2.12.23

LE “MIGLIORI” PRIGIONI DEL MONDO

LA SERIE “DENTRO LE PRIGIONI PIÙ DURE DEL MONDO”, LE PUNTANTE E LE CARCERI “ATIPICHE”

 

Sullo sfondo una prigione tetra. A sinistra due volti sovrapposti: nella testa di uno ci sono delle sbarre con una rappresentazione di sé stesso all'interno. Nella parte posteriore  un volto femminile con all'interno della sua bocca una persona dietro le sbarre. Campeggia la scritta "Le "migliori" prigioni del mondo", e sotto: "parliamo di carceri atipiche, prendendo spunto dalla serie "Dentro le peggiori prigioni del mondo".




In questo post della rubrica RecenTips ci sentiamo di consigliare la visione di una serie documentaristica (e in particolare di alcune puntate di questa, non tanto quelle della prima stagione), con alcuni tratti dei “reality show” prodotta dalla britannica “Emporium Productions” e targata “Netflix” nonostante alcuni aspetti specificamente narrativi che forse vanno a discapito della sua connotazione principalmente documentaristica, e nonostante il fatto che non siamo dei fan della stra-nota piattaforma di streaming statunitense, riteniamo comunque che la serie "Dentro le prigioni più dure del Mondo" possa essere utilizzata come strumento di analisi dei diversi dispositivi di contenzione fisica e mentale, nonché delle similitudini e delle differenze nel funzionamento delle istituzioni carcerarie, oltre che di quelle politiche e sociali, attorno al globo.

Scopo dichiarato della serie è infatti quello di capire se il carcere riabilita davvero, e se lo fa comprendere come lo fa.

Osservando poi alcune “prigioni modello” e le poche puntate dedicate a queste (perché poche sono le prigioni che adottano il “principio di normalità”), parleremo anche delle cosiddette prospettive “riduzionista” e “abolizionista”, che consistono nel ridurre la contenzione fisica solo a casi estremi, e che in prospettiva potrebbero tradursi nell’abolire completamente l’istituzione carceraria, perlomeno nella maniera in cui è attualmente concepita, e cioè quella che segue la logica dello “sbattere in cella e buttare via la chiave” lasciando “marcire” i detenuti, trattati come animali e non come esseri umani, a prescindere da ciò che li ha portati lì dentro.

 

1.12.23

GUERRE, MEDIA E TIFOSERIE

DALLE NARRAZIONI MEDIATICHE POLARIZZATE ALLE "CONTRO-RADICALIZZAZIONI"

 

In questo breve e intenso editoriale parliamo delle etichettature “simmetriche” e radicalizzanti che esprimono le posizioni polarizzanti sui due conflitti più “visibili” dai media e dall’opinione pubblica.

 

Al centro dell'immagine un calamita a forma di "U". A sinistra le foto di Zelensky e Netanyahu, a destra quelle di Putin e di Ismael Haniyeh. A ogni politico sono attaccate delle etichette con le scritte: Neoatlantista, fanatico sionista, putiniano, nazionalista islamico.
Fotografie ai lati rilasciate con licenza "creative commons": foto di Zelensky e Netanyahu di "President.gov.ua"; foto di Ismail Haniyeh, leader di Hamas in basso a destra, di "council.gov.ru".

 

SFEGATATO ATLANTISTA, PUTINIANO, TERRORISTA ANTISEMITA O FANATICO SIONISTA-COLONIALISTA: QUALE “ETICHETTA” TI VIENE AFFIBIATA?!

 

Quando si parla del diritto degli ucraini a difendersi (senza supportare però milizie filonaziste o filo-governative e senza nutrire simpatia alcuna per il disordine mondiale NATO-centrico), oppure dell’applicazione di sanzioni e boicottaggi nei confronti della Russia, oppure si sostiene che è quantomeno anacronistico mettere la bandiera dell’anti-imperialismo nelle mani dell’autocrate Putin (che gode la preistorica, infondata e malsana simpatia dei nostalgici del tipo di fascismo di stampo stalinista) allora vieni identificato come un atlantista sfegatato, un supporter dell’imperialismo della NATO...

 

25.11.23

ANTI-SIONISMO NON È ANTI-SEMITISMO

ISRAELIANI, EBREI ED EX SIONISTI CONTRO SIONISMO E COLONIZZAZIONE PER UNA PALESTINA LIBERA 

Abbiamo cominciato a lavorare a questo lungo articolo (che si è trasformato in un saggio informale da leggere con calma) prima dell’attacco partito dalla Striscia di Gaza, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur...

Le accuse a chi critica lo stato di Israele e a chi prova a metterne in dubbio le sue caratteristiche democratiche vanno avanti da decenni, insieme alle politiche colonialiste dello stato ebraico che non rispettano il diritto internazionale. La principale accusa strumentale mossa a chiunque osi mettere in discussione la legittimità delle politiche e dei confini attuali dello stato di Israele, e che si sta rafforzando dopo l’attacco sferrato da Hamas, è quella di essere anti-semita e di aver dimenticato gli orrori dell’Olocausto.


