18.4.25

LORO CAPITANI

  • CRONACA DI UN PROCESSO EMBLEMATICO A TRE PRESUNTI "SCAFISTI", UNO DELLE CENTINAIA NEGLI ULTIMI ANNI
  • SECONDO LA DIFESA C’È STATA UNA SVISTA DURANTE LE INDAGINI, CHE ANALIZZIAMO IN QUESTO RESOCONTO ESCLUSIVO DI FANRIVISTA
  • IN UN VIDEO SI SENTE IL PRINCIPALE ACCUSATORE DEI TRE "CAPITANI" MENTRE PARLA AL TELEFONO DIRETTAMENTE CON UN TRAFFICANTE, L'ORGANIZZATORE DEL VIAGGIO, MA VIENE LASCIATO ANDARE. IN UN ALTRO VIDEO PUBBLICIZZA LE PRESUNTE QUALITÀ DEL MOTORE DEL BARCHINO


Con l’assegnazione dei cosiddetti “porti sicuri”, il decreto Piantedosi non ha allungato solo i viaggi della speranza. A Salerno, Napoli, Ancona e Ravenna sono stati spostati anche alcuni delle decine di processi per violazione del Testo Unico sull’Immigrazione. A essere indagati e giudicati sono migranti appena sbarcati dalle navi delle ONG, accusati di aver facilitato l’ingresso illegale in Italia di altre persone in movimento.

Mentre personaggi come Almasri, Al-Kikli e “Bija” (rispettivamente il capo della polizia giudiziaria libica, il capo di una potente milizia governativa libica e il fu capo della guardia costiera libica) hanno la possibilità di girare indisturbati in Italia o addirittura di essere accolti nei ministeri, chi scappa da guerre e miseria rischia fino a 5 anni di carcere e fino a 15mila euro di multa per persona trasportata, anche se dal viaggio non si è tratto profitto alcuno. Sempre escludendo eventuali aggravanti, le accuse di omicidio colposo, di lesioni e di morte in seguito ad altri delitti, che si possono configurare quando durante le traversate succede l’irreparabile.

In questo articolo si parla di uno dei tanti processi dove sul banco degli imputati siedono quelli che alcuni chiamano “scafisti” e altri “capitani”.


Quattro immagini, in senso orario: due foto di un viaggio dalla Libia, una di uno sbarco e una del Tribunale di Napoli. Prima immagine dell’imbarcazione in alto mare: nella parte superiore si intravede quello che sembra H.A. con un oggetto in mano, presumibilmente un telefono satellitare di cui si intravede l'antenna. Al centro uno degli accusati. Si intravedono anche un signore anziano e una bimba. Seconda immagine del viaggio: una persona a prua dell'imbarcazione, in piedi, mentre invita i passeggeri a mantenere la calma allargando le braccia. Si vedono all’incirca 25 persone, uomini, donne e bambini, ammassati in pochi metri. Sullo sfondo il mare aperto. Quasi tutti indossano giubbotti di salvataggio e salvagenti. Terza immagine: sulla destra dell’immagine una grande nave vicino la banchina del molo Pisacane di Napoli. Si nota il simbolo di Emergency, la scritta “Life Support” e si intravede una citazione di Gino Strada. Dalla barca, tramite una passerella, le sagome di 4 migranti mentre scendono. Sulla banchina mezzi di soccorso e operatori di polizia e protezione civile. Quarta immagine: l’entrata del Tribunale di Napoli. Sullo sfondo si intravedono delle strutture molto alte.
Le due immagini sopra riguardano il processo di cui si parla in questo resoconto e sono state scattate durante un "viaggio della speranza" dalla Libia. Le due immagini sotto sono foto d'archivio de Lo Skietto: immortalano uno sbarco dalla nave di una ONG a Napoli e l'ingresso del Palazzo di Giustizia di Napoli. Simboleggiano quello che il noto film di Garrone non racconta, ciò che avviene dopo il salvataggio in mare.



CAPITANI SOTTO COSTRIZIONE O SCAFISTI PER NECESSITÀ?

