17.2.24

NON TI INTERESSA LA POLITICA?!

TANTO NON CAMBIA NIENTE?!


Senti spesso dire (o dici) “non mi interessa la politica”, “tanto non cambia niente”, “i politici sono tutti uguali”, per poi cadere nella rassegnazione? Allora continua a leggere questo post di filosofia spicciola della rubrica “Valvola”(e incluso anche in “Define”). Troverai degli spunti di riflessione molto semplici per ragionare sull’evenienza di rifiutare la parola “politica” in ogni accezione, o per rispondere a chi se ne disinteressa totalmente, cedendo a passività o indifferenza.

Infatti, non esistono azioni che, per quanto piccole possano essere, non producano delle conseguenze, mentre esistono degli “alibi collettivi” per rassegnarsi, giustificare e accettare, anche solo tramite l’indifferenza, le ingiustizie. Oppure per accontentarsi di piccole “concessioni” che in realtà dovrebbero essere dei diritti.

Inoltre, la parola politica non può essere associata solo a quella fatta dai partiti, in particolare quelli dalla “Seconda Repubblica” in poi (per rimanere nel contesto italiano)... Viviamo in un'epoca di de-politicizzazione totale, e dobbiamo assolutamente ritornare a interessarci di "Politica", capire che questa parola non è solo questione di "politica partitica", andando al di là delle affiliazioni populiste, dogmatiche e, per l'appunto, partitiche.


Figure di persone disegnate in maniera semplice, che si tengono per mano e che espongono 3 cartelli: uno ha un punto esclamativo, un altro interrogativo e l'ultimo entrambi



DEFINIZIONE DI POLITICA E SENSO COMUNE

Il termine “politica” indica principalmente la scienza dell’amministrazione di un’entità statale, delineando come i governanti affrontano i problemi di determinati settori della vita pubblica (per esempio la politica economica o sanitaria) e, secondariamente, le strategie usate per regolare una qualsivoglia attività (per esempio la politica di un negozio per regolare il cambio o la restituzione della merce).

Quando qualcuno dice “non mi interesso di politica” si riferisce perlopiù alla “politica partitica”, esprimendo sentimenti di avversione, repulsione e scetticismo verso la maggioranza o la totalità dei partiti. Orientamenti confermati anche dalle percentuali di astensionismo attualmente ai massimi storici in tutto il globo.

Dunque, nel senso comune, quando ci si riferisce alla politica si intende la sostanziale incapacità di chi governa di risolvere problemi concreti e urgenti, di avere un impatto percepibile nelle nostre vite o anche solo di essere in qualche maniera connessi con esse, non distanti anni luce.

Quando poi si dice “tanto sono tutti uguali, una volta che salgono al potere fanno quello che gli pare, non mantengono mai le promesse ecc.”, ci si riferisce a una sorta di “malattia del trono” (o “malattia della poltrona” nel sistema parlamentare) che colpisce chiunque arriva a sedersi sopra. Una sindrome del potere che colpirebbe qualunque essere umano in una qualche posizione di comando e che, dunque, è insita nel nostro animo, facendo perseguire solo gli interessi di arricchimento propri o del ristretto gruppo di cui si fa parte.

Ammesso che sia così (assumendo cioè che siamo “tutti” uguali ai politici che sono, a loro volta, “tutti uguali”) dovremmo allora sforzarci di incidere sulla natura umana “corrotta” , dotandoci di nuovi strumenti organizzativi e politici che neutralizzino la “sindrome del potere”... Dovremmo trovare delle maniere alternative di gestione e condivisione del potere, che siano più eque e inclusive (si veda l'esempio del "confederalismo democratico" e del municipalismo libertario).

Dal lato opposto, quello dei comuni mortali che non siedono su una “poltrona”, può esserci invece l’incapacità di comprendere che, affinché ci siano dei cambiamenti concreti in positivo, c’è bisogno di una maggiore partecipazione alla vita pubblica. Invece tendiamo semplicemente a infischiarcene, richiudendoci nel nostro "guscio", coltivando solo il nostro "orto". Non ci rendiamo conto che quel disinteresse può essere una colpevole indifferenza, un’assuefazione verso lo status quo, piuttosto che la semplice sfiducia in esso.

Dobbiamo comprendere che delegare qualcuno a svolgere dei compiti, andando a votare ogni tanto, non è sufficiente: serve un altro tipo di impegno più costante, attivo e partecipato. Un impegno che deve tradursi anche in conflitto sociale (non necessariamente violento), in particolar modo quando la mediazione o il compromesso significano sottomissione allo sfruttamento delle classi sociali, dei gruppi di interessi e dei poteri “forti”, e cioè sudditanza nei riguardi di chi compie ciò che viene comunemente percepito come un’ingiustizia... Ma che non viene combattuto! Stiamo gradualmente perdendo tutte che quelle capacità atte a "percepire" e fruire di qualcosa che non siano i contenuti frivoli, “rilassanti” e omologati propinati dall’industria mediatica dominante, il famigerato "mainstream".

