31.12.24

CHE SUCCEDE IN SIRIA? CHI GOVERNA ORA?

LA CADUTA “MORBIDA” DI ASSAD, IL RUOLO DI TURCHIA E ISRAELE, LE FAZIONI IN CAMPO, LE RELAZIONI CON LA PALESTINA, IL SUPPORTO DELL’ESTREMA DESTRA ITALIANA E DEI POST-FASCISTI DEL GOVERNO MELONI AD ASSAD

La caduta di Assad porterà a una nuova Siria democratica, a un’altra dittatura o a ulteriori scontri guidati da vari signori della guerra? La rivoluzione siriana è giunta a compimento oppure siamo solo di fronte a un cambio di regime? Queste sono le domande che in molti si pongono dopo l’offensiva iniziata a fine Novembre, preparata da almeno un anno, e culminata l'8 dicembre con un’inaspettata presa di Damasco, abbandonata dalle forze pro-regime senza combattere. 

Alla gioia per la sconfitta di un dittatore si sovrappone la diffidenza verso chi lo ha abbattuto e nei confronti di chi già ne sta approfittando (Israele e Turchia in primis), dopo quasi cinque anni di stallo militare e dopo la morte di almeno mezzo milione di persone in quattordici anni di guerra civile. 

Iniziamo a cercare delle risposte collettivamente con un articolo di “geopolitica popolare”. Un post studiato sia per chi già si interessa di Asia Occidentale (Medio Oriente secondo la definizione coloniale) sia per chi non ha idea di dove la Siria si trova sulla mappa, con analisi e dettagli assolutamente non trascurabili, che non trovano spazio sulla stampa che va per la maggiore. Con gli articoli di geopolitica popolare ci sforziamo di comprendere insieme -almeno in parte- quali sono gli sfaccettati interessi di singoli e potenze statali. L'obiettivo della geopolitica non dovrebbe essere tanto capire come i confini geografici influiscono sulle decisioni politiche, ma come le politiche dal basso possono farci tendere verso un mondo utopico e senza confini. Il giornalismo dovrebbe cercare di chiarire le idee partendo dalle basi, fornendo delle nozioni basilari storiche che permettono di inquadrare meglio il contesto della “storia iper-contemporanea”. Invece il mercato editoriale si limita a sfornare continuamente notizie lampo e approfondimenti destinati a essere compresi solo dagli “addetti ai lavori”.



Sopra la scritta “CHE SUCCEDE IN SIRIA? CHI GOVERNA ORA?”. Sotto un elenco: -LA CADUTA “MORBIDA” DI ASSAD ; -LE FAZIONI IN CAMPO; -IL RUOLO DI TURCHIA E ISRAELE; -LE RELAZIONI CON LA PALESTINA; --IL SUPPORTO DELLA DESTRA ITALIANA AD ASSAD. In alto a destra la bandiera della nuova Siria (tre bande orizzontali, verde, bianca e nera, e tre stelle rosse al centro). Uno schema con i principali schieramenti (descrizione approfondita nell’altra immagine del post) e una mappa dell’offensiva israeliana. Al centro una mappa della Siria con alcune zone colorate (più dettagli nella descrizione dell’altra immagine del post); a sinistra un manifesto con una foto con al-Julani con una barba incolta e un copricapo e le scritte: <<Stop this Terrorist”; “Up to 10 Million $ Reward”>>; a destra al-Jolani oggi,con una barba più curata e senza copricapo. Sotto 3 vignette con delle “Polandball” o “Countryball”, delle palline che rappresentano vari stati e attori del conflitto siriano. Vignetta Polandball del 2011: una grande pallina con la bandiera della Siria e una più piccola con la nuova bandiera della Siria si guardano minacciosamente. La più piccola ha un cartello con la pallina della Siria e due “x” sugli occhi.Vignetta Polandball del 2014: al centro la pallina dell’ISIS è diventata grandissima. Ha due fucili puntati a sinistra e a destra. A sinistra tre palline più piccole con i soliti AK-47: le palline del regime siriano e dei ribelli si schiacciano reciprocamente la fronte, mentre quella di al-Nusra sta al fianco sia dell’ISIS che dei ribelli. A destra un cartello con scritto “Kobani” e la pallina del Rojava ferita, testa fasciata e una piccola pistola. Alla sua destra la grande pallina degli USA che indossa occhiali da sole e osserva. Vignetta Polandball del 2018: a sinistra l’infastidita pallina russa spazza con la scopa, mentre dietro un recinto con la sigla “DMZ” (Demilitarized Zone) ci sono la pallina dell’HTS e dei ribelli. La pallina del regime siriano sta ferma con il suo kalashnikov. A destra la palla USA beve una Cola con una cannuccia mentre sembra allontanarsi. Sotto di lei la pallina turca taglia con una lama la fronte di quella del Rojava che, insanguinata, continua a imbracciare il suo fucile d’assalto.



Proviamo a capire cosa succede ricapitolando le tappe principali della guerra civile siriana, iniziata durante le “Primavere Arabe”. Dopo aver fornito qualche semplice elemento sul contesto storico-politico passiamo a vedere molto schematicamente quali sono le principali forze sul campo.

Difficilmente riuscirete a leggere questo articolo tutto d’un fiato. Va letto con calma, magari ritornandoci più volte sopra e prendendosi qualche pausa. Alla fine la vostra pazienza sarà ripagata. Se così non fosse disprezzateci pure nei commenti. Siamo convintə che i vari paragrafi in cui è strutturato potranno essere usati anche come materiale da consultare all’occorrenza per lə studiosə di ogni ordine e grado. Così sarà più semplice orientarsi tra la marea di nomi e sigle, oltre ad acquisire nozioni essenziali e punti di partenza per ricerche più approfondite (nei vari link troverete sia i riferimenti che ulteriori spunti di approfondimento). Per questo vi consigliamo di salvarvi questo “libricino” di pagina web tra i preferiti o, se vi è più congeniale, di stamparla… Buona lettura e buone lotte!


In bianco a ovest le zone controllate da HTS. A sud-ovest in rosa quelle controllate dalla SOR. A nord-ovest le zone sotto il controllo delle SDF nella DAANES in giallo. Una parte di questo territorio al confine con la Turchia e “accerchiata” da altri territori della DAANES, insieme ad altri a nord-ovest sono controllati dall’SNA e indicati in verde. Il semicerchio celeste al confine con Iraq e Giordania è una base USA, ed è racchiuso in un’area colorata dal celeste più scuro controllata dall’SFA. La zona nelle alture del Golan è attualmente completamente occupata da Israele.
Mappa della suddivisione territoriale della Siria tra le varie fazioni al 24/12/2024 di “Kaliper1” da Wikimedia rilasciata con licenza CC 4.0.
In bianco a ovest le zone controllate da HTS. A sud-ovest in rosa quelle controllate dalla SOR. A nord-ovest le zone sotto il controllo delle SDF nella DAANES in giallo. Una parte di questo territorio al confine con la Turchia e “accerchiata” da altri territori della DAANES, insieme ad altri a nord-ovest, sono controllati dall’SNA e indicati in verde. Il semicerchio celeste al confine con Iraq e Giordania è una base USA, ed è racchiuso in un’area colorata dal celeste più scuro controllata dall’SFA. La zona nelle alture del Golan è attualmente completamente occupata da Israele (dettaglio in un'altra mappa più sotto). 



LA GUERRA CIVILE SIRIANA IN POCHE BATTUTE

A fine 2010 Mohamed Bouazizi, venditore ambulante tunisino, si dà fuoco in segno di protesta. Il gesto estremo, provocato dalla precarietà e dalle angherie di poliziotti avidi e corrotti, è una scintilla che infiamma la Tunisia. La fiamma di rivolta si allarga nel mondo arabo e in alcune parti dell’Africa per circa due anni, travalicando i confini della dittatura supportata dalla nostra capitalista fetta di mondo. Le conseguenze della “Primavera Araba” (o “Primavere Arabe”), come è stata definita dai media occidentali, non sono certo esaurite. Proteste e sollevazioni amplificate dal potere mediale dei social media (quando non erano ancora così “a-social” e votati al profitto come oggi) comportano la caduta di governi corrotti e tiranni vari, qualche magra concessione e rivoluzioni incompiute. Le genuine istanze popolari dei sollevamenti vengono “cavalcate” e sfruttate da vari attori coloniali, locali e non statali, culminando anche in vere e proprie guerre civili, come in Siria.

Le proteste in Siria scoppiate in quel periodo erano dirette contro il regime di Bashar al-Assad, figlio di Hafez al-Assad, al potere con il partito Baath (o al-Baath) dal 1963 all’8 dicembre 2024. Il “Partito socialista della rinascita araba” si è detto portatore di un’ideologia pan-araba, laica, nazionalista, socialista e anti-coloniale, e si è diviso in due fazioni. Assad e il ramo siriano sono stati allineati con l’Unione Sovietica durante la guerra fredda. Nella prima guerra del Golfo la Siria era schierata, insieme al mondo occidentale e alleati, contro Saddam Hussein, principale esponente del ramo iracheno baathista. La famiglia di Assad e la sconfitta élite siriana appartengono alla minoranza religiosa degli alauiti (numericamente prossimi ai cristiani), “cugini” dell’islam sciita (quello più praticato in Iran) mentre la maggioranza dei siriani sono di fede sunnita, l’altro grande ramo dell’islam. Invece, in Iraq, gran parte della popolazione era sciita e Saddam, che vedeva nell’Iran un prossimo e importante nemico, si avvicinò di più ai sunniti.

Tra i primi ribelli siriani c’erano gli appartenenti alle forze armate governative che non volevano sparare sui loro concittadini. Però, fin da subito, diverse organizzazioni e potenze cominciarono a sfruttare le proteste. Tra queste c’era la Fratellanza Musulmana, una sorta di maxi-partito “democristiano” islamico, la cui matrice politica ha ispirato e dato origine a organizzazioni come Hamas e politici come il premier-Sultano turco Erdogan. I Fratelli Musulmani si erano già ribellati contro Assad negli anni ‘70 e covavano uno storico risentimento per il fatto che il paese, a maggioranza sunnita, fosse guidato da una minoranza molto prossima agli sciiti, gli “aluiti” per l’appunto, il gruppo etno-religioso a cui appartiene Assad e che letteralmente significa “di Ali, connesso con Ali”, un parente di Maometto. Secondo gli sciiti fu scelto dal profeta come suo successore. La parola sciiti, infatti, deriva dall’arabo “shi’at Ali”, la fazione di Ali. Va notato che “alauiti” è un termine coniato dai francesi per distinguere i nusayris (nome arabo degli aluiti) dagli sciiti. Francesi che, insieme agli inglesi, si erano spartiti l’area del defunto Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale, tracciando dei confini molto artificiali, alimentando rivalità all’insegna del “dividi e comanda”, facendo promesse che non verranno mai mantenute e disegnando (letteralmente con il righello) la geografia politica dell’area.



Una grande pallina con la bandiera della Siria e una più piccola con la nuova bandiera della Siria si guardano minacciosamente. La più piccola ha un cartello con la pallina della Siria e due “x” sugli occhi.
In questa vignetta si nota sia la precedente bandiera siriana, adottata dal padre di Assad quando Siria ed Egitto si unirono, che quella usata per la prima volta nella Siria post-coloniale e utilizzata nuovamente oggi. 
Le vignette in questo articolo con le “Countryball” o “Polandball”, i personaggi a forma di palline raffiguranti vari stati e attori della guerra civile siriana, sono di “rr016” da Wikimedia rilasciate con licenza CC 4.0. Il file contenente tutte e 10 le vignette si trova a questo link . Per vedere le immagini in maniera più nitida potete cliccarci sopra o schiacciarle con il dito.


Tornando alla guerra civile siriana, alcuni la considerano semplicemente come un conflitto “interno” che ha portato alla fine di una dittatura. Però, generalmente, la guerra civile siriana viene classificata come una “guerra per procura” (proxy war in inglese), quel tipo di conflitto in cui alcune potenze sfruttano o controllano direttamente gruppi armati e nazioni più piccole per combattere, indirettamente, altri paesi o gruppi militari. In questo caso le macro-potenze di Russia e Iran hanno supportato e sorretto il regime di Assad insieme agli Hezbollah libanesi e ad altre milizie sciite provenienti da paesi come Iraq, Pakistan e Afghanistan. Proprio la guerra genocida in Palestina ha comportato un indebolimento di questo gruppo, il cosiddetto “Asse della resistenza” (o “Asse del male” a seconda dei punti di vista), contribuendo alla caduta di Assad. Il regime siriano è stato supportato anche dalla Cina e dalla Corea del Nord. Quest’ultima avrebbe fornito materiale per confezionare armi chimiche. Armi di questo tipo, secondo le Nazioni Unite, sono state usate sia dalla Siria che dall’ISIS. Accuse del genere sono state addebitate anche ai vari gruppi dell’opposizione di Assad, Turchia inclusa.