In foto le parole "antisemitismo", "ebraismo" e "giudaismo" nella colonna sinistra insieme a una stella di David. In mezzo più volte è ripetuto il simbolo matematico "≠", "diverso da" e nella colonna destra le parole "antisionismo", "sionismo" e "Israele", insieme alla bandiera di Israele. Si vede anche una bandiera della pace insieme a una della Palestina e un cartello a una manifestazione con la scritta "un olocausto (1933-45) non ne giustifica un altro (1948-oggi)", oltre a una mappa di Israele e Palestina disegnata come un enorme labirinto


Il nocciolo del problema dunque risiede nell’identificare tout-court l’entità statale sionista-teocratica con l’ebraismo, e di conseguenza l’anti-sionismo con l’anti-semitismo, non considerando l’eterogeneità della cultura ebraica e stereotipizzandola. Nell’articolo si incroceranno anche varie tematiche ricorrenti nella storia e nella questione palestinese, come il concetto di “Nakba”, i pareri sulla cosiddetta “soluzione dei due stati” (principale alternativa a quella dello “stato binazionale”), o il supporto ai fondamentalisti messianici sionisti da parti della potente lobby cristiana-protestante nord-americana.

Partiamo chiarendo da subito la posizione di chi scrive in merito ai circa 50 giorni di “punizione collettiva” dei gazawi (crediamo sia sempre utile esprimerla e separarla dai fatti, e se avete il piacere di esprimerne di diverse tra queste righe, o di segnalarci altri articoli e contenuti, non avete che da contattarci via mail o qui sotto nei commenti, e sarà nostro dovere riportarle e un piacere confrontarci) espressa in estrema sintesi: l’ “ultimissima” parte del conflitto all’interno dei territori palestinesi illegalmente occupati vede come principali protagonisti due “destre”, due estremismi e due fondamentalismi religiosi sostenuti da altre avverse potenze (USA e Iran in primis): da una parte quello fanatico-sionista di Israele e dall’altra quello del nazionalismo-islamico di Hamas. La differenza dello stato etno-centrico ebraico, oltre alla sproporzione di forza, risiede nell’avere un’entità statale (quella sionista-occupante e presunta sola “democrazia-liberale-liberista” del Medio Oriente) che occupa e colonizza illegalmente dei territori con un esercito “regolare”(oltre alle milizie paramilitari dei cosiddetti coloni). Per questo, a maggior ragione, dovrebbe rispettare il diritto internazionale, ma ciò non avviene da vari decenni e anzi: dopo aver favorito Hamas per mettere una pietra tombale su qualunque prospettiva di uno stato palestinese (non avendo nessuno con cui “trattare” ufficialmente) sta cogliendo l’occasione per attuare una nuova “Nakba”, la “Catastrofe” del ‘48, l’inizio della contemporanea politica dagli intenti genocidi nei confronti dei palestinesi.
Inoltre, chiedere ancora di “condannare Hamas” dopo migliaia di morti causati dalla “punizione di massa” in poco più di un mese attuata da Israele, risulta non solo squisitamente fazioso ma anche ridicolo: prima di chiedere “condannate Hamas” bisognerebbe iniziare col condannare Israele , col riconoscere la sproporzione dei danni causati dallo stato etno-cratico e teo-cratico in questi ultimi giorni, non considerando quelli arrecati ai palestinesi (non solo arabi ma anche gli stessi ebrei) a partire da prima della sua fondazione e dal “peccato originale” di matrice europea e colonialista che ne connota la sua stessa nascita.
Questo “saggio-articolo” nasce con l’intento principale di smontare le accuse di anti-semitismo mosse a chiunque critichi Israele, perfino agli stessi israeliani ed ebrei: “disinnescare” questo genere di critiche è diventato più arduo dopo le azioni dei fondamentalisti islamici, e in particolare quelle dirette a obiettivi non militari, che sono ovviamente da condannare in quanto crimini di guerra... Il problema però è che i crimini di guerra commessi negli ultimi decenni da Israele, e in particolare dagli estremisti sionisti-colonialisti, vengono ignorati dalla stampa mainstream, impegnata come al solito ad alimentare la narrazione fantoccio dei “buoni occidentali democratici giudaico-cristiani” contro i “cattivi terroristi”, quasi sempre musulmani, oltre a tralasciare le cause materiali e “materialiste” alla base delle guerre.
Quasi nessuno si indigna quando, quotidianamente, l’esercito israeliano (così come altri apparati militari del mondo “civilizzato”) insieme ai coloni (di fatto delle milizie paramilitari supportate dalle forze di difesa israeliane “ufficiali”) commettono indicibili abusi, perfino con l’avallo di leggi palesemente illegali e incivili (si pensi alle varie torture commesse in regime di detenzione amministrative agli “ostaggi” palestinesi israeliani da anni, ai permessi per costruire insediamenti garantiti solo ai coloni, agli spossessamenti forzati di terre, colture, costruzioni, risorse idriche  e così via), sistematicamente ignorati dalla quasi totalità di politici e degli apparati mediatici.
Quasi nessuno prova a spiegare come vivono effettivamente i palestinesi, come viene irrimediabilmente limitata la loro libertà di movimento, di proprietà, di accesso a strutture sanitarie e scuole, di come vengono rinchiusi (non solo con gli arresti arbitrari) e uccisi, di come delle famiglie vengono separate da recinzioni automatizzate con meccanismi di riconoscimento facciale, di persone che non possono tornare “a casa” pur avendone il pieno diritto, di persone nate e cresciute in campi profughi che non riescono nemmeno a concepire cosa significhi viveri al di fuori di esso, del senso di claustrofobia, letterale e metaforico, che non può far altro che alimentare i fondamentalismi e la lotta armata (conflitto armato che, tra l’altro, è legittimo di fronte a un occupazione illegale anche secondo il diritto internazionale, anche se il diritto alla difesa non dovrebbe mai coinvolgere civili se non come funesti “danni collaterali”, e nonostante questa constatazione sia dolorosa per qualunque vita spezzata, al di là del fatto che indossi una divisa o meno)... Anzi, se qualcuno prova a fare delle critiche a Israele, anche “minime”, viene perfino tacciato di essere anti-semita e complice dei “terroristi”, il che è linguisticamente paradossale: sono gli israeliani guerra-fondai, nazionalisti e colonialisti, a essere anti-semiti perché anche i palestinesi fanno parte delle popolazioni semitiche, anche se il termine anti-semitismo viene usato in chiave anti-ebraica per la prima volta nella Germania di metà ‘800.
 
Contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, sin dagli albori dell’ideale coloniale sionista sul finire dell’800 (supportato in ambito protestante per ragioni teologiche che analizzeremo nei paragrafi conclusivi di questo saggio informale), che mirava a fondare uno stato per gli Ebrei in diversi continenti (e prima che la scelta cadesse in area ottomana), l’anti-sionismo ha sempre avuto dei sostenitori in ambito ebraico, denotando la posizione degli ebrei che vedevano nel sionismo un tradimento dei valori e della cultura ebraica, che non dovevano e non potevano esprimersi nella creazione di una nazione degli ebrei per ragioni politiche (come la contrarietà alla colonizzazione, ai nazionalismi, all’oppressione di altri popoli o il senso di appartenenza alle nazioni in cui già si viveva) e religiose-identitarie (l’ebraismo inteso come una religione, come una cultura, non quindi in senso politico-nazionalista, oltre al rifiuto di “fondare” una nazione ebraica prima dell’arrivo del messia per gli ortodossi). Attualmente però parlare di anti-sionismo sta pericolosamente diventando un tabù, delegittimando e stigmatizzando ogni opposizione al progetto colonialista di Israele, portando a compimento la ridicola identificazione tra sionismo ed ebraismo prevista e scientemente portata avanti per decenni da politicanti come Abba Eban.
E mentre la maggioranza dei principali media mainstream si scaglia contro i presunti -e talvolta purtroppo veri- antisemiti, all’opposto si fa sempre più largo anche l’islamofobia, un sentimento di cui avere paura e da contrastare tanto quanto l’anti-semitismo, insieme al linguaggio genocida che disumanizza la popolazione palestinese.
 
Per decostruire in maniera molto approfondita e collegata con l’attualità questo genere di accuse usiamo le parole di alcuni ebrei e/o israeliani di origini e formazione molto eterogenee.

Iniziamo da tre stralci di interventi, diffusi tramite dei brevi video, che meriterebbero di diventare virali, di salire alla ribalta delle cronache, di risalire i risultati nei “feed” dei vari social network che invece tendono a identificare come “contenuti sospetti” qualunque critica a Israele penalizzandola o bannandola (e che per questo vi invitiamo a ri-postarli e a schiacciare su “mi piace”, anche se non ci piace vedere immagini, o sentire parole molto forti che però non possiamo ignorare). 
Questi primi tre estratti di interventi hanno il merito di sintetizzare efficacemente e in pochissime battute le ingiustizie e le inconsistenze dell’ideale fanatico-sionista, e i danni che esso crea alle diverse comunità nelle terre di Palestina e nel Mondo intero, a cominciare da quelle arabe ed ebraiche: ci riferiamo al rabbino americano “ultra-ortodosso” e anti-sionista Yisroel Dovid Weiss, all’avvocata israelo-americana specializzata in diritti umani Sari Bashi di “Human Rights Watch” e “Gisha, e a Ruth Ben-Artzi, professoressa di scienze politiche negli USA e nipote di Sara e Benjamin Netanyahu, rispettivamente la “first lady” e il presidente di Israele da cui ha preso le distanze parlando di una deriva “fascista” dello stato di Israele.
Passiamo poi alle parole del medico e oratore Gabor Maté, classe 1944, dopo essere sopravvissuto all’Olocausto era diventato, da giovane, un sostenitore dell’ideale sionista di una “terra promessa”, mosso da una naturale ricerca di protezione per il suo popolo, prima di rendersi conto delle atrocità che venivano commesse nei territori occupati dopo averli visitati.
 
Ci spostiamo dal nord-america in Italia, rivolgendo occhi e orecchie alle tanto lucide quanto sdegnose dichiarazioni di Moni Ovadia, che da sempre si è schierato contro l’oppressione del popolo palestinese, e che al contempo ha posto al centro della sua produzione artistica e saggistica il <<vagabondaggio culturale e reale>> di quello ebraico, <<una cultura che le ideologie totalitarie del ‘900 avrebbero voluto cancellare>>: nato in Bulgaria da una famiglia ebraico-sefardita e trasferitosi da piccolo a Milano, dopo una laurea in scienze politiche ha avviato progetti artistici e di ricerca nel campo della musica etnica e popolare. È uno degli artisti e intellettuali italiani che più si prodiga nel denunciare senza remore, con una franchezza cristallina e tagliente gli abusi nei territori palestinesi occupati portati avanti dai gruppi di potere “giudaico-cristiani”.
 
Nella conclusione di questo “saggio informale” andiamo metaforicamente in Israele, riportando brevemente le parole apparse sui canali social di Josh Drill, ex soldato israeliano della ONG “Breakin the silence”, organizzazione di veterani con lo scopo di <<aumentare la consapevolezza sulle tragiche conseguenze di un’occupazione militare prolungata>>.
 
