LA SERIE “DENTRO LE PRIGIONI PIÙ DURE DEL MONDO”,
LE PUNTANTE E LE CARCERI “ATIPICHE”
In questo post della rubrica RecenTips ci sentiamo di consigliare la visione di
una serie documentaristica (e in particolare di alcune puntate di
questa, non tanto quelle della prima stagione), con alcuni tratti dei
“reality show” prodotta dalla britannica “Emporium Productions” e targata
“Netflix” nonostante alcuni aspetti specificamente narrativi che
forse vanno a discapito della sua connotazione principalmente documentaristica,
e nonostante il fatto chenon siamo dei fan della stra-nota
piattaforma di streaming statunitense, riteniamo comunque che la serie "Dentro
le prigioni più dure del Mondo"possa essere utilizzata come strumento di analisi dei
diversi dispositivi di contenzione fisica e mentale, nonché delle
similitudini e delle differenze nel funzionamento delle istituzioni
carcerarie, oltre che di quelle politiche e sociali, attorno al globo.
Scopo dichiarato della serie è infatti quello di capire se
il carcere riabilita davvero, e se lo fa comprendere come lo fa.
Osservando poi alcune “prigioni modello” e le poche
puntate dedicate a queste (perché poche sono le prigioni che adottano il “principio
di normalità”), parleremo anche delle cosiddette prospettive “riduzionista”
e “abolizionista”, che consistono nel ridurre la contenzione fisica solo
a casi estremi, e che in prospettiva potrebbero tradursi nell’abolire
completamente l’istituzione carceraria, perlomeno nella maniera in cui è
attualmente concepita, e cioè quella che segue la logica dello “sbattere
in cella e buttare via la chiave” lasciando “marcire” i detenuti, trattati
come animali e non come esseri umani, a prescindere da ciò che li ha portati lì
dentro.
DALLE NARRAZIONI MEDIATICHE POLARIZZATE ALLE "CONTRO-RADICALIZZAZIONI"
In questo breve e intenso editoriale parliamo delle etichettature
“simmetriche” e radicalizzanti che esprimono le posizioni polarizzanti sui due
conflitti più “visibili” dai media e dall’opinione pubblica.
Fotografie ai lati rilasciate con licenza "creative commons": foto di Zelensky e Netanyahu di "President.gov.ua"; foto di Ismail Haniyeh, leader di Hamas in basso a destra, di "council.gov.ru".
SFEGATATO ATLANTISTA, PUTINIANO, TERRORISTA ANTISEMITA O
FANATICO SIONISTA-COLONIALISTA: QUALE “ETICHETTA” TI VIENE AFFIBIATA?!
Quando si parla del diritto degli ucraini a difendersi (senza
supportare però milizie filonaziste o filo-governative e senza nutrire simpatia
alcuna per il disordine mondiale NATO-centrico), oppure dell’applicazione di
sanzioni e boicottaggi nei confronti della Russia, oppure si sostiene che è
quantomeno anacronistico mettere la bandiera dell’anti-imperialismo nelle mani
dell’autocrate Putin (che gode la preistorica, infondata e malsana simpatia dei
nostalgici del tipo di fascismo di stampo stalinista) allora vieni identificato
come un atlantista sfegatato, un supporter dell’imperialismo della
NATO...
ISRAELIANI, EBREI ED EX SIONISTI CONTRO SIONISMO E COLONIZZAZIONE PER UNA PALESTINA LIBERA
Abbiamo cominciato a lavorare a questo lungo articolo (che si è
trasformato in un saggio informale da leggere con calma) prima dell’attacco
partito dalla Striscia di Gaza, nel cinquantesimo anniversario della guerra
dello Yom Kippur...
Le accuse a chi critica lo stato di Israele e a chi prova a
metterne in dubbio le sue caratteristiche democratiche vanno avanti da decenni,
insieme alle politiche colonialiste dello stato ebraico che non rispettano il
diritto internazionale. La principale accusa strumentale mossa a chiunque osi
mettere in discussione la legittimità delle politiche e dei confini attuali
dello stato di Israele, e che si sta rafforzando dopo l’attacco sferrato da
Hamas, è quella di essere anti-semita e di aver dimenticato gli orrori dell’Olocausto.