Facciamo una necessaria digressione a riguardo, che è anche utile per inquadrare il contesto geo-storico e comprendere come è nato il famoso ISIS (chiamato anche “Daesh”, di cui parliamo meglio fra poche righe). Ricordiamo che, antecedentemente alla prima guerra del Golfo (1990-1991), anche l’Occidente aveva fornito materiale per assemblare armi chimiche a Saddam Hussein in chiave anti-iraniana. Negli anni ‘90 il regime di Saddam aveva distrutto quasi tutti gli arsenali di armi di distruzioni di massa (inclusi i missili che potevano lanciare le armi chimiche), facendo avanzare solo dei “rimasugli” inutili e scaduti. Tuttavia gli Stati Uniti dichiararono, con una fake-news storica, che Saddam aveva ancora quel tipo di armamenti (tra l’altro, si sospetta che alcuni di quegli armamenti siano stati riciclati in maniera efficace proprio dall’ISIS). Lo fecero per giustificare l’invasione dell’Iraq del 2003, la seconda guerra del Golfo. Insomma, gli USA hanno condotto delle guerre per “rimediare” i danni di altre guerre fomentate dagli stessi Stati Uniti, come hanno fatto in Afghanistan agevolando i mujahideen e Bin Laden in funzione anti-sovietica per poi lasciare nuovamente il paese in mano ai Talebani. Potrebbe sembrare strano, o quantomeno creare confusione, ma nel gioco degli “scacchi politici” anche gli Stati Uniti hanno cooperato con il regime siriano per combattere al-Qaeda, agevolando torture e interrogatori nell’ambito delle cosiddette “estradizioni straordinarie”, e poi hanno supportato -perlomeno indirettamente- milizie affiliate ad al-Qaeda per sconfiggere Assad. Ma andiamo per ordine e vediamo chi si è schierato contro Assad.

Il blocco anti-governativo o “ribelle” è stato supportato in diverse maniere e in diversi periodi da Stati Uniti, Israele e Turchia, oltre che da vari paesi europei, Regno Unito e Francia in testa, da molti paesi del mondo arabo, come Giordania e Libia, e, non ultimi, da vari petro-regni dell’area come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.


Sulla circonferenza del diagramma con varie bandiere vediamo paesi del Golfo, Usa e Turchia uniti da una linea azzurra, che indica supporto. La Turchia è unita alla Russia con un una linea azzurra tratteggiata, indicante qualche tipo di supporto. Russia, Iran, Hezbollah e la Siria (quest’ultima verso il centro del cerchio) unite da linee azzurre. Sulla parte opposto i paesi del Golfo sono collegati ad al-Qaeda da una linea rossa. Da al-Qaeda parte una freccia grigia verso il logo di Hurras al-Din, all’esterno del cerchio. Sempre da al-Qaeda partono due linee grigie con la scritta, tradotta in italiano, “separazione”: nel 2014 alcuni si sono separati formando l’ISIS, la centro del diagramma, e nel 2016 originando al-Nusra. Una linea rossa connette al-Qaeda con l’Esercito Siriano libero, a sua volta connesso con tre linee azzurre a USA, Turchia e paesi del Golfo. Al-Nusra è collegata con una linea tratteggiata azzurra all’ESL, che a sua volta è collegato da uno stesso tipo di linea all’HTS, che a sua volta è collegata da linee grigie con al-Nusra e le altre fazioni jihadiste da cui è formato all’esterno del cerchio. Al centro l’ISIS è collegato da linee rosse con tutti gli attori, tranne al-Nusra. Sempre al centro del cerchio ci sono le Forze Democratiche Siriane: sono collegate da linee rosse con Turchia, ESL, Russia e Siria, e da una linea azzurra con gli USA. La Siria di Assad è collegata con linee rosse anche con l’ESL, l’HTS e al-Nusra.
Lo schema qui sopra, pubblicato da “avsa” su Wikipedia, fotografa i vari schieramenti all’inizio dell’ultima offensiva che ha portato alla caduta di Assad. Tuttavia nessuno schema può fornire un quadro esaustivo delle complesse e mutevoli alleanze. Per esempio, come spieghiamo più avanti, la Turchia è accusata di aver appoggiato l’ISIS (mentre nello schema la linea tratteggiata rossa indica solo degli scontri). Allo stesso modo il Consiglio di Cooperazione del Golfo è connesso con una linea rossa ad al-Qaeda, mentre sei frecce grigie dei rispettivi paesi (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Quatar) puntano sulla bandiera dell’organizzazione indicandone i complessi rapporti. Non è un caso che nel 2017 tre paesi del Golfo (Bahrein, EAU e Arabia Saudita) avevano rotto i rapporti diplomatici con il Qatar, accusandolo di supportare in maniera occulta l’ISIS, al-Qaeda, al-Nusra e altri gruppi nell’orbita iraniana (questa era l’accusa ufficiale, ma c’erano anche altre motivazioni geopolitiche, come le decisioni di politica estera e la vicinanza ai Fratelli Musulmani). La stessa Arabia Saudita era stata accusata di finanziare, più o meno indirettamente, l’ISIS.



La Turchia è entrata direttamente nelle ostilità nel 2016, comportando l’attivazione in favore del regime baathista di Russia (principalmente con l’indispensabile supporto aereo) e dell’Iran (principalmente con truppe di terra). Per rovesciare il regime siriano e imporre l’egemonia del “blocco occidentale” nell’area, Stati Uniti e alleati medio-orientali hanno fatto <<piovere miliardi di dollari e decide di migliaia di armi nelle mani di chiunque avesse combattuto Assad>>, citazione di Joe “Genocide” Biden del 2014. Il presidente uscente degli USA accusò (e poi ritrattò) la Turchia di <<aver lasciato troppi “foreign fighters” -combattenti provenienti da altri paesi NDR- attraversare i suoi confini verso la Siria per combattere una guerra per procura tra sunniti e sciiti>>.

Il percorso che faceva arrivare combattenti fondamentalisti da tutto il globo in Siria passando per il confine turco è stato chiamato l’“autostrada della jihad”. Oltre ad armi e soldi, gli Stati Uniti governati da Obama avevano anche fornito addestramento a migliaia di ribelli con un programma della CIA. Nome in codice dell’operazione era “Timber Sycamore”. Ma prima ancora dell’operazione segreta e della “autostrada della jihad” c’erano state le guerre in Afghanistan e in Iraq. Gli USA, abbattendo Saddam Hussein, avevano creato un vuoto di potere al confine con la Siria e dato origine a un governo debole, utile per i propri interessi. Spargendo sangue di innocenti avevano provocato molto risentimento, rafforzando l’idea che il mondo islamico era sotto attacco e che bisognava rispondere. Torturando persone nelle prigioni irachene avevano seminato odio e istituito scuole di criminalità e radicalizzazione... Insomma, le famose guerre “per esportare la democrazia” invece di abbattere il terrorismo e sconfiggere al-Qaeda, l’organizzazione responsabile dell’attentato dell’11 Settembre 2001, avevano fatto nascere “al-Qaeda 2.0”, ossia l’ISIS (noto anche con gli acronimi IS, ISIL, Daesh o per estesto lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria” o “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”). Si tratta di una sorta di “terzo blocco” all’interno dell’intricato scenario siriano che, a un certo punto, è stato combattuto da tutti gli schieramenti principali della guerra civile, almeno ufficialmente, incluse altre organizzazioni estremiste islamiche che avrebbero voluto instaurare delle teocrazie basate sulla loro lettura della sharia (la legge islamica). Il sedicente stato islamico dell’autoproclamato emiro Abu Bakr al-Baghdadi aveva raggiunto la sua massima estensione nel 2014 (più di 90mila chilometri quadrati), dopo che nel 2013 si era espanso dai confini iracheni in Siria e aveva stabilito delle sue provincie in giro per il pianeta, dall’Africa all’Asia. Era finanziato da donazioni, tasse, estorsioni, rapimenti e furti vari. Prima della sua “sconfitta territoriale” nel 2019 era riuscito a imporre una distorta legge islamica a milioni di persone e, tutt’oggi, è ancora attivo.

Possiamo comprendere meglio i timori di chi pensa che oggi alla guida della Siria ci siano sostanzialmente dei “parenti” molto prossimi dell’ISIS, iniziando a identificare quali sono i principali gruppi armati “ribelli (non le milizie governative o pro-Assad) ancora attivi dopo quasi 14 anni di guerra civile nello scenario siriano. Gruppi spesso indicati con delle sigle che ai più possono risultare oscure, generando confusione. Tenendo presente che quasi tutte le formazioni potrebbero essere sciolte per poi essere riunite sotto un unico comando, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza...



DAL FRONTE AL-NUSRA ALL’HTS: CON E CONTRO L’ISIS SOTTO L’ALA DI AL-QAEDA

Iniziamo a enunciare in maniera molto schematica la principale formazione dell’intricato ginepraio jihadista siriano, formato da decine di gruppi e sotto-gruppi pulviscolari, fatto di alleanze mutevoli e di trasferimenti seguiti a defezioni nel campo dei cosiddetti ribelli siriani e dei vari gruppi jihadisti e/o salafiti. Premettiamo che con il termine jihadismo si indicano, solitamente, gruppi fondamentalisti islamici che promuovono la “guerra santa” contro gli “infedeli”. La parola jihad può essere intesa anche come una lotta interiore contro il proprio ego, oppure contro le oppressioni e in autodifesa. Il termine salafiti può essere attribuito a un insieme molto eterogeneo di credenti nell’islam, anche se la minoranza di questi più nota alle cronache è quella che propugna l’idea estremista di combattere contro ogni stato che non applica la sharia, arrivando a considerare infedele pure gran parte del mondo islamico. Le varie milizie jihadiste possono essere suddivise in due grandi categorie: quelle più vicine alla Fratellanza Musulmana e quelle salafite più radicali.



Al centro la Shahādah in un cerchio azzurro, con spirali quadrate sulla circonferenza. C'è anche una striscia azzurra orizzontale dietro il simbolo.
Bandiera dell'HTS. La scritta è la stessa che si trova sulla bandiera di al-Nusra e in forma diversa anche su quella dell'ISIS. Si tratta della Shahādah, professione di fede e pilastro dell'islam che recita: <<Non c'è altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta>>.


Hay'at Tahrir al-Sham (“Comitato/Organizzazione per la liberazione del Levante”), in acronimo HTS, è l’organizzazione politico-militare principale dell’offensiva che ha rovesciato Assad, alla testa del Comando delle Operazioni Militari (MOC) e del governo di transizione. Prima dell’arrivo a Damasco aveva stabilito un suo governo nell’area di Idlib, nel nord-ovest della Siria, dopo aver incorporato o sconfitto altri gruppi jihadisti come Ahrar al-Sham. In pratica l’HTS si è scontrata con alcune delle milizie armate con cui adesso si è coordinata per rovesciare Assad. A seconda delle stime conterebbe tra i 15 e 30 mila combattenti provenienti da varie milizie jihadiste.

Mentre non ci sono dubbi sul fatto che siano stati ampiamente foraggiati dalla Turchia e da altre potenze regionali “affiliate” all’Occidente, resta qualche incertezza sul fatto che siano completamente eterodiretti da Ankara. Tra l’altro, al momento in cui stiamo chiudendo questo articolo, ci risulta che formalmente l’HTS è ancora nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche dalla Turchia e dagli USA. Tuttavia le diplomazie di entrambi i paesi si sono incontrati con il leader Abu Mohammad al-Julani, nome di battaglia di Ahmed Hussein al-Sharaa, noto più semplicemente come al-Jolani (o al-Julani). Per adesso gli Stati Uniti hanno già revocato la taglia milionaria sulla sua testa. Anche se è lui l’uomo al comando nella Siria post-Assad, formalmente il governo transitorio è guidato da Mohammed al-Bashir, già premier del mini-governo che l’HTS aveva stabilito a Idlib.



A sinistra un giovane al-Jolani con una barba di un paio di giorni. Al centro ha la barba lunga e indossa un copricapo e una mimetica. A sinistra un suo profilo con una camicia verde oliva, la barba più curata e senza copricapo.
Ahmad al-Shara', noto semplicemente come al-Jolani o al-Julani. A sinistra in una foto segnaletica dopo il suo arresto in Iraq nel 2006. Al centro un tweet dell’ambasciata USA in Siria del 2017 in cui si offrono fino a 10 milioni per avere informazioni utili alla sua cattura. A destra lo vediamo come appare oggi, alla fine della sua “metamorfosi” mediale e dopo varie operazioni di “rebranding”.



L’HTS deriva da un’altra organizzazione, il cosiddetto “Fronte Al-Nusra” che, nel 2016, ha cambiato nome per diventare il “Fronte per la Conquista del Levante”. Nasce nel 2012 come una branca di al-Qaeda, presentandosi come meno estremista dell’ISIS. Anche quest’ultimo, a sua volta, affonda le sue radici nell’organizzazione nota per l’attentato alle Torri Gemelle e ispirata da un’interpretazione letterale del testo sacro islamico. Tutte e tre le organizzazioni romperanno i rapporti tra loro, almeno ufficialmente. Nel 2016 Al-Nusra cambia nome e si separa da al-Quaeda effettuando una -prima- operazione di re-branding (“vendersi” con un nuovo “marchio”).



La bandiera di al-Nusra dopo il rebranding, con una scritta nera su sfondo bianco (l'inverso della precedente).
La bandiera di al-Nusra dopo il rebranding. La precedente era fatta da una scritta bianca su sfondo nero.



Distanziandosi -almeno a livello di immagine- in maniera pacifica e concordata dall’organizzazione che fu guidata da Bin Laden si voleva evitare di essere attaccati dai paesi occidentali. Ma, ancora più importante, con una nuova e più pulita “marca” si potevano raccogliere maggiori forze e fondi, in particolare dalla Turchia e dai paesi del Golfo, evitando di incorrere in sanzioni. Al contempo, con il primo cambio di nome, è stata facilitata l’accoglienza di transfughi dalle fila dell’ISIS che avevano cooperato con il primo nucleo di quello che oggi è l’HTS, prima di entrare in competizione tra loro: aderendo a un progetto “nuovo” -almeno sulla carta- il senso di tradimento dei ranghi più bassi, generato dal letterale e metaforico “cambio di bandiera”, veniva meno.

