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1.4.23

CONTINUANO LE STRAGI NEL MEDITERRANEO

CONTINUANO GLI OSTACOLI ALLE ONG: DAL NAUFRAGIO DELL'11 MARZO A QUELLI DEL 25

 

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Pubblichiamo un lungo editoriale sulle stragi in mare, che purtroppo continuano anche se dopo Cutro si era detto “mai più”, sugli ostacoli alle navi delle ONG, sul blocco della nave Louise Michel, sugli spari dei sedicenti guardacoste libici alla Ocean Viking, sulla condanna della CEDU per l’hotspot di Lampedusa, sui cosiddetti “scafisti” (che non necessariamente sono anche “trafficanti”), sulle giustificazioni delle autorità governative italiane ed europee, sulle conclusioni di un’indagine dell’ONU che documenta le sistematiche torture che avvengono nei lager libici, e sulle domande che non sono state fatte in alcuni media mainstream...

A Cutro 92 persone sono morte (più di 20 erano sotto i 13 anni e si cercano ancora altri dispersi) a poche bracciate dalle nostre coste. Vedere l’angoscia così vicina, a pochi metri dalla nostra indifferenza e assuefazione, ha avuto un impatto emotivo e mediatico molto forte: quando però quello stesso tormento si verifica un po’ più in lontananza anche l’attenzione dei media mainstream cala, facendo spazio a nuove armi di distrazione di masse e facendoci assuefare ai “numeri” di vittime che in realtà sono numeri di storie, di sogni infranti tra i flutti di mare, di diritti affondati da politiche menefreghiste e miopi. Per questo torniamo a parlare delle altre stragi che si sono verificate in questi ultimi giorni, dopo che si era detto “mai più tragedie del genere”, “se partono con i figli è colpa loro” e così via… Per questo dobbiamo cercare di non far “sgonfiare” l’attenzione e attivarci quotidianamente per fermare le stragi!

 

 

IL NAUFRAGIO DELL’11 MARZO: RESPONSABILITÀ MORALI, POLITICHE E OPERATIVE: LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DALL’OPINIONE PUBBLICA

Intorno alle 2 e 30 dell’11 Marzo Alarm Phone -a due settimane dalla strage di Cutro- segnalava la presenza di una barca con 47 persone: a distanza di 30 ore da quel primo segnale di allarme, dopo che ne erano stati inviati altri incluso uno dall’aereo della Sea Watch, ne moriranno 30, mentre 17 verranno salvate da una nave mercantile. Nello specifico, alcune barche si sono schierate in maniera tale da ostacolare la violenza delle onde ma, nonostante ciò, la barca si è ribaltata e solo alcune vite sono state salvate. Nella ricostruzione delle ONG si spiega che, inizialmente, nelle immediate vicinanze c’erano un’altra imbarcazione mercantile e una petroliera che però <<hanno proseguito la rotta senza prestare soccorso>>. Le autorità libiche avevano detto di non avere mezzi a disposizione, chiedendo aiuto all’Italia, mentre quelle maltesi avrebbero addirittura agganciato il telefono...

 

Mediterranea Saving Humans e le due ONG succitate hanno diffuso un comunicato congiunto sulla vicenda, tre giorni dopo il naufragio, in cui si afferma che le autorità italiane e maltesi avrebbero potuto coordinare un’operazione di soccorso, e che il Centro di coordinamento marittimo (MRCC) con sede a Roma aveva <<già coordinato diverse operazione di questo tipo al di fuori della sua area SAR>> (acronimo che indica l’area dell’attività di Ricerca e Soccorso). Nel comunicato è presente anche una dettagliata cronologia degli eventi.

5.3.23

STRAGE DI CUTRO: SI DOVEVA (E SI DEVE) FARE MOLTO DI PIÙ!

LA CARENZA (SE NON OMISSIONE) DI SOCCORSI E UMANITÀ, IL FOCUS SULLE OPERAZIONI DI POLIZIA A SCAPITO DELL’ATTENZIONE PER I SALVATAGGI, LA REPRESSIONE “VIZIATA” DEL FENOMENO DELLO "SCAFISMO"

 


Alcuni titoli di giornale relativi allo strampalato appello di Piantedosi (a sinistra) e alle dichiarazioni di Orlando Amodeo (a destra), tra i primi a dire pubblicamente che quelle persone potevano essere soccorse. Sullo sfondo l'immagine di Myriams-Fotos di Pixabay. In calce all'articolo l'immagine originale dei titoli nei risultati di ricerca.


