31.12.22

TURCHIA RITIRA TRUPPE DAL NORD DELLA SIRIA

IL RITIRO AVVIENE DOPO UN VERTICE DEI DUE PAESI A MOSCA, AVVERSARI NELLA CAOTICA CORNICE DELLA GUERRA CIVILE SIRIANA: L’AVVICINAMENTO DEI DUE REGIMI PONE UN SERIO RISCHIO PER IL ROJAVA




POSSIBILE RIAVVICINAMENTO DI TURCHIA E SIRIA SULLA PELLE DEI CURDI E DEGLI ALTRI POPOLI DEL ROJAVA

I rapporti tra il regime di Damasco e quello turco si sono incrinati quando allo scoppiare della guerra civile siriana la Turchia ha cominciato a sostenere le forze ribelli. Dopo più di 10 anni le delegazioni dei due paesi e della Russia, formate dai rispettivi ministri della difesa e dirigenti dell’intelligence, si sono incontrate a Mosca tre giorni fa: Erdogan aveva già inviato segnali di apertura chiedendo a Putin di incontrare direttamente Assad.

Come riportano numerose fonti di stampa internazionali e italiane, a seguito dell’incontro, la Turchia ha deciso di rispettare la sovranità della Siria e dei suoi confini (ricordiamo che la Siria non riconosce l’Amministrazione -de facto- Auntonoma del Nord Est della Siria, nota come Rojava o Kurdistan occidentale, riconosciuta invece soltanto dal parlamento catalano): per questo ha annunciato il ritiro delle sue truppe dall’area settentrionale del paese, ma forse è troppo presto perché i popoli del Rojava possano cantare vittoria, ma anzi: i due paesi hanno affermato che PKK ed alleati costituiscono una grave minaccia per entrambi.

LE VIOLAZIONI DI TURCHIA E ISIS IN ROJAVA

DALL'OPERAZIONE SPADA AD ARTIGLIO ALL'ATTENTATO DI PARIGI: L'ANNUS HORRIBILIS NEL ROJAVA

Finisce l’anno ma non si fermano gli attacchi all’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria da parte dell’esercito turco e dalle formazioni jihadiste, mentre continua la repressione dei curdi in Turchia dopo il vile attentato di Parigi, a distanza di 10 anni dalle altre tre esecuzioni nella capitale francese. Il bilancio di un 2022 di sofferenza nei dati diffusi dalle FDS.

 

Foto de "Lo Skietto" di una manifestazione a Napoli di alcuni giorni fa in solidarietà con le popolazioni del Rojava


 

L’OPERAZIONE SPADA AD ARTIGLIO ALLA FINE DEL 2022

Il 13 Novembre una bomba scoppiava nel centro di Istanbul: il sultano Erdogan puntava il dito contro le forze curde-turche del PKK e quelle siriane delle YPG/YPJ che hanno sempre negato ogni addebito: le Forze Democratiche Siriane (abbreviate in FDS, sono la formazione militare che difende l’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria) hanno anche segnalato che l’attentatrice, catturata con un’inchiesta “lampo” e sbattuta prontamente sulle prime pagine dei giornali di regime, sarebbe legata all’Esercito Libero Siriano, formazione che combatte il regime di Assad e spalleggiata dalla Turchia nella guerra civile iniziata nel 2011. Come da “copione” di una logica della “strategia della tensione la Turchia ha sfruttato l’occasione come pretesto per intensificare gli attacchi al Rojava, isolato da un embargo mediatico della stampa internazionalecon l’ultima operazione denominata “Spada ad Artiglio”, mentre il potenziale coinvolgimento di un politico del partito ultranazionalista dei “lupi grigi” (alleato dell’AKP di Erdogan) passava in sordina e non conquistava “gli onori delle cronache”, riservati invece alla presunta attentatrice.

Gli attacchi dello stato turco, dei miliziani dell’ISIS e della più vasta area jihadista (foraggiati dal regime della Sublime Porta secondo i vertici delle FDS) continuano in queste ore, ma potremmo dire che sono continuati negli ultimi anni, dopo che le milizie curde insieme ad altre popolazioni si sono “ritagliate” uno spazio nel Nord-Est della Siria grazie al sacrificio di tante e tanti martiri nella lotta contro il sedicente stato islamico, nella caotica cornice della guerra civile siriana: tre giorni fa le FDS, hanno diffuso un resoconto intitolato “Report annuale del risultato delle violazioni dell’occupazione turca e dei mercenari dell’ISIS contro il Nord e l’Est della Siria”.

 

2022: IL BILANCIO DI UN ANNO SANGUINOSO IN ROJAVA

L’anno che volge al termine, secondo il documento, è stato <<il più  sanguinoso e dannoso sia materialmente che fisicamente per la popolazione dall’invasione dell’Ottobre 2019 delle regioni di Tal Abyad e Serêkaniyê / Ras al-Ain>>, con attacchi deliberati alla popolazione e alle infrastrutture civili <<inclusi anziani, donne e bambini, costringendoli a lasciare le loro case, cosa che è considerata un crimine contro l’umanità e che è provata in maniera chiara ed esplicita da evidenze e documenti incontestabili>> tramite l'uso di aerei militari, droni, altri velivoli comandati a distanza, carri armati e colpi d’artiglieria.

Oltre a ciò si denuncia anche l’infiltrazione di <<agenti e spie per colpire la stabilità e la sicurezza seminando zizzania tra la popolazione. Le nostre forze hanno arrestato dozzine di agenti mercenari e smantellato reti criminali, incluse quelle dedite al traffico di stupefacenti>>.