Lo stesso al-Jolani, quello che oggi viene presentato e che si auto-rappresenta come un moderato, aveva combattuto per il succitato Abu Bakr al-Baghdadi (il fondatore dell’ISIS o ISIL) dopo essere passato per le prigioni statunitensi in Iraq. Il Fronte al-Nusra è stato creato da Jolani proprio su ordine di Baghdadi, quando erano uniti sotto le insegne dell’ISI (lo “Stato islamico dell’Iraq”, precursore dell’ISIS). L’attuale leader dell’HTS, dopo la “scomunica” dell’ISIS da al-Qaeda, resta fedele a quest’ultima prima della già citata rottura e “operazione di marketing” del 2016. Comincia così una competizione territoriale con lo Stato Islamico, insieme a tutte le componenti della guerra civile siriana che convergeranno contro di esso. Per questo Jolani era (e secondo alcuni lo è tuttora) il principale esponente della branca siriana di al-Qaida. Al-Qaeda, da parte sua, criticava l’ex fronte Al-Nusra perché troppo orientato in senso nazionalista.



La bandiera dell'ISIS con scritte bianche su sfondo nero.
La Bandiera dell'ISIS



Va fatto notare che la rottura tra l’ISIS, il Califfato proclamato senza l’approvazione di al-Qaeda, e quest’ultima, l’organizzazione jihadista cresciuta in funzione anti-sovietica (e per questo inizialmente sostenuta dai paesi occidentali) è avvenuta per svariate divergenze. Nonostante la comune intenzione di creare uno stato islamico esistono differenze strutturali, politiche, dottrinali, militari e comunicative. Anche se entrambi hanno aspirazioni e proiezioni globali, l’ISIS nasce radicandosi nell’ambito locale iracheno, mirando a conquistare territori rapidamente con confronti diretti, sfruttando il vuoto di potere che si era venuto a creare nella parte centrale e desertica della Siria. Al-Qaida, invece, ha una dimensione più transazionale. Segue una strategia graduale e di lungo termine, coltivando cellule sparse in tutto il globo senza l’intenzione di creare fin da subito un vero e proprio stato islamico. Al-Qaeda si concentra di più su una propaganda fatta di un articolato proselitismo religioso, mentre l’ISIS si concentra a usare il terrore per convertire e guadagnare rapidamente consenso. Stupri ed esecuzioni esemplari incutono profondo timore a livello interno, mentre all’esterno i video di gole tagliate attirano disgusto e ostilità, motivo per cui al-Qaeda non approva gli sgozzamenti. Al-Qaeda, che attraversa una fase di decadenza post-Bin Laden, si concentra sull’addestramento di combattenti d’élite nei vari paesi in cui è ospitata per condurre attentati e guerriglia. Invece, i più giovani esponenti dell’ISIS pianificano combattimenti in campo aperto, oltre a offrire una sorta di “franchising” a disposizione di “cani sciolti” pronti a immolarsi con attentati terroristici in giro per il pianeta. Reclutano nuovi combattenti da ogni dove per ingrossare le sue fila anche con un uso sapiente dei social media. Profondi disaccordi esistono anche su chi deve essere considerato “infedele”, e dunque un obiettivo legittimo. Obiettivi prediletti di al-Qaida sono quelli statunitensi e dei vari regimi appoggiati dagli USA, con un alto valore simbolico. L’ISIL dirige la sua furia contro i musulmani considerati infedeli, a cominciare dagli sciiti. Secondo al-Qaeda i comuni credenti sciiti non devono essere colpiti sia perché “giustificati” dal non conoscere il “vero” islam, sia perché la maggioranza della comunità sunnita non approva uccisioni indiscriminate e non è interessata a questioni strettamente dogmatiche. Non da ultime sono le sempre presenti rivalità riconducibili a dinamiche di puro potere, oltre che a fortuna e a spietatezza sul campo di battaglia.

Ritornando all’HTS, oggi è in atto la seconda operazione di re-branding, un’ulteriore “pulizia” di immagine funzionale a fare affari con le potenze statali egemoni nell’area. Dopo la nascita nel 2017 con la fusione di altri gruppi, e dopo la presa di Damasco, il leader al-Jolani, saudita di nascita e originario delle alture del Golan, proclama che verranno tutelate tutte le minoranze religiose, che la parità delle donne verrà rispettata, che il suo governo non sarà fondamentalista ma secolare e che, in nome dell’unità nazionale, la Siria smetterà finalmente di essere in guerra e verranno perseguiti solo gli elementi più compromessi con il regime (mentre circolano le prime voci di repressioni e torture a danno dei presunti torturatori e carnefici del regime).

Speriamo sia che queste intenzioni verranno rispettate, sia che diffidenza e scetticismo di chi scrive questo articolo non verranno ulteriormente smentiti. Infatti, mentre una donna è stata nominata a capo del dipartimento degli affari femminili, il portavoce del governo provvisorio ha dichiarato che <<le donne non devono portare armi e ricoprire posizioni apicali>>… È stato anche annunciato che libere elezioni non si terranno prima di 4 anni.

Oltre a questi primi preoccupanti segnali un altro timore è che Jolani non riesca a controllare a lungo i suoi uomini, non impedendo attacchi alle varie minoranze come sciiti e cristiani. O, peggio, Jolani potrebbe semplicemente attendere che i riflettori non siano più puntati sulla Siria per attuare una visione distorta dell’islam. Quando governavano solo a Idlib avevano messo in piedi una mini-dittatura militare con fondamentaliste prescrizioni, allentante in questi giorni: niente fumo, alcol e perfino niente musica, velo e barba obbligatori e una polizia morale attualmente disciolta (al contempo continua a circolare la lira turca e sono presenti anche soldati turchi). Così si sono formati a governare quelli che i media mainstream descrivono come dei laici e moderati. Per evitare che i timori succitati si realizzino servirà un attento e pressante controllo della società, siriana e globale, la nostra! Infine, non si può escludere né un riemergere dell’ISIS, né un possibile sabotaggio del processo di transizione da parte dei fedeli di Assad. Ex premier siriano che è scappato in Russia. Secondo la sua versione è stato costretto dal Cremlino a lasciare il paese ma, secondo altre versioni, si sarebbe addirittura accordato con Israele per lasciare illeso il paese. In cambio avrebbe fornito mappe con le coordinate di depositi di armi e siti sensibili, effettivamente poi distrutti. Tra i documenti di cui i ribelli si sarebbero impossessati (il condizionale è d’obbligo perché bisogna appurarne l’autenticità) alcuni indicherebbero perfino la cooperazione tra una Siria debole e un minaccioso Israele.

Pare che la NATO (o gli USA che dirsi voglia) abbiano ripetuto la stessa strategia adottata in altri paesi rivoltati dalle cosiddette primavere arabe, largamente strumentalizzate dai Fratelli Musulmani: si è preferito avere un Assad debole che un governo democraticamente eletto “antipatico” all’occidente. Staremo a vedere chi governerà una Siria che forse continuerà a essere “balcanizzata” (e cioè frantumata).


La pallina siriana è un po’ più piccola, quella dei ribelli siriani un po’ più grande e imbracciano entrambe un AK-47. Vicino a quest’ultima pallina ce ne è un’altra con la bandiera del TEV-DEM, indicante il Rojava, con un punto interrogativo e uno sguardo confuso. Di fianco, più piccoline, due palline con il logo dell’ISIS e di al-Nusra che indossa anche una fascia sul capo. Una ha un AK-47 l’altra un RPG ed entrambe hanno gli occhi rossi (le altre bianchi).
A sinistra la pallina siriana si è rimpicciolita, imbraccia un AK47, ha uno sguardo impaurito e suda. Al centro la pallina con la bandiera siriana ribelle è più grande, imbraccia un AK-47 e alla sua sinistra, proprio vicino a lei, c’è la pallina di al-Nusra con un altro fucile, diretto verso la pallina indicante il regime. Alla sua destra la pallina dell’ISIS punta il suo lanciarazzi verso la pallina del Rojava, la più piccola nella vignetta, che imbraccia un fucile e ha uno sguardo arrabiato.Al centro la pallina dell’ISIS è diventata grandissima. Ha due fucili puntati a sinistra e a destra. A sinistra tre palline più piccole con i soliti AK-47: le palline del regime siriano e dei ribelli si schiacciano reciprocamente la fronte, mentre quella di al-Nusra sta al fianco sia dell’ISIS che dei ribelli. A destra un cartello con scritto “Kobani” e la pallina del Rojava ferita, testa fasciata e una piccola pistola. Alla sua destra la grande pallina degli USA che indossa occhiali da sole e osserva.



L’“ESERCITO NAZIONALE SIRIANO”, IN ACRONIMO INGLESE “SNA” O “TFSA”, DOVE LA “T” STA PER TURCHIA

L’“Esercito Nazionale Siriano” (SNA l’acronimo inglese) è l’altra macro-formazione che ha egemonizzato lo scenario della guerra civile siriana in questi ultimi anni di sostanziale stallo militare. Dopo essersi scontrata con Tahrir al-Sham (HTS) ha preso parte al rovesciamento del regime, concentrando le sue forze contro il nord-est della Siria. Cioè contro le “Forze Democratiche Siriane” (SDF), una spina nel fianco del regime turco (e di cui parliamo meglio fra poco). Mentre per l’HTS restano dei dubbi sul grado di controllo da parte turca, l’SNA è a tutti gli effetti un’estensione turca in Siria, Libia e Armenia/Azerbaijan. La formazione deriva dall’“Esercito Libero Siriano”, noto in inglese come “Free Syrian Army” (FSA), gruppo originariamente formato da disertori di Assad, da altri gruppi di opposizione e da bande armate varie.



Molto simile al simbolo della Siria, ma al centro dell'aquila c'è la bandiera con tre stelle.
Logo dell'SNA

Cerchio con l'attuale bandiera siriana che funge da corpo di un'aquila. Dai due lati della bandiera partono le linee che disegnano le ali dell'aquila.
Logo del FSA




Per questo l’SNA è denominato anche come TFSA (“Turkish-backed Free Syrian Army”, ossia “Esercito Libero Siriano sostenuto dalla Turchia”), composto in larga parta da combattenti turkmeni. Sulle loro divise espongono anche la bandiera con la mezzaluna e la stella a cinque punte. Ufficialmente la Turchia ha messo sotto un unico comando una trentina di gruppi per combattere contro Assad, contro le SDF e contro altre forze islamiste, inclusa l’HTS. Tuttavia, la creazione del TFSA nel 2017 può essere intesa come un’altra operazione di re-branding. Secondo questa lettura la Turchia avrebbe avuto bisogno di un braccio armato diverso dall’HTS, in quanto la sua immagine era troppo compromessa con l’organizzazione terroristica di al-Qaeda. Eppure, diverse evidenze mostrano che all’interno del TFSA sono stati inquadrati occultamente diversi combattenti dell’ISIS. Dopo la fusione nel 2019 con altri gruppi di opposizione, coalizzati sotto l’insegna del “Fronte per la Liberazione Nazionale” (“Al-Jabhat al-Wataniya lil-Tahrir” o NFL), la cifra di combattenti stimata è tra i 30 e gli 80mila in totale.

Oltre a governare i territori siriani occupati dalla Turchia nel nord-ovest della Siria, altro scopo di questa emanazione turca è quella di bilanciare il potere acquisito dalle SDF a guida curda per poi, come si sta tentando di fare in questi giorni, sconfiggerle del tutto e cancellare una presenza scomoda ai confini con la Sublime porta. Uno degli obiettivi ufficiali sbandierato da Erdogan è quello di instaurare una zona cuscinetto per proteggere la Turchia dai “terroristi”, qualora non si potesse spazzare del tutto la resistenza a guida curda (di cui parliamo meglio fra due paragrafi). Allargando la frontiera turca di qualche decina di chilometri potrà accaparrarsi preziose risorse agricole, idriche e petrolifere.

Bisognerà anche vedere quale ruolo e quale margine di azione avranno nella Siria post-Assad.



A sinistra una grande polandball russa, ha due missili e uno sguardo tranquillo. Al suo fianco quella del regime siriano con un cerotto, qualche taglio e uno sguardo arrabbiato. Al centro al-Nusra con un fucile sembra tenere quasi in ostaggio quella ribella, che è piccola e suda. A destra anche la pallina dell’ISIS ha la testa fasciata e qualche graffio. Punta il suo AK-47 verso la pallina del Rojava che ha un fucile d’assalto statunitense. Gli USA, specularmente alla Russia, sono rappresentati con dei missili e con una sacca di sangue collegata al Rojava.

A sinistra ci sono sempre Russia e Siria, anche se la pallina siriana non appare più ferita. Di fronte un cartello con la scritta “Aleppo”. La pallina di al-Nusra adesso è dipinta di bianco: vicino a lei un contenitore con della pittura bianca e la scritta “re-branding”. Nella parte destra l’ISIS è ancora più ferito. Si rivolge verso la pallina USA. AI piedi di quest’ultima la pallina del Rojava e quella turca si spingono, mentre imbracciano entrambe un M-16. Dal lato russo e da quello statunitense partano due velivoli da guerra.




