LE MORTI DOPO LE RIVOLTE
DI MODENA, RIETI, BOLOGNA E S. MARIA CAPUA VETERE: UN RESOCONTO BASATO SULLE
FONTI “APERTE”
L’OPINIONE PUBBLICA
CHE “BUTTA VIA LA CHIAVE” E QUELLA CHE NON ARCHIVIA; LE DOMANDE SENZA RISPOSTA;
L’USO E L’ABUSO DI DROGHE LEGALI E ILLEGALI; L’APPROCCIO REPRESSIVO A SCAPITO DEL
SOCCORSO
Ricercare la verità, o
forse è meglio dire “le verità” delle drammatiche giornate e rivolte, che hanno visto il più alto numero
di morti “concentrate” in carcere nella storia repubblicana, è un compito tanto
doveroso quanto complesso.
Data la vastità degli
eventi, ricostruire quello che è accaduto e che è rilevante dal punto di vista storico, giornalistico e giudiziario (e siamo ancora molto lontani dal
potere scrivere la parola “fine” così come l’espressione “siamo a metà strada”
da queste prospettive) è difficile forse quanto ricostruire l’atmosfera grigia
che si viveva (e si vive) nelle istituzioni totali chiamate “carceri”, delle condizioni
precarie in cui lasciamo a marcire delle persone nelle discariche sociali note
come “prigioni”, dopo che si è ipocritamente ed egoisticamente “buttata via la
chiave”…
Per questo nelle righe
che seguono abbiamo cercato di fare quello che questa umile “Zina/Rivista” ritiene di poter fare
al meglio, e quindi in diversi mesi abbiamo analizzato, collazionato e fatto
una sintesi delle svariate “fonti aperte” (articoli di giornale, inchieste
video e scritte, dossier di “contro-informazione” o di informazione alternativa,
carte giudiziarie pubbliche ecc.) riguardante quella che forse sarebbe corretto
chiamare la “strage” nelle carceri ai
tempi del Covid.
I colpevoli, presunti e innocenti dal punto di vista
legale fino a prova contraria, non sono solo i potenziali perpetratori di
torture, omissioni e abusi, per dolo o per negligenza: siamo anche noi quando
non ci preoccupiamo abbastanza di trovare dei modi di risolvere, ma soprattutto
prevenire certi conflitti, certi comportamenti. Siamo anche noi quando
pensiamo che la giustizia coincida con il semplice e menefreghista disinteresse verso chi ha commesso
degli errori perché più fragile, perché ritenuto inutile, o forse perché è più
“malvagio”... e peggio ancora quando non siamo nemmeno sicuri che certi errori o
malvagità siano stati commessi (e cioè di chi, per esempio, è in attesa di
giudizio ma è comunque già condannato a vivere nella discarica sociale e forse,
quando e se si scoprirà, avrà diritto a un risarcimento economico, ragione principalmente economica che dovrebbe essere presa in considerazione anche da chi è più
insensibile).
Oltre al lavoro di
ricerca ci siamo presi lo spazio per fare alcune digressioni sui temi della
detenzione, della sanità, dell’abuso di psicofarmaci (indotto dal marketing e
dall’adottare soluzioni più “economiche” e immediate senza tenere conto dei
problemi di lungo termine), del “welfare mafioso” favorito dal proibizionismo e
degli strumenti invasivi della nostra privacy che dovrebbero essere usati anche
per “controllare i controllori”.
Parte delle fonti sono
citate tramite i link, altre sono riportate in calce alla seconda parte di questa lunga e intricata inchiesta, che riteniamo rifletti una vicenda altrettanto “estesa” e ingarbugliata,
una “matassa” che per essere sbrogliata ha bisogno dell’attenzione
dell’opinione pubblica e della collettività in generale. Per contribuire alla
ricerca della verità, oltre al vostro prezioso tempo, vi chiediamo di
segnalarci (tramite mail, commenti, social, messaggi ecc.) eventuali
inesattezze, precisazioni o qualunque cosa riteniate utile menzionare.