A sinistra un tweet di Mediterranea Saving Humans in cui si elogia la Guardia Costiera per un soccorso e si afferma che <<i politici che li "comandano" non valgono un'unghia dell'ultimo marinaio a bordo di quelle vedette>>. A destra alcuni titoli di articoli che riprendono le dichiarazioni di Vittorio Alessandro, ufficiale in congedo della Guardia Costiera che ha affermato: <<salvare vite era il nostro vanto, poi la politica ha fermato tutto>>. Sullo sfondo l'immagine di un gommone tratta dalla sezione "Press" di Mediterranea. In calce al post gli screenshot originali del tweet e dei titoli nei risultati di ricerca.


Una settimana fa, proprio mentre in redazione si chiudevano due articoli sul decreto ONG e sul tema delle migrazioni (forse sarebbe meglio parlare di “persone in movimento”) è arrivata la notizia dell’ennesimo naufragio a Cutro, in provincia di Crotone.

Di fronte ad almeno 70 vite spezzate (sarebbero almeno una trentina i dispersi), infanti inclusi, alcune distinte da un codice perché senza nemmeno un nome e con una storia di cui si conosce solo il finale in una bara, appare ipocritamente ovvio che si doveva fare di più: la magistratura, la stampa e la collettività in generale stanno provando a fare chiarezza su eventuali responsabilità penali e morali riguardanti le carenze (salvo vere e proprie colpose omissioni) nei soccorsi. Fin da adesso sta sempre alla collettività in generale attivarsi perché ciò non accada più, oltre che per ricercare le verità di questa e altre tragedie, anche se per qualcuno sarebbe più corretto parlare di stragi –sempre a proposito di ricerca della verità... Come possiamo fare? Intanto riflettendo, immaginando un nuovo tipo di società sul lungo termine, mentre sul breve termine le iniziative come manifestazioni, petizioni, dibattiti e tutti i mezzi di protesta e pressione a nostra disposizione sono il minimo, forse “sindacabile” in quanto insufficiente…

 

PRIMA SI SALVA, POI SI DISCUTE O SI INDAGA: LA LOGICA POLIZIESCA PREVALE SU QUELLA UMANITARIA

La procura di Crotone ha aperto almeno due fascicoli, stando a quanto riporta la stampa: uno sull’organizzazione del viaggio, con le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, lesioni e omicidio colposo a carico di quattro presunti scafisti e organizzatori, due pakistani e due turchi tra i 17 e i 50 anni. Tre sono in stato di arresto mentre uno è fuggitivo. Pare che abbiano tentato la fuga dopo aver gonfiato un gommone e abbandonato la nave.

L’altra inchiesta dovrebbe chiarire le responsabilità istituzionali della sciagura: si dovranno ricostruire le comunicazioni tra i diversi corpi e istituzioni (ministeri, Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, Guardia di Finanza e l’agenzia europea Frontex) e le intricate catene di comando e responsabilità che evidentemente non hanno funzionato.

La dinamica delle comunicazioni, degli ordini e degli eventi, ricostruita solo parzialmente dalla stampa e dalle dichiarazioni dei diversi soggetti coinvolti, è pressoché questa: nella tarda serata dello scorso Sabato un velivolo di Frontex avvista un’imbarcazione distante circa 40 miglia dalla costa. Attraverso dei macchinari che rivelano fonti di calore si capisce che all’interno della barca ci sono delle persone, anche se non si può stabilire con precisione quante, ma si scoprirà poi che erano circa 200. La Guardia costiera ha precisato che oltre alle buone condizioni di navigazione, nella segnalazione di Frontex si specificava che una sola persona era visibile, ma l’agenzia europea ha smentito questa ricostruzione specificando di aver segnalato <<un’imbarcazione pesantemente sovraffollata>> (chiarendo inoltre che sono i singoli stati a decidere se un'operazione deve essere considerata di salvataggio o di polizia. La Meloni e il governo si difendono con l'argomentazione che l'agenzia europea non ha segnalato situazioni di pericolo). L’aereo rientra per mancanza di carburante e, stando a quanto dichiarato dai portavoce dell’agenzia, comunicano la notizia arriva alle autorità italiane specificando che non c’erano particolari pericoli: partono due imbarcazioni della Guardia di finanza (che fa capo principalmente al ministero dell’Economia, ma che dipende anche da quello della Difesa e dell’Interno, e quindi in questo caso da Piantedosi), cui competerebbe svolgere operazioni di polizia, ma non la Guardia costiera (che dipende dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e quindi da Salvini) che sarebbe dotata di imbarcazioni specifiche per i salvataggi, a differenza delle prime due che sono costrette a ritirarsi per lo stato del mare dopo un secondo tentativo. Secondo il quotidiano Il Domani (articolo del 28 Febbraio siglato da Nello Trocchia e intitolato "Naufragio in Calabria, Salvini e la Guardia costiera hanno lasciato morire i migranti") viene sollecitato allora un intervento congiunto dei due corpi, sollecitazione che non si compie. Sono circa le tre di notte e, dopo quasi tre ore, un pescatore riceve la segnalazione di una barca in pericolo dalla Guardia Costiera. Altre telefonate sarebbero arrivate dai Carabinieri e da alcuni astanti che dalla spiaggia avvistano la barca, oltre che dall'imbarcazione stessa…