LA “SOUTHERN OPERATION ROOM” (SOR): DAGLI ACCORDI DI RICONCILIAZIONE ALL’ENTRATA A DAMASCO



In una ellisse verde, su sfondo bianco, il disegno di un fucile con una baionetta. In una metà ci sono tre stelle rosse, nell'altra meridiani e paralleli.
Logo del SOR. Immagine di "Jalapeño" da Wikimedia rilasciata con licenza CC 4.0



La “Centrale Operativa del Sud” (o più letteralmente dall’inglese “Sala Operativa del Sud”, in acronimo SOR) è costituita da una serie di gruppi ribelli che include combattenti drusi (gruppo etno-religioso che fonde elementi di diversi culti) nella parte meridionale della Siria. Zona che dal 2018 è stabilmente sotto il controllo del regime. Alcune fazioni di opposizione, dopo aver combattuto contro l’ISIS, avevano siglato un accordo di riconciliazione con il governo passando dalla sua parte, almeno fino al novembre 2024... Altre forze si erano riunite in una ventina di gruppi più piccoli, restando attive in clandestinità e coordinate dai propri comandanti in esilio. Un anno prima dell’ultima offensiva erano stati contattati dall’HTS per coordinarsi nell’operazione. Gli uomini di al-Jolani avanzavano da nord, mentre da sud i gruppi della SOR sono stati i primi a entrare materialmente a Damasco, dove non hanno incontrato resistenza (una caduta di un dittatore molto “soft”) mentre alcuni membri delle forze governative sarebbero stati fatti prigionieri nelle zone dove ancora è attivo l’ISIS. Insieme a loro, oltre alla drusa “Brigata Al-Jabal”, c’era anche una formazione di un centinaio di soldati addestrata dagli statunitensi: il “Syrian Free Army” (SFA, da non confondere né con l’FSA né con il TFSA, che abbiamo menzionato sopra), chiamato anche “Revolutionary Commando Army”, precedentemente “New Syrian Army” (dopo un’altra operazione di re-branding seguita a un caso di presunta corruzione per traffici di armi e droga, e un fallito tentativo di includerli nelle SDF da parte degli USA).



DA UNA PARTITA DI PALLONE AL CONFEDERALISMO DEMOCRATICO, PASSANDO PER LE “FORZE DEMOCRATICHE SIRIANE” (SDF) E RITORNANDO A KOBANE



Su sfondo giallo la Siria in bianco e il fiume Eufrate. Il nome delle SDF è riportato in basso in tre lingue diverse: curdo, arabo e assiro.
Bandiera delle SDF


Le “Forze Democratiche Siriane (SDF o FDS) a guida curda e a maggioranza araba sono figlie del “Partito dei Lavoratori del Kurdistan” (PKK) e, a loro volta, derivano e sono guidate dalle “Unità di Protezione Popolare” (YPG è l’acronimo delle unità maschili e YPJ femminili). Generalmente le YPG/YPJ vengono considerate il braccio armato del “Partito dell’Unione Democratica” (PYD).

Potrebbe sembrare strano ma le origini delle YPG/YPJ risalgono a una partita di calcio. Nel 2004 nella città di Qamishlo si incontrano la squadra del posto, al-Jihad, e quella di Deir Ezzor, al-Fatwa. Le cronache raccontano di una provocazione sapientemente orchestrata dal governo siriano per colpire i tifosi curdo-siriani con la complicità dei supporter del team ospite arabo. Stranamente sugli spalti, all'ombra della gigantografia di Assad, le due tifoserie vengono fatte sedere insieme. All’entrata dei giocatori in campo i tifosi di al-Fatwa cominciano a intonare provocazioni e slogan razzisti contro i curdi, arrivando a evocare uno dei loro peggiori persecutori, Saddam Hussein. Ne nasce una rissa, solo che i tifosi di Deir Ezzor sono muniti di spranghe e pietre, mentre quelli di Qamishlo sono a mani nude. Interviene anche la polizia, prima con proiettili di gomma poi con quelli veri. Sotto i colpi d’arma da fuoco muoiono nove persone, inclusi due bambini. Altri muoiono perché le ambulanze non vengono fatte arrivare o perché gli ospedali si rifiuteranno di accogliere i feriti, causando circa trenta morti. Ai funerali del giorno dopo vengono intonati cori e scanditi slogan contro Assad. Le proteste continuano per giorni in tutto il Kurdistan siriano, così come vanno avanti le violenze del regime. Militanti e attivisti curdi sentono la necessità di auto-difendersi. Nascono così le YPG: prima dovevano proteggersi da Assad, poi da al-Qaeda e dall’ISIS, oggi dall’ISIS e dalla Turchia che vestono i panni dell’SNA.

Un triangolo con contorno verde, interno giallo e una stella rossa al centro.
Bandiera delle YPG

Triangolo con contorno giallo, interno verde e una stella rossa al centro.
Bandiera delle YPJ



Nel 2012 l’aria della “primavera araba” arriva anche nel nord-est della Siria, regione che corrisponde all’ovest del Kurdistan, altro stato dell’area mediorientale promesso e mai veramente esistito, come la Palestina. Il diritto all'autodeterminazione dei curdi è negato dal regime baathista. La loro lingua è vietata in Turchia e, per negare la loro stessa identità, vengono chiamati “i turchi delle montagne”. Similmente i palestinesi vengono genericamente definiti “arabi” per affermare che la Palestina sarebbe un falso storico, qualcosa che non è mai esistito. Le città a maggioranza curda si ribellano contro Assad e Kobane viene controllata dalle YPG. Due anni dopo inizia l’offensiva dell’ISIS. Vittime predilette e oggetto di nefasto piacere per i tagliagole fondamentalisti sono le donne. Per auto-difendersi nascono le YPJ, sezioni femminili di autodifesa particolarmente temute dagli estremisti islamici: se vengono uccisi da una donna sarebbero destinati alla dannazione, stando alla loro lettura dei testi sacri. Intanto le Unità di Protezione Popolare accolgono tra i propri ranghi tanti combattenti che disertano il succitato FSA, quando questa formazione viene infiltrata ed egemonizzata dalla Turchia. Il PKK e le YPG/YPJ al confine tra Siria e Iraq aiutano anche la popolazione yazida, una minoranza che pratica un culto sincretico ed esoterico, storicamente accusata di essere eretica e per questo perseguitata. Migliaia di yazidi sono vittime di genocidio, tantissime donne diventano schiave sessuali. Le YPG/YPJ riconquistano Kobanenel 2017 liberano Raqqa, ma la battaglia contro l’ISIS e contro gli oscuri giochi di potere dei vari stati-nazioni continua. La Turchia lancia una delle ricorrenti operazioni insieme al TFSA. Nel 2019 riconquista Afrin, dove si scontreranno anche con i “rivali” dell’HTS. Per contenere la minaccia fondamentalista e anarco-capitalista si sacrificano combattenti da tutto il mondo sotto le insegne delle YPG/YPJ. Tra lə tantə che anno contribuito alla sconfitta territoriale dell’ISIS nel 2019 e alla resistenza contro le milizie jihadiste turche c’è anche il militante anarchico Lorenzo Orsetti, detto “Orso”.



Combattenti donne schierate in due file si stringono la mano. A tracolla hanno un kalashnikov e alcune indossano dei copricapi.
Le combattenti delle YPJ in una foto di Kurdishstruggle da Wikimedia


Sullo sfondo palazzi distrutti e macerie. 7 persone in uniforme e armate di Kalashnikov espongono due bandiere (una della pace e una del TQUILA con una "A cerchiata" e un kalashnikov su sfondo rosa). Su uno striscione, oltre a due "A cerchiate", si legge: <these faggots kill fascists TQILA-IRPGF>
Immagine di alcunə combattentə internazionalistə del "The Queer Insurrection and Liberation Army" a Raqqa pubblicata dall'"International Revolutionary People's Guerrilla Forces" su Wikimedia



Le SDF nascono nel 2015 dalla fusione delle YPG/YPJ con altri gruppi in armi. Inizialmente La forza armata multi-etnica era a guida e a maggioranza curda ma, attualmente, la gran parte dei suoi membri sono di etnia araba. In totale contano circa 100mila combattenti, quasi 80mila di questi inquadrati nella formazione figlia del PKK. Sono le forze armate dell’“Amministrazione Democratica Autonoma della Siria del Nord-Est”, indicata precedentemente con l’acronimo di AANES (oggi DAANES) e occupa la parte di Siria situata a est dell'Eufrate (più qualche striscia di territorio a ovest del fiume). È nota più semplicemente con la metonimia “Rojava”, la regione a maggioranza curda al confine con la Turchia. Si tratta di un’entità semi-statale e di una forma di governo semi-parlamentare organizzata secondo principi di democrazia diretta, femministi ed ecologisti. Il modello di autogoverno adottato a partire dalla rivoluzione del Rojava viene chiamato “Confederalismo Democratico”. È basato a sua volta sul “Municipalismo Libertario” di Murray Bookchin ed è stato adattato al contesto mediorientale da Abdullah Ocalan, uno dei fondatori del PKK. La donna e l’ambiente occupano un ruolo centrale nella teoria di questo modello autogestionario. Infatti, la violenza patriarcale, la brutalità contro l’ambiente e l’oppressione capitalista (quest’ultima accoppiata con la nuova “religione dello stato-nazione”) condividono la stessa maligna radice: la brama di potere. Il terzo pilastro di questa forma di autogoverno, la democrazia diretta, si concretizza, non senza difficoltà e contraddizioni, in una serie di assemblee, partiti, varie associazioni e strutture a livello locale che interagiscono tra loro “dal basso verso l’alto”. Attualmente conta più di 4 milioni di abitanti e si estende per circa un terzo della Siria. Spesso sentiamo genericamente parlare di “area curdae di “Rojava”, parola che significa “Kurdistan dell’Ovest”. In realtà il Rojava è solo un cantone dell’intera DAANES. Oltre ai curdi ci sono arabi, turkmeni, siriaci, assiri, armeni, circassi e ceceni che praticano diverse fedi e parlano diverse lingue (quelle ufficiali sono arabo curdo e assiro).

Come tutte le esperienze e le sperimentazioni di autogestione esistono delle criticità e degli aspetti ritenuti controversi. Ne parleremo più approfonditamente in un altro articolo (lo troverete nella sezione di questo sito dedicata al Rojava, accessibile dalla barra di navigazione sotto la testata).



Tre bande orizzontali: gialla, rossa e verde.
Bandiera del TEV-DEM, un'organizzazione ombrello fondante la DAANES, usata per rappresentare il Rojava



Le SDF sono riuscite a guadagnarsi una certa autonomia grazie al sacrificio di tante e tanti combattenti contro l’ISIS. Ciò implica una serie di contraddizioni quasi inevitabili in un contesto rivoluzionario, oltre a criticità e critichegeopolitiche”. Il principale addebito riguarda il fatto che sono militarmente appoggiate dagli USA. Per questo si sarebberovendute” all’imperialismo statunitense. D’altro canto è possibile pensare che statunitensi e alleati abbiano foraggiato le SDF non solo tatticamente per contrastare l’ISIS, non solo perché la loro posizione geografica si trovava su uno dei percorsi maggiormente attraversato dall’ISIS, non soltanto per controllare i giacimenti petroliferi e il passaggio di gas -altro fattore geografico fondamentale- ma anche per contenere e mantenere un Assad debole, senza sconfiggerlo del tutto, in mancanza di un’opposizione più consona ai piani nordamericani. Un sostegno delle regioni e delle forze militari siriane a guida curda che nelle intenzioni degli USA, come per i “peshmerga” (i curdi iracheni), non dovrebbe culminare con una completa indipendenza o autonomia. Un supporto degli USA che è stato comunque limitato per non tradire il vassallo turco e per non disturbare troppo il governo centrale e la regione autonoma curda in Iraq (ricordiamo in proposito che non corre buon sangue tra le elité curde-irachene, specialmente quelle riconducibili a Barzani, e i militanti della DAANES e del PKK). Presumibilmente, l’autonomia parziale è stata accettata dal “Rojava” sia sperando di raggiungere un certo grado di indipendenza con gli armamenti americani, ben consci del rischio di essere abbandonati, sia perché l’obiettivo di una non completa indipendenza si sposa con teoria e prassi del Confederalismo Democratico elaborato da Ocalan: l’obiettivo non dovrebbe essere la creazione di uno stato curdo, ma di democratizzare i vari tipi di istituzioni oppressive mostrando che un’alternativa è possibile.





Al centro la pallina dell’ISIS nel sangue, con due “x” sugli occhi che ne indicano la morte. Su essa sono attaccati due cartelli con scritto “Deir el Zor” e “Raqqa”. A sinistra la polandball russa e siriana. A destra, specularmente, quella del Rojava e degli USA. Sullo sfondo si intravede la pallina con la bandiera dell’HTS e quella turca, con un punto esclamativo sulla testa e quella turca con al suo fianco quella dei ribelli più piccola.



Parimenti le forze rivoluzionarie a guida curda sono state accusate di essersi “vendute” a Russia e Siria: per resistere alla minaccia esistenziale turca e alle varie milizie jihadiste supportate dalla Turchia (il secondo esercito più grande della NATO), hanno in qualche maniera cooperato con l’“asse” russo-siriano, anche solo con una sorta di tacito patto di non aggressione reciproca. In alcune zone le istituzioni del vecchio regime convivevano con quelle delle Amministrazione, in maniera non certo completamente pacifica. Dall’interno della DAANES si accarezzava perfino l’idea di unirsi in qualche maniera alle forze di Assad.

