.it>> (sito del Ministero della difesa), 2010, reperibile all’indirizzo:

difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pubblicazioni/Documents/5411_Ric_Pasqui_Coccia.pdf

(ultima consultazione 13/02/2021).

[60]Cfr. F. Chiapponi, Comunicazione Politica …, pp. 370-371

[61]Per una definizione dell’avalutatività in Weber si rimanda all’enciclopedia Treccani, ad vocem, treccani.it/enciclopedia/avalutativita_%28Dizionario-di-filosofia%29/.

[62]Cfr. Chiapponi pp.370-371; sulla questione della legittimità della violenza e della configurazione di essa come caratteristica dello stato si veda pp. 373-374.

[63]Cfr. ivi. p. 374.

[64]Cfr.ivi pp. 375-376.

[65]Cfr. D.C. Rapoport, The Four Waves of Rebel Terror and September 11, in Anthropoetics VIII, 1, 2002, Los Angeles, reperibile all’inidirizzo anthropoetics.ucla.edu/ap0801/terror/ (ultima consultazione 14/02/2021).

[66]La fase della Resistenza seguente l’armistizio di Cassibile, fu <<descritta in termini epici come un “secondo Risorgimento”>>, con i suoi <<martiri caduti contro il “bestiale oppressore” germanico (…) paragonati a quelli caduti contro il dominio austriaco>>, cfr. F. Focardi, La Guerra della memoria, Laterza, Bari Roma, edizione digitale 2020, e cit. p. 10. Nell’articolo di U. Magri, Mattarella stoppa l’odio: “Liberazione, il nostro secondo Risorgimento”, in <<La Stampa>>, 25 Aprile 2019, reperibile all’indirizzo www.lastampa.it/politica/2019/04/25/news/mattarella-stoppa-l-odio-liberazione-il-nostro-secondo-risorgimento-1.33697732 (ultima consultazione 14/02/2021), si spiega che l’espressione era stata usata anche dal partigiano e giornalista Carlo Casalegno, ucciso dalle BR nel 1977. Per inquadrare la questione da una visuale politica e storiografica si segnala U. Carpi, Dal primo al secondo Risorgimento, in <<anpi.it>>, 7 Dicembre 2010, all’indirizzo www.anpi.it/articoli/125/dal-primo-al-secondo-risorgimento (ultima consultazione 14/02/2021).

[67]M. Antonioli, Sentinelle perdute, BFS Edizioni, 2009, Pisa, cit. pp. 16-17. Il secondo capitolo del volume, intitolato <<LA COMPAGNIA DELLA MORTE. Gli anarchici garibaldini nella guerra greco-turca del 1897>>, è dedicato al gruppo di volontari guidati da Cipriani nella sua ultima impresa militare.

[68]Ivi, p.131.

[69]E. Papadia, La forza dei sentimenti, Il Mulino, edizione e-book 2019, Bologna, cit. posizione 402.

[70]In E. Papadia, La forza … il tema “emotivo” dell’eredità risorgimentale è affrontato nel capitolo “Orizzonti condivisi”. Tra gli esempi illustrati ne segnalo due: quello di Carlo Monticelli e di suo padre Martino, garibaldino, approdato all’anarchismo e incarcerato insieme al figlio per l’attività sovversiva (cfr. pos. 356-367). L’altro è quello di Paolo Schicchi e del padre Simone, avvocato garibaldino sempre pronto a perdonare e supportare il figlio, anche dopo che aveva lanciato una bomba davanti a una caserma di Palermo e una al consolato spagnolo di Genova. In una lettera a Malatesta, che si era dissociato dalla sua strategia terrorista, prese le difese di Paolo rivendicando la sua buona fede e gli alti principi che lo animavano (cfr. pos. 437-470).

[71]È discusso il fatto che l’adesione di Garibaldi sia stata pienamente consapevole da un punto di vista politico. Tuttavia la questione del grado di consapevolezza non avrebbe precluso l’adesione dei suoi fedeli agli ideali internazionalisti, cfr. E. Papadia, La forza… pos.382.