Per fortuna la dimensione della politica e, quindi, la voglia e il potere di perseguire il bene collettivo, non è necessariamente quella partitica. Partiti che nella stragrande maggioranza dei casi (se non la totalità, inclusi tantissimi movimenti e "movimentini" dogmaticamente marxisti-leninisti) si sono rivelati non solo fallimentari, ma anche corrotti, cosa che almeno parzialmente giustifica il disinteresse dei più, e che lo spiega completamente.



SI FA POLITICA ANCHE QUANDO SI FA LA SPESA!

Quando si parla di “politica diffusa” si intendono dunque quelle svariate attività di gruppi della cosiddetta “società civile” e di singoli, svincolate dalla logica elettorale (o al limite ancorata a questa solo parzialmente).

La parola “politica” in senso lato, e quindi escludendo il governo di uno stato o le attività di persone non organizzate in un partito, permea ogni ambito della nostra esistenza, tocca le vite di ogni singolo individuo, espandendosi verso la dimensione di “animale umano sociale”. Per questo, secondo chi scrive, anche fare la spesa è fare politica. Un’argomentazione molto diffusa negli ambiti di militanza e attivismo che suscita diatribe sulla definizione stessa: se per esempio si decide di non consumare prodotti di origine animale si attua una scelta in contrasto con un determinato modello economico e culturale di sfruttamento e produzione; oppure, se si decide di non comprare dei prodotti provenienti da un territorio occupato militarmente si sta boicottando una determinata potenza statale opprimente; e ancora, se si scelgono dei prodotti leggendo accuratamente le etichette e vagliando attentamente gli ingredienti usati, invece che farsi attirare dal marketing subdolo delle confezioni più “belle”, si orientano gli acquisti (e quindi la produzione) verso prodotti più salutari, o forse sarebbe meglio dire verso alimenti meno dannosi per la nostra salute, e quindi si svilupperà una maggiore consapevolezza su ciò di cui ci nutriamo, e in ultima istanza si verrebbe orientati a comprare pochi singoli ingredienti per cominciare ad autoprodurre quante più pietanze possibili; infine si potrebbe e si dovrebbe “boicottare” la grande distribuzione per favorire prodotti e produttori “a chilometro zero” o che comunque rispettano una serie di criteri etici.

L’esempio di come si “fa politica” con il carrello della spesa (meglio ancora con sporte e zaini che ci portiamo da casa) fa comprendere che disinteressarsi della “politica in tutti i sensi” è un’assurdità: se smettiamo di interessarci della “politica in senso ampio” cessiamo di agire consapevolmente, di fare scelte da esseri umani. Se ti disinteressi di “politica” la “politica” si interesserà comunque di te e di tutt#, perché qualcun altro deciderà al posto tuo e al posto nostro! E allora da quel disinteresse, che può essere una complicità più o meno consapevole, nascerà altro menefreghismo, qualunquismo, ignoranza, ineguaglianza, populismo e individualismo.

Per questo bisogna superare la concezione di politica come viene comunemente intesa, contrastare la de-politicizzazione imperante che favorisce la religione capitalista del profitto, ideare e sperimentare nuovi paradigmi complementari o radicalmente alternativi al meccanismo della delega e alle fallite democrazie liberal-liberiste, pericolosamente tendenti verso le "democrature", le democrazie illiberali guidate da tiranni "democraticamente" eletti. 

Il meccanismo della delega alla base delle democrazie rappresentative troppo spesso -se non sempre- non si traduce nel trasferire temporaneamente un “pezzo” di potere per perseguire un interesse collettivo tramite un rappresentante, ma diventa uno strumento con cui ci alieniamo del nostro “pezzetto” di potere regalandolo a chi ne è particolarmente avido, per fargli fare i suoi porci comodi, perché “tanto non cambia niente e sono tutti uguali”...

Certo, non è facile: c’è bisogno di riflettere, di ingegnarsi su come gestire le dinamiche di potere. Non è assolutamente tutto “rose e fiori” e ci saranno dei conflitti perché ci saranno sempre delle persone che vorranno accentrare più potere nelle loro mani, che sono decisamente più avide della media, e perché ci saranno sempre idee diverse, al netto delle avidità.