Ma è troppo tardi: la Guardia Costiera interviene a naufragio avvenuto, quando il “caicco” (così si chiama quel tipo di imbarcazione turca) si è spezzato in due su una secca, dopo che il motore era andato in aviaria sputando fumo e liquido bollenti: alcuni si aggrappano ai resti che galleggiano, aiutando chi non sa o non riesce a nuotare. Altri non ce la fanno. Si conclude così il viaggio iniziato su dei camion il 21 Febbraio nel distretto turco di Smirne. Inizialmente sarebbero stati imbarcati su un altro natante che però è andato in avaria: vengono trasferiti sulla “Summer Love” e dopo altri tre giorni di viaggio il sogno di una vita decente si infrange a pochi metri dalla costa.

Orlando Amodeo, ex medico della polizia di Stato, soccorritore ed esponente di Sinistra-Verdi ha dichiarato nella serata di domenica, in televisione, che <<se su quella barca ci fosse stata la figlia di un politico si sarebbe andati a fare il salvataggio anche con il mare a forza 20 (…) gli scafisti li inventiamo noi, se l’Europa fosse più umana non esisterebbero>> dice a proposito di quello che è definibile come il “proibizionismo delle migrazioni”. Specifica poi che anni prima lui stesso aveva partecipato a un soccorso con un livello di forza del mare tra il 6 e il 7: tra l’altro pare che il mare in realtà fosse a forza 4 e che comunque c’erano i mezzi per navigare anche con forza 8, come affermato dallo stesso comandante della Capitaneria di porto locale, mentre le veline governative inviate immediatamente alla trasmissione televisiva e ripetute per giorni parlavano da subito dell’impossibilità di effettuare i soccorsi a causa del mare forza 8). Resta da capire perché allora la Guardia costiera non è intervenuta o perché non è stata fatta intervenire.

Le dichiarazioni di Amodeo, amplificate mediaticamente dall’importante televisione commerciale, per quanto importanti e dirompenti sembrano meno strutturate e precise di quelle rilasciate da Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo della Guardia costiera, dichiarazioni ci pare siano passate più in sordina…

Il Manifesto ha spiegato (in un'intervista fatta da Giansandro Merli e intitolato con il suo virgolettato "C'è una distorsione del soccorso in mare. Possibili altre tragedie"), che <<in un lungo arco di tempo si possono rafforzare procedure e prassi che inquinano le vicende dei soccorsi di grandi numeri di persone, come i migranti, e le trascinano verso logiche e prassi di polizia. Prima gli interventi erano esclusivamente ispirati al salvataggio. La polizia veniva ovviamente chiamata in causa, ma per aspetti logistici e di ordine pubblico allo sbarco>>, e quindi inquadrando il problema della gestione delle migrazioni e dei soccorsi da una prospettiva più ampia.

 


QUANDO C’È UN INCENDIO SI CHIAMANO PRIMA I POMPIERI E POI LA POLIZIA; QUANDO C’È UN’IMBARCAZIONE IN PERICOLO SI CHIAMANO PRIMA I SOCCORSI E POI LA POLIZIA

26.2.23

PERSONE CHE SI SPOSTANO: SOLIDARIETÀ NON CARITÀ, EMANCIPAZIONE NON ASSISTENZIALISMO (PURO)

MIGRAZIONI, SOCCORSI IN MARE E NETWORK SOLIDALI: LA SOLIDARIETÀ NON È UN REATO!