[72]A proposito dei collegamenti <<al mondo delle sètte e delle cospirazioni>> si noterà come <<la logica dell’azione terroristica era più ritorsiva che rivoluzionaria: la concezione dell’attentato come scintilla in grado di accendere la miccia del conflitto sociale non riuscì mai a prevalere davvero sull’idea risalente al tirannicidio come risarcimento e come vendetta, secondo la logica classica di colpa ed espiazione simboleggiata dal pugnale vendicatore dei giuramenti carbonari>>, cit. in E. Papadia, La forza … , pos. 5413.

[73]Inoltre già nel 1855 il patriota Giovanni Pianori cercò invano di sparargli, e due anni dopo tre italiani, tra cui Paolo Tibaldi, furono arrestati con l’accusa di preparare un altro attentato contro l’imperatore. Per questo anche Mazzini fu processato in contumacia.

[74]E. Papadia, La forza …, cit. pos. 483.

[75]Per approfondimenti si rimanda a B. Tomasiello, La Banda del Matese 1876-1878, Galzerano Editore, Casalvelino Scalo, 2009, un libro scritto non da uno storico che, comunque, ha il merito della sintesi e quello dell’esaustività, oltre all’ampio spazio dedicato alla documentazione.

[76]M. Picconi, Emilio Caporali, il “mattoide infelice”, in <<180gradi.org>>, 09 Giugno 2020, reperibile all’url https://180gradi.org/cultura/matteo-picconi/emilio-caporali-il-mattoide-infelice (consultata il 15/02/2021), cit.

[77]DBAI, Oreste Lucchesi, ad nomen, cit.

[78]DBAI, Pietro Acciarito, ad nomen, cit.

[79]Cfr. E. Papadia, La forza … pos. 5282.

[80]L’indigenza e i risentimenti da cui generavano tali atti sono riassunti nei seguenti passi in E. Papadia, La forza … : <<Se Passannante era un giovane cuoco lucano che per comprare giornali e pugnale aveva fatto la fame, Emilio Caporali (…) era uno studente pugliese di origini popolari, costretto dalla morte del padre e dalla rovina economica della sua famiglia ad abbandonare gli studi e a elemosinare un aiuto per vivere ad amici e conoscenti (…) “Crispi è parso a me che fosse l’uomo più felice della terra, mentre io sono il più infelice, e perciò attentai alla sua vita”, dichiarò ancora Caporali, inconsapevolmente riecheggiando Passannante, che “essendo troppo infelice [aveva] voluto uccidere il re”. Da parte sua Paolo Lega (…) era un giovane operaio romagnolo il quale – ammonito e più volte arrestato a causa della sua militanza anarchica – si era trovato nell’impossibilità di procurarsi un’occupazione stabile (…) l’assassinio di Giuseppe Bandi sarebbe avvenuto per mano di un anarchico livornese disoccupato ed emarginato, al quale in cambio era stato promesso un aiuto per raggiungere l’America (…) il venticinquenne Luigi Luccheni, era un autentico paria della società: cresciuto in orfanotrofio era presto emigrato all’estero, dove aveva condotto una vita tribolata tra lavori malpagati e lunghi periodi di disoccupazione>>, cit. pos. 5462-5482.

[81]Cfr. Dizionario Italiano Olivetti, ad nomen, voce reperibile all’indirizzo:

www.dizionario-italiano.it/autori/giuseppe_bandi.php (consultata il 15/02/2021).

[82]Cfr. E. Papadia, La forza …, pos. 5412.

[83]Ivi, pos. 5372.

[84]Per un approfondimento sull’atto di Rigosi e sul terrorismo dell’epoca si segnala R. Corsa, P. Martucci, “La locomotiva”. Criminologi, psichiatri e guerra al terrore nella fin de siècle, in <<Psichiatry on line Italia>>, 3 Febbraio 2016, disponibile all’indirizzo www.psychiatryonline.it/node/6033 (consultata il 17/02/2021).