Se non si intraprendono percorsi di cambiamento otterremo solo delle “concessioni” per inerzia, vivremo in “democrature” e oligarchie che solo sulla carta garantiscono uguali diritti, e alcuni di questi verranno parzialmente “concessi” come premi di consolazione per mantenere una parvenza di democrazia... In nome di questi modelli fallimentari di democrazia verranno condotte sempre più guerre, verranno alimentati sempre più conflitti (quasi sempre violenti fisicamente e ideologicamente) per innescare delle guerre "tra poveri" o, per meglio dire, tra classi sociali "inferiori". Saranno sempre più dense le cortine fumogene per distrarre chi sta "in basso", celando le magagne commesse "in alto", seminando discordia e seguendo l'antico insegnamento del "dividi e comanda". Non dobbiamo farci distrarre da chi brama potere, da chi ci vorrebbe tutte e tutti omologati. C'è bisogno di essere uniti e unite nella diversità!

Servono più strumenti e strategie per aumentare il grado di partecipazione nelle decisioni “politiche”, servono modi più efficienti di “fare politica dal basso”, senza sottostare a quanto imposto “dall’alto” per malsana consuetudine o grazie a repressioni e dinamiche conflittuali ritenute “legittime” ma che così non sono. Possiamo identificare questi meccanismi imposti dall'alto perché non garantiscono eguaglianza, e quindi anche uguali condizioni dipartenza.

A tal proposito non si può non citare l’esperimento “più recente” del confederalismo democratico in Rojava, teorizzato da Ocalan a partire dal modello municipalista libertario di Bookchin, e sperimentato da un'avanguardia rivoluzionaria molto critica del modello "avanguardistico" classico. Questo modello di società libertaria si basa uno specifico e articolato meccanismo di delega, un modello di democrazia diretta dove a coordinatrici e rappresentanti viene trasferita solo la possibilità di parlare a nome di un gruppo sociale, e non la capacità decisionale e, quindi, le stesse decisioni.

Queste meccaniche di potere “alternative” vanno sperimentate a partire dal nostro “piccolo quotidiano”, dai luoghi di lavoro alle famiglie passando per qualsivoglia assemblea, incluse quelle condominiali: vanno affinate e rafforzate, alimentando vicendevolmente “pratica e teoria”.



TANTO NON CAMBIA NIENTE? UN’ASSURDITÀ LOGICA!

Quando sentirete dire (oppure, per chi è già attiva/o in processi di militanza e di attivismo, quando voi stessi penserete) “è tutto inutile, tanto non cambierà mai nulla”, ragionate sul fatto che questa è un’assurdità in termini logici: non esiste azione che, per quanto piccola possa essere, non produca delle conseguenze. Perfino la schiavitù e il lavoro minorile venivano visti come qualcosa di immutabile, eppure l’abbiamo aboliti, almeno formalmente e in molti luoghi del globo. Al limite, si potrebbe argomentare che alcune di queste conseguenze saranno insufficienti, forse “insignificanti” sul breve termine.

In realtà ciò che è senza significato è l’indifferenza individualista, il qualunquismo puro, l’inerzia “politica” che porta alla rassegnazione... Comunque, nei casi in cui delle azioni non ci facciano davvero neanche lontanamente avvicinare “idealmente” a un risultato, e nemmeno tendere verso di esso, allora bisognerà concentrarsi su qualcosa “alla nostra portata”, su qualcosa direttamente connesso alla nostra dimensione quotidiana, su obiettivi più modesti: potremmo “martellare ideologicamente” i nostri parenti, le nostri amiche, i nostri colleghi, chi è più vicino a noi. Potremmo provare a incidere negli ambienti (fisici e sociali) a noi più prossimi, oltre che puntare a migliorare e a cambiare noi stessi, il che non vuol dire rinchiuderci “totalmente” nella nostra dimensione individuale e “coltivare il nostro orto” mentre attorno si espande un deserto di devastazione fisica e morale. Significa, invece, trovare un giusto equilibrio tra la dimensione collettiva e quella individuale.

La retorica del “tanto non cambia niente” non deriva certo solo da una genuina rassegnazione: nella stragrande maggioranza dei casi è il principale alibi di chi in fondo non vuole cambiare, di chi è sinceramente conservatore e trae qualche forma di beneficio dall’attuale stato delle cose, dalla vigente divisione di ricchezza e potere. Questa narrazione, paradossalmente e parossisticamente, favorisce proprio quelle forze “politiche” attualmente dominanti e, in particolare, quelle partitiche: se si pensa di vivere in una società in cui “nulla potrà mai cambiare”, quando viene fatta qualche piccola concessione e, quindi, quando viene favorito un qualche cambiamento “minimo” (che magari spetterebbe di diritto), questo non verrà visto come un contentino per accaparrarsi più voti e mantenere lo status quo in maniera indolore, ma verrà fatto sembrare come qualcosa di oggettivamente notevole. In realtà quella cosa è un diritto, e alcuni di questi diritti che abbiamo conquistato nei secoli stanno diventando carta straccia, proprio per la nostra colpevole acquiescenza: se in Palestina stanno massacrando migliaia di bambini e civili, rei di essere "prossimi" o potenziali e futuri "terroristi", non è solo grazie alla "scorta mediatica" dei grandi giornali e alla propaganda di guerra del complesso militare-industriale, ma è dovuto anche al fatto che la società civile internazionale (oltre che la sua componente "politica-partitica") non ha mosso un dito per risolvere la questione palestinese prima del 7 Ottobre, nemmeno per fare un "click" in più davanti al computer condividendo qualche notizia "non mainstream".