Più in generale i critici della DAANES credono che sia eterodiretta dal PKK e che sia stata appoggiata -almeno indirettamente- da Assad in chiave anti-turca. Contemporaneamente Assad avrebbe tentato di seminare divisione tra i curdi e gli altri popoli della DAANES (non ci pare che ci sia riuscito...).  In questo senso i detrattori dell’esperienza autogestionaria della DAANES credono che sia sostanzialmente un bacino di reclutamento di nuovi combattenti per il PKK e un’altra “base” per continuare la guerriglia in Turchia. Da parte sua il PKK nega di operare in Siria, così come le SDF rivendicano la loro indipendenza.

Le ipocrite e mutevoli partite a “Risiko” delle varie potenze statali si riflettono anche in vari tentativi di riavvicinamento tra Siria e Turchia mediati dalla Russia (riavvicinamento che sarebbe stato ostacolato dalle HTS). Con il senno di poi si può pensare che Erdogan abbia fatto ad Assad delle "proposte che non poteva rifiutare" (riprendersi i profughi siriani, consentire la creazione di una zona cuscinetto nell’area a maggioranza curda e riappacificarsi con i ribelli). Forse si sta facendo lo stesso con le oscure aperture al leader del PKK, al quale sono state concesse delle visite dopo quattro anni di totale isolamento. Lo stesso Ocalan che è stato “ospite” di Damasco fino al ‘98, quando Hafiz al-Asad fece chiudere le basi del PKK, in quanto le pressioni di Turchia e Israele convinsero a cacciare dalla Siria il leader curdo comunista. Del passato autoritario di Ocalan, delle “purghe” all’interno del PKK, del ruolo dell’Italia nell’arresto illegale che seguirà la sua cacciata dalla Siria, nonché del mutamento di paradigma politico avvenuto durante la sua prigionia ne abbiamo già dettagliatamente parlato tra queste pagine digitali

La cosa importare da ricordare e da ribadire in questo frangente è che, dopo una profonda autocritica delle visioni marxiste più “classiche”, Ocalan ha virato verso un paradigma libertario criticando il potere in quanto tale, non solo quello di tipo capitalista. Il “Gramsci curdo” pensa che il connubio tra la religione dello stato-nazione e quella del profitto capitalista mantengano la stessa struttura oppressiva da millenni. Per questo abbandona l’idea irredentista di creare uno stato curdo, abbracciando la strategia di ritagliarsi spazi di autonomia dove autogovernarsi e dove praticare la democrazia diretta senza entrare in conflitto aperto con gli stati nazione e i loro confini. Sul lungo termine le pratiche legate a una società egualitaria, autogestita e sinceramente democratica renderà visibile l’obsolescenza dell’attuale paradigma socio-economico facendo, idealmente, dissolvere le entità statali. Questo nuovo paradigma, almeno sulla carta, è stato adottato dal PYD (il partito siriano figlio del PKK). Alcuni pensano che, sotto sotto, il PYD sia ancora legato al vecchio modello irredentista e marxista-leninista, e che tutti i suoi quadri siano espressione del PKK. Presumibilmente è possibile che alcuni esponenti della vecchia “intellegenzia” comunista curda non vedano di buon occhio il nuovo paradigma libertario. Per questo starebbero sfruttando il PYD e il Rojava soltanto come base per continuare a combattere contro la Turchia. Questi dubbi sulle dinamiche di partito e movimento non rientrano nei giudizi e calcoli politici turchi: per i governanti “neo-ottomani” i curdi sono semplicemente una minoranza che ostacola l’omogeneità “imperiale”, e il PKK è solo un’organizzazione terroristica così come le YPG/YPJ e le SDF. A poche ore dalla chiusura di questo articolo, come si accennava sopra, il leader Ocalan ha incontrato una delegazione del partito di opposizione turca DEM (troverete aggiornamenti in merito sempre nella sezione di questo sito dedicata al Rojava, accessibile dalla barra di navigazione sotto la testata). Questa ipocrita “apertura” al prigioniero politico richiuso sull’isola di Imrali è il riflesso di qualche tentativo di negoziazione con PKK e alleati. Bisogna capire quanto l'intenzione di negoziare sia concreta. Forse SNA e Turchia starebbero continuando a bombardare la DAANES per poter chiedere maggiori concessioni durante un’ipotetica trattativa (come accade in Ucraina), tra cui maggiore territorio di una “zona cuscinetto” al confine condiviso, con la regione di Kobane e Quamislo demilitarizzate. Mentre per la Turchia non ci sono differenze tra le forze a guida curda e il partito comunista curdo, per gli USA solo il PKK è sulla lista delle associazioni terroristiche, visto che con le SDF fanno ancora parte della coalizione internazionale anti-ISIS.

Una delle non trascurabili sfide della DAANES riguarda proprio i prigionieri dell’ISIS, catturati fino alla “sconfitta territoriale” del 2019 di Daesh, che rimane comunque presente nell’area con le sue cellule dormienti. Infatti la comunità internazionale, gli Stati Uniti e in parte minore le SDF, sono state criticate per la gestione dei prigionieri da associazioni per i diritti umani come Amnesty. Il problema della gestione dei prigionieri, uno dei micidiali effetti di lungo termine della guerra civile, non riguarda solo i tagliagole dell’ISIS o i presunti tali. Ci sono mogli e figli al seguito in diverse strutture detentive, tra cui quella del malfamato campo di Al-Hol. È una scuola di radicalizzazione e criminalità dove sono ristretti alcuni dei miliziani fondamentalisti insieme al resto delle famiglie. Una prigione-ghetto, un mini-califatto in cui si applica la lettura fondamentalista del Corano, in cui entrano armi e telefoni, dove si eseguono torture e punizioni, da cui si riesce a evadere scavando tunnel e dove avvengono matrimoni forzati e precoci. Parliamo di almeno 50mila detenuti, dei quali circa il 94% sono donne e bambini. Molti sono da anni in detenzione senza accuse o dopo condanne in processi ritenuti sommari, subendo svariati tipi di abusi perpetrati anche dagli stessi prigionieri. I report delle organizzazioni umanitarie denunciano torture atroci, violenze sessuali, morti per condizioni igienico-sanitarie precarie, sparizioni, ma anche la separazione dei figli dalle madri, molte delle quali vittime esse stesse dell’ISIS, spesso costrette a gravidanze e matrimoni forzati. Molti bambini non sanno o non ricordano nemmeno chi siano i loro genitori. A titolo indicativo, si pensi che i confini siriani ospitano la maggiore concentrazione di minori detenuti al Mondo. Una volta entrati nell’adolescenza vengono separati dalle madri e inviati in centri riabilitativi per cercare di strapparli da violenza e fondamentalismo. In tal senso, uno dei problemi specifici, è evitare che vengano fatti sposare dando luce a una nuova, radicata e incattivita generazione di “cuccioli delcaliffato”.


Una tendopoli su uno sfondo desertico. Si intravedono dei bambini e alcune donne che indossano il velo integrale nero

Al centro seduta a terra nella sabbia una donna con il velo integrale mentre usa un arnese metallico. Sullo sfondo si intravedono varie persone, anche qualche ragazzo e uomo mentre camminano in quello che sembra una sorta di mercato improvvisato.
Immagini del campo di Al-Hol


Le forze armate della regione autonoma si trovano di fronte a una situazione oggettivamente difficile da gestire, dovuta soprattutto al disinteresse completo delle decine di paesi da cui provengono i combattenti dell’ISIS, a cominciare da quelli europei che non permettono l’estradizione o il rimpatrio dei prigionieri, oltre a una potenziale riabilitazione. Estradizioni che sono escluse dal sistema giudiziario della DAANES verso i paesi in cui, come in Iraq, vige la pena di morte. Inascoltata è rimasta anche la proposta di attivare un organismo penale internazionale per accertare le responsabilità individuale di migliaia di tagliagole dell’ISIS e collaboratori, ascoltando le voci delle vittime sopravvissute. Per chi non si era macchiato di crimini feroci era stata prevista un’amnistia alcuni mesi fa. La questione rappresenta una minaccia non solo per la regione ma per il Mondo intero. Infatti, le svariate operazioni militari turche (o dei jihadisti sponsorizzati dalla Turchia) svolte negli ultimi anni rappresentano un’occasione perfetta per permettere la fuga di “tagliagole” autoctoni e occidentali. Anche per questo la Turchia è stata accusata di aver supportato ininterrottamente membri del Califfato e affini. Ma c’è di più...

Durante gli attacchi di questi giorni un drone turco ha ucciso due giornalisti, insieme ad altri civili. Si chiamavano Nazim Dastan e Cihan Bilgin, erano scampati ad altri attacchi del genere e a persecuzioni giudiziarie. In questi giorni è stato ricordato un video del 2014 girato dal primo in cui si vedono soldati turchi parlare amichevolmente con due miliziani dell’ISIS. Sia il collega che la collega uccisi dall’esplosione avevano documentato altri rapporti del genere.



Le immagini prese dei social sono contrassegnate dal logo dell'emittente "imc".
 Nel video si notano due jihadisti dell’ISIS mentre si incontrano con alcuni militari turchi. I due fanno un segno con il dito indice, simbolo dell’unico dio. Dopo un militare turco fa cenno con la mano ai due di andarsene, mentre un altro sembra chiedere chiarimenti via radio.



Ma non finisce certo qui... In questi giorni l’emittente Medyanews ha diffuso un video andato in diretta sulle televisioni turche, evidenziandone un inosservato particolare: a un posto di blocco dell’SNA vicino l’assaltata Manbij si nota un militare con una toppa dell’ISIS ricamata sul braccio. Il giornalista non sembra accorgersene.



Il post di Medyanews mentre si inquadra il particolare ingrandito dello stemma dell'ISIS sulla divisa del soldato al check-point.



E ancora: a metà Dicembre le forze di autodifesa della DAANES hanno diffuso dei documenti contenuti in una scheda digitale di un appartenente all’ISIS, poi inquadrato nell’SNA, denunciando un fatto gravissimo e chiedendo indagini e azioni della coalizione internazionale contro l’ISIS: nella scheda ci sono centinaia di nomi e foto di miliziani di Daesh passati nell’SNA che, supportati dagli attacchi con droni e altri velivoli senza pilota, avrebbero dovuto espugnare prima Manbij (ci sono riusciti circa due settimane dopo) per poi attaccare Kobane, come emergerebbe da un altro documento sulla stessa memory card.

Oltre ai rapporti militari ci sono poi quelli economici con l’ISIS. Secondo un’inchiesta dello storico e giornalista Vijay Prashad del 2016, il petrolio esportato illegalmente dai jihadisti in Siria finiva in Israele dopo essere passato per Malta, arricchendo così direttamente la famiglia di Erdogan.

In questi giorni continuano gli scontri nella zona di Manbij, città a ovest dell’Eufrate con una diga che fornisce di energia elettrica a gran parte della DAANES, contesa da tutte le parti del conflitto nel corso degli anni e in cui erano presenti anche i russi, fungendo da forza di interposizione. 



A sinistra l’infastidita pallina russa spazza con la scopa, mentre dietro un recinto con la sigla “DMZ” (Demilitarized Zone) ci sono la pallina dell’HTS e dei ribelli. La pallina del regime siriano sta ferma con il suo kalashnikov. A destra la palla USA beve una Cola con una cannuccia mentre sembra allontanarsi. Sotto di lei la pallina turca taglia con una lama la fronte di quella del Rojava che, insanguinata, continua a imbracciare il suo fucile d’assalto.



Obiettivo principale della Turchia sul breve termine è riconquistare anche Kobane: in questo modo ci sarebbe continuità territoriale tra le aree già controllate dall’SNA (o T-FSA che dirsi voglia). Più a sud continuano gli attacchi dell’ISIS nella zona di Deir ez-Zor.



La parte della precedente mappa con un ingrandimento sulla zona di Kobane e Manbij.
Evidenziate in fucsia le città di Manbij e Kobane



Le SDF continuano nella contro-offensiva, riconquistando alcuni villaggi intorno a Manbij, mentre da alcune aree si sono ritirate per cercare di evitare un’escalation e altre vittime civili, stabilendo una sorta di cessate il fuoco unilaterale. Hanno manifestato la volontà di trovare una soluzione politica alla questione curda e a quella siriana, sia verso i nuovi regnanti di Damasco che con i padroni turchi. In questo senso hanno adottato simbolicamente la nuova bandiera della Siria (quella con tre stelle invece di due) per testimoniare la volontà di non compromettere l’unità nazionale e non protrarre il conflitto. Inoltre, sono stati aboliti i dazi doganali in piedi con il precedente regime e le SDF avrebbero anche proposto la smobilitazione dei combattenti curdi non siriani. Per adesso l’HTS da Damasco non sembra voler mediare con le SDF. Infatti, in questi giorni, al-Jolani ha invitato tutte le fazioni in armi a sciogliersi per creare un unico esercito... Tutte tranne una: le SDF! L’SNA a guida turca, invece, per il momento ha rifiutato l’invito.

Oltre agli attacchi militari dei proxy turchi e della stessa Turchia ci sono anche gli attacchi diplomatici. Il ministro degli esteri turco, in una conferenza stampa alla presenza di al-Julani, ha detto chiaramente che nella nuova Siria <<non c’è spazio per i terroristi del PKK e delle YPG>>. Il che equivale a dire che non sono disposti a nessun compromesso per una soluzione politica alla questione curda, insieme a una pesante e indebita ingerenza negli affari di un paese che sarebbe terzo. Con l’avvento di Trump e un ipotetico ritiro USA dalla Siria si aprirebbe uno scenario perfetto per il fascio-islamista Erdogan: avrebbe campo libero di spazzare via la resistenza curda, mentre le forze a guida curda potrebbero essere spinte nelle braccia dell’Iran. A beneficiare di un paese “spezzettato”, secondo l’antica dottrina del “dividi e comanda”, ci sarebbe anche Israele.