[85]A proposito dell’uso della violenza Luigi Fabbri affermava: <<Una teoria di anarchismo violento non c'è; l'anarchia è un complesso di dottrine sociali che hanno per comune fondamento l'eliminazione dell'autorità coattiva dell'individuo sull'individuo, e i suoi seguaci si annoverano in maggioranza fra persone che ripudiano ogni forma di violenza o non l'accettano che come mezzo di legittima difesa. Però poiché non c'è una linea di separazione fra la difesa e l'offesa, e il concetto stesso di difesa può essere inteso nei modi più diversi, ogni tanto avvengono atti di violenza commessi da anarchici, in una forma di ribellione individuale, che attenta alla vita dei capi di Stato o dei rappresentanti più tipici della classe dominante. Queste manifestazioni di ribellione individuale le raggruppiamo sotto il nome di anarchismo violento, più per modo d'intenderci che perché il nome rispecchi esattamente la cosa.>> in Influenze borghesi sull’anarchismo, Liberliber.it, edizione elettronica 2010, disponibile all’indirizzo:

bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/fabbri_influenze_borghesi.pdf (consultata il 16/02/2021), cit. p. 4.

[86]E. Papadia, La forza …, cit. pos. 1769.

[87]Cfr. L. Bettini, voce “Il Ciclone”, in Bibliografia dell’anarchismo, vol. I tomo 2, Crescita politica editrice, Firenze, 1976 (da questo punto in poi abbreviato semplicemente in “Bettini”), digitalizzata all’indirizzo bettini.ficedl.info/article707.html (url consultata il 17/02/2021); dalla voce è ripresa anche la citazione.

[88]Per un approfondimento sugli aspetti sociologici e psicologici del terrorismo anarchico penso che siano comunque valide, anche se riferite in particolare agli eventi a noi più vicini, le considerazioni espresse in M. Boschi, Criminologia del terrorismo anarco-insurrezionalista, Aracne, Roma, 2005, al cap. VI (Criminologia del fenomeno) pp. 165-171

[89]Ibidem, cit.

[90]Cfr. A. Senta, L’altra rivoluzione, Ottocentoduemila, Bologna, 2016, pp. 110-111, disponibile all’indirizzo:

bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/senta_altra_rivoluzione_no_images.pdf

(url consultata il 17/02/2021).

[91]Le citazioni sono riportate in E. Papadia, La forza …, pos. 5346-5359.

[92]Testo di cui si parla nello specifico nella parte di questa tesi dedicata agli editori “insurrezionali”.

[93]Num. 270, Febbraio 2018.

[94]Le citazioni originali, riportate in E. Papadia, La forza …, pos. 5695 sono tratte dal numero unico del 31 Dicembre 1896 “L’uomo libero”, pubblicato a Imola (e riportate a loro volta in Antonioli…).

[95]Le citazioni qui riportate si trovano in P. Schicchi, Tattica rivoluzionaria, in <<Pensiero e dinamite>>, 1, 18 Luglio 1891, riportate in Bettini, La Croce di Savoia, ad vocem. È significativo notare che lo stesso articolo viene riportato anche in una pubblicazione insurrezionale dei nostri giorni, Beznachalie, archiviata all’indirizzo archive.org/stream/beznachalie_08/beznachalie_08_djvu.txt (url consultata il 17/02/2021).

[96]Cfr. E. Papadia, La forza …, pos. 5554.

[97]I martiri inutili, in <<Lotta di Classe>>, 27, 8-9 Luglio 1893, reperibile all’indirizzo:

bibliotecadigitale.fondazionebasso.it/contenuti/lotta/1892-93/00052/00001.pdf (url consultata il 16/02/2021), cit.

[98]Ibidem cit.

[99]Ibidem cit.