Nel solo 2024, secondo i dati dell’Arci Porco Rosso, sono state almeno 106 le persone indagate dal momento dello sbarco in Italia e processate con l’accusa di essere “scafisti”, ossia di aver supportato a qualunque titolo l’ingresso illegale di migranti. Tecnicamente parlando, sono state incriminate per la violazione dell’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione e del 12 bis, quest’ultimo introdotto con il “decreto Cutro”. A partire dal 2013, le persone accusate di essere scafisti, basisti e organizzatori sono state più di 2500. Tra queste ci sono anche minorenni, come Seydou, il giovane protagonista di “Io Capitano”. Il film di Matteo Garrone ha il merito di essere basato su vicende reali, ma la storia si ferma all’arrivo in Italia. Un proseguimento tipico di quello che può accadere a un “capitano”, una volta sbarcato, è andato in scena durante un processo al palazzo di giustizia di Napoli, iniziato il 14 febbraio 2024.

Sulla destra dell’immagine una grande nave vicino la banchina del molo Pisacane di Napoli. Si nota il simbolo di Emergency, la scritta “Life Support” e si intravede una citazione di Gino Strada. Dalla barca, tramite una passerella, le sagome di 4 migranti mentre scendono. Sulla banchina mezzi di soccorso e operatori di polizia e protezione civile.
Immagine di repertorio di uno sbarco effettuato dopo alcuni salvataggi dalla nave di Emergency, la Life Support, a Napoli l'8 Aprile 2025.


Ad assistervi, in un’aula semivuota, qualche attivista, degli avvocati praticanti e un paio di giornalisti, incluso chi scrive questo articolo. Ieri, Giovedì 17 aprile, è stato emesso il verdetto di primo grado.


Sullo sfondo si intravedono delle strutture molto alte.
L'entrata del Palazzo di Giustizia di Napoli. 



Wilson N., James D. e Anthony A. hanno circa vent’anni e vengono dal Sud Sudan, paese devastato da anni di guerra civile. Arrivano in Libia nel 2022, in momenti diversi. Ai tempi di Gheddafi moltissimi africani erano migranti “interni”: volevano arrivare lì per lavorare, non necessariamente per tentare la sorte per varcare le frontiere marine della “Fortezza Europa”. Dopo la caduta del dittatore libico le cose sono cambiate: circa il 75% dei migranti uomini dichiara di voler lasciare la Libia nel breve termine (dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, IOM), mentre altri vogliono ancora restare lì per mantenere le proprie famiglie e guadagnare qualcosa, intenzione dichiarata anche dai tre sud-sudanesi. David Yambio, oltre a essere uno dei testimoni sentito dalla difesa, è stato anche una vittima del torturatore Almasri, nonché uno degli attivisti spiati nell’ambito del caso Paragon. L’attivista sud-sudanese conferma che, in realtà, molti migranti non vogliono arrivare in Europa: nei casi da lui analizzati, ha dichiarato in udienza, soltanto il 10% dei migranti voleva effettivamente lasciare la Libia. Il paese è una meta privilegiata anche per la presenza dell’ufficio dell’UNHCR e, quindi, di una qualche sorta di assistenza legale per ottenere documenti. Assistenza che era comunque precaria e che sta svanendo: pochi giorni fa in Tripolitania sono state sospese le attività dell’agenzia ONU per i rifugiati e di diverse ONG perché, tra le varie cose, avrebbero promosso <<ateismo, omosessualità, cristianesimo e decadimento morale>>.

I tre dicono di non essersi mai conosciuti fino a poco prima del viaggio in barca, ad agosto 2023, quando partono alla volta dell’Europa. James porta letteralmente le cicatrici sul suo corpo, segni di torture inferte per estorcere soldi alla sua famiglia, invano. Il perito di parte ha affermato che le cicatrici non sono più vecchie di due anni al massimo, probabilmente inferte con corpi contundenti e bollenti. Pochi giorni dopo il suo arrivo in Libia viene catturato, schiavizzato (principalmente nel settore delle costruzioni, proprio come nel celebre film), sequestrato in una prigione situata in una foresta, lontana da occhi indiscreti. 

Anthony, l’altro imputato, racconta la stessa versione sul viaggio che gli aveva aperto le porte del carcere di Poggioreale. Sono stati costretti a guidare la barca, destinazione Italia. <<Mi hanno detto che mi portavano a lavorare>>, ma poi lo hanno bendato e messo su una macchina nera, dove c’erano anche James e Wilson. Anthony lo ha raccontato in una delle udienze a cui era presente, prima di scappare dalla struttura per semi-ristretti a cui era stato affidato dopo un periodo in carcere, rendendosi latitante. Anche James aveva provato a fuggire, e le ultime udienze le ha seguite da dietro le sbarre dell’aula. Wilson è il più istruito dei tre, parla bene inglese e nella sua vita qualche volta ha guidato una barca. Per questo gli viene affidato il compito di guidare il barchino.