Il nocciolo del problema dunque risiede nell’identificare
tout-court l’entità statale sionista-teocratica con l’ebraismo, e di
conseguenza l’anti-sionismo con l’anti-semitismo, non considerando l’eterogeneità
della cultura ebraica e stereotipizzandola. Nell’articolo si incroceranno anche
varie tematiche ricorrenti nella storia e nella questione palestinese, come il
concetto di “Nakba”, i pareri sulla cosiddetta “soluzione dei due stati”
(principale alternativa a quella dello “stato binazionale”), o il supporto ai
fondamentalisti messianici sionisti da parti della potente lobby
cristiana-protestante nord-americana.
Partiamo chiarendo da subito la posizione di chi scrive in merito ai circa 50 giorni di “punizione
collettiva” dei gazawi (crediamo sia sempre
utile esprimerla e separarla dai fatti, e se avete il piacere di esprimerne di
diverse tra queste righe, o di segnalarci altri articoli e contenuti, non avete
che da contattarci via mail o qui sotto nei commenti, e sarà nostro dovere
riportarle e un piacere confrontarci) espressa in estrema sintesi:l’ “ultimissima”
parte del conflitto all’interno dei territori palestinesi illegalmente occupati
vede come principali protagonisti due “destre”, due estremismi e due
fondamentalismi religiosi sostenuti da altre avverse potenze (USA e Iran in
primis): da una parte quello fanatico-sionista di Israele e dall’altra quello
del nazionalismo-islamico di Hamas. La differenza dello stato etno-centrico
ebraico, oltre alla sproporzione di forza, risiede nell’avere un’entità statale
(quella sionista-occupante e presunta sola “democrazia-liberale-liberista” del
Medio Oriente) che occupa e colonizza illegalmente dei territori con un
esercito “regolare”(oltre alle milizie paramilitari dei cosiddetti coloni). Per
questo, a maggior ragione, dovrebbe rispettare il diritto internazionale, ma
ciò non avviene da vari decenni e anzi: dopo aver favorito Hamas per mettere una
pietra tombale su qualunque prospettiva di uno stato palestinese (non avendo
nessuno con cui “trattare” ufficialmente) sta cogliendo l’occasione per attuare
una nuova “Nakba”, la “Catastrofe” del ‘48, l’inizio della contemporanea
politica dagli intenti genocidi nei confronti dei palestinesi. Inoltre, chiedere ancora di “condannare Hamas” dopo migliaia di
morti causati dalla “punizione di massa” in poco più di un mese attuata da
Israele, risulta non solo squisitamente fazioso ma anche ridicolo: prima di
chiedere “condannate Hamas” bisognerebbe iniziare col condannare Israele , col
riconoscere la sproporzione dei danni causati dallo stato etno-cratico e
teo-cratico in questi ultimi giorni, non considerando quelli arrecati ai
palestinesi (non solo arabi ma anche gli stessi ebrei) a partire da prima della
sua fondazione e dal “peccato originale” di matrice europea e colonialista che
ne connota la sua stessa nascita. Questo “saggio-articolo” nasce con l’intento principale di
smontare le accuse di anti-semitismo mosse a chiunque critichi Israele, perfino
agli stessi israeliani ed ebrei: “disinnescare” questo genere di critiche è
diventato più arduo dopo le azioni deifondamentalisti islamici,
e in particolare quelle dirette a obiettivi non militari, che sono
ovviamente da condannare in quanto crimini di guerra... Il problema però
è che i crimini di guerra commessi negli ultimi decenni da Israele, e in
particolare dagli estremisti sionisti-colonialisti, vengono ignorati
dalla stampa mainstream, impegnata come al solito ad alimentare la narrazione
fantoccio dei “buoni occidentali democratici giudaico-cristiani” contro i
“cattivi terroristi”, quasi sempre musulmani, oltre a tralasciare le cause materiali e “materialiste” alla base delle guerre. Quasi nessuno si indigna quando, quotidianamente, l’esercito
israeliano (così come altri apparati militari del mondo “civilizzato”) insieme
ai coloni (di fatto delle milizie paramilitari supportate dalle forze di difesa israeliane “ufficiali”)
