PKK e YPG/YPJ negano ogni addebito per l'attentato di ieri e un comunicato delle SDF accusa il regime di Erdogan di aver inscenato tutto.
I responsabili potrebbero e dovrebbero essere ricercati anche tra le file di alcune organizzazioni di estrema destra, jihadiste, o tra gli “scissionisti” del PKK
Un ordigno è esploso ieri a Istanbul (alle ore 16 italiane) uccidendo almeno 6 persone e ferendone più di 80. Le autorità turche, in meno di una giornata, avrebbero arrestato decine di responsabili: nelle prime ore si parlava di un attacco “kamikaze” messo in atto da una donna ripresa da una telecamera di sicurezza.
Poche ore dopo veniva arrestata Ahlam Al-bashir, siriana che avrebbe
confessato (dalle foto diffuse sembra essere stata colpita al volto –avendo
delle ecchimosi- e indossa una felpa con la scritta “New York”)
di essere una spia del PKK (partito comunista curdo che dall’idea
“separatista” di uno stato “a parte” si è in larga parte spostato verso una
soluzione confederale e libertaria, ispirata al municipalismo libertario di
Murray Bookchin teorizzata dal suo principale esponente, Ocalan, in carcere
sull’isola turca di Imrali dal 1999) e legata anche alle YPG/YPJ (le unità di
protezione popolare del Rojava in Siria, collegate al PKK, che sono riuscite a
“ritagliarsi uno spazio” nel nord-est della Siria lottando contro l’ISIS e
iniziando l'esperimento politico e sociale di una società municipalista
libertaria. Mentre il PKK è ancora considerata ufficialmente una formazione
terrorista da molti stati e dall’UE, le YPG/YPJ non lo sono).
Stando a
quanto riportano le fonti ufficiali, citate dai media turchi, l’ordine sarebbe
partito proprio dalla regione di Kobane (liberata dall’ISIS nel 2015 anche
grazie ai curdi con il supporto dell’occidente) e impartito dalle YPG/YPJ: la
donna sarebbe giunta in Turchia passando per la regione di Afrin (territorio passato sotto il
controllo della fazione HTS -originariamente
legata ad Al Qaeda- con l’avallo
della Turchia che, al contempo, la considera un’organizzazione terroristica).
Mentre nessuna rivendicazione ufficiale dell’atto
terroristico è stata ancora fatta, il
PKK prende le distanze specificando di non ricorrere all’attacco di obiettivi
civili mentre
le unità di protezione popolari YPG/YPJ (che
fanno parte delle SDF, l’alleanza di
milizie formatasi durante la guerra civile siriana che non ha mai portato
avanti attacchi diretti sul suolo turco) sostengono che il passaggio della
donna (con cui negano ogni legame) nella zona di Afrin confermerebbe il
coinvolgimento proprio di Ankara: <<il
territorio di Afrin, occupato dai turchi è stato interamene sotto il controllo
dei servizi segreti turchi dell’AKP
–partito di Erdogan NDA- del Partito
del Movimento Nazionalista e di HTS
(al-Qaeda) fin dal 2018, e conferma che questa messinscena è stata orchestrata
dal governo dell’AKP e da Erdogan che si trova in difficoltà per le imminenti
elezioni>>.
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La pagina web con il comunicato di SDF e YPG, reperibile in lingua inglese a questo link |