Agli altri vengono contestati due fatti: aver utilizzato un apparecchio GPS per tracciare la rotta e aver trasportato il carburante da una parte all’altra dell’imbarcazione. Tuttavia, da alcuni video realizzati nella fase finale del viaggio, l’unica apparecchiatura visibile e compatibile con un dispositivo del genere si trova in mano a un altro soggetto... Questo particolare, tutt'altro che secondario, verrà approfondito meglio fra poche righe. Per quanto riguarda l’accusa di aver spostato il carburante da una parte all’altra dell’imbarcazione, i due si sono difesi affermando che, di fatto, molti hanno contribuito a farlo passare in una sorta di affollatissima catena umana.

Tutte e tre queste azioni, teoricamente, integrerebbero la condotta oggetto del reato, ossia l’aver materialmente trasportato illegalmente altre persone in movimento con annesse aggravanti (tra cui il pericolo corso durante la traversata, l’alto numero di persone trasportate e il fatto di aver commesso il reato in tre).

Inoltre, va ricordato che, sempre teoricamente e secondo alcuni giuristi, anche quando si compiono atti come il guidare materialmente un’imbarcazione, ci possono essere delle circostanze che fanno escludere la configurazione del reato: l’assenza di un legame organico con le organizzazioni criminali, la scriminante dello stato di necessità (e cioè l’aver salvato sé stessi e altri da un pericolo imminente, oppure l’aver agito sotto costrizione, dunque come vittima della tratta di esseri umani) e il cosiddetto auto-favoreggiamento (ossia quando non c’è una distinzione netta tra trasportati e trasportatori, non c’è una scissione tra i ruoli dei vari passeggeri e quelli di chi guida materialmente la nave, facendo questi ultimi lo “stretto necessario” per favorire il proprio ingresso illegale). Secondo queste letture, la scriminante dello stato di necessità dovrebbe essere applicata non solo quando una persona diventa “capitano” (o “assistente capitano”) per salvare sé stessi e altri da un pericolo che non ha causato e strettamente collegato al viaggio. Andrebbe applicata anche quando una persona decide di imbarcarsi per scappare dai lager libici, dalla schiavitù, dalla tortura e dalle persecuzioni.

Anche Wilson, quello che materialmente manovrava il timone a poppa dello scafo, attualmente è latitante ed è stato il primo a fuggire. Aveva provato a varcare la frontiera con la Svizzera, è stato arrestato, ha patteggiato per evasione con pena sospesa e poi è nuovamente fuggito. A questo proposito uno dei tre difensori, l’avvocato Cervone, ha stigmatizzato il comportamento del suo assistito, Anthony, argomentando però che gli accusati <<non riescono a comprendere i tempi del processo, non capiscono che siamo i loro difensori. Vengono da un paese in guerra...>>.

Durante le prime udienze le domande della procuratrice Aprea, così come quelle del giudice Palumbo, insistevano su un aspetto particolare, quello della costrizione a guidare. I tre sud sudanesi non avevano denaro per pagare il viaggio e, dunque, si sospetta che si siano offerti di fare da “equipaggio” per ottenerlo gratuitamente. Tuttavia, uno dei testi sentiti dalla difesa, l’architetto e ricercatore Lorenzo Pezzani, esperto di analisi forensi relative alle migrazioni, ha confermato che solitamente i migranti vengono costretti con la forza a guidare, e che nei casi a lui noti non è stata mai dimostrata una connessione organica tra gli “scafisti” materiali e i trafficanti. Inizialmente i “viaggi della speranza” erano organizzati in maniera <<più autonoma e opportunistica>>, in modo “artigianale”, per così dire. Poi, con i vuoti di potere causati dalle primavere arabe, c’è stata una vera e propria <<industrializzazione e professionalizzazione del traffico>>, diventato più violento e coercitivo. La plausibilità della costrizione a guidare è stata confermata anche da un’altra testimone convocata dalla difesa, la ricercatrice Anna Fazzini, esperta in diritto internazionale. Spesso, argomenta David Yambio, migranti dal Gambia, dal Senegal e dal Sud Sudan vengono costretti a guidare barchini e gommoni perché provengono da paesi ricchi di fiumi e con una storica tradizione di pesca. Sono quindi, teoricamente, più portati nel guidare imbarcazioni: <<è un modello di business. Così come esistono marche diverse per i telefoni, come gli I-Phone o i Samsung, così ci sono persone che sanno nuotare o guidare una barca>>.