Ci sono altri scenari più improbabili ma non da escludere del tutto, che prevedono un rinnovato interesse degli USA a supportare le SDF. L’ISIS potrebbe acquisire nuova forza, così come altre formazioni militari jihadiste potrebbero ribellarsi o non adeguarsi alla nuova linea “moderata” di al-Julani. A quel punto le forze a guida curda farebbero da argine ad altri estremismi e diventerebbero di nuovo utili all’occidente. Così come potrebbero essere utili in funzione anti-iraniana. La stessa HTS potrebbe cooperare con le SDF se venisse abbandonata dalla Turchia e dagli altri paesi che l'hanno finanziata. Oppure potrebbero avvicinarsi se al-Jolani si decidesse a creare una Siria veramente unita, così come potrebbero convergere contro un redivivo ISIS. Oppure, ancora, HTS e SDF potrebbero contrastare insieme, da non alleati, un eventuale SNA abbandonato dalla Turchia e, per questo, ancora più vicino all’ISIS.

Resta a noi, società civile globale, supportare quelle forze che crediamo portatrici di un effettivo cambiamento, sganciandoci il più possibile dai calcoli e dalle partite a scacchi dei vari potentati.


Al centro sovrasta la palla russa, con sotto quella del regime siriano. A sinistra un aereo sgancia bombe sulla pallina dei ribelli, che ha solo una piccola pistola, e quella dell’HTS che perde sangue, mentre sulla loro parte di sfondo si nota un’esplosione. A destra una felice palla turca imbraccia un fucile e ai suoi piedi c’è la palla del Rojava, immersa nel sangue e anche lei con una piccola pistola. Con il suo sangue c’è scritto “Peace Spring”. Sullo sfondo a destra si nota la palla statunitense con un punto esclamativo sulla testa mentre osserva un giacimento petrolifero.

Sulla sinistra la pallina dell’HTS sanguinante con il suo solito AK-47. Al centro la pallina del regime siriano, delle stesse dimensioni di quella precedente, che sovrasta quella con la bandiera dei ribelli, molto più piccola. Quest’ultima ha lo stesso cartello del 2011 e sotto si nota una piccola scritta: “Daraa”. A destra la palla russa e quella USA si contendono il Rojava, trattenendola con le bocche e stirandola, mentre a terra cade il suo M-16. Sullo sfondo si intravede la palla turca mentre conta dei soldi. Al suo fianco due palline con la bandiera della Libia e dell’Azerbaigian.



I VERI VINCITORI DEL CAMBIO DI REGIME (TURCHIA E ISRAELE) E LE FAZIONI PALESTINESI PRO E CONTRO ASSAD, TRA CONTRADDIZIONI APPARENTI, INTERESSI CONVERGENTI E CONTRASTANTI

La suddivisione tra i principali “blocchi” della guerra civile siriana non va intesa in senso monolitico. Nella politica con la “p” minuscola tutto è possibile: ipocrisia, incoerenza e opportunismo portano a situazioni paradossali, facendo diventare l’improbabile realtà consolidata, in nome di un presunto pragmatismo e della ragione di stato.

Nonostante i legami in comune con il regime turco, dal punto di vista politico-militare le forze di al-Jolani e la galassia di bande riunite sotto le insegne dell’SNA hanno due programmi diversi, che si riflettono anche nelle battaglie condotte: l’HTS ha concentrato le sue forze verso Damasco mentre il TFSA continua ad attaccare la DAANES, senza l’immancabile supporto aereo turco. Mentre droni e velivoli turchi bombardano dall’alto, le SDF starebbero impiegando, letteralmente dal basso, l’uso di tunnel. 

Il ruolo dellaviazione nelle guerre moderne è fondamentale: i pesanti bombardamenti degli aerei da guerra fanno la differenza sul campo, mentre le truppe di terra “finiscono il lavoro”. Nell'ambito della guerra civile siriana ci sono molti esempi che fanno capire l'importanza dell'aviazione... La Siria sarebbe crollata molto prima senza il supporto aereo di Mosca. Forse, anche le YPG/YPJ sarebbero state sopraffatte dall’ISIS senza i bombardamenti aerei nordamericani. Erdogan ha ricattato la NATO, bloccando e barattando l’entrata di Svezia e Finlandia nell’alleanza, per ri-ottenere le forniture utili a sviluppare gli F-35, gli aerei da combattimento più letali e performanti in assoluto. Le forniture erano state sospese dagli USA perché la Turchia aveva acquistato altri armamenti dalla Russia. La scusa usata da Erdogan per porre il veto nella NATO all’entrata dei paesi scandinavi era la minaccia dei “terroristi” curdi e altri suoi oppositori, i seguaci di un certo Fethullah Gulen. Infatti, la motivazione ufficiale addotta per il ritardo dell’entrata dei paesi scandinavi, è stata la mancata estradizione di vari esuli e rifugiati politici da Svezia e Finlandia. Adesso le forniture per completare gli F-35 dovrebbero essere ripristinate. Se Netanyahu ha una delle armi che può renderlo il padrone del Medio Oriente (e del Mondo intero insieme alle bombe atomiche, possedute illegalmente), allora deve averla anche Erdogan. Gli F-35 sono stati usati per la prima volta in combattimento proprio in Siria da Israele nel 2018 per colpire obiettivi iraniani. Infine, restando nel campo dell'aviazione, il mese scorso gli stessi caccia israeliani hanno agevolato l’avanzata dei “ribelli” sul terreno.

Turchia e Israele condividono una serie di interessi convergenti e contrastanti. Per prima cosa fanno parte entrambi della NATO, la prima ufficialmente, la seconda de facto. Abbiamo già illustrato come la Turchia ha supportato diverse fazioni jihadiste per destabilizzare e rovesciare Assad. Anche Israele ha foraggiato milizie jihadiste per disturbare sia Assad che altri fondamentalisti islamici, incluso l’ISIS (che insieme ad al-Qaeda non ha mai veramente spaventato o minacciato Israele). Lo ha fatto per creare un utile caos, per mantenere in vita diversi avversari. Nemici che dovevano restare in piedi anche se dovevano essere deboli, secondo la strategia del “dividi e comanda”. In questo “disordine regolato”, sfruttando lo spauracchio di regimi autoritari che in realtà sono deboli, e dotandosi di potenti armi politiche e militari di deterrenza, alcune milizie islamiche sono state appoggiate sia da Hamas che da Israele, concretizzando un’insolita convergenza tra forze estremiste sioniste e sunnite.

Nel 2014 le autorità israeliane sono state accusate di supportare alcune fazioni islamiste ribelli “moderate” curando nei propri ospedali decine di combattenti feriti nella zona del Golan. Accuse smentite dal governo sionista ma confermate da un rapporto dell’UNDOF, i caschi blu delle Nazioni Unite al confine tra Israele e Siria. Per il “magnanimo” governo israeliano, lo stesso che sta distruggendo gli ospedali, sterminando e affamando la popolazione di Gaza, erano solo civili feriti. Non la pensavano così i cittadini drusi dei territori occupati nel nord di Israele, che nella stragrande maggioranza dei casi si identificano come siriani: per loro erano combattenti affiliati ad al-Qaeda. In un’occasione attaccarono anche una delle ambulanze che li trasportava, provocando la morte di un ferito.



Netanyahu stringe la mano a un presunto combattente jihadista steso su un letto in un ospedale israeliano. Sullo sfondo altri militari e l'ex ministro della difesa israeliano.
Netanyahu stringe la mano a un presunto combattente jihadista in un ospedale israeliano



Ma il sostegno di Israele a vari gruppi jihadisti non si è limitato alla fornitura di assistenza medica e di aiuti umanitari. Un’inchiesta della testata Foreign Policy ha rivelato che dal 2013 al 2018 Israele ha finanziato e armato almeno una decina di gruppi jihadisti. In un primo momento avevano fornito, insieme ad armi leggere, veicoli e mortai, anche fucili M-16 di fabbricazione statunitense. Per evitare sospetti le forniture successive provenivano da depositi di armi di origine iraniana, di cui erano entrati in possesso. A ogni combattente venivano versati circa 75 dollari mensili, insieme ad altri soldi per acquistare armi da canali diversi. Tra questi gruppi quello prediletto era “Fursan al-Jolan” (i “Cavalieri del Golan”), che aveva il compito di distribuire a sua volta le armi ad altre formazioni, raggiungendo così migliaia di combattenti ribelli. Se un comandante moriva o cambiava, l’assistenza israeliana con uno specifico gruppo veniva sospesa, mentre altri comandanti sono fuggiti in Israele con famiglie al seguito o a Idlib. La fuga era necessaria per la pressante controffensiva siriana, coadiuvata dai bombardamenti aerei russi. Netanyahu si sarebbe poi messo d’accordo direttamente con Putin per avere delle garanzie: le truppe russe dovevano svolgere un ruolo di interposizione e garantire che nessuna forza nell’orbita iraniana avrebbe disturbato Israele su quel confine, mantenendole a una distanza di circa 80 km. A quel punto i ribelli sono stati abbandonati da Israele e, sentendosi traditi, hanno minacciato vendetta (evidentemente invano) e hanno vuotato il sacco con i giornalisti.

La collaborazione opportunistica con gli estremisti islamici non sembra limitata ai soli gruppi ribelli “moderati”. Collaborazione che provocava un senso di tradimento tra truppe che dovrebbero sentirsi avverse a Israele. Nel 2017 l’ex ministro della difesa Moshe Yaloon si fece scappare in alcune dichiarazioni che l’ISIS (nelle vesti del gruppo affiliato “Khalid ibn al-Walid Army”) si era scusato con le IDF (le forze di occupazione israeliane) per aver aperto il fuoco contro un gruppo di soldati israeliani. Le forze di offesa israeliane replicarono all’attacco uccidendo alcuni miliziani di Daesh, ma le comunicazioni tra l’ISIS e gli apparati israeliani erano tecnicamente illegali per la stessa legge israeliana, cosa che provocò un certo imbarazzo. Yaloon aggiunse che l’ISIS apprezzava <<la nostra superiorità militare. L’attacco da parte loro è stato un errore ed è successo solo una volta>>, rifiutando di rispondere a ulteriori domande in merito.

Va detto che, secondo alcuni, anche Assad avrebbe in qualche modo sfruttato o cooperato con l’ISIS: prima del 2011 avrebbe agevolato l’addestramento dei jihadisti per disturbare gli USA in Iraq. Invece, dopo lo scoppio della “primavera araba”, il regime avrebbe continuato su questa linea rilasciandone migliaia dalle sue infami prigioni, che intanto si riempivano di dissidenti. Inoltre c’erano altri traffici, e presumibilmente continueranno a esserci anche se condotti da diversi attori. Si pensa che il regime siriano beneficiava del traffico illegale di carburante con l’ISIS. In più, la Siria di Assad era diventata un narco-stato: produceva milioni di dollari in “Captagon”, nome commerciale di un’anfetamina usata da tutte le classi sociali dell’Asia Occidentale e anche dai combattenti dell’ISIS (oltre alla più “globalizzata” cannabis).

Subito dopo la caduta di Assad Israele ha distrutto tutte le capacità militari del vecchio regime proprio per assicurarsi che il futuro e potenziale nuovo governo non avesse armi, notizia ampiamente riportata dai media che vanno per la maggiore omettendo dei “piccoli” dettagli… In primis, come abbiamo appena detto, Israele ha foraggiato le forze jihadiste in chiave anti-Assad. Adesso è importante che restino abbastanza deboli, come doveva essere "debole al punto giusto" il precedente regime di Damasco. Ma la cosa più importante su cui non si sofferma la stampa mainstream è l'ennesima violazione del diritto internazionale, in quanto un tale tipo di azione militare sarebbe giustificato solo per autodifesa. Un’ovvietà attualmente pericolosissima dopo la guerra genocida a Gaza: se tutto è permesso al principale “stato canaglia” alleato dell’Occidente, anche altre potenze potrebbero commettere simili violazioni...

Ma c’è di più: Israele non ha solo attaccato via aria il territorio siriano per neutralizzare diversi tipi di armamenti, ma ha anche lanciato un’offensiva via terra invadendo e superando la zona cuscinetto nelle Alture del Golan presidiata dall’UNDOF. Dal 1974, dopo la guerra dello Yom Kippur, le forze dell’ONU hanno il compito di garantire il cessate il fuoco ed evitare sconfinamenti di ambo le parti. 



Al centro della mappa le Alture del Golan.
Le strisce celesti indicano le zone sotto la sorveglianza dell’UNIFIL e dell’UNDOF, rispettivamente ai confini di Israele con Libia e Siria.



Le forze di occupazione israeliane hanno dichiarato di aver sconfinato per assistere l’UNDOF. I caschi blu, in un comunicato del 13 dicembre, confermano un furto di armamenti da parte di imprecisati uomini armati, ma smentiscono Israele: <<l’UNDOF ha informato i suoi omologhi israeliani che queste azioni costituiscono una violazione dell’Accordo di Disimpegno del 1974>>.


Nella mappa le direzioni dell'offensiva israeliana verso i territori confinanti della Siria fino all'8/12/2024: da Damasco più a nord fino a Tasil più a sud, vicino al confine con la Giordania.
La direzione degli attacchi israeliani fino a circa 20 km da Damasco. In viola chiaro i territori ulteriormente occupati all’interno della zona cuscinetto presidiata dall’UNDOF, per un’estensione totale simile a quella della Striscia di Gaza.