commettono indicibili abusi, perfino con l’avallo di leggi palesemente
illegali e incivili (si pensi alle varie torture commesse in regime di
detenzione amministrative agli “ostaggi” palestinesi israeliani da anni, ai
permessi per costruire insediamenti garantiti solo ai coloni, agli spossessamenti
forzati di terre, colture, costruzioni, risorse idriche e così via), sistematicamente ignorati dalla
quasi totalità di politici e degli apparati mediatici. Quasi nessuno prova a spiegare come vivono effettivamente i
palestinesi, come viene irrimediabilmente limitata la loro libertà di
movimento, di proprietà, di accesso a strutture sanitarie e scuole, di come
vengono rinchiusi (non solo con gli arresti arbitrari) e uccisi,
di come delle famiglie vengono separate da recinzioni automatizzate con
meccanismi di riconoscimento facciale, di persone che non possono tornare “a
casa” pur avendone il pieno diritto, di persone nate e cresciute in campi profughi
che non riescono nemmeno a concepire cosa significhi viveri al di fuori di esso,
del senso di claustrofobia, letterale e metaforico, che non
può far altro che alimentare i fondamentalismi e la lotta armata (conflitto
armato che, tra l’altro, è legittimo di fronte a un occupazione illegale anche
secondo il diritto internazionale, anche se il diritto alla difesa non dovrebbe
mai coinvolgere civili se non come funesti “danni collaterali”, e nonostante questa
constatazione sia dolorosa per qualunque vita spezzata, al di là del fatto che
indossi una divisa o meno)... Anzi, se qualcuno prova a fare delle critiche a
Israele, anche “minime”, viene perfino tacciato di essere anti-semita e
complice dei “terroristi”, il che è linguisticamente paradossale: sono gli
israeliani guerra-fondai, nazionalisti e colonialisti, a essere anti-semiti
perché anche i palestinesi fanno parte delle popolazioni semitiche,
anche se il termine anti-semitismo viene usato in chiave anti-ebraica per la
prima volta nella Germania di metà ‘800. Contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, sin
dagli albori dell’ideale coloniale sionista sul finire dell’800 (supportato in
ambito protestante per ragioni teologiche che analizzeremo nei paragrafi
conclusivi di questo saggio informale), che mirava a fondare uno stato per gli
Ebrei in diversi continenti (e prima che la scelta cadesse in area ottomana), l’anti-sionismo
ha sempre avuto dei sostenitori in ambito ebraico, denotando la posizione
degli ebrei che vedevano nel sionismo un tradimento dei valori e della cultura
ebraica, che non dovevano e non potevano esprimersi nella creazione di una
nazione degli ebrei per ragioni politiche (come la contrarietà alla
colonizzazione, ai nazionalismi, all’oppressione di altri popoli o il senso di
appartenenza alle nazioni in cui già si viveva) e religiose-identitarie
(l’ebraismo inteso come una religione, come una cultura, non quindi in senso
politico-nazionalista, oltre al rifiuto di “fondare” una nazione ebraica prima
dell’arrivo del messia per gli ortodossi). Attualmente però parlare di
anti-sionismo sta pericolosamente diventando un tabù, delegittimando e
stigmatizzando ogni opposizione al progetto colonialista di Israele, portando a
compimento la ridicola identificazione tra sionismo ed ebraismo prevista e scientemente portata avanti per decenni da politicanti come Abba Eban. E mentre la maggioranza dei principali media mainstream si scaglia
contro i presunti -e talvolta purtroppo veri- antisemiti, all’opposto si fa
sempre più largo anche l’islamofobia, un sentimento di cui avere paura e
da contrastare tanto quanto l’anti-semitismo, insieme al linguaggio genocida
che disumanizza la popolazione palestinese. Per decostruire in maniera molto approfondita e collegata con
l’attualità questo genere di accuse usiamo le parole di alcuni ebrei e/o israeliani di origini e formazione molto eterogenee.