Infine il punto di vista più radicale è probabilmente quello espresso dall’attivista libertario israeliano Jonathan Pollak, noto principalmente come co-fondatore dell’organizzazione “Anarchici contro il muro”, anche se non gli piace essere identificato come tale nello specifico. In alcune interviste oltre a contestualizzare il ricorso alla lotta armata, strategia utilizzata anche da Mandela nella battaglia contro l’apartheid sud-africano, ha messo in evidenza l’ipocrisia dell’ “apartheid-giudiziario” israeliano: arrestato dopo una protesta contro i coloni a Beita, avrebbe potuto essere processato da un tribunale civile in quanto cittadino israeliano, ma ha invece scelto un tribunale militare, rischiando una pena più alta come avviene per chi non ha un passaporto israeliano.
 
Nel testo che segue troverete principalmente video (con appositi link qualora non riusciste a visualizzarli “incorporati” nel post), frammenti di articoli e trascrizioni (con annesse traduzioni dall’inglese) di alcune delle dichiarazioni da loro rilasciate, quelle che riteniamo più significative per testimoniare che non tutti gli ebrei e gli israeliani sono in favore dell’apartheid e dei crimini di guerra in Palestina, anche se questi provengono da percorsi politici, di vita e contesti molto diversi tra loro... E non ci sono solo singoli ebrei e/o israeliani come quelli qui citati, ma anche gruppi e associazioni che da tempo, e in questi ultimi giorni, protestano in favore dei palestinesi, come “Jewish Voice For Peace”, “Rabbis For Human Rights” e “Laboratorio Ebraico Antirazzista”, solo per citarne alcuni.
 
Infine non dobbiamo dimenticare anche alcune delle vittime israeliane dell’attacco di Hamas che continuano a chiedere l’imminente fine dell’offensiva criminale e dell’occupazione illegale israeliana, come Noy Katsman, fratello di Hayim che in vita, dopo essere stato un militare, aveva cominciato a difendere i diritti dei palestinesi. Al suo funerale ha detto: <<non usate le nostre morti e le nostre sofferenze per arrecarne ulteriori ad altre persone e famiglie>>; analogamente Yonatan Zeigen, figlio di Vivian Silver, fondatrice di “Women Wage Peace” e morta durante l’attacco di Hamas, invita il governo israeliano a fare tutto il contrario della guerra, e quindi ad avviare negoziazioni, usando lo slogan che l’anziana avrebbe fatto proprio, e cioè “non nel nostro nome”. Ricordiamo inoltre che perfino l’ex vertice del Mossad Tamir Pardo (e non solo diverse organizzazioni umanitarie e membri dell’ONU come avevamo già detto tra queste pagine virtuali) ha definito, un mese prima del 7 Ottobre, il sistema di segregazione attuato da Israele come un regime di apartheid.



CONTRO L’ETNO-TEOCRAZIA ISRAELIANA O CONTRO GLI EBREI?!


Immagine del rabbino con un cartello recitante la scritta: "I rabbini autentici si sono sempre opposti al sionismo e allo stato di Israele". Nel testo alcune delle parole riportate nell'articolo espresse da lui
Foto a sinistra di "Carolmooredc" rilasciata con licenza creative commons: sul cartello del rabbino si legge: "<I rabbini autentici si sono sempre opposti al sionismo e allo stato di Israele>"

23.11.23

LA “VERA” RAGIONE DELLA GUERRA IN UCRAINA E IN PALESTINA...

... E DEL POTENZIALE SCOPPIO DI UNA NUOVA GRANDE GUERRA: IL DEBITO ESTERO STATUNITENSE E IL “FRIEND SHORING”


foto di una banconota americano: al centro, invece della faccia di un presidente, c'è un carro armato. Ai lati due soldati con fucili spianati


Dietro la guerra ci sono “i soldi”, è quello che più o meno tutti pensiamo e sosteniamo, ed è sostanzialmente vero. Si dice anche che le ragioni alla base delle guerre sono molto simili a quelle che fanno scoppiare liti e conflitti all’interno delle famiglie o nei gruppi di amici, e anche ciò ha del vero... C’è qualcosa che però, nella strettissima attualità e sullo scacchiere politico globale, va oltre le dispute territoriali e l’accaparramento di risorse (dai preziosi minerali per costruire i nostri apparecchi elettronici all’acqua, e quindi le risorse idriche, passando per il vile petrolio), che trascende anche i conflitti ideologici e culturali (di solito propagandati con delle manichee enfatizzazioni di guerre tra “bene” e “male”, tra “occidente democratico civilizzato” e “sud del mondo” o “oriente” “autocratico e incivile”), e che è legato in maniera interdipendente anche ai soldi che si spendono per le “distruzioni” delle guerre (e quindi per l’apparato industriale bellico) e per le “ricostruzioni” post-conflitto (e quindi per l’industria civile): questo qualcosa è il debito estero statunitense...

 

La questione brutalmente sintetizzata è la seguente: gli Stati Uniti hanno un enorme debito verso Cina, Russia e altri creditori “orientali”. I capitali dei debitori statunitensi tendono sempre di più a essere “mangiati”, o per meglio dire “assorbiti” dai creditori orientali. Per questo gli USA, dopo aver storicamente sostenuto il libero scambio e la globalizzazione, cominciano ad attuare politiche protezioniste, innalzando barriere commerciali, finanziarie, e facendo affari solo con stati “amici”. Questo cambio delle “regole” della concorrenza internazionale ovviamente non va giù a chi viene scacciato via dal giro di affari alimentando tensioni anche, se non soprattutto, di carattere militare. Per essere “costruttori di pace” bisogna dunque iniziare a considerare le condizioni economiche delle guerre, e non soltanto quelle ideologiche e le dispute territoriali che sarebbero quindi secondarie, attuando una strategia di “pacifismo conflittuale”.