Negli scorsi giorni è arrivata la ferma condanna di Antonio Guterres, Segretario Generale ONU: <<siamo contro questo tipo di attacchi. Credo che ci troviamo davanti a un momento di svolta per la Siria. Non dovrebbe essere sfruttato dai paesi vicini per sconfinare nel territorio siriano>>. Purtroppo non c’è da sorprendersi per come l’unica sedicente democrazia del Medio Oriente approfitta della situazione, stabilendo dei fatti compiuti sul campo (“establish facts on the grounds”, per dirla all’inglese). Alcuni territori al confine con la Siria sono stati illegalmente annessi nel 1981 e, del resto, la stessa nascita di Israele si fonda su una dichiarazione unilaterale, non certo sulle mediazioni che sarebbero dovute seguire alla famigerata risoluzione 181 ONU. Ma non è finita qui: le fazioni fascio-messianiche del sedicente stato ebraico proiettano la loro brama di conquista in territori che vanno oltre il fiume Giordano. In base a una lettura mistificante dei testi sacri, personaggi come il ministro Smotrich non nascondono di voler estendere i tentacoli della “Grande Israele” fino a DamascoSecondo la retorica del regime israeliano, amplificata dai media mainstream, l’etno-teocrazia israeliana starebbe semplicemente creando una “zona cuscinetto” prossima a un’altra “zona cuscinetto” per difendere uno stato che applica l’apartheid, che dovrebbe ritirarsi dai vari territori che già occupa illegalmente, e che adesso spara anche sulle folle di manifestanti siriani che si oppongono all’occupazione. Annettere territori è diventato facilissimo: basta dichiarare all’infinito nuove zone cuscinetto! Dopo aver distrutto la Palestina e il Libano, dopo aver contribuito al rovesciamento di Assad annettendosi pure nuovi territori per altri insediamenti illegali, a Netanyahu resterebbe l’obiettivo di trascinare gli USA in un conflitto aperto con l’Iran. La sedicente unica democrazia del Medio-oriente dovrà però fare i conti con un’economia danneggiata, una comunità internazionale che, in maniera sempre più crescente, la considera a buon ragione uno stato-canaglia, e non ultimo con il senso di colpa immane che peserà su quella parte di società israeliana ancora sana. In più, bisognerà vedere se Trump e le varie contingenze vireranno verso un conflitto con la teocrazia sciita, oltre agli equilibri fragili con il capitalismo di stato cinese. Le relazioni tra la teocrazia sciita e i ribelli saranno inevitabilmente influenzati da come questi ultimi si relazioneranno con Israele, e fino ad adesso i rapporti sono stati molto distesi. Da parte sua Trump potrebbe decidere di ritirarsi completamente dai giochi, concentrandosi più su Cina e Africa, e lasciando a Turchia e Israele il compito di essere i suoivassallinell’area.

Anche la classica rivalità tra le due principali famiglie dell’Islam (ossia tra sunniti e sciiti) provoca molta confusione e non basta a spiegare le profonde ragioni dei conflitti. Si pensi al fatto che Hamas è un’organizzazione sunnita supportata da una teocrazia sciita e dai suoi alleati, come gli Hezbollah libanesi. Va comunque notato che nei territori palestinesi occupati è attiva anche “Jihad Islamica Palestinese”, prevalentemente sunnita ma storicamente più vicina all’Iran rispetto che Hamas. Ciò è indice del fatto che gli scontri tra varie potenze non riguardano tanto questioni etniche o religiose ma, più banalmente, dinamiche di potere. È possibile ipotizzare che l’attacco del 7 Ottobre non sia stato pianificato di concerto con l’Iran che, insieme ad altri attori globali, ha giovato dell’interruzione dei cosiddetti “accordi di Abramo” (la normalizzazione dei rapporti politico-economci dei paesi arabi e africani con Israele) ma che non è ancora completamente pronta per un confronto diretto con Israele. E adesso l'Iran ha perso anche un prezioso alleato. Tuttavia anche Israele, nonostante la sua potenza militare, difficilmente potrebbe sconfiggere un paese così grande e così pieno di risorse come l’Iran, che intanto pare affrettarsi nel completare la sua deterrenza atomica. Hamas, forse, in una Gaza dimenticata da tutti e condannata a un destino di perenne prigionia ha giocato il tutto per tutto, provando a coinvolgere nel conflitto l’Iran. Con il senno di poi si può pensare che, almeno per adesso, dell’attacco del 7 Ottobre ne hanno beneficiato maggiormente proprio i turchi e i gli israeliani.

Molti palestinesi della diaspora sono rifugiati da decenni sul suolo siriano, in particolare nel campo profughi di Yarmouk, conosciuto come la “capitale” della diaspora palestinese. Migliaia di palestinesi sono stati incarcerati, torturati, uccisi o sfollati da Assad, oltre che dal fuoco dell’ISIS, dopo che Hamas si è schierata dalla parte degli insorti. Fino all’inizio della guerra civile il campo profughi di Yarmouk era anche la base di Khaled Mesh’al, uno dei leader di Hamas, che avrebbe addirittura convinto Erdogan a rovesciare Assad. All’interno del campo si trovavano fazioni palestinesi schierate con o contro Assad.

In favore del regime c’erano il “Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina - Comando Generale” (FPLP – GC) e “Fatah al-Intifada”. Nell’altro campo c’erano i palestinesi disertori del “FPLP – GC” (sotto la sigla di “Al-Uhda al-Umariya”), quelli inquadrati nelle varie fazioni attive nel resto della Siria (incluso al-Nusra), in “Aknaf Bait al-Maqdisvicina ai Fratelli Musulmani (presumibilmente organizzati da Hamas, che ufficialmente ha smentito ogni coinvolgimento di tipo militare nel conflitto) e altri appartenenti sia ad Hamas che a Fatah che non rappresentavano la posizione ufficiale dei gruppi.

I palestinesi sfollati perché si opponevano ad Assad, insieme ad altri siriani sunniti, hanno trovato “ospitalità” in altre terre, in particolare nel nord della Siria. Tramite alcune ONG con base in Turchia, paesi del Golfo e Pakistan si attua da anni un piano di sostituzione etnica, occupando i villaggi precedentemente abitati da altre minoranze, principalmente cristiani e curdi. In sostanza si sostituiscono famiglie di sfollati con altri sfollati e combattenti, sfruttando un perfido colonialismo di insediamento (quello turco in Siria) per “rimediare” in parte anche ai danni di un altro colonialismo di insediamento (quello israeliano), oltre che all’allora più incombente minaccia di morte e assedio di Assad culminata in “accordi” di espulsione. Venivano caricate centinaia di persone sui tristemente poco noti “autobus verdi”, veicoli acquistati dalla Cina che un tempo rappresentavano la modernizzazione del paese.

Va anche ricordato che tra i curdi e i palestinesi di tutto lo spettro politico oltre alle divergenze ci sono storiche connessioni. I militanti del PKK hanno convissuto e si sono addestrati militarmente insieme a quelli palestinesi, mutuando da questi anche strategie comunicative e visione etiche, come quelle legate al martirio.

La questione dei profughi palestinesi è, quindi, strettamente connessa all’insieme dei rifugiati siriani e ci dà l’opportunità di spostarci ancora in Turchia, evidenziando altre sue contraddizioni. I flussi di esseri umani vengono sfruttati da trafficanti, mafie e governi collusi in diverse maniere. Oltre ad arricchirsi con i traffici, governi come quello turco riescono a estorcere fondi all'UE mantenendo i rifugiati in condizioni disumane e promettendo all’Europa di non aprire il “flusso” di persone. Mentre i paesi europei fremono per far rimpatriare i profughi siriani arrivati nella “Fortezza Europa” a partire dallo scorso decennio, sarebbero circa 3 milioni i rifugiati della guerra civile nei confini turchi, su un totale di più di 20 milioni di siriani.

Restando tra Turchia e Palestina, non di secondaria importanza sono i traffici illegali di petrolio, da cui traggono profitto sia le milizie jihadiste che la Turchia. Ma ci sono anche i commerci bituminosi legali e semi-legali... Erdogan si dipinge come uno strenuo difensore dei palestinesi, ma in realtà fa gli interessi degli USA e di Israele, entrando in competizione specialmente con quest’ultimo. Messa da parte la sua retorica infuocata contro Israele, la recente proposta turca di fermare l’export di armi agli israeliani potrebbe essere dovuta proprio alla loro competizione per diventare “imperatori” del Medio Oriente. Ma c’è dell’altro, e riguarda proprio il petrolio: circa il 30% del carburante che fa alzare in volo gli arei da guerra israeliani fa alzare anche i profitti della Turchia, in quanto passa dalle condutture che partono dal suo regime “cugino”, l’Azerbaijan, e poi tramite i porti turchi arriva a Israele. Un altro esempio di apparenti contraddizioni e di collaborazioni più o meno ufficiose con i nemici “ufficiali” è che Erdogan ha permesso a Putin di aggirare le sanzioni sul petrolio russo, venduto come se fosse turco, e di rifornirsi di nitrocellulosa per fabbricare esplosivi.

Ma nello scenario geo-politico globale tutto è possibile, incluse le convergenze che possono apparire inaspettate o bizarre... Passiamo a parlare perciò delle affinità “rosso-brune”, ossia dei contatti tra alcuni estremismi di destra e la presunta sinistra nazionalista-anti-imperialista. Nello specifico, tra l’estrema destra italiana e l’ “asse” di Putin.



L’ESTREMA DESTRA ITALIANA E IL REGIME DI ASSAD

Tutto lo spettro dell’estrema destra italiana extraparlamentare e parlamentare italiana, da Casapound a Forza Nuova, passando per associazioni come Lealtà Azione e partiti come la Lega di Salvini, ha supportato Assad. Vedevano nel regime baathista un baluardo del cristianesimo contro l’islam radicale, oltre a certe genetiche affinità per l’uomo forte al potere “socialista” e nazionalista (per certe persone il socialismo si riduce principalmente a politiche sovraniste, autarchiche e guerrafondaie), nonché a rapporti “rossobruni” con “l’asse” dello Zar Putin (criticato però da quelli che supportano le formazioni neonaziste in Ucraina). Hanno sostenuto e visitato più volte il regime appellandosi contro le sanzioni imposte dalla comunità internazionale e inviando donazioni e delegazioni fino a pochi mesi prima del crollo. Talvolta allungandosi nelle loro trasferte siriane con deviazioni verso il Libano. L’ultima visita, a Maggio del 2023, è stata descritta dalla testata Primato Nazionale (organo stampa di Casapound) <<uno storico viaggio destinato a correggere scelte, errori ed equilibri messi in forte crisi dai precedenti governi>> ribadendo <<la totale lealtà e amicizia verso la Nazione siriana>>.



Otto persone con una bandiera italiana e un'altra di Casapound (logo con la tartaruga) in un paesaggio desertico. Sullo sfondo un antico edificio con una gigantografia di Assad e una bandiera siriana.
Delegazione di Casapound in Siria nel 2018


La campagna di sostegno al regime, i legami con associazioni cristiane e con ONLUS (come “Fondazione SOS Cristiani d'Oriente” e “Sol. Id.”) orbitanti nella galassia dell’estrema destra europea (o emanazioni di questa) sono ampiamente documentati dalle stesse organizzazioni neo-fasciste (o post-fasciste che dirsi voglia), e sono state approfondite nel corso degli anni da diverse inchieste giornalistiche. Segnaliamo nei seguenti link un articolo di Gennaio del 2018 ripreso da un sito di un anonimo anarchico, una de “L’Espresso” del 2018 ripresa dalla testata “Il Bolscevico”, una sempre de “L’Espresso” risalente al 2017 e un’altra del 2020 (quest’ultima realizzata insieme a Bellingcat, Mediapart e Al-Jumhurya).




A sinistra alcuni simboli e scritte nazionalisti italiani e siriani. A destra un immagine dell'ultima trasferta di Casapound. Al centro si intravede il leader di Casapound Iannone.
La pagina Facebook del "Comitato Italia Siria". A destra le foto dell'ultima delegazione partita dall'Italia. Al centro si nota Gianluca Iannone, leader di Casapound


Assad ha goduto del sostegno anche dell’estrema destra al governo. Salvini nel 2015 chiedeva di revocare le sanzioni contro il regime siriano e la Russia. <<Preferisco Assad all’ISIS>>, diceva l’attuale ministro agitando lo spettro di attentati compiuti da migranti inviati dall’ISIS in Europa con i <<barconi>>, mentre i miliziani dello stato islamico facevano il percorso inverso con l’appoggio di apparati occidentali (appoggio innegabile per lo meno nella fase finale del viaggio, come abbiamo detto richiamando la famosa “autostrada della jihad”).