30.12.22

SVEZIA E FINLANDIA NELLA NATO: VIA LIBERA DALLA TURCHIA?!

COSA VUOLE DAVVERO LA TURCHIA?!
Sintetizziamo e continuiamo a seguire la vicenda delle estradizioni imposte come veto per entrare nella NATO a Svezia e Finlandia dalla Turchia: cosa vuole davvero il “Sultano” Erdogan?!

 

Nello "screenshot" in foto si notano alcuni articoli, che escono nei primi risultati dei motori di ricerca, in cui si afferma un "frettoloso", presunto ed "errato" "via libera" della Turchia all'ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO: in questi giorni, dopo l'ennesima estradizione negata (ma almeno un'altra è stata concessa) il ministro degli esteri turco ha detto che <<non siamo nemmeno a metà strada>> dal "via libera" annunciato. Forse Erdogan punta ad altro, come spieghiamo nell'articolo che segue.



Negli scorsi mesi abbiamo iniziato un “format” di notizie dal titolo “Come va a finire?!”, con l’intento di seguire degli avvenimenti di cronaca “fino alla fine”: troppo spesso i media trattano di alcuni eventi solo quando questi sono più facili “da coprire”, quando si vuole “arruffianare” e “direzionare” l’opinione pubblica, quando si vogliono assecondare le voglie di un# potente di turno, quando si pensa di “vendere” più copie o spazi pubblicitari, magari con pronostici fatti con troppa fretta e con errate semplificazioni (come mettiamo in risalto nella foto “meta-mediatica” di questo articolo: si notano alcuni titoli che sanciscono “un via libera” della Turchia all’entrata di Svezia e Finlandia nella NATO, circostanza che ancora non si è verificata e dalle implicazioni più articolate)… Poi quelle stesse notizie finiscono nel dimenticatoio, nell’inconscio mediale collettivo, soppiantate da nuovi contenuti da “consumare” in maniera vorace e senza troppi sforzi cognitivi e intellettuali!

Fatta questa premessa entriamo subito nel merito: la prima vicenda che abbiamo cominciato a seguire, chiedendoci per l’appunto “Come andrà a finire?!”, è strettamente legata alla causa curda e all’invasione russa dell’Ucraina.

 

DAL MEMORANDUM DI MADRID ALL’ULTIMA ESTRADIZIONE NEGATA DALLA SVEZIA

Svezia e Finlandia, dopo l’aggravarsi del conflitto ucraino (che è iniziato nel 2014, è doverso ricordalo!), hanno richiesto di entrare nella NATO. Bisognerebbe porsi tutta una seria di domande su come garantire la pace nel Mondo, su come dovrebbe comportarsi chi non sta “né con Putin né con la NATO”, ma per ovvie ragioni di sinteticità e pertinenza le rimandiamo a futuri articoli (o anche nei commenti qui sotto, sui social e potenzialmente ovunque la “proto”-Redazione di Fanrivista può rispondere).

La procedura dell'entrata di un nuovo paese deve essere ratificata dai vari stati membri dell’alleanza, e sta avvenendo comunque in “tempi” record in confronto con le precedenti. All’appello mancano solo Ungheria e Turchia. Il paese della Sublime Porta ha però imposto un veto: vuole la consegna, da parte di Finlandia e Svezia, di quelli che considera “terroristi” ma che, nelle democrazie europee e occidentali in cui viviamo si chiamano “dissidenti”  (e si badi bene che, secondo chi scrive, anche in base al diritto internazionale, se pure quelle persone fossero davvero dei “terroristi” sarebbe comunque ingiusto consegnarle a un paese che potrà torturarle e riservare loro un trattamento detentivo che viola i diritti umani).

A un incontro diplomatico della NATO che si è tenuto a Madrid, lo scorso Giugno, viene siglato un “memorandum” trilaterale in cui i tre paesi si impegnano a perseguire il terrorismo e a considerare alcune organizzazioni come terroriste: si deve sottolineare che solamente il PKK, tra quelle menzionate nel documento, è considerata tale dagli USA e dall’UE (sull’argomento ci ritorniamo meglio su tra poche righe), mentre le YPG/YPJ sono anche alleate del contingente internazionale a guida USA nella lotta contro l’ISIS. Oltre alle organizzazioni curde “di sinistra” figurano anche gli esponenti di quella che la Turchia definisce “FETO”, acronimo dell’ “Organizzazione del Terrore Gulenista”: si tratta di un movimento islamico nazionalista “governato” da un ex-amico del “Sultano” Erdogan, l’“Imam” Fethullah Gulen, ritenuto dal primo l’organizzatore del fallito golpe del 2016 (mentre altri ritengono che il golpe Erdogan se lo sia fatto da solo. Altri ancora credono che “il Maestro” Gulen abbia contrastato le trattative di pace, svolte a partire dal 2012, tra Erdogan e il PKK per motivi che grossolanamente potrebbero essere sintetizzati dal detto “non si tratta con i terroristi!”).

25.12.22

LA COMUNITÀ IRANIANA IN PIAZZA (DANTE E NEL MONDO)

FUORI LA REPUBBLICA ISLAMICA DALL’ITALIA!