 

Questa è la tesi del Professore di politica economica Emiliano Brancaccio, economista “eterodosso” che, insieme al “keynesiano” Robert Skidelsky, ha scritto un appello dal titolo “Le Condizioni Economiche per la Pace”, sottoscritto da decine di studiosi e pubblicato negli scorsi mesi anche sul Financial Times ,“tempio” del capitalismo finanziario globale, e su Il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria.

Le parole di Brancaccio trascritte di seguito sono tratte da due incontri: il primo si è tenuto il 7 Settembre, un mese prima dell’attacco di Hamas e della “punizione collettiva” israeliana verso i gazawi, all’EX Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Materdei a Napoli, oggi sede di un “bene comune” e del partito “Potere al Popolo”, durante la tre giorni del festival del centro sociale partenopeo; il secondo, intitolato “La guerra capitalista. Competizione, centralizzazione, nuovo conflitto imperialista”, si è svolto presso l’Università “L’Orientale” di Napoli occupata l’8 Novembre (entrambi gli incontri sono visualizzabili negli appositi link alla pagina Facebook dell’EX OPG e incorporati in calce a questo post).

 

NARRAZIONI MEDIATICHE E QUESTIONI “MATERIALISTE”

 

Le narrazioni mediatiche più diffuse ci abituano a interpretare le guerre come conflitti di natura religiosa, etnica e ideale: questi elementi molto spesso sono concreti, ma basare puramente su di essi le ragioni delle guerre è una <<pura mistificazione>> volta a costruire una “falsa coscienza”, espressione indicante il concetto marxiano per cui le classi dominate incorporano nel proprio “senso comune” le tesi della classe dominante, che riesce dunque a imporre la sua egemonia ideologica.


Più che le fantomatiche “guerre di civiltà” tra civilizzazione e  barbarie, tra mondi liberali e illiberali, più che le dispute territoriali, sono le forze e le dinamiche economiche a determinare le guerre: <<tutto si dice della guerra, eccetto che sia determinata da una legge di movimento dei capitali. È meglio di dire che quello è pazzo, che quello è cretino, che quell’altro è scemo, e così via... meglio dire che si combatte per alti ideali di libertà, che si va a morire ammazzati per una bandiera, piuttosto che affermare che esiste una meccanica di movimento del sistema, meccanica completamente elusa>> nei dibattiti dei principali media generalisti, ma anche nei cosiddetti circuiti accademici “ortodossi” dello studio dell’economia, nei quali di solito il capitalismo è perfino considerato propulsore di libertà, e per questo finalizzato <<addirittura alla costruzione di un nuovo tipo umano>>.

23.7.23

PAUSA DI ORGANIZZAZIONE E RIFLESSIONE

CI PRENDIAMO UNA PSEUDO-PAUSA, MA RESTIAMO SEMPRE ATTIVI-ST*...

Tanti libri, giornali, e carte da leggere ammassate
Nella nostra foto per la canonica pausa “estiva” (che forse si protrarrà fino ad autunno inoltrato, forse meno, lo stiamo ancora decidendo) non ci sono spiagge e ombrelloni, ma tante cose da leggere e scrivere!


Ci prendiamo qualche settimana di pausa, non tanto per “riposare” ma soprattutto per “organizzarci”: prima di scrivere c’è bisogno di studiare e leggere tanto e per questo ci serve molto tempo, ma intanto: esplorate le diverse sezioni del sito (o semplicemente “scrollate” e navigate all’indietro tra i più di cento post pubblicati nelle pagine virtuali in questo anno e mezzo di attività) e tra gli svariati temi trattati ci sarà qualcosa che vi interessa particolarmente.

Oltre a molti articoli e post su fatti di attualità e di cronaca, che cercano di fotografare momenti della “storia iper-contemporanea” di questi mesi, troverete dei contenuti concepiti come degli “articoli a lunga scadenza”, somiglianti a dei saggi più o meno informali, molto spesso con degli “articoletti” all’interno di un “maxi-articolone” da leggere con tanta pazienza (che crediamo verrà ripagata alla fine, anche per uscire dal bombardamento continuo di news omologate, frammentate e poco approfondite, dedicando un po’ più di tempo a testate indipendenti, autoprodotte e atipiche), e siamo sicur* che troverete tantissimi contenuti sempre utili da leggere anche a distanza di molto tempo dall’immediatezza della pubblicazione.

Noi comunque continueremo a pubblicare degli aggiornamenti sui nostri profili social (sia su quelli “asociali” che sul Fediverso tramite Mastodon) e potete continuare a contattarci per segnalazioni, proposte, comunicati e così via.

Vi segnaliamo anche il primo post (che è anche un saggio breve sui media alternativi e sul giornalismo indipendente) in cui spieghiamo in cosa consiste il progetto di giornalismo indipendente e sperimentale di Fanrivista, e se in qualche maniera i nostri propositi vi attirano e li sentite “affini” personalmente, politicamente o editorialmente, qui spieghiamo come collaborare/cooperare/federarsi con noi.

Grazie a tutt* quell* che stanno supportando il progetto anche solo leggendoci e criticandoci!

LOVE!