[100]Barcellona, in <<Lotta di Classe>>, 47, 25-26 Novembre 1893, reperibile all’indirizzo:

www.bibliotecadigitale.fondazionebasso.it/contenuti/lotta/1892-93/00072/00001.pdf (url consultata il 16/02/2021).

[101]Di questa pubblicazione delle edizioni di Bonanno parlo più approfonditamente nella sezione dedicata alle case editrici.

[102]Attentato in cui è morta una sedicenne e altri cinque sono stati feriti. Successivamente si è stabilito che l’attentatore era mosso da un risentimento contro lo Stato per una truffa subita.

[103]Il comunicato della FAI è reperibile all’indirizzo federazione-anarchica-milanese-fai.noblogs.org/post/2012/06/04/della-lotta-armata-e-di-alcuni-imbecilli/ (ultima consultazione 17/02/2021).

[104]M. Matteo, Leninisti in salsa informale, in <<A rivista anarchica>>, 373, estate 2012, reperibile all’indirizzo arivista.org/riviste/Arivista/373/29.htm (ultima consultazione 17/02/2021).

[105]La dichiarazione si trova pubblicata sul sito dell’area insurrezionale “ilrovescio.info” e pubblicata all’indirizzo ilrovescio.info/2020/09/17/dichiarazione-di-alfredo-cospito-letta-in-aula-il-9-settembre-2020-per-lappello-del-processo-scripta-manent/ (ultima consultazione 17/02/2021).

[106]F. S. Merlino, A. Venturini (a cura di), Il socialismo senza Marx, Massimiliano Boni Editore, 1974, Bologna, cit. p. 10.

[107]E. Malatesta, Un po’ di teoria, in <<L’Endehors>>, 68, 21 Agosto 1892, Parigi, articolo digitalizzato e disponibile all’indirizzo edizionianarchismo.net/library/emile-henry-colpo-su-colpo/ (consultato il 16/02/2021).

[108]E. Malatesta, Errori e rimedi, in <<L’Anarchia>>, numero unico, 1896, Londra, articolo digitalizzato e disponibile all’indirizzo www.classicistranieri.com/errico-malatesta-errori-e-rimedi.html (consultato il 16/02/2021), cit.

[109]Ibidem, cit.

[110]P.C. Masini, Gli internazionalisti. La banda del Matese 1876-1878, Edizioni Avanti, Milano-Roma, 1958, pp. 124-125.

[111]Tutte le citazioni di Cafiero provengono dallo scritto L’Action, in <<Le Révolté>> di Ginevra, 25 Dicembre 1880, riportato in C. Cafiero, G. Bosio (a cura di), Rivoluzione per la rivoluzione, Samonà e Savelli, Roma, 1970, digitalizzato da “Liber Liber”.

[112]Se ne parla nella sezione dedicata ai periodici in questo scritto.

[113]Se ne parla nella sezione dedicata alle case editrici, a proposito delle edizioni “Indesiderabili”, in questo scritto e poi più nello specifico in quella dedicata ai siti web.

[114]Per un’esaustiva biografia di Camillo Luigi Berneri si rimanda alla voce del DBAI di G. Carrozza e reperibile all’indirizzo bfscollezionidigitali.org/entita/13043-berneri-camillo-luigi (url consultata il 25/02/2021.).

[115]C. Berneri, Astensionismo e anarchismo, in <<L’Adunata dei refrattari>>, 25 Aprile 1936, cit. Articolo digitalizzato all’indirizzo colvieux.wordpress.com/2013/10/08/astensionismo-e-anarchismo-di-camillo-berneri/ (consultato il 17/02/2021).

[116]C. Berneri, (pseudonimo L’Orso), Il cretinismo anarchico, in <<L’Adunata dei refrattari>>, 12 Ottobre 1935 cit. Articolo digitalizzato all’indirizzo fdca.it/storico/magazzino/berneri-cretinismo.htm (consultato il 17/02/2021).

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