LA MORTE DI MAHSA E LE MINACCE AI MANIFESTANTI FUORI DAI CONFINI DELLA REPUBBLICA ISLAMICA

Lo scorso 16 Settembre Mahsa Amini, 22enne curda e iraniana, veniva arrestata a Teheran, colpevole di non aver indossato correttamente il velo, mentre era in vacanza con la sua famiglia: viene comunicato loro che la punizione della giovane consisterà nel seguire un corso sul corretto uso dell’hijab. Viene poi condotta in una stazione di polizia ma da lì non uscirà più cosciente: le ferite sul suo corpo e alcune testimonianze provano che è stata picchiata. La giovane morirà dopo un paio di giorni in coma in un ospedale.

24.12.22

ATTENTATO AL CENTRO CURDO “AHMET KAYA” DI PARIGI

I PRECEDENTI DELL’ATTENTATORE, I SOSPETTI SUL MOVENTE E IL PROIBIZIONISMO SULLE ARMI

 

Una foto del centro curdo dedicato all'artista Ahmet Kaya, dove è avvenuto il codardo gesto. La foto è tratta dal profilo Facebook dell'associazione

 

LUOGO E DINAMICA DELL’ATTACCO

Il 23 Dicembre, poco prima di mezzogiorno, un uomo di quasi 70 anni ha aperto il fuoco in rue d’Enghien, nella decima circoscrizione di Parigi: il centro culturale dedicato al cantante Ahmet Kaya è considerato un’ambasciata “informale”, dato che il popolo curdo è il più numeroso al Mondo senza una nazione “ufficiale”, e dove si tengono diverse attività tra cui il supporto per le pratiche burocratiche di chi migra.

Diversi colpi di pistola sono stati esplosi uccidendo un’attivista, un cantante (anche la persona a cui è intitolato il centro lo era) e un altro attivista e rifugiato che si trovavano nel centro. Una delle vittime ha provato a rifugiarsi, invano, in un ristorante di fronte. Almeno quattro sono i feriti gravi. Per fortuna alcuni astanti in un parrucchiere, dove sarebbero stati esplosi altri colpi, sono riusciti a disarmarlo: l’esito  poteva essere ancora più tragico dato che era in possesso di altre munizioni calibro 45 custodite in una valigia. Pare che la Colt 1911 usata, dall’aspetto consumato,  provenga da un poligono di tiro.

In queste ore continuano le manifestazioni di protesta e gli scontri con la polizia a Parigi e Marsiglia, iniziate dopo che le forze dell’ordine hanno bloccato l’accesso alla zona durante la contestuale visita del ministro Gérald Darmanin: nelle immagini diffuse si notano diversi appartenenti al servizio d’ordine “interno” alle manifestazioni che cercano di placare gli animi. Alcuni agenti di polizia risultano feriti. L’istanza dei manifestanti è quella della mancata, o perlomeno insufficiente, difesa della comunità curda: in questi giorni continua l’attacco turco alla regione del Nord-Est della Siria (nota come Rojava), insieme al contestuale embargo mediatico” sulla vicenda e agli attacchi interni alla Turchia contro gli oppositori in preparazione per le prossime elezioni




 

L’IDENTITÀ  DELL’ATTENTATORE E I PRECEDENTI PER VIOLENZE A SFONDO RAZZISTA

All’interrogatorio l’attentatore, William Malet, avrebbe dichiarato di essere razzista e di odiare i curdi, e per questo avrebbe perpetrato il vile atto. Stando a quanto riportano le cronache già nel 2016 l’uomo si ribellò a un furto colpendo il ladro con un martello. Quel processo pare che si sia "arenato", ma l’8 Dicembre del 2021 aveva messo a segno un altro attacco contro un campo-tendopoli per migranti a Bercy, ferendo almeno due persone gravemente con una sciabola e lacerando alcune delle circa venti tende, popolate principalmente da rifugiati africani che non sono riusciti a procurarsi un alloggio.

Una delle vittime di quel precedente attacco, ferita con la spada alla schiena e alla gamba e di nome Osman, ha espresso una timorosa sorpresa nel rivederlo sui media: <<come è possibile che sia fuori?! Se lo avessi saputo avrei avuto paura di ritorsioni>> ha dichiarato in un’intervista.

23.12.22

L’EDITORIA ANARCHICA E LIBERTARIA IN ITALIA

DAGLI ANARCO-CAPITALISTI ALL’UTOPIA LIBERTARIA E DEMOCRATICA

Per la rubrica Esami Infiniti pubblichiamo la parte conclusiva di una tesi dedicata all’editoria anarchica e libertaria in Italia, intitolata per l’appunto: “L’editoria libertaria italiana: dalla frammentazione della galassia anarchica all’omologazione insurrezionale”.



Nella prima parte di questo quinto capitolo si parla di quello che molti (incluso chi scrive) considerano un “corpo esterno” nel mondo libertario: ci riferiamo agli pseudo-libertari definibili “anarchici di destra” (anarco-capitalisti, libertariani, anarco-fascisti) italiani; nel paragrafo successivo si trova una stringata rassegna di produzioni mediali –diverse da quelle “a stampa” cartacee e digitali- concernenti l’anarchismo italiano, oltre a un cenno brevissimo al mondo dei “fediversi”, sicuramente più decentrati (se non anche libertari) dei principali social-network; nel terzo è ultimo paragrafo si trovano delle considerazioni personali sulla “continuità” tra democrazia in senso lato (e pure in senso “liberale” più ristretto) e anarchismo, espresse seguendo la logica che è anche parte della linea editoriale di FanRivista, che prevede il manifestare le convinzioni di chi scrive e così facendo (e cioè "schierandosi") anelare all’obiettività essendo più “trasparenti” verso chi legge.

