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10.9.25

COLPITA DI NUOVO LA GLOBAL SUMUD FLOTILLA

È IL SECONDO ATTENTATO IN 24 ORE



Due fotogrammi che registrano il momento dell'impatto: si vede una scia di fuoco abbattersi sulle imbarcazioni.
Le immagini dei due attacchi ripresi dalle telecamere di sicurezza



 ++ AGGIORNAMENTI SUGLI ATTENTATI ALLA “FLOTILLA” DEL 13/09/2025 ++

Come si era spiegato nell’articolo che segue, dopo il primo attentato le autorità tunisine avevano diffuso la notizia che a scatenare l’incendio sulla prima nave colpita non era stato un ordigno ma, presumibilmente, un mozzicone di sigaretta, nonostante le telecamere di sicurezza avessero chiaramente ripreso un oggetto infuocato colpire l’imbarcazione dall’alto.

Le scuse per evitare la crisi diplomatica non hanno retto di fronte al secondo attentato: gli attivisti hanno trovato i resti dell’ordigno, e diffuso le immagini di quello che pare essere un “drone kamikaze” con una granata incendiaria.

In relazione al secondo attentato, le autorità tunisine hanno ammesso che si è trattato di un attacco <<deliberato>>. In seguito alcuni militari tunisini hanno sorvegliato e scortato le imbarcazioni della “Global Sumud Flotilla” dal porto di Sidi Bou Said a quello di Bizerte. Da lì un primo gruppo di imbarcazioni è partito alla volta di Gaza poche ore fa.

Antonio La Piccirella, uno degli attivisti in rotta verso Gaza, già sequestrato in acque internazionali da Israele durante l’ultima missione della “Freedom Flotilla”, ieri ha diffuso un video: mentre inquadra una motovedetta della marina militare tunisina, dichiara che <<questo si avvicina di più a come vorremmo che si comportassero i governo e le loro parti militari, e cioè proteggendo una missione civile e umanitaria. Dico 'si avvicina' perché vorremmo che fossero proprio i governi a spendersi per queste missioni umanitarie>>.



Colpita due volte in Tunisia e in una singola giornata la “Global Sumud Flotilla”, la flotta di navi civili che vuole tentare di rompere l’assedio a cui Gaza è sottoposta da quasi vent’anni. La prima volta la “Family Boat”, la nave ammiraglia della missione umanitaria, è stata attaccata intorno alle ore 23:30 italiane di Lunedì. Poi, a distanza di circa 24 ore, è toccato alla nave “Alma”. I filmati delle telecamere di sicurezza mostrano degli ordigni incendiari scagliati dall’alto, presumibilmente da droni o da altri tipi di velivoli pilotati a distanza.

Fortunatamente, gli attivisti a bordo stanno bene, ma al danno si aggiunge la beffa delle autorità tunisine: dopo il primo attacco hanno negato di aver rilevato droni nel loro spazio aereo e hanno dichiarato che a generare l’incendio sarebbe stato un mozzicone di sigaretta. Gli attivisti, invece, puntano il dito contro gli investigatori: raccontano che si sono recati sulla scena del crimine non per fare indagini, ma per far sparire materiale compromettente, che dovrebbe scatenare una crisi diplomatica, visto che per compiere i due attentati terroristici sono stati sorvolati i cieli tunisini.


MENO RISCHIO E MENO IMPEGNO

In questi giorni la presidente Meloni ha dichiarato che ci sono <<canali meno rischiosi e meno impegnativi>>, rispetto a quelli praticati dagli attivisti della “flotilla”. Le tonnellate di aiuti che hanno raccolto sono simboliche dal punto di vista materiale, ma sono fondamentali per fare pressione affinché dei concreti canali umanitari siano aperti.

Certamente, i lanci di aiuti dagli aerei che fanno arrivare pochissimo cibo sono più rischiosi per i palestinesi, che muoiono letteralmente schiacciati o che vengono ridotti a lottare letteralmente per un pezzo di pane. E sono meno impegnativi per i governi che supportano uno stato che pratica apartheid e genocidio.

6.4.24

GUARDACOSTE-ABUSIVI LIBICI SPARANO A MIGRANTI E SOCCORRITORI

OLTRE AL DANNO LA BEFFA: LA NAVE BLOCCATA E MULTATA DOPO IL SOCCORSO

Nel primo pomeriggio di Giovedì 4 Aprile la nave rimorchiatore "Mare Jonio" di "Mediterranea Saving Humans" riceve una segnalazione dalla rete di attivisti "Alarm Phone": c'è una barca alla deriva da soccorrere

Intanto sentono anche le comunicazioni via radio dell'aviazione maltese: capiscono che le barche in pericolo, sia per le condizioni di navigazione che per la cattura e la deportazione nei lager libici, sono tre.