La questione dell’aver agito sotto minaccia, inizialmente, sembrava centrale anche nella strategia della difesa. È stato anche segnalato uno specifico episodio, indicativo del clima a bordo “teso”, per usare un eufemismo: una donna al momento dell’imbarco aveva chiesto di sedersi vicino a un parente ed è stata zittita con la minaccia di un’arma da fuoco. Circostanza che per la Procura non sembra indicativa di un clima coercitivo o particolarmente violento. Tuttavia, nelle udienze che si sono tenute verso la fine del 2024, gli avvocati Armando Cervone, Tatiana Montella e Stella Arena (a quest’ultima è subentrato poi Fabrizio Alonzo, sostituito da Roberta Pinelli) hanno messo in luce nuove scoperte, evidenziando quella che sembra una pista investigativa tralasciata dagli organi inquirenti. Insieme a un consulente madrelingua arabo, hanno analizzato meglio i verbali dei testimoni che accusano i loro assistiti e, soprattutto, i succitati video girati durante la fase finale del viaggio.



UNA TESTIMONIANZA SINCERA O UNA PISTA INVESTIGATIVA NON BATTUTA?

Il 28 agosto 2023, dopo aver effettuato diversi salvataggi nel Mediterraneo, la nave Ocean Viking della SOS Meditarranee approda a Napoli con più di 250 migranti. Tra questi ci sono anche i tre accusati, gli unici sub-sahariani dei 49 presenti sul loro barchino. Uno di loro, il siriano H.A., consegna dei video agli investigatori dichiarando: <<ho fatto dei video che vi consegno spontaneamente, da dove si vedono anche i responsabili dell’imbarcazione>>, ossia i “capitani”.

Altri video, invece, provengono dal telefono di uno degli accusati. In uno si sente la voce di un siriano, plausibilmente H.A., mentre dice: <<una foto, una foto tutti insieme miei cari. Grazie a Dio, siamo sani e salvi>>. 

La parte posteriore della barca con due degli accusati vicino al motore. C’è un altro uomo seduto con cappello e occhiali da sole che sarebbe H.A. Si intravede anche il volto di una bimba. I tratti del viso sono stati oscurati con linee rosse.

La parte posteriore della barca con due degli accusati vicino al motore. L'uomo seduto con cappello e occhiali da sole sarebbe H.A.



Probabilmente, come altri casi simili suggeriscono (incluso e non ultimo il naufragio di Cutro), alcuni di quei video servono ad almeno due scopi, oltre a quello più comune, la voglia di immortalare un momento importante nelle nostre vite. Con i video i migranti segnalano ai cari, altrove, di essere in vita e di procedere con il resto del pagamento ai trafficanti, mentre quest’ultimi realizzano dei veri e propri spot pubblicitari da diffondere in specifici gruppi di social media (periodicamente bannati e poi riaperti) e chat varie. La stessa voce poi dice: <<Viva Dio... che ore sono? Le 12:00. Abbiamo fatto -navigato per NDR- 6 ore grazie a Dio, Signore di tutti i mondi>>.


Una persona a prua dell'imbarcazione, in piedi, mentre invita i passeggeri a mantenere la calma allargando le braccia. Si vedono all’incirca 25 persone, uomini, donne e bambini, ammassati in pochi metri. Sullo sfondo il mare aperto. Quasi tutti indossano giubbotti di salvataggio e salvagenti.
Una persona a prua dell'imbarcazione mentre invita i passeggeri a mantenere la calma


Nel mentre riprende le decine di passeggeri e chiede a Wilson, l’imputato che guidava, di spostare il braccio. Vuole inquadrare il motore, evidentemente per pubblicizzarne le caratteristiche, mentre esclama: <<Benvenuti miei cari, passeggeri di E.H.A.>>, le iniziali di uno degli organizzatori del viaggio, una sorta di “marchio di qualità”. 