Iniziamo da tre stralci di interventi, diffusi tramite dei
brevi video, che meriterebbero di diventare virali, di salire alla ribalta
delle cronache, di risalire i risultati nei “feed” dei vari social network che
invece tendono a identificare come “contenuti sospetti” qualunque critica a
Israele penalizzandola o bannandola (e che per questo vi invitiamo a
ri-postarli e a schiacciare su “mi piace”, anche se non ci piace vedere
immagini, o sentire parole molto forti che però non possiamo ignorare). Questi primi tre estratti di
interventi hanno il merito di sintetizzare efficacemente e in pochissime
battute le ingiustizie e le inconsistenze dell’ideale fanatico-sionista, e i
danni che esso crea alle diverse comunità nelle terre di Palestina e nel Mondo
intero, a cominciare da quelle arabe ed ebraiche: ci riferiamo al rabbino
americano “ultra-ortodosso” e anti-sionista Yisroel Dovid Weiss,
all’avvocata israelo-americana specializzata in diritti umani Sari Bashi
di “Human Rights Watch” e “Gisha”, e a Ruth Ben-Artzi, professoressa di scienze
politiche negli USA e nipote di Sara e Benjamin Netanyahu, rispettivamente la
“first lady” e il presidente di Israele da cui ha preso le distanze parlando di
una deriva “fascista” dello stato di Israele. Passiamo poi alle parole del medico e oratore Gabor Maté, classe 1944, dopo
essere sopravvissuto all’Olocausto era diventato, da giovane, un
sostenitore dell’ideale sionista di una “terra promessa”, mosso da una naturale
ricerca di protezione per il suo popolo, prima di rendersi conto delle atrocità
che venivano commesse nei territori occupati dopo averli visitati. Ci spostiamo dal nord-america in Italia, rivolgendo occhi e
orecchie alle tanto lucide quanto sdegnose dichiarazioni di Moni Ovadia, che da sempre
si è schierato contro l’oppressione del popolo palestinese, e che al
contempo ha posto al centro della sua produzione artistica e saggistica il
<<vagabondaggio culturale e reale>> di quello ebraico,
<<una cultura che le ideologie totalitarie del ‘900 avrebbero voluto
cancellare>>: nato in Bulgaria da una famiglia ebraico-sefardita e
trasferitosi da piccolo a Milano, dopo una laurea in scienze politiche ha
avviato progetti artistici e di ricerca nel campo della musica etnica e
popolare. È uno degli artisti e intellettuali italiani che più si prodiga nel
denunciare senza remore, con una franchezza cristallina e tagliente gli abusi
nei territori palestinesi occupati portati avanti dai gruppi di potere
“giudaico-cristiani”. Nella conclusione di questo “saggio informale” andiamo
metaforicamente in Israele, riportando brevemente le parole apparse sui canali
social di Josh Drill, ex soldato israeliano della ONG “Breakin the
silence”, organizzazione di veterani con lo scopo di <<aumentare la
consapevolezza sulle tragiche conseguenze di un’occupazione militare
prolungata>>. Infine il punto di vista più radicale è probabilmente quello
espresso dall’attivista libertario israeliano Jonathan Pollak, noto
principalmente come co-fondatore dell’organizzazione “Anarchici contro il
muro”, anche se non gli piace essere identificato come tale nello
specifico. In alcune interviste oltre a contestualizzare il ricorso alla lotta
armata, strategia utilizzata anche da Mandela nella battaglia contro
l’apartheid sud-africano, ha messo in evidenza l’ipocrisia dell’ “apartheid-giudiziario”
israeliano: arrestato dopo una protesta contro i coloni a Beita, avrebbe potuto
essere processato da un tribunale civile in quanto cittadino israeliano, ma ha
invece scelto un tribunale militare, rischiando una pena più alta come avviene
per chi non ha un passaporto israeliano. Nel testo che segue troverete principalmente video (con appositi
link qualora non riusciste a visualizzarli “incorporati” nel post), frammenti
di articoli e trascrizioni (con annesse traduzioni dall’inglese) di alcune
delle dichiarazioni da loro rilasciate, quelle che riteniamo più significative
per testimoniare che non tutti gli ebrei e gli israeliani sono in favore
dell’apartheid e dei crimini di guerra in Palestina, anche se questi
provengono da percorsi politici, di vita e contesti molto diversi tra loro... E
non ci sono solo singoli ebrei e/o israeliani come quelli qui citati, ma anche
gruppi e associazioni che da tempo, e in questi ultimi giorni, protestano in
favore dei palestinesi, come “Jewish Voice For Peace”, “Rabbis For Human Rights” e “Laboratorio Ebraico Antirazzista”,
solo per citarne alcuni. Infine non dobbiamo dimenticare anche alcune delle vittime
israeliane dell’attacco di Hamas che continuano a chiedere l’imminente fine
dell’offensiva criminale e dell’occupazione illegale israeliana, come Noy Katsman,
fratello di Hayim che in vita, dopo essere stato un militare, aveva cominciato
a difendere i diritti dei palestinesi. Al suo funerale ha detto: <<non
usate le nostre morti e le nostre sofferenze per arrecarne ulteriori ad altre
persone e famiglie>>; analogamente Yonatan Zeigen, figlio di Vivian
Silver, fondatrice di “Women Wage Peace” e morta durante l’attacco di Hamas