Anche Giorgia Meloni spalleggia da tempo Assad. Sempre nel 2015 sosteneva tutti i <<governi legittimi in Siria, in Libia, in Iraq: bisogna sostenerli con tutti gli strumenti di cui dispone la comunità internazionale per sconfiggere l’ISIS>>, oltre che per la scellerata politica di bloccare i flussi migratori accordandosi con tiranni vari e dittatori. <<Abbiamo pensato che in Medio Oriente o Nord Africa potevamo combattere dei, dei... dei dittatori o delle democrazie imperfette per ritrovare la democrazia. Come risultato ci siamo trovati l’ISIS>>. Il governo post-fascista a Luglio 2024 era stato l’unico del G7 a riaprire l’ambasciata a Damasco. Due giorni dopo l’inizio dell’offensiva dell’opposizione siriana gli apparati di sicurezza italiani comunicavano telefonicamente agli omologhi siriani il proprio supporto (come emerge da un documento diffuso da “Independent Arabia”, che fa parte del gruppo dell’editore-magnate Murdoch ed è legato all’Arabia Saudita). Dopo la conquista di Damasco la questione viene dibattuta in parlamento. Meloni argomenta che <<a proposito della capacità della nostra intelligence di interloquire con chiunque, chiaramente per difendere e tutelare l’interesse nazionale, penso che significa qualcosa se, in una nota a firma di uno dei leader della rivolta contro il presidente Assad, l’Italia è il solo stato occidentale che viene espressamente menzionato positivamente per la ripresa dell’attività diplomatica a Damasco, unitamente a una serie di Pesi del Golfo. Il che, in teoria, dovrebbe confermare che non c’è stato, da parte dei nostri servizi di intelligence e nemmeno tramite il nostro governo, nessun appoggio al precedente regime siriano>>. La Meloni ha detto “in teoria”, perché in pratica l’appoggio c’è stato anche solo riaprendo l’ambasciata in Siria, nonostante si affermi che sia stato fatto per difendere il patriottico interesse nazionale.



SPUNTI DI RICERCA, DI LOTTA E PUNTI INTERROGATIVI

Ci avviamo alla conclusione con una serie di considerazioni per l* attivist* di tutt* il globo e vari punti interrogativi, non avendo verità in tasca ma tanti spunti di ricerca, di studio e di lotta.

Bisognerà capire se il disimpegno della Russia è dovuto al volersi concentrare sul fronte ucraino, e se è stato concordato con altri attori regionali, in particolare con la Turchia. Tra Israele e Russia, e forse anche tra Netanyahu e Assad, abbiamo visto che ci sono stati dei contatti... L’allontanamento dalla Siria potrebbe voler dire che la Russia è più debole di quanto sembri (non così tanto debole di quando veniva detto che stava per crollare e che bastava mandare solo qualche arma in più all’Ucraina per vincere la guerra per procura sul suolo europeo). Intanto si prospetta un possibile trasferimento di basi e contingenti russi nella parte di Libia controllata dal generale Haftar o in Sudan. Un trasferimento che potrebbe essere solo parziale. Mentre la Russia preannuncia pubblicamente possibili attacchi USA alle sue basi siriane, dietro le quinte potrebbe aver usato come moneta di scambio un suo ritiro parziale dalla Siria e la caduta di Assad. Detta brutalmente: Putin avrebbe “venduto” o sacrificato Assad per accordarsi con l’Occidente. Un accordo sottobanco con le forze NATO prevedrebbe sia di mantenere una sua parziale presenza in Siria che una fine del conflitto in Ucraina (paese che dovremo ricostruire con i nostri euro, dopo aver finanziato la guerra della NATO con la Russia, iniziata nel lontano 2014 e non con l'invasione russa del 2022). Vanno poi considerati vari tipi di affari economici e finanziari: il flusso di gas russo, gli accessi sul Mediterraneo per le merci provenienti dall’Asia (la cosiddetta “Nuova Via della Seta”) e i debiti che gli USA hanno verso l’estero.

Ci sarà anche bisogno di capire nei prossimi giorni -o nei prossimi anni per gli storici- se la tregua farlocca e straviolata in Libano è collegata a qualche accordo per la caduta di Assad. Forse Hezbollah voleva concentrarsi maggiormente proprio sul fronte siriano, mentre Israele non è ancora riuscita a sconfiggere la guerriglia a Gaza e cercava un maggiore disimpegno con le forze sciite libanesi. In futuro, forse, si riuscirà a capire anche fino a che punto l’aviazione russa non ha ostacolato i bombardamenti aerei israeliani, che hanno supportato l’avanzata ribelle (vale a dire la già citata questione dell'ipotetico prezzo per la “vendita” di Assad da parte di Putin).

Cogliamo l’occasione per parlare del cosiddetto “Asse della resistenza” (e cioè due paesi, Siria e Iran, e varie milizie sciite nell’orbita iraniana). Ci sono dei “piccolissimi” particolari che sfuggono ai più in alcuni circuiti della sinistra. Persone e orientamenti che, in nome di una predeterminata ortodossia marxista, sorrette da uno spirito guerresco da poltrona e da un pragmatismo tragicomico, pensano che la riscossa anti-imperialista e la resistenza debbano essere condotte da dittatori. Le implicazioni etico-politiche di questo pragmatismo troppo spinto sono svariate. A titolo esemplificativo basta pensare al noto slogan scandito nelle piazze iraniane e di tutto il Mondo: “Donna, vita, libertà”. Questo motto viene dalla resistenza delle donne curde, come curdo-iraniana era Mahsa Amini, la giovane pestata a sangue dalla polizia morale del regime degli Ayatollah. Comunque, mettendo da parte altre insfuggibili implicazioni etico-politiche del riporre fiducia in tiranni vari, si può pensare che Hezbollah avrebbe potuto impiegare uomini e armi per difendere con più efficacia Gaza e il Libano dalla furia vendicativa del sedicente stato ebraico. Si è puntato, al più, a difenderli indirettamente rinforzando il perno siriano dello scricchiolante asse. Asse sorretto da una teocrazia che si estende su un pezzo, comunque vasto e popoloso, di un ex-impero. Insomma, secondo chi scrive l’Iran fa tutt’altro che guidare la riscossa anti-imperialista globale, e senza l’alleato siriano sarà più difficile far arrivare armi a Hezbollah (quelle impiegate in Palestina e a Gaza sono, presumibilmente, in larghissima parte autoprodotte, oltre a essere molto meno potenti di quelle in uso alle milizie sciite). È più credibile pensare che l’Iran aspiri invece a ristabilire quello che fu l’impero persiano, mentre la “difesa” della causa palestinese si riduce alle forniture di armamenti ad alcune delle varie milizie nell’area. Supporto fornito da differenti fazioni del regime degli ayatollah in competizione tra loro. Assad era l’unico perno dell’“asse della repressione” dell’Asia-Occidentale che, per scelta strategica e/o per scarsa forza politica-militare, non ha praticamente mosso un dito per il popolo palestinese ma, anzi, ha addirittura represso duramente alcuni palestinesi in Siria. Sempre lo stesso Assad sembrava quasi volersi accordare per uno sconfinamento della Turchia nel suo territorio, la creazione di una “zona cuscinetto” che avrebbe significato (e forse significherà con il nuovo governo) la distruzione della DAANES (vale a dire la questione delle "proposte che non poteva rifiutare"). Facciamo notare, inoltre, che anche la guerra civile in Yemen viene considerata una guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita, e quindi tra Iran e Stati Uniti.

Infine dobbiamo ricordare, come facciamo da tempo, che le ragioni principali di tutte le guerre in corso nel Mondo sono strettamente legate all’attuale sistema socio-economico capitalista e, nello specifico, al cosiddetto “friendshoring”. In poche parole gli USA hanno molti debiti verso paesi come la Cina. Per questo alzano barriere protezionistiche e fanno affari solo con gli “amici”, mandando al diavolo la tanto enfatizzata globalizzazione e, in ultima istanza, facendo alzare le tensioni militari. Oltre ad accaparrarsi preziose risorse materiali, l’oneroso blocco iper-liberista occidentale potrà tagliare fuori da un accesso al Mediterraneo e dagli affari per la ricostruzione di una Siria dilaniata dalla guerra civile, il più economicamente vantaggioso blocco guidato dal capitalismo di stato cinese, gestendo direttamente la nuova finanza siriana. E, intanto, gli arsenali di armi svuotati dovranno essere nuovamente riempiti.



LA SIRIA POTREBBE DIVENTARE “L’ENNESIMO” AFGHANISTAN, UN ALTO IRAQ O LA NUOVA LIBIA: STA A NOI IMPEGNARCI PER DIROTTARE IL FUNESTO CORSO DELLA STORIA

Noi occidentali aiutiamo i popoli che vogliono liberarsi dai dittatori solo quando, e per quanto ci conviene. Poi, dopo aver seminato terrore e sterminio, li abbandoniamo: lo abbiamo fatto in Iraq, in Afghanistan, in Libia, potremmo continuare a farlo in Siria e in Kurdistan, mentre della dittatura militare formalmente attiva a partire almeno dal 1967 in Palestina non ci importa nulla. Che crepino pure, tanto sono tutti terroristi, bambini nelle incubatrici inclusi... Parliamo di esportare democrazia e libertà ma quello che ci interessa è solo “importare” o, per meglio dire, rubare petrolio e altre ricchezze, insieme alle varie speculazioni legate alla ricostruzione di guerre che abbiamo provocato, dopo aver guadagnato con il commercio diarmi.

Il pericolo è che la Siria continui a essere caratterizzata da un’ulteriore frammentazione, oltre all’emergere di idee e organizzazioni sempre più radicali per tenere testa ai vari terrorismi di stato. Qualcuno guadagnerà da questa “balcanizzazione”, seguendo la regola del “dividi e comanda” e governando una stabilizzazione dell’instabilità.

Israele farà i “nostri” sporchi e insanguinati interessi insieme all’altro potente vassallo ufficiale NATO, la Turchia, proiettando le braccia dell’alleanza atlantica fino all’Afghanistan, intanto che i motori della macchina della guerra si scaldano per un possibile confronto con la Cina.

Nei prossimi mesi, forse, avremo un quadro più chiaro sugli svariati eventi qui riportati e riusciremo a comprendere qualcosa in più sulle intenzioni di chi governa le masse. Si invita chi sta leggendo queste righe da un tempo più distante dell’immediata pubblicazione a fare commenti su previsioni non realizzate o non immaginate, confidando nel fatto che avete comunque trovato utile leggere questo lunghissimo articolo. L’intento principale di un giornalismo che si sforza di essere tanto obiettivo quanto militante non è fare previsioni esatte, ma impedire che quelle peggiori si realizzino. Per questo, vivendo nell’epoca dell’anarco-capitalismo sfrenato, concentrarsi sulle ragioni “materialiste”, economiche e finanziarie della guerra potrebbe essere un inizio per immaginare e realizzare una società migliore.


Paolo Maria Addabbo



Essendo gli eventi qui trattati soggetti a rapide evoluzioni, pubblicheremo aggiornamenti ed eventuali correzioni o precisazioni in questo post o tra le pagine a schermo de “La Fanzina Generalista”. Se siet* arrivat* fin qui, oltre a ringraziarvi, vi chiediamo di seguirci sui “social asociali”. Oppure, se li boicottate o non li usate, connettetevi con noi tramite il “Fediverso”, la principale alternativa ai social mainstream, decentreta e autogestita (con tutte le meraviglie e le dannazioni dell’autogestione!). I link si trovano qui sotto, insieme a quelli per fare un’offerta libera, anche zero euro. Sostenete la stampa indipendente donandoci un po’ del vostro tempo e/o anche solo l’equivalente di un caffè decafeinatto. Le dinamiche algoritmiche e di mercato rappresentano delle forme di censura, per cui anche un “follow” o un “mi piace” su un social mainstream potrebbero essere utili! Ancora più importante è cercare di stimolare dibattiti e ricevere pareri, soprattutto quelli critici, quelli che fanno sorgere dubbi oltre che ricercare certezze: potete usare il modulo dei commenti qui sotto, anche se idealmente sarebbe meglio parlarne di persona… Potete usare i commenti anche per fare domande su qualcosa che non vi sembra chiaro. Ovviamente potete scriverci anche via mail. Non accettiamo piccioni viaggiatori perché siamo contro lo sfruttamento degli esseri senzienti (come abbiamo scritto in questo post antispecista citando proprio Ocalan). Grazie ancora!


ultimo aggiornamento 02/01/2025 17:31

6 commenti:

  1. A Israele fa più comodo una Siria nel caos che una democratica, veramente solidale con la Palestina, non come il cosiddetto "asse della resistenza"

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  2. Molti parlano di trionfo della rivoluzione siriana. L'unico trionfo è quello delle forze conservatrici arabe e di tutte la altre forze imperialiste!

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  3. Condivido in gran parte l'analisi di questo articolo e leggo con interesse gli articoli che avete pubblicato su Kurdistan e Rojava. Devo dire che non sono molto d'accordo sul ruolo di Erdogan. Ricordo che in un altro articolo parlavate della possibilità che si sia fatto da solo il golpe del 2016, una delle tante voci che girano. Secondo me Erdogan non è proprio un "vassallo della Nato". Anche la questione del golpe è controversa. Forse gli americani hanno provato a rovesciarlo fomentando il golpe proprio perché è un membro opportunista della NATO. Voi avete parlato della questione degli S400 dalla Russia, cosa che dimostra che è un bravo equilibrista. Non so se ho reso l'idea.

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  4. Complimenti un grandissimo sudio storico-giornalistico fiume...eccezionale per la tanta forza e capacità narrativa e di ricerca...unica e quindi preziosa per la cronaca e la storia futura. Augurissimi

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  5. Lo Skietto di Fanrivista5 gennaio 2025 alle ore 20:07

    Salve a tuttə, sono Lo Skietto della Redazione. Un ringraziamento speciale per tutti gli spunti di riflessione offerti in questi commenti, in particolare per quelli sul ruolo di Erdogan nella NATO. Interagire con chi ci legge è una delle più grandi soddisfazioni professionali! Le riflessioni, soprattutto quelle critiche e che stimolano dubbi, sono importantissime: le intenzioni dei singoli e delle potenze che ci governano possono essere comprese solo con uno sforzo collettivo! Grazie ancora!

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  6. Assad ha favorito ISIS come pretesto per continuare a massacrare e rimanere al potere

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