Il motore della barca mentre viene inquadrato e mentre si fa il nome dell’organizzatore del viaggio

 Il motore della barca mentre viene inquadrato e mentre si fa il nome dell’organizzatore del viaggio



In un altro video, ripreso da un telefono diverso, si vede e e si sente lo stesso soggetto parlare con l’organizzatore, E.H.A.: <<Sì E.A., tutto bene. Non ci hanno fatto ancora scendere perché c’è una barca affondata. Comunque qui tutto bene (…) sono passati vicino a noi, siamo fermi! Restiamo fermi o accendiamo il motore e andiamo da loro?>>, e “loro” sarebbero l’equipaggio della Ocean Viking, che si intravede sullo sfondo.


Due degli accusati. Sullo sfondo si intravede la Ocean Viking.
Due dei tre "capitani". Sullo sfondo si intravede la Ocean Viking.

In alto si intravede quello che sembra H.A. con un oggetto in mano, presumibilmente un telefono satellitare di cui si intravede l'antenna. Al centro uno degli accusati. Si intravedono anche un signore anziano e una bimba.
In alto si intravede quello che sembra H.A. con un oggetto in mano, presumibilmente un telefono satellitare di cui si nota l'antenna.


Per la difesa non ci sono dubbi sul fatto che l’uomo che parla con l’organizzatore, E.H.A., sia il siriano H.A., possibilità non completamente esclusa da un ispettore sentito in udienza. Invece la PM è certa: <<non è lui in foto, non è un falso accusatore e se lo fosse sarebbe un quarto coimputato>> (ma se così fosse le sue dichiarazioni, in quanto coimputato, avrebbero un peso diverso). Il soggetto, che indossa cappello e occhiali da sole, presumibilmente H.A., viene poi inquadrato con quello che sembra un telefono satellitare, essenziale per comunicare in mare aperto e orientarsi. Secondo una testimonianza scritta di Wilson, rilasciata prima che fuggisse, sarebbe stato proprio H.A. a dargli le indicazioni sulla rotta da seguire.

Nei video si nota anche uno dei tre, Wilson, armeggiare con una pompa insieme a un altro uomo, che però indossa un giubbotto di salvataggio, a differenza degli accusati. Come già detto, astrattamente, azioni come trasportare la benzina o fare riparazioni sulle barche, potrebbero essere identificate come una “complicità” nel reato.

Ma non è tutto. Secondo la versione degli accusati, erano almeno due gli incaricati di controllare che tutto andasse come previsto: uno era H.A., l’altro un soggetto presumibilmente libico. Quest’ultimo avrebbe abbandonato l’imbarcazione per poi unirsi ad altri due miliziani, che li avrebbero seguiti per un tratto sopra un piccolo gommone. A questo proposito bisogna far notare un dettaglio emerso nell’udienza del 9 aprile 2025: la PM ha precisato che, al momento della prima segnalazione di soccorso, i migranti risultavano essere 50. Eppure ne sono sbarcati 49. Ciò sembra avvalorare l’ipotesi che qualcun altro, organico all’associazione criminale propriamente detta, fosse stato presente sul barchino prima di abbandonarlo. Infine, altri testimoni nel momento delle indagini hanno confermato che la persona a cui hanno pagato il viaggio era E.H.A..

In breve: c’è il rischio che i tre si stiano prendendo le responsabilità penali di qualcun altro, almeno in parte, e che siano stati frettolosamente inquisiti sulla base di una testimonianza di alcuni cittadini siriani, irreperibili, insieme al citato H.A.. I testimoni che li hanno accusati avrebbero avuto una versione predeterminata da dare alle autorità, mentre il principale accusatore avrebbe avuto una connessione diretta con i veri e propri trafficanti. Paradossalmente, in questo caso, i cittadini siriani potrebbero essere definiti come dei “ricchi tra i poveri”, che attendevano il momento per partire in albergo, mentre i subsahariani subivano vari tipi di discriminazioni e persecuzioni. Essendo più vulnerabili tra i vulnerabili, sono anche più facilmente imputabili.