Il Direttore Tuttofare 

22.7.23

PATRICK ZAKI È LIBERO:

ADESSO ESIGIAMO VERTIÀ E GIUSTIZIA PER GIULIO REGENI!

Mentre il dibattito dei media mainstream si focalizza sull’aereo di stato rifiutato da Patrick Zaki, che come difensore dei diritti umani si mantiene indipendente da ogni governo (e in particolare da questo che vorrebbe farsi le foto con lui “in passerella”, e cioè sfruttare il suo caso per ottenere un vantaggio mediatico) e mentre la stampa destrorsa lo bolla per questo come “ingrato”, noi continuiamo a fare pressione sul governo italiano e sul regime egiziano perché adesso si ottenga giustizia e si faccia piena luce sulla torbida vicenda di Giulio Regeni, rapito nel 2016 nel giorno dell'anniversario delle proteste di piazza Tahrir al Cairo, e trovato morto circa dieci giorni dopo vicino a una struttura detentiva dei servizi egiziani.



CLICCA O SCHIACCIA L'IMMAGINE PER VEDERLA IN MANIERA NITIDA
In basso a sinistra i titoli dei giornali in una ricerca su Google che parlano dell'attacco a Patrick Zaki, definito "ingrato" per aver rifiutato il volo di stato offerto dal governo (in fondo all'articolo trovate l'immagine originale). In alto a sinistra l'immagine di Patrick Zaki dell'Egyptian Initiative for Personal Rights (l'originale a questo link). In alto a destra l'immagine di Giulio Regeni di Asiaecica (l'originale a questo link). In basso a destra un banner in cui si chiede verità per Giulio Regeni fotografato da Camelia.boban (l'originale a questo link). Licenza delle tre foto "CC BY-SA 4.0 DEED"

Il governo "post-fascista" prova ad appropriarsi di una battaglia portata avanti da un largo settore della “società civile”, oltre che da movimenti e individualità più “politicizzati”. Il giornale Libero attacca lo studioso definendolo "ingrato" per l'ovvio rifiuto del volo di stato, mentre il ministro Crosetto sfodera un pessimo umorismo dicendo: <<meglio, così risparmiamo>>.

Siamo contenti che Patrick non dovrà essere rinchiuso per un ulteriore anno nelle prigioni e luoghi di tortura egiziani (dato che ne ha comunque già scontati quasi due), ma riteniamo che l’ottenimento della sua libertà sia diplomaticamente molto più complesso e di difficile realizzazione rispetto alla consegna di alcuni membri dell’élite militare egiziana alla giustizia italiana (gli imputati si chiamano: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abedal Sharif e sono attualmente irreperibili), perché in sostanza di questo si tratta.

20.7.23

DIARIO DAL CRACK! 2023 CANNIBALE: DO EAT OURSELVES!

IL REPORTAGE MAGMATICO E STRAMPALATO

 

locandina di quest'anno
La locandina di quest’anno del Crack! è stata realizzato da Durga Maya

Anche quest’anno pubblichiamo l’inatteso report strampalato del nostro inviato per nulla speciale, il Cronista Autoprodotto, sul Crack!, il festival di arte underground più dirompente e partecipato di tutte le galassie e le dimensioni a noi note (a questo link invece, per i/le più nostalgich* e curios*, quello che avevamo combinato nell’edizione VUDU del 2022).

locandina di quest'anno affissa a un muro


Il festival nasce nel 2003 quando la manifestazione era denominata “Celle Aperte”, e prende il nome da una citazione onomatopeica di Hugo Pratt, la trascrizione del rumore di un ramo che si spezza e di uno sparo nel deserto, facendo “crack” per l’appunto: il fest vuole essere questo, un rumore dirompente in un deserto culturale.

 

la vignetta dello sparo nel deserto

Quest’anno era la prima volta che esponevamo con un banchetto e quindi la prima volta che partecipavamo in prima persona plurale a una fiera, e per questo la recensione del fest di quest’anno è un po’ diversa, in una forma ancora più diaristica del solito, e ancora più svogliata e disordinata dell’anno scorso (essendo stati impegnati nel “propagandare” la nostra autoproduzione giornalistica), ma sempre coerente con lo spirito del giornalismo indipendente e autogestito che caratterizza queste pagine virtuali. 

13.7.23

VERITÀ E GIUSTIZIA PER UGO RUSSO

INIZIA A SETTEMBRE IL PROCESSO PER OMICIDIO PLURIAGGRAVATO A CARICO DEL CARABINIERE

Parliamo di Ugo Russo, la giovane vita che, secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri, è stata spezzata da un militare addestrato all’uso di armi con vari colpi d’arma da fuoco, di cui uno fatale che sarebbe stato sparato alle sue spalle, tre anni fa a Napoli: riteniamo che la questione “burocratica” e mediatica del murales a lui dedicato sia salita alla ribalta delle cronache a discapito delle ricostruzioni sulla sua morte, delle sistemiche tragedie sociali alla base della diffusione di reati predatori, ma anche delle misure di “welfare” mafioso che compensano le mancanze statali, nonché del labile confine tra “buoni e cattivi”.

un disegno di Ugo Russo contenuto nel fumetto di Zerocalcare intitolato "Strati", ripreso nell'installazione degli attivisti di Liberi
Nell'immagine un disegno di Ugo Russo contenuto nel fumetto di Zerocalcare intitolato "Strati", ripreso nell'installazione degli attivisti di Liberi


Partiamo quindi dalla ricostruzione di quel funesto evento, per poi concludere con una serie di considerazioni e opinioni, e dopo aver dato nota di una nuova un’installazione-azione degli artisti-attivisti di “Liberi” e di “Free Assange Napoli”, fiduciosi che le verità relative alla tragica fine di un adolescente emergeranno completamente nel processo che partirà a breve, e sperando di aver contribuito nel nostro piccolo a far conoscere meglio la vicenda, dal punto di vista della mera cronaca ma soprattutto da quello sociale: abbiamo cercato di farlo nel modo più oggettivo possibile e chiariamo da subito che secondo noi in questa orrenda storia non ci sono né santi né mostri, ma esseri umani con cui condividiamo tanti problemi che dobbiamo risolvere insieme, per continuare un percorso di cambiamento sociale e perché fatti del genere non si ripetano più!