I soccorritori arrivano sul posto, in acque internazionali, salvando più di 50 persone

Durante il salvataggio i miliziani-"guardacoste" libici esplodono colpi a distanza ravvicinata scatenando il panico. Alcunə migrantə, "recuperati" dai libici (con navi fornite dall'Italia e pagate con le nostre tasse) vengono picchiati a bordo, mentre altri si gettano in acqua cercando la salvezza, ma non tuttə l'hanno trovata: alcune persone sono state ricatturate e deportate, altre presumibilmente morte annegate o investite dall'imbarcazione italiana in uso ai libici. 

A soccorso concluso, con rientro nel porto di Pozzallo, la beffa dopo il danno: la nave viene multata e bloccata per aver obbedito alle leggi del mare e del buon senso, invece che alla sedicente guardia costiera libica. I soccorritori vengono accusati di aver messo in pericolo i migranti istigandoli a fuggire dai loro carcerieri.


In questo editoriale e post di cronaca ricostruiamo sia la dinamica degli eventi, riportata in un comunicato dell'associazione di soccorritori, sia la cornice politica e legale all'interno della quale si verificano gli abusi dei "criminali contro l'umanità". Abusi che adesso vengono estesi anche in Tunisia, dove si sta replicando "il modello libico".


Una persona si getta dalla motovedetta italiana donata all'abusiva guardia costiera libica: il momento è immortalato in un filmato diffuso da Mediterranea, che stava soccorrendo un barchino in vetroresina alla deriva. La criminale guardia costiera libica aveva già catturato le persone su altre imbarcazioni. Screenshot di un video su Youtube
Una persona si getta dalla motovedetta italiana donata all'abusiva guardia costiera libica: il momento è immortalato in un filmato diffuso da Mediterranea, che stava soccorrendo un barchino in vetroresina alla deriva. La criminale guardia costiera libica aveva già catturato le persone su altre imbarcazioni




PROMESSE DA MARINAIO

Subito dopo la strage di Cutro si era detto "mai più": l'orrore e l'indignazione si manifestavano perché avevamo visto i segni lasciati dalla morte, causata da politiche xenofobe, letteralmente a poche bracciate dalle nostre coste. Ma quelle circa cento vite spezzate sono solo una "goccia nel mare" di circa trentamila vittime nel Mediterraneo dal 2014, la più grande "fossa comune" al Mondo.

Quel "mai più" era destinato a essere una "promessa da marinaio" per chi fomenta discriminazioni etnico-geografiche, per chi crede nella vulgata dell'"ognuno a casa sua", una retorica immorale dal punto di vista etico e inconcludente perfino da quello meramente socio-economico.

Quel "mai più", per molte altre persone, significa invece impegno politico e di militanza per un mondo senza barriere fisiche e mentali, qualcosa cui dedicarsi costantemente affinché non si debba morire più nel profondo mare, nel rovente deserto, o nei gelidi valichi di montagna. Un diritto che dovrebbe essere garantito, a prescindere da considerazioni "utopiche", per tutte quelle persone che legalmente potrebbero richiedere asilo, ma che non hanno i soldi o la possibilità di farlo. Secondo chi scrive, però, lo stesso diritto andrebbe garantito anche a chi soffre ed è "ristretto" all'interno di categorie politiche e legali, come i cosiddetti "migranti economici"... E più in generale andrebbe garantito a chiunque.

Nei fondali del "Mare nostrum" non ci sono solo i resti di nostri simili, ma sono seppelliti anche le basi dello stato di diritto, insieme a secoli di conquiste per i diritti umani. Lì affondano quotidianamente le intenzioni, buone solo sulla carta, delle presunte democrazie liberali. Democrazie che, invece, sono solo liberiste, in cui la libertà di movimento è assicurata alle merci , mentre le persone sono "libere" di muoversi solo se considerate come merce, e comunque secondo le norme dettate da traffici umani anarco-capitalisti o da convenienze funzionali al sistema economico vigente.

Dopo Cutro, con una retorica post-fascista, si era promesso di dare la caccia ai trafficanti di umani "per tutto il globo terracqueo". Eppure si continua a criminalizzare "poveri Cristi e Criste" colti a caso alla guida di un barchino, incriminate in base a testimonianze praticamente indotte, se non estorte, o costrette dai veri trafficanti e dalle contingenze più svariate a essere estemporanei "scafisti per necessità".

Invece, con chi comanda i veri trafficanti si fanno affari, gli forniamo mezzi e addestramenti, li supportiamo con ricognizioni aeree e segnalazioni al fine di riportarli e ri-deportarli illegalmente in campi di detenzione, gestiti da varie mafie, in cui lə migrantə vengono torturatə per estorcere alle loro famiglie denaro, spremendo fino all'ultimo centesimo. Se non hanno soldi vengono letteralmente usatə come schiavə, anche sessuali. Posti da cui lə più fortunatə riescono a scappare, pagando in denaro o in servitù i loro sfruttatori, per tentare il "viaggio della speranza". Se va benissimo al primo tentativo riusciranno a iniziare una vita da rifugiati nella "fortezza Europa", se va male muoiono, se va "così e così" verranno ricatturate e dovranno ripetere il ciclo di torture e schiavitù per ritentare un altro viaggioUn business fruttuoso, in cui da un essere umano si "estrae" quanto più "valore" possibile. Ai veri trafficanti la civilizzata Unione Europea fornisce anche una cornice legale in cui operare. A loro regaliamo soldi delle nostre tasse che dovrebbero servire a bloccare le partenze, ma che finiscono soltanto per alimentare criminali circoli viziosi geopolitici.