Immagine di Ralphs Photos da Pixabay


Nelle scorse ore è passato in Senato il “decreto Ong” che ostacola (se non addirittura impedisce) le normali operazioni delle organizzazioni umanitarie che si occupano di ricerca e soccorso nella rotta migratoria più mortifera del pianeta, quella mediterranea.

In un post pubblicato nelle scorse ore abbiamo affrontato il tema, ripercorrendo alcune tappe della storia legislativa della criminalizzazione della solidarietà. Lo abbiamo fatto partendo da alcuni spunti di riflessione emersi in un incontro che si è tenuto  il 16 Febbraio presso il centro sociale napoletano Ex Opg, dal titolo “La solidarietà non è un reato”.

Nelle prossime righe parliamo degli stessi argomenti ma da una prospettiva più ampia, riportando i preziosi spunti di riflessione che emergono dalle parole di Moussa Abdoul Aziz Diakité, Abdel El Mir  del Movimento Migranti e Rifugiati di Napoli (MMRN) e di Laura Marmorale di Mediterranea Saving Humans. Era presente anche Sacha Girke della crew di Iuventa, che ha condiviso il suo punto di vista antitetico a quello che emergerebbe nella ricostruzione giudiziaria che lo coinvolge, basata sull'infondata tesi del "pull factor" e dei "tassisti del mare", tesi ampiamente pubblicizzata da ricostruzioni di diversi "giornaloni" sempre garantisti con i padroni e implacabili castigatori verso chi ha il delicato e cruciale compito di salvare vite in mare.


 

Uno screenshot della diretta Facebook: qui il link 

SCAFISTI PER NECESSITÀ E RETI DI SOLIDARIETÀ INFORMALI: CRIMINALIZZAZIONE DELLA MIGRAZIONE E DELLA SOLIDARIETÀ

L’inizio della criminalizzazione della migrazione può essere tracciato nel momento in cui gli Stati (e quindi sia i governi sia la cittadinanza) si arrogano il diritto di decidere chi è titolato a varcare un confine e chi no, chi è “fortunato” a essere nato in una parte di pianeta che per secoli ha saccheggiato altre parti da cui molti tentano di fuggire (presumibilmente a malincuore), e chi “eccezionalmente” e sempre in funzione del “mercato del lavoro” (nelle forme dello sfruttamento legale o illegale) può accedervi per ingrossare le fila della cosiddetta “manodopera di riserva” che a sua volta potrà essere ulteriormente criminalizzata quando verrà affidata nelle mani del welfare e del sistema sociale mafioso, offrendo loro delle possibilità che dovrebbero essere invece garantite dai paesi che mirano a definirsi “civili”; o magari quando in quegli stessi Stati ci saranno dei sistemi di accoglienza che invece di “accogliere” serviranno a “spremere” i migranti, oppure a non accoglierli proprio condannandoli a una vita in strada.

La criminalizzazione poi continua verso chi non è stato giudicato “titolato” e adatto agli standard darwiniani-sociali e che, non avendo i mezzi formalmente legali di spostarsi (anche nei casi in cui si avrebbe il diritto formale di chiedere la protezione umanitaria) e costretto dal “proibizionismo delle migrazioni” ad affidarsi a spietati trafficanti, i quali a loro volta vengono sostenuti –quantomeno indirettamente- da quegli stessi Stati che negano loro l’ingresso: dovranno affrontare le intemperie delle roventi aree desertiche in Africa o in Centro America, le avversità delle acque del Mediterraneo o delle gelide zone montuose europee; dopo essere stati sfruttati come schiavi e aver subito indicibili peripezie, anche per anni, viaggeranno su gommoni di fortuna, stipati in container come merci o agganciati con cavi di fortuna sotto dei camion: i più "forti" e "fortunati" arriveranno a destinazione, altri periranno, altri ancora verranno rispediti indietro e ricominceranno daccapo il circolo vizioso... 

La criminalizzazione viene poi diretta anche verso chi prova a offrire solidarietà a quegli esseri umani, che non sono solo le organizzazioni umanitarie e i “bianchi”.