Nella notte tra il 7 e l’8 Marzo 2020 viene dichiarato il
“primo” lockdown, non ancora esteso a tutto il territorio nazionale. Mentre ci
preparavamo a sperimentare un “assaggio” di cosa vuol dire essere ristretti,
tramite una sorta di “arresti domiciliari collettivi”, per chi era davvero
ristretto nelle prigioni italiane scattavano ulteriori limitazioni, mentre all’estero
(e solo successivamente anche in Italia) venivano scarcerati migliaia detenuti
proprio per il rischio pandemico: alla paura di contrarre il virus nelle
carceri, già
drammaticamente e illegittimamente sovraffollate, e quindi con condizioni
igieniche già precarie, con pochissimi educatori e medici, e con tutta una serie
di complicazioni alle quali chi è “fuori” non sarà mai abituato abbastanza per comprenderle,
si aggiungeva la sospensione delle visite di cari e familiari, dei permessi per uscire temporaneamente o
per lavoro, della ricezione di pacchi
con beni alimentari e di prima necessità, dei colloqui e delle già poche attività
che dovrebbero essere finalizzate a “riabilitare” (e la mancanza o
inadeguatezza di quelle attività finisce per trasformare le carceri in una
scuola di criminalità): scattano delle rivolte nei penitenziari di tutta la
penisola, a Foggia si verifica perfino un’evasione di massa. Secondo alcuni le proteste erano motivate esclusivamente dalle già precarie condizioni di vita
e dall’annuncio della decisione dell’allora Ministro della giustizia Bonafede, su cui
ricadrebbero le responsabilità perlomeno politiche (insieme agli altri esponenti
del governo gialloverde e delle amministrazioni locali), della gestione non
adeguata delle rivolte, e che non ha comunicato tempestivamente le notizie
riguardanti le drammatiche dipartite.
Secondo altri sarebbero state invece coordinate da una “regia unica”, composta da esponenti dell’ “alta borghesia” criminale (e cioè mafiosa)
che si avvaleva dei “proletari” detenuti di basso profilo oltre che dello
“spettro” degli anarco-insurrezionalisti sempre in voga (“fantasma” su cui
spesso nella storia si sono “scaricate” responsabilità di zone grigie e poteri
tutt’altro che libertari, come avvenne per il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli).
Mentre la maggioranza dei “poveri cristi”, che aveva più di
18 mesi da scontare e il cui reato non era considerato di piccola entità, era
condannata alle nuove aggravanti causate dalla pandemia, correva la voce (una
voce largamente infondata, si può dire con il senno di poi) della possibilità che
pure diversi mafiosi al 41 bis venissero scarcerati a breve (in realtà si trattava di misure previste
dalla legge che i magistrati dovevano vagliare caso per caso, anche alla luce
della nuova situazione sanitaria, e che forse poteva essere sfruttata anche
dagli avvocati dell’alta borghesia mafiosa. Il caso di scarcerazione più
controversa è stato probabilmente quella di Pasquale Zagaria, boss dei casalesi).
Comunque in quel periodo, con i cosiddetti provvedimenti
“svuota-carceri”, possono uscire all’incirca 8 mila persone dotate del braccialetto elettronico: almeno una parte di quegli esseri umani,
considerati reietti della società, forse non ci dovevano nemmeno entrare in
carcere… L’uscita di quelle persone dimostra, a detta di chi scrive, che forse già
da prima si potevano attuare diverse strategie per prevenire quelli che
potremmo definire “reati di sopravvivenza” e per convivere in sicurezza con chi
ha fatto degli errori, in concreto espandendo le possibilità offerte da misure alternative alla detenzione.
Durante e dopo le rivolte nelle prigioni, iniziate il 7 Marzo
a Salerno, moriranno 13 detenuti (14 se si include la dipartita avvenuta
a circa un mese di distanza di una persona con uno stato di salute precario a
Terni, 15 se si include il suicidio
di un detenuto morto dopo settimane di isolamento a Santa Maria Capua Vetere),
9 erano ristretti a Modena, 3 a Rieti e uno a Bologna, alcuni sono spirati dopo i trasferimenti disposti.
LE MANCANZE E GLI ABUSI NELLA
GESTIONE DELLE RIVOLTE: DALLA CUSTODIA DEGLI PSICOFORMACI ALLE DENUNCIE DI
TORTURE