 

NELLE PRECEDENTI “PUNTATE”, OSSIA NEI QUATTRO CAPITOLI PRECEDENTI DELLA TESI, SI ERA PARLATO DI:

1) Anarchismo, terrorismo e storia del movimento anarchico in Italia, connessa a quella "mediatica"

2) Case editrici “libertarianeggianti” più tradizionali e più informali

3) Periodici, aperiodici storici e “zine” contemporanee (in questo capitolo abbiamo parlato anche di Sacco e Vanzetti, a cui abbiamo dedicato anche un ricordo “non agiografico” nell’anniversario della loro barbara esecuzione)

4) Piattaforme online e siti libertari autogestiti. Il capitolo è corredato da una sitografia che, per ovvie ragioni, non è esaustiva e potenzialmente aggiornabile ma che può rappresentare un punto di partenza per chi volesse cominciare a “mappare” le produzioni online anarchicheggianti, in continuità cronologica e storiografica con un “lavoraccio” affine iniziato da Leonardo Bettini, che censì svariati periodici e numeri unici (di questo lavoro se ne parla ovviamente nel capitolo precedente).

5) Conclusione
5.1) Il partito dei Radicali e la “vera destra” libertariana

In questa tesi si è fatto riferimento, partendo dalle tripartizioni proposte da Sacchetti, a un’ipotetica “sinistra” e alla rispettiva “destra culturale” del movimento anarchico. In realtà esistono dei libertari che si definiscono “di destra” nel senso propriamente detto, da quelli che credono in un mercato assolutamente libero che si regola da sé e che la totale deregulation sia in grado di normare anche i rapporti tra gli individui, fino a chi si dichiara anarco-fascista o anarco-nazionalista[1]. Come si sarà notato leggendo la parte di questa tesi dedicata al web, il resto del movimento anarchico tendenzialmente non considera tali i libertari “di destra”, definendoli “pseudo-anarchici”. Comunque, prima di avviarmi alla conclusione di questo elaborato che si sforza di descrivere e mappare tutte le componenti editoriali libertarie e anarchiche (componenti anche “ipotetiche” dal punto di vista teorico secondo alcuni), ho ritenuto necessario menzionarli.

Espressioni editoriali della corrente “anarco-capitalista” sono le case editrici “Liberilibri” (maceratese e guidata da Aldo Canovari e Carlo Cingolani) e “Leonado Facco Editore” (ex leghista, fondatore delle riviste “Il Miglio Verde” ed “Enclave” e del “Movimento Libertario”). La rivista “capostipite” del movimento in Italia è stata “Claustrofobia”, pubblicata tra il 1978 e il 1979.

Un altro soggetto politico considerato “sedicente libertario”[2] è il Partito Radicale, che avrebbe anche <<sdoganato, nel linguaggio comune della politica, il termine “libertario”>>[3]. Oltre alla nota “Radio radicale” è da ricordare anche la vicenda di “Stampa Alternativa” di Marcello Baraghini, noto soprattutto per il fenomeno editoriale dei “Millelire”[4].

5.2) Dagli archivi a “Mastodon” passando per documentari e fogli volanti

18.12.22

UN CORTEO-RAVE

STREET PARADE: SMASH REPRESSION





In diverse città italiane si è tenuto ieri un evento dal titolo “Smash Repression”: anche a Napoli diversi collettivi di collettività hanno organizzato un corteo-rave, raggruppati in una decina di furgoni, camion e rispettivi spezzoni, con diversi generi di musica: migliaia di persone (secondo le stime apparse sulla stampa oscillerebbero tra le mille e le cinquemila) accompagnate dalle note musicali che vanno dalla dub alla techno passando per la drum and bass hanno sfilato e ballato per il centro di Napoli contro l’obbrobrio giuridico noto come “decreto anti-rave” per l’“emergenza” del party di Modena, “risolta” tra l’altro con la legislazione vigente...


L’appuntamento era alle 3 del pomeriggio di ieri in Piazza Dante, ma con i nostri scarsi mezzi siamo riuscit' a mandare lì solo il nostro Inviato Banale, giunto in piazza del Plebiscito intorno alle ore 21: ha fatto qualche pessimo video e scarne foto e non ha scritto nemmeno una riga, ma si è divertito a ballare e a osservare la fiumana festante... Riportiamo allora il comunicato diffuso negli scorsi giorni dalle collettività partenopee aderenti all’iniziativa, che riteniamo esaustivo. Grazie a tutt’, è stato bellissimo –e a tratti festosamente “straniante”- vedere un rave-party itinerante e l’energia della gente che danzava contro l’omologazione e in opposizione a un concetto di “decoro” conservatore: riappropriamoci della socialità libera (e gratis), della musica (soprattutto al di fuori di locali e discoteche costosi) e della “festa” in senso lato!

 


 


COMUNICATO DI LANCIO STREET PARADE SABATO 17 DICEMBRE

Dopo due anni di pandemia e una gestione sociale e sanitaria disastrosa; dopo una guerra ancora in corso che vede tutti i governi sposare posizioni sempre più guerrafondaie e autoritarie; dopo i diritti e le garanzie sociali che vengono a mancare sempre di più, ci troviamo in un momento storico in cui l'interesse del neo governo insediato è incentrato sull'attacco a qualsiasi esperienza di autorganizzazione e socialità non conformi a interessi di consumo e profitto.

Infatti, con il nuovo decreto antirave, il 434-bis, attualmente in discussione alle camere, si criminalizzano i free party: caso eclatante il Witchtek di Modena, dato in pasto ai media tramite la solita disinformazione e sciacallaggio aggravata dalle dirette televisive presenti sul posto.