INDAGINI DECONTESTUALIZZATE E CRITICITÀ SISTEMICHE

Come in altri processi del genere possono essere rilevate delle criticità sistemiche, alimentate da politiche atte a tutelare i confini più che le persone. Oltre a problemi comuni ai più, come gli alti costi delle perizie e i tempi lunghi degli accertamenti, ci sono altre difficoltà legate a quelli che l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) definisce dei <<processi sommari>>: l’irreperibilità dei testimoni, che spesso lasciano il territorio italiano; la difficoltà nel dimostrare sia la scriminante dello stato di necessità che minacce e violenze, che finisce per ribaltare l’onere della prova, facendo emettere condanne che non superano ogni ragionevole dubbio (se esiste un dubbio fondato sull’esistenza di una scriminante, come quella dello stato di necessità, un imputato andrebbe assolto, ai sensi dell’art. 530 c.p.p. comma 3); la difficoltà nel reperire mediatori e interpreti e, non da ultimi, gli errori e i problemi nelle traduzioni. L’avvocato Cerbone, nella fase finale del dibattimento, ha evidenziato che la strumentazione usata nelle interviste dagli investigatori non era <<idonea, perché si sentono solo le voci dell’intervistatore e del traduttore, ma non quella del soggetto escusso>>, e cioè degli interrogati.

Ma la criticità più importante, a detta di chi scrive, risiede nelle indagini che puntano principalmente ad accertare chi effettivamente guidava la barca o chi passava cibo e carburante, isolando quelle specifiche condotte dal contesto, da viaggi pericolosissimi che durano anni e non si limitano a poche ore o giorni di navigazione. Indagini che solitamente non lambiscono chi comanda nel proibizionismo delle migrazioni. E quando la giustizia arriva ai sommi organizzatori, si attivano addirittura i ministri a cercare cavilli per accompagnarli a casa, con tanto di volo di stato...

Mentre la procuratrice ha insistito sul fatto che non si varcano confini senza le dovute autorizzazioni, l’avvocata Montella ha ribattuto spiegando che il diritto internazionale riconosce la facoltà di scappare da un paese in guerra, anche se ci sono state delle torsioni di questo diritto tese a criminalizzare i migranti e le reti a loro solidali. A tal proposito, nell’arringa finale, ha ricordato che il teste Yambio aveva sì un documento che lo identificava come un rifugiato, ma per far valere il suo diritto a migrare è dovuto imbarcarsi irregolarmente per ben quattro volte. Parlando di H.A., il siriano che avrebbe accusato i tre e che sarebbe stato in contatto con l’organizzatore, ha detto di non <<definirlo un trafficante>> ma, piuttosto, una persona inserita in un sistema politico-giudiziario che talvolta non punisce nemmeno <<un pesce piccolo, ma addirittura la vittima>>. La condotta del suo assistito è stata un <<salvataggio, perché ha aiutato a far scappare altre persone dalla guerra e dalla tortura>>. Gli organi inquirenti hanno solitamente un <<unico interesse, chiedere chi guida quando arrivano>>. Ma nelle aule di giustizia, secondo lei, ci dovrebbero essere degli <<“artigiani” o “artisti” del diritto>> in grado di comprendere il contesto ampio in cui si inseriscono determinate condotte, senza sanzionarle in maniera acritica e, per così dire, “automatica”.

Arriviamo, dunque, alla conclusione del processo di primo grado: la Procura aveva richiesto 8 anni di carcere e 620 mila euro di multa per Wilson ed Anthony, mentre per James 5 anni e 4 mesi (a chi scrive questo articolo non è ancora chiaro perché nel caso di James sia stata richiesta una condanna diversa). I tre difensori avevano richiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste (e in subordine la scriminante dello stato di necessità o il minimo della pena). Sono stati condannati tutti e tre a 4 anni e 4 mesi, 300 mila euro di multa, al pagamento delle spese processuali ed è stata disposta l’espulsione. Dopo la lettura della sentenza James aveva le lacrime agli occhi e appariva sia triste che arrabbiato.

Nelle prossime settimane verranno pubblicate le motivazioni della sentenza e potrà essere richiesto un eventuale appello. Bisognerà aspettare fino a 90 giorni per analizzarle e comprendere perché si è arrivati alla decisione della condanna (va sempre ricordato che qualunque persona è da ritenersi innocente fino a sentenza definitiva, che la sentenza piaccia o meno).