CHI SI INTERESSA DI POLITICA È UNO STUPIDO O UN NULLAFACENTE

Parallelamente a questa narrazione se ne sviluppa un’altra, sempre funzionale alla maggioranza delle entità politiche dominanti e da queste propagandata, che tende a identificare chiunque manifesti il proprio dissenso e si sforzi di innescare cambiamenti radicali come stupido, scansafatiche, o addirittura un pericoloso sovversivo. La potremmo chiamare “la vergogna di fare politica” ed è, paradossalmente e parossisticamente, indotta e diffusa proprio da quelle entità che fanno “politica” con la “p” minuscola e che non vogliono elementi scomodi tra i piedi: se scendi in piazza, se protesti, se provi a fare politica in maniera “alternativa” allora sei un poco di buono.

Perché non vai a lavorare?” invece di protestare, diranno anche quegli “indifferenti” che subiscono la “politica con la ‘p’ minuscola”, per poi accusarti di essere ridicolo... Anche solo lo scendere in piazza, la manifestazione più semplice e tipica di una democrazia, viene fatta vivere con un senso di vergogna, e i pochi che hanno il coraggio di farlo vengono dipinti come pericolosi e stupidi, alimentando un circolo vizioso che porta ancora meno persone a manifestare il proprio dissenso, non solo nelle piazze ma in tutti gli ambiti e gli ambienti. Se invece come degli assatanati si festeggia la vincita di una partita calcistica allora va tutto bene: rientra perfettamente nelle logiche del "panem et circensescontemporaneo, ovvero il "pizza e calcio" o "pizza e film" .

Le critiche vengono viste come degli elementi destabilizzanti, non come qualcosa che arricchisce un dibattito che oramai non esiste più: non ha senso avviarli i dibattiti, a che serve comunicare se “tanto non cambia niente”? Se poi qualcuno, oltre a criticare qualcosa che non funziona, prova addirittura a immaginare delle alternative, allora è proprio un “folle” da internare in manicomio (no, non li hanno chiusi veramente, ne hanno aperti di nuovi, "portatili" e "farmacologici", o in costose strutture che molto spesso di riabilitativo hanno solo il nome).

La follia invece è accettare passivamente i vari tipi e gradi di ingiustizia, qualcosa che forse è comprensibile ma non giustificabile, un pericolo che noi “sovversivi” dobbiamo scongiurare!

Spero che, dopo aver letto questo articolo, quando ci sentiremo dire (o ci sentiremo di dire) che “non mi interessa la politica”, “tanto sono tutti uguali”, “tanto non cambia niente”, avrete delle argomentazioni in più su cui riflettere e far riflettere... E spero che, nel piccolo ambito di questa umile “fanzina/rivista”, abbiamo continuato e continueremo a “fare Politica” con la P maiuscola...


Anarco-pacifista







Mentre vi lasciamo con una citazione musicale in tema ("Vocazione rivoluzionaria" dei 99 Posse ed Enzo Avitabile), vi chiediamo: voi cosa ne pensate? Quante volte avete sentito dire o pensato che “non mi interessa la politica”, “tanto sono tutti uguali”, “tanto non cambia niente”?! Quali sono dei modi e delle pratiche per vivere la politica in maniera inclusiva e alternativa? C’è qualche formazione elettorale che si distingue dalla “politica partitica" mainstream? 

Voi come vi definite politicamente?

Definirsi politicamente (anche dichiarandosi "apartitici" per esempio) è un utilissimo esercizio per comprendere la storia e la stessa "politica in senso lato e stretto", e per conoscere meglio la nostra identità. Un esercizio intellettuale che ci aiuta ad affinare il nostro essere politico, andando al di là delle adesioni, più o meno istintive e consapevoli, a un'ideologia o a una corrente. Parliamone insieme: dal vivo, sui canali dei social “asociali”, su quelli alternativi, qui sotto nei commenti, tramite missive, come vi pare ma non tramite piccioni viaggiatori perché siamo -seriamente- contro lo sfruttamento di qualunque essere senziente. Grazie di essere arrivit* fin qui: buon impegno politico!


ultima modifica 20/02/2024 14.36

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