Non ci meraviglia questo attacco: i free party nascono come momenti di aggregazione e riappropriazione di spazi abbandonati da privati e istituzioni, delle vere e proprie cattedrali nel deserto, ecomostri che hanno esaurito la loro funzione di profitto a vantaggio di pochi.

16.12.22

SCRIVIAMO QUELLO CHE NON VORREMMO LEGGERE!

Partendo da un aforisma sul giornalismo (e dalle sue “varianti”) arriviamo a riflettere sui “massimi sistemi” della comunicazione e sul perché “scriviamo quello che non vorremmo leggere”!

 


<<La vera libertà di stampa è dire alle persone quello che non vorrebbero sentirsi dire>>

<<Giornalismo  è parlare di qualcosa che qualcuno non vuole sia scritto. Il resto è fare pubbliche relazioni>>

<<Dire una verità che qualcuno vuole non che sia pubblica è giornalismo, il resto è marketing>>

<<Le notizie sono cose che qualcuno non vuole siano pubblicate. Il resto è pubblicità>>

<<Qualunque cosa gli sponsor e la proprietà vogliono pubblicare è pubblicità, il resto sono notizie>>

<<Se qualcuno ti chiama dicendo che ha una storia da raccontare è pubblicità. Il resto è una notizia>>

<<Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che tu conosca. Il resto è propaganda>>


Per la rubrica “Valvola” pubblichiamo un commento di un aforisma e delle sue “varianti”, la cui attribuzione è incerta: la paternità della prima “versione” di questa “frase-concetto” (tra quelle scritte sopra) , viene fatta risalire da molti a George Orwell, così come le tre versioni successive che alcuni invece attribuiscono rispettivamente a Oscar Wilde, Alfred Harmsworth, William Randolph Earst, Katharine Graham e Harold Harmsworth . La quinta e la sesta sembrano essere anonime. Secondo altri queste attribuzioni sarebbero apocrife (e cioè ascritte agli autori menzionati in maniera errata) mentre la settima pare l’unica di attribuzione certa: l’autore è Horacio Verbitsky[1].

Nel titolo c’è la “rivisitazione” di queste massime pensata da Cronissa Nolletta, autrice di questo post, che la fa “propria” rileggendola e aggiungendo un’interpretazione meno immediata e diversa da quella che sarà già balzata alla vostra attenzione... Cominciamo, come di consueto tra le righe digitali di questa rubrica, a “svalvolare” facendo un po’ di filosofia e psicologia “spicciola”! E diciamo spicciola per il tono informale con cui l’affrontiamo ma, a nostra detta, profonda e intensa…

 

 

LA COMUNICAZIONE UMANA E IL COMPITO PIÙ IMPORTANTE DEL GIORNALISMO

La capacità di comunicare e di tramandare conoscenze è probabilmente quello che ci distingue di più dagli altri animali, nel bene e nel male! La nostra società, la tecnologia e la complessità delle nostre relazioni ci hanno fatto “avanzare” a tal punto che siamo “talmente intelligenti da essere stupidi/e”, talmente complicati/e e articolati/e da non riuscire più a essere compatibili con l’ambiente circostante, essendo l’unico animale che inquina e modifica il suo habitat con una tale incisività e consapevolezza (forse quest’ultima non è comunque sufficiente). Il giornalismo fa parte della dimensione comunicativa moderna: chiunque si occupa di informazione ha il compito di raccontare “le cose” che non sono “finzione” e non sono classificabili come “narrativa pura”, dopo averle “selezionate” tra una marea di vicende -in prima istanza- e sforzandosi di essere il più accurati/e e onesti/e possibile…

15.12.22

I CUCCIOLI DEL CALIFFATO

“I FIGLI DELL’ODIO”

I detenuti dell’ISIS, con mogli e figli al seguito, sono una “bomba a orologeria” non solo per le forze del Rojava, in Siria: l’“ordigno metaforico” con cui la Turchia cerca di destabilizzare l’area rappresenta un pericolo per il mondo intero, dato che nuove generazioni di estremisti islamici si “formano” in campi e strutture improvvisate di prigionia, vere e proprie “scuole di criminalità” islamica-radicale, dimenticate e abbandonate dalla comunità internazionale. Analisti, giornalisti e organizzazioni umanitarie denunciano da anni il fenomeno che, con l’operazione “Spada ad Artiglio” lanciata dal dittatore Erdogan, rischia di aggravarsi ulteriormente.

Nell'articolo che segue si trovano le denunce di diplomatici, giornalisti e ONG sulla questione, insieme a una serie di interviste riprese da diversi organi stampa.



Immagine tratta da un video di propaganda dell'ISIS, diffuso dalla PBS

Parliamo dei prigionieri dell’ISIS e in particolare dei “cuccioli del Califfato”: vengono chiamati così i figli dei miliziani del sedicente Stato islamico detenuti in diverse strutture tra la Siria e l’Iraq, e gestite insieme alla coalizione guidata dagli Stati Uniti rispettivamente dalle forze dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria (ossia quelle del Rojava, prevalentemente curde e ideologicamente vicine al PKK) e da quelle dei “peshmerga” del Governo Regionale del Kurdistan iracheno (governato dai clan delle famiglie Barzani e Talabani).




