È IL SECONDO ATTENTATO IN 24 ORE
![]() |
Le immagini dei due attacchi ripresi dalle telecamere di sicurezza |
++ AGGIORNAMENTI SUGLI ATTENTATI ALLA “FLOTILLA” DEL 13/09/2025 ++
Come si era spiegato nell’articolo che segue, dopo il primo attentato le autorità tunisine avevano diffuso la notizia che a scatenare l’incendio sulla prima nave colpita non era stato un ordigno ma, presumibilmente, un mozzicone di sigaretta, nonostante le telecamere di sicurezza avessero chiaramente ripreso un oggetto infuocato colpire l’imbarcazione dall’alto.
Le scuse per evitare la crisi diplomatica non hanno retto di fronte al secondo attentato: gli attivisti hanno trovato i resti dell’ordigno, e diffuso le immagini di quello che pare essere un “drone kamikaze” con una granata incendiaria.
In relazione al secondo attentato, le autorità tunisine hanno ammesso che si è trattato di un attacco <<deliberato>>. In seguito alcuni militari tunisini hanno sorvegliato e scortato le imbarcazioni della “Global Sumud Flotilla” dal porto di Sidi Bou Said a quello di Bizerte. Da lì un primo gruppo di imbarcazioni è partito alla volta di Gaza poche ore fa.
Antonio La Piccirella, uno degli attivisti in rotta verso Gaza, già sequestrato in acque internazionali da Israele durante l’ultima missione della “Freedom Flotilla”, ieri ha diffuso un video: mentre inquadra una motovedetta della marina militare tunisina, dichiara che <<questo si avvicina di più a come vorremmo che si comportassero i governo e le loro parti militari, e cioè proteggendo una missione civile e umanitaria. Dico 'si avvicina' perché vorremmo che fossero proprio i governi a spendersi per queste missioni umanitarie>>.
Colpita due volte in Tunisia e in una singola giornata la “Global Sumud Flotilla”, la flotta di navi civili che vuole tentare di rompere l’assedio a cui Gaza è sottoposta da quasi vent’anni. La prima volta la “Family Boat”, la nave ammiraglia della missione umanitaria, è stata attaccata intorno alle ore 23:30 italiane di Lunedì. Poi, a distanza di circa 24 ore, è toccato alla nave “Alma”. I filmati delle telecamere di sicurezza mostrano degli ordigni incendiari scagliati dall’alto, presumibilmente da droni o da altri tipi di velivoli pilotati a distanza.
Fortunatamente, gli attivisti a bordo stanno bene, ma al danno si aggiunge la beffa delle autorità tunisine: dopo il primo attacco hanno negato di aver rilevato droni nel loro spazio aereo e hanno dichiarato che a generare l’incendio sarebbe stato un mozzicone di sigaretta. Gli attivisti, invece, puntano il dito contro gli investigatori: raccontano che si sono recati sulla scena del crimine non per fare indagini, ma per far sparire materiale compromettente, che dovrebbe scatenare una crisi diplomatica, visto che per compiere i due attentati terroristici sono stati sorvolati i cieli tunisini.
MENO RISCHIO E MENO IMPEGNO
In questi giorni la presidente Meloni ha dichiarato che ci sono <<canali meno rischiosi e meno impegnativi>>, rispetto a quelli praticati dagli attivisti della “flotilla”. Le tonnellate di aiuti che hanno raccolto sono simboliche dal punto di vista materiale, ma sono fondamentali per fare pressione affinché dei concreti canali umanitari siano aperti.
Certamente, i lanci di aiuti dagli aerei che fanno arrivare pochissimo cibo sono più rischiosi per i palestinesi, che muoiono letteralmente schiacciati o che vengono ridotti a lottare letteralmente per un pezzo di pane. E sono meno impegnativi per i governi che supportano uno stato che pratica apartheid e genocidio.