Vicende e implicazioni che emergono prepotentemente e chiaramente dall'evento di cronaca di cui parliamo in questo articolo. E non è certo la prima volta che i guardacoste libici sparano e seminano il panico tra soccorsi e soccorritori, come purtroppo abbiamo già riportato tra queste pagine virtuali a proposito delle continue stragi nel Mediterraneo.



LA RICOSTRUZIONE DEL SOCCORSO E IL CONTESTO POLITICO-LEGALE

L'imbarcazione Mare Jonio, rimorchiatore della ONG Mediterranea, salpa nella serata del 3 Aprile da Siracusa, diretta verso la sedicente "Zona SAR" libica ( SAR è acronimo di "Search and Rescue", quindi "Ricerca e Soccorso")

1.4.23

CONTINUANO LE STRAGI NEL MEDITERRANEO

CONTINUANO GLI OSTACOLI ALLE ONG: DAL NAUFRAGIO DELL'11 MARZO A QUELLI DEL 25

 

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Pubblichiamo un lungo editoriale sulle stragi in mare, che purtroppo continuano anche se dopo Cutro si era detto “mai più”, sugli ostacoli alle navi delle ONG, sul blocco della nave Louise Michel, sugli spari dei sedicenti guardacoste libici alla Ocean Viking, sulla condanna della CEDU per l’hotspot di Lampedusa, sui cosiddetti “scafisti” (che non necessariamente sono anche “trafficanti”), sulle giustificazioni delle autorità governative italiane ed europee, sulle conclusioni di un’indagine dell’ONU che documenta le sistematiche torture che avvengono nei lager libici, e sulle domande che non sono state fatte in alcuni media mainstream...

A Cutro 92 persone sono morte (più di 20 erano sotto i 13 anni e si cercano ancora altri dispersi) a poche bracciate dalle nostre coste. Vedere l’angoscia così vicina, a pochi metri dalla nostra indifferenza e assuefazione, ha avuto un impatto emotivo e mediatico molto forte: quando però quello stesso tormento si verifica un po’ più in lontananza anche l’attenzione dei media mainstream cala, facendo spazio a nuove armi di distrazione di masse e facendoci assuefare ai “numeri” di vittime che in realtà sono numeri di storie, di sogni infranti tra i flutti di mare, di diritti affondati da politiche menefreghiste e miopi. Per questo torniamo a parlare delle altre stragi che si sono verificate in questi ultimi giorni, dopo che si era detto “mai più tragedie del genere”, “se partono con i figli è colpa loro” e così via… Per questo dobbiamo cercare di non far “sgonfiare” l’attenzione e attivarci quotidianamente per fermare le stragi!

 

 

IL NAUFRAGIO DELL’11 MARZO: RESPONSABILITÀ MORALI, POLITICHE E OPERATIVE: LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DALL’OPINIONE PUBBLICA

Intorno alle 2 e 30 dell’11 Marzo Alarm Phone -a due settimane dalla strage di Cutro- segnalava la presenza di una barca con 47 persone: a distanza di 30 ore da quel primo segnale di allarme, dopo che ne erano stati inviati altri incluso uno dall’aereo della Sea Watch, ne moriranno 30, mentre 17 verranno salvate da una nave mercantile. Nello specifico, alcune barche si sono schierate in maniera tale da ostacolare la violenza delle onde ma, nonostante ciò, la barca si è ribaltata e solo alcune vite sono state salvate. Nella ricostruzione delle ONG si spiega che, inizialmente, nelle immediate vicinanze c’erano un’altra imbarcazione mercantile e una petroliera che però <<hanno proseguito la rotta senza prestare soccorso>>. Le autorità libiche avevano detto di non avere mezzi a disposizione, chiedendo aiuto all’Italia, mentre quelle maltesi avrebbero addirittura agganciato il telefono...

 

Mediterranea Saving Humans e le due ONG succitate hanno diffuso un comunicato congiunto sulla vicenda, tre giorni dopo il naufragio, in cui si afferma che le autorità italiane e maltesi avrebbero potuto coordinare un’operazione di soccorso, e che il Centro di coordinamento marittimo (MRCC) con sede a Roma aveva <<già coordinato diverse operazione di questo tipo al di fuori della sua area SAR>> (acronimo che indica l’area dell’attività di Ricerca e Soccorso). Nel comunicato è presente anche una dettagliata cronologia degli eventi.