In totale, secondo il governo USA, i prigionieri “Daesh” sul suolo del nord-est della Siria rappresentano <<la più grande concentrazione, a livello globale di combattenti terroristi in una singola area>> e sono all’incirca quasi 70 mila, di cui 56 mila nel gigantesco campo di al-Hol. Di questi 10 mila sono di nazionalità diverse da quella siriana e irachena, e la maggioranza sono bambini con meno di 12 anni


Bambini addestrati dall'ISIS, sempre nello stesso video di propaganda

Nello stesso rapporto dell’antiterrorismo di un paio di mesi fa, trascrizione di un incontro tenutosi in Ungheria, si spiega come la strategia degli attacchi alle carceri per permettere l’evasione “paga” il terrorismo, e che <<l’unica soluzione durevole per la sfida che affrontiamo nel nord-est della Siria è che ogni paese rimpatri, riabiliti, reintegri e, nei casi appropriati, processi i suoi cittadini per i crimini commessi>>: tra questi paesi ci sono anche le democrazie occidentali, nazioni da cui in molti sono partiti per ingrossare le file del califfato. E sembra paradossale che quelle stesse nazioni “dimentichino” i “loro” terroristi, e lascino proliferare la minaccia fondamentalista, dopo anni di “crociate” contro l’eversione islamica e dopo maldestri tentativi di "esportare la democrazia". Oltre ai bambini si citano anche <<molte donne che sono vittime, non responsabili, delle atrocità da combattere per cui la nostra coalizione è stata formata. In una recente operazione ad al-Hol, per citare un esempio, sono state trovate quattro donne incatenate in un tunnel con segni di tortura>>, mentre altre <<potrebbero essere un problema per la sicurezza dei campi>>.

 


10.12.22

IL SUPPORTO ININTERROTTO DELLA TURCHIA ALL'ISIS

UNA MINACCIA PER IL MEDIO ORIENTE E IL MONDO INTERO

 

 

Un disegno di un "cucciolo del Califfato" che contiene la bandiera del sedicente stato islamico, armi e arti mutilati: i figli dei terroristi dell'ISIS sono sia vittime che potenziali carnefici della prossima generazione jihadista, soprattutto se la comunità internazionale li lascerà semplicemente a marcire in posti di certo non adatti a bambini. Il video da cui è tratto lo screenshot è quello citato di seguito.

Poche ore fa è stato pubblicato il video di un briefing online organizzato dal Dipartimento dell’informazione e documentazione delle YPJ (Unità di di Difesa delle Donne e parte fondamentale delle Forze Democratiche Siriane -FDS- la formazione militare che difende l’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria) con la partecipazione della Comandante Viyan Adar e moderato da Meghan Bodette del Kurdish Peace Institute.

 





Titolo dell’incontro: Il supporto ininterrotto della Turchia all’ISIS. Le YPG e le YPJ, milizie di difesa popolari a maggioranza curda, hanno dato un contributo fondamentale nella lotta contro il sedicente Stato Islamico ma dopo la sua “sconfitta” nel 2017, spiega Bodette, <<l’escalation militare della Turchia nella regione oltre ad aver creato una grave crisi umanitaria ha avuto un impatto negativo nel contrastare l’ISIS>>. L’attacco al Rojava iniziato la notte del 19 Novembre, denominato “Operazione Artiglio di Spada”, oltre a colpire vitali infrastrutture civili contrasta le forze che combattono l’ISIS sul campo e che gestiscono le migliaia di prigionieri “Daesh” (di cui molti occidentali), che hanno militato con l’organizzazione jihadista globale, insieme alle loro famiglie. Di queste fanno parte i “cuccioli del Califfato”, e cioè i bambini che sarebbero diverse centinaia, spesso “frutto” di stupri e matrimoni barbaramente forzati, nonché potenziale nuova generazione di terroristi.

La maggior parte si trova nel campo di Al Hol, definito come <<una bomba a orologeria>> oltre a una sorta di “campo d’addestramento” in cui riorganizzarsi, concetto prossimo a quello del carcere come scuola di criminalità. Negli scorsi mesi sono stati documentati vari tipi di traffici: all’interno dei centri di detenzione si facevano arrivare armi, telefonini, divise turche e opuscoli tradotti in varie lingue, preparatori all’“addestramento”. 

Durante l’incontro vengono anche mostrate le foto dei cadaveri di un adulto e due bambini (presumibilmente uccisi dai “cuccioli del Califfato”) torturati all’interno dei centri che, come altri, si erano rifiutati di sottostare alle regole imposte derivanti da una lettura fondamentalista del Corano.

6.12.22

SVEZIA NELLA NATO: “RIMPATRIATO” IN TURCHIA MAHMUT TAT

IL NUOVO GOVERNO SVEDESE “CEDE”, VOLENTIERI, AL RICATTO DEL SULTANO



Nella foto i giornali “di regime” turchi che diffondono le “immagini-trofeo” di Mahmut Tat, ESTRADATO ILLEGALMENTE (a nostro dire) dalla Svezia pochi giorni fa e bollato come "terrorista" del PKK/KCK 

UN’ESTORSIONE GEOPOLITICA

Da Maggio seguiamo la vicenda delle estradizioni ed espulsioni di presunti “terroristi” e dissidenti richieste dalla Turchia a Svezia e Finlandia come condizione per l’entrata nell’alleanza atlantica: abbiamo iniziato a parlare degli eventi relativi alla richiesta, formalizzata in estate con un memorandum firmato dai tre paesi a Madrid, usando l’hashtag del “format” di FanRivista #ComeVaAfinire. Abbiamo iniziato domandandoci se, alla fine, i due paesi avrebbero ceduto al ricatto politico del “Sultano” Erdogan. Purtroppo l’esito da “sindrome di Stoccolma”, almeno parziale e favorito dal nuovo governo di destra, sembra confermare che questa “estorsione geopolitica” abbia funzionato.