 

LA DINAMICA DEGLI EVENTI RICOSTRUITA DALL’ACCUSA

11.7.23

RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE PER I FATTI DEL SANT’ANNA

PER LA PROCURA INATTENDIBILI LE TESTIMONIANZE IN MERITO AL FILONE DI INAGINE SU LESIONI E TORTURA

 

a sinistra l'immagine stilizzata di un poliziotto che colpisce una persona a terra. Al centro la scritta "Noi non archiviamo!" e uno striscione con scritto: "verità e giustizia per i morti di Sant'anna". In alto a destra le immagini delle 9 vittime. In basso e a destra immagini dei medicinali "razziati", in particolare metadone.

 

Tre mesi fa abbiamo pubblicato un dettagliato resoconto relativo alle rivolte e alla strage nelle carceri durante i primi giorni dell’esplosione della pandemia, un evento tanto tragico quanto oscuro e unico nella storia penitenziaria italiana (qui la prima parte e a quest’altro link la seconda)... Evento unico ma non per questo imprevedibile dato che la gestione di una rivolta in un luogo studiato per contenere persone che non vogliono essere rinchiuse non dovrebbe essere qualcosa di straordinario: alcuni provarono a scaricare le colpe su una “complottistica regia mafiosa”, ipotesi smentita da un’apposita Commissione del Ministero della Giustizia che ha analizzato le dinamiche dello scoppio delle rivolte istituto per istituto. Secondo l’apposita commissione resta comunque l’ipotesi che <<familiari e gruppi antagonisti abbiano concordato il momento in cui dare avvio>> alle proteste, e che quindi questi sono capaci di “creare conflitto” anche senza il supporto della criminalità organizzata. Nel 2021 sono state concepite nuove norme per fronteggiare questo tipo di situazioni, con molte perplessità sul “via libera” al personale esterno armato, mentre sarebbe più utile ripensare “da zero” l’istituzione carceraria tendendo verso un orizzonte abolizionista e analizzando le cause che portano la stragrande maggioranza di esseri umani nelle carceri (le sole politiche antiproibizioniste, che derivano dalla fallita “guerra alla droga” annunciata nell’era di Nixon, sono alla base della restrizione di circa il 20% della popolazione carceraria globale).

La ragione principale dei disordini risiede nelle barbare e disumane condizioni delle “discariche sociali” che chiamiamo carceri, con dei problemi sociali e sanitari strutturali, ulteriormente aggravati dalla pandemia: si pensi solo al fatto che mentre fuori ci organizzavamo per restare isolati e distanziati, all’interno delle prigioni il sovraffollamento era (ed è ancora) la norma, ma come abbiamo già scritto questa era solo la criticità più lampante di tutte, insieme all’insufficienza di assistenza sanitaria e di attività che servirebbero a “riabilitare” le persone ristrette per rientrare al meglio nella nostra società malata...

Altre criticità nella gestione e prevenzione degli effetti tragici delle rivolte è sicuramente quella della custodia degli psicofarmaci (metadone incluso) che, da soli (e quindi tralasciando le svariate evidenze che suggeriscono episodi violenti), avrebbero condotto alla morte per overdose di 13 delle vittime. Una quattordicesima invece è morta a distanza di un mese per cause naturali, presumibilmente peggiorate da quegli eventi, e sempre a distanza di un mese una quindicesima è morta sempre per overdose di farmaci ma non durante il caos delle rivolte, bensì in una cella di isolamento a S. Maria Capua Vetere, e quindi in un momento in cui doveva essere sotto stretta sorveglianza.

8.7.23

AGGIORNAMENTO SU ALFREDO COSPITO

CONDANNATO A 23 ANNI INVECE CHE ALL’ERGASTOLO

RIDIMENSIONATA LA PENA ANCHE PER ANNA BENIAMINO

A sinistra e al centro le immagini di Cospito che viene allontanato da un'udienza mentre alza il pugno, riprese da siti dell'area insurrezionalista e usate per pubblicizzare degli eventi in suo favore. A destra la stessa immagine viene stilizzata e usata per analoghe iniziative.
A sinistra e al centro le immagini di Cospito che viene allontanato da un'udienza, riprese da siti dell'area insurrezionalista e usate per pubblicizzare degli eventi in suo favore. A destra la stessa immagine diventa un'icona, viene stilizzata e usata per analoghe iniziative.

 

Pubblichiamo una stringata sintesi della vicenda giudiziaria di Alfredo Cospito e di Anna Beniamino, insieme agli ultimi aggiornamenti e a degli approfondimenti

 

Negli scorsi mesi avevamo pubblicato un dettagliato resoconto delle vicende giudiziarie riguardanti l’anarco-insurrezionalista Alfredo Cospito, che attualmente sta scontando una pena di quasi 11 anni per la gambizzazione dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare nel 2012, Roberto Adinolfi, ma che è stato condannato in via definitiva anche per un altro evento...