Per adesso, è legittimo avere delle opinioni critiche non solo su potenziali errori e sviste di alcuni organi inquirenti, ma soprattutto su un sistema politico-legale forte con i deboli e debole con i forti. Come anche il sistema mediatico, controllato da personaggi seduti direttamente in parlamento, volto più a trovare capri espiatori che a ricercare la verità e ad esprimere opinioni intellettualmente oneste. Un apparato mediale largamente polarizzato e influenzato dall’attuale clima politico repressivo, con una democrazia in pericolo e un parlamento svuotato delle sue funzioni a suon di decreti-golpe. Probabilmente, se un processo del genere riuscisse a salire alla ribalta delle cronache mainstream, ci si scaglierebbe subito contro gli “scafisti” latitanti, non su chi dirige il traffico e, forse, nemmeno su potenziali “pesci piccoli” non inquisiti formalmente. Un particolare che dovrebbe essere ghiotto perfino per un’industria mediale sempre alla ricerca di scoop, ma che non è in grado di inquadrare le notizie in un contesto più ampio. Anche la società, prevalentemente indifferente e con una conoscenza carente dei fondamenti dell'educazione civica, ha molte colpe. Tra queste una memoria cortissima. Subito dopo il naufragio di Cutro perfino esponenti della Guardia Costiera, non certo pericolosi "agitatori sovversivi", denunciavano un sistema non più diretto dall'inderogabile principio del salvare nostri simili, ma orientato verso risultati quantitativi e penali, e cioè verso il reprimere e arrestare quante più persone possibile.



PUNIRE CHI LUCRA, NON CHI SOPRAVVIVE

Troppo spesso le persone in movimento vengono criminalizzate e stigmatizzate per aver varcato un confine illegalmente. Bisogna ricordare che per molte persone l’attraversamento illegale è una scelta obbligata, dato che il costo di un viaggio legale può essere molto superiore rispetto a quello dei “viaggi della speranza”. Oppure, data l’impossibilità pratica di rivolgersi alle autorità di un regime che li perseguita per ottenere i documenti.

Una sostanziale parte degli intermediari nel modello proibizionista delle migrazioni è fatta da gente disperata. Così come i “corrieri” nel business della droga sono costretti a diventare tali per pagare debiti o la propria dipendenza, similmente, nella tratta dei migranti, molti “pesci piccoli” guadagnano, al più, un pericoloso viaggio gratuito. I veri profitti li fanno gli intoccabili, gente preparata dal punto di vista militare e ferrata in materie giuridiche ed economiche. Loro non rischiano né la vita né le attenzioni giudiziarie, concentrate verso più poveri capri espiatori. Chi comanda i traffici attira molta meno attenzione, sia dell’opinione pubblica che degli inquirenti, anche perché in molti paesi loro sono collusi con il sistema giudiziario, quando non lo rappresentano direttamente.

Per questo, a valle del modello proibizionista migratorio, servono strumenti legislativi per differenziare gli organizzatori, che lo fanno per puro profitto, dagli esecutori materiali, che lo fanno per pura sopravvivenza

Per questo le politiche migratorie non possono essere regolate tramite il diritto penale, ma necessitano di interventi strutturali a monte. 

Per questo bisogna mantenere in piedi quello che resta del bistrattato diritto internazionale, assicurando i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità alla giustizia, e non facendo accordi con loro sulla base di una presunta ragion di stato e di concreti profitti economici. 

Per questo non servono ancora più prigioni per migranti, magari anche de-localizzate in paesi terzi con costi elevatissimi, giustificati solo dal profitto di pochi e dal tornaconto elettorale.

Paolo Maria Addabbo 



Grazie di essere arrivatə fin qui. Se avete trovato utili i contenuti tra queste pagine digitali potete supportarli con una donazione. Se non potete fare una donazione, ma apprezzate questo progetto di giornalismo indipendente, potete comunque sostenerlo seguendoci sui vari canali (a)social, mettendo like, iscrivendovi e, soprattutto, condividendo e commentando (i commenti non servono solo per contrastare le perverse logiche algoritmiche e di mercato, ma servono anche a incoraggiarci nel portare avanti questo progetto!). I link per le offerte libere e quelli ai profili (a)social si trovano più sotto. Per qualunque apprezzamento, critica, richiesta o precisazione potete contattarci in privato via mail, sui vari canali social o usare anche il modulo dei commenti qui sotto.


Segnaliamo, infine, che alla chiusura di questo articolo è disponibile sulla piattaforma RaiPlay il film "Io Capitano" a questo link.


ultima modifica 23/04/2025 16:48

Nessun commento:

Posta un commento