Inoltre ci siamo posti anche altre domande “sui massimi sistemi” di politica internazionale, come la “strategia pragmatica” di militanti e attivisti che ricercano la pace non schierandosi “né con Putin né con la NATO”. Adesso però entriamo nel merito della vicenda della prima “estradizione politica”, o per meglio dire dell’espulsione e del conseguente “rimpatrio” di un cittadino curdo-turco per presunti reati politici.



MAHMUT TAT: ACCUSATO DI TERRORISMO, DICHIARA DI AVER SOLO PARTECIPATO A DELLE PROTESTE

Nelle ultime ore i media stanno diffondendo la notizia dell’estradizione di Mahmut Tat, deportato in Turchia dalle autorità svedesi nello scorso fine settimana, dopo una detenzione di circa tre settimane: stando a quanto riporta il sito curdo-”barzaniano” Rudaw era riuscito a contattare la famiglia quando ancora si trovava nel centro per i rimpatri di Molndal e parlando loro del dolore alle mani causato dalle manette. Un altro contatto telefonico sarebbe avvenuto da Istanbul in seguito al trasferimento con un aereo svedese. Adesso si trova nel carcere di Metris.

Tat, originario di Dersim e autista di professione, nel 2015 aveva ricevuto una condanna a quasi sette anni di prigione in Turchia, per presunti collegamenti con il PKK e con l’accusa di “collaborazione con un’organizzazione terrorista”. Per questo aveva lasciato la sua famiglia e cercato rifugio in Svezia, invano... Le autorità svedesi gli avevano comunicato che era considerato una persona pericolosa proprio per la condanna turca. Si è difeso spiegando che era stato accusato in maniera strumentale dopo aver partecipato a due proteste pacifiche e dichiarando: <<come semplice cittadino mi sono schierato dalla parte degli oppressi e della lotta democratica. Se questo è terrorismo, allora sì, sono un terrorista!>>. La richiesta d’asilo allora presentata è stata rifiutata alcuni anni dopo: alcuni giornalisti si interrogano sull’esito della procedura di ricorso avverso la decisione.

3.12.22

"EMBARGO MEDIATICO” IN ROJAVA

FERMIAMO L’ESCALATION MILITARE

Siamo a 16 giorni dall’inizio dell’operazione “Spada ad artiglio (alcuni la traducono come “Artiglio Spada”, in inglese “Sword Claw”) con bombardamenti aerei, droni, cannoni e carri armati da parte del governo turco nel territorio siriano del Rojava, spacciata come vendetta per l’attentato di Istanbul e violando per la prima volta lo spazio aereo controllato da Russia e USA (anche se alcuni ipotizzavano una complicità della prima, in antitesi alla tesi della violazione).




Foto di un giacimento di petrolio in fiamme tratta dal sito delle YPJ. Nel paragrafo che segue si parla anche della questione energetica in Rojava



IL BILANCIO DELLE VITTIME E L’INTRICATO CONTESTO DELLA GUERRA CIVILE SIRIANA

Stando alle cifre diffuse dalle autorità del Rojava sono stati effettuati all’incirca almeno 4000 attacchi con aerei, droni e veivoli comandanti a distanza, artiglieria pesante e carri armati (mentre da tempo si denuncia e si indaga anche sul possibile uso di armi chimiche). Almeno 15 le vittime civili, la maggioranza morte in uno dei primi attacchi la notte del 19 Novembre, a Derik. In quell’attacco si è usata la tattica “Double Tap”, che consiste nel lanciare un primo bombardamento e, una volta che i soccorsi arrivano sul posto, attuarne subito un altro, in questo caso specifico con un drone. Secondo la testimonianza di un cittadino, Mihemed Ebddurehim, il secondo attacco, in cui è rimasto ucciso anche un cronista, è avvenuto <<dopo che le forze americane erano giunte sul posto. Uno di loro è sceso dalla macchina e ha guardato il suo telefono per poi andarsene via di fretta>>. I soldati, mercenari e agenti di polizia delle forze speciali colpiti e uccisi dalle SDF e dalle formazioni militari collegate sarebbero più di 20. Le perdite si aggirerebbero intorno alle 20 unità, includendo anche i soldati che gestiscono i centri di detenzione dei miliziani dell’ISIS, quasi 30 se si includono anche le forze del governo siriano. Svariati i feriti in circa 80 centri abitati, e 22.000 studenti hanno dovuto fermare i loro studi: in Rojava studio e formazione sono fondamentali e difficilmente vengono interrotte nonostante le difficoltà.

Stando invece alle dichiarazioni del governo turco sarebbero almeno 250 i militari uccisi degli schieramenti avversari (incluse le forze di Assad) negli attacchi e quasi 500 gli obiettivi colpiti. Sarebbero tre i civili uccisi da un colpo di artiglieria che pare sia partito da Kobane, secondo le autorità turche addebitabile ai “terroristi del PKK e delle YPG”, e caduto vicino a una scuola.