Nel 2022 la Corte di Cassazione confermava la condanna per le esplosioni di due ordigni davanti la caserma per allievi carabinieri di Fossano in provincia di Cuneo nel 2006, riqualificando però il reato commesso come quello più grave previsto dall’ordinamento italiano, e cioè di “strage politica”. Inizialmente era stato condannato per “strage semplice”, e per “strage” si intende anche il solo tentativo di uccidere più persone, dato che l’attentato è stato solo tentato (mentre Cospito lo ha sempre definito meramente “dimostrativo” pur non reclamandone la paternità, e spiegando che <<gli anarchici non fanno stragi indiscriminate perché non sono lo stato>>). Per questo la Suprema Corte aveva rinviato gli atti alla Corte d’assise di Torino per calcolare nuovamenta la pena. Quest’ultima chiamava in causa la Corte Costituzionale per decidere se nel suo caso si potevano concedere le attenuanti, nonostante la recidività, che lo avrebbero salvato dalla pena dell’ergastolo: ad Aprile la Consulta ha dichiarato incostituzionale una parte dell’articolo 69 del Codice penale, precisamente quella che vietava di considerare le circostanze attenuanti come prevalenti sull’aggravante della recidiva. In quei giorni Cospito interruppe lo sciopero della fame che aveva intrapreso come forma di battaglia non violenta contro il “41 bis” e il regime di ostatività, e che è durato circa 6 mesi. Dopo la decisione è stato infine condannato a 23 anni invece che all’ergastolo, mentre per lo stesso evento la sua compagna, Anna Beniamino, è stata condannata a 17 anni e 9 mesi invece che a 27 anni e 1 mese come chiedeva la procura.

 

Per chi fosse interessato ad approfondire la vicenda da un punto di vista sia politico che tecnico, oltre al resoconto già menzionato segnaliamo i seguenti articoli:

 

1) LE DICHIARAZIONI DEI MEDICI DI MESSINA DENARO E DI COSPITO

DUE PESI E DUE MISURE

Qui trovate un’ “esclusiva” di Fanrivista (dato che siamo stati i soli a mettere a confronto due notizie di cronaca avvenute lo scorso Gennaio) dove parlavamo dei “due pesi e due misure” usati con Cospito e Matteo Messina Denaro: un primo punto riguarda l’accusa di strage politica, dato che in un primo momento il vertice di Cosa Nostra era accusato “semplicemente” di omicidio plurimo per il concosro nella strage di Capaci, mentre poi verrà condannato solo per strage comune.

Inoltre in quei giorni mentre il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria vietava alla dottoressa che curava la salute di Cospito di rilasciare dichiarazioni alla testata radiofonica antagonista “Radio Onda d’Urto”, tutte le principali testate nazionali pubblicavano le dichiarazioni di Messina Denaro ai sanitari che lo avevano in cura, dichiarazioni che potenzialmente potevano nascondere dei messaggi in codice e che dunque sarebbe stato più sensato vietare, a differenza di quelle dell’anarchico che da anni pubblicava a distanza su vari siti della galassia anarchica, testi che giustificherebbero il regime ostativo cui è sottoposto, mentre secondo il suo legale sarebbe bastato applicare una censura sulla sua corrispondenza lasciandolo nella sezione di “alta sicurezza”.

 

 

2) PERCHÉ STO CON COSPITO E PERCHÉ NON STO CON COSPITO (parte 1)

DALLE VENDETTE DI STATO AI CRIMINI PUNIBILI E NON PUNIBILI

In questo post parliamo di 41 bis ed ergastolo non riducibile (detto anche ostativo).

 

3) PERCHÉ STO CON COSPITO E PERCHÉ NON STO CON COSPITO (parte 2)

L’USO DELLA VIOLENZA E LA STORICA SPACCATURA DEL MOVIMENTO LIBERTARIO

Qui invece il nostro Anarco-pacifista esprime la sua posizione personale su questioni di militanza, e in particolare riguardo all’uso della violenza come strumento politico, sulle diverse anime e sulle storiche spaccature del movimento anarchico (no, anarchia non vuol dire semplicemente “caos”, casomai ve lo steste chiedendo!).

 

4) ALFREDO COSPITO: TEORIE DEL COMPLOTTO O FRAMMENTI DI VERITÀ?!

LE ACCUSE INFODATE ALLA PSEUDO-SINISTRA (PD) E I TIPI DI PROTESTE CHE POSSONO FAVORIRE LA NORMALIZZAZIONE DELLA REPRESSIONE DEMOCRATICA E POTENZIALMENTE A BENEFICIO DELLA “STRATEGIA DELLA TENSIONE”

Qui parlavamo delle accuse, campate in aria, mosse da Giovanni Donzelli (Fratelli d’Italia) alla pseudo-sinistra del Partito Democratico (in questi giorni per il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, che ha passato le informazioni a Donzelli, è stata disposta l'imputazione coatta per rivelazione di segreto d’ufficio), “disegnando” alcuni scenari che potrebbero essere puri “deliri complottisti” senza fondamento così come dei frammenti “di e delle” verità legate al caso umano e giudiziario dell’anarchico-nichilista.

 

 

Proto-Redazione

 

Come di consueto alleghiamo una citazione musicale in armonia con quanto scritto sopra: si tratta di “Kanzone su un detenuto politico” dei “24 Grana




 ultima modifica 10/07/2023 18:22