Il governo siriano nega di aver risposto al fuoco e bisogna ricordare che lungo tutto il fronte (circa 700 KM) -oltre che nello scenario più ampio della guerra civile siriana- operano, oltre ovviamente ai soldati statunitensi, anche i russi e le truppe di Hezbollah filo-iraniane (che supportano principalmente il regime siriano e che potrebbe uscire rafforzato da questo conflitto), i siriani filo-Assad schierati con le SDF, la forza militare del Rojava a maggioranza curda: l’ “avvicinamento” tra questi due si va consolidando proporzionalmente alla minaccia turca. Quella della cooperazione con il regime di Assad, con cui esiste una sorta di “patto di non aggressione”, rappresenta un “scelta obbligata”, il “male minore” rispetto a quella che sarebbe una vera e propria pulizia etnica dei curdi da parte turca. Per questo il partito “barzaniano” KNC, opposto al PYD nel Consiglio Democratico Siriano -il “parlamentino”della regione autogovernata- all’accusa di dispotismo del Partito dell’Unione Democratica aggiunge quella di essere pro-Assad. A sua volta il PYD accusa il Consiglio Nazionale Curdo di essere in combutta con la Turchia e con le forze ribelli siriane a essa vicine).

La strategia militare del regime turco è chiara (così come quella mediatica): si inizia con bombardamenti aerei e via terra per “indebolire” la resistenza e la popolazione del Rojava (che non è formata solo da curdi, come spieghiamo e ribadiamo più avanti): bombe vengono lanciate contro ospedali, impianti per la produzione di grano, centrali a gas e idroelettriche (in una zona in cui l’elettricità c’è solo per poche ore al giorno) e anche i giacimenti di petrolio strettamente essenziali alla sussistenza e gestiti con un sistema economico cooperativo anti-monopolista: la maggioranza dell’energia nel Nord-est della Siria è idroelettrica e una parte minore è generata dal diesel, un tipo di cherosene altamente inquinante ma purtroppo anche l’unica risorsa per riscaldare appartamenti e mettere in moto veicoli, dato che la costruzione di nuove dighe (fondamentale anche per l’approvvigionamento d’acqua da bere e da usare in agricoltura, nonché uno dei “fronti energetici” del conflitto) e di componenti per i pannelli solari, così come di quelli per sviluppare raffinerie proprie per “emanciparsi” maggiormente dal regime siriano (che importa petrolio dal Rojava), è ostacolata da un embargo “de facto” dei paesi confinanti.

Gli attacchi alle infrastrutture sono quindi preparatori a una più vasta offensiva via terra (sarebbe le quarta a partire dal 2016): erano mesi che la popolazione dell’Amministrazione Autonoma del Nord Est della Siria (AANES) sentiva letteralmente “nell’aria” i preparativi militari attuati con diversi voli di ricognizione e posizionamenti lungo il confine. Ma il pretesto dell’attacco è stato servito su un piatto d’argento (se non addirittura “creato ad arte”) con l’attentato di Istanbul del 14 Novembre.

Infine il Comando centrale delle forse statunitensi ha confermato che un attacco con un drone ha messo in pericolo perfino le sue truppe.





1.12.22

MANCE, POS E CONTANTI PER NASCONDERE IL “NERO”, RICICLARE E NON PAGARE LE TASSE

In queste ore la legge di bilancio è arrivata in parlamento, e due degli argomenti più discussi della manovra finanziaria sono le tasse sulle mance e il limite per i pagamenti con il POS alzato a 60 Euro, soglia entro la quale i commercianti potranno rifiutare di accettare la carta. C'è poi un terzo provvedimento "fuoriuscito" dal decreto aiuti e confluito nella manovra, quello del tetto per le transazioni con il contante fino a 5 mila euro (inizialmente proposto a 10 mila).


Molti pensano che queste misure servano anche (se non soprattutto) a nascondere il “nero”, riciclare il denaro sporco e a non pagare le tasse e a rendere ancora più precari i lavoratori. Dopo aver spiegato i motivi di queste preoccupazioni, nella conclusione, sfioriamo il tema dell’evasione “di necessità” e presentiamo alcune proposte concrete che un governo dovrebbe adottare se davvero dichiara di essere dalla parte dei più deboli.

 





LA TASSAZIONE SULLE MANCE E LA RECENTE SENTENZA DELLA CASSAZIONE: NON È VERO CHE SOLO IN ITALIA SONO TASSATE COME HA DETTO LA SANTANCHE'!

La Ministra del Turismo Daniela Santanchè ha annunciato che verranno ridotte al 5% le tasse sulle mance, precedentemente assoggettate all’IRPEF, e ha anche affermato che l’Italia è <<l’unico paese in cui le mance sono tassate>>. Dopo un brevissimo fact-checking possiamo affermare che è falso: digitando la frase, in inglese, “le mance sono da tassare?” il primo risultato è quello del sito del governo britannico, dove si dice che ogni mancia è soggetta a tasse, e in alcuni casi -come quando c’è una voce specifica sullo scontrino del conto- vengono dichiarate “in automatico”.

Prima di entrare nel merito della questione facciamo un passo indietro di circa un anno: a Ottobre 2021 la Cassazione ha affermato in una sentenza che le mance rientrano nel reddito da lavoro dipendente: la decisione degli “ermellini”, che interpreta in maniera estensiva il Testo Unico sul lavoro, arrivava dopo che un dipendente di un hotel di lusso, un portiere, aveva depositato circa 80 mila euro sul suo conto. Questo è ovviamente un caso molto particolare dato che la maggioranza delle elargizioni dei clienti di ristoranti e altri esercizi è di modesta quantità, e si presume che difficilmente queste “regalie” in contanti saranno dichiarate dai lavoratori. Il discorso potrebbe essere diverso se, come accade in altri paesi, le mance vengono pagate con la carta di credito e contrassegnate nella ricevuta con la parola “tips” (mance in inglese per l’appunto) o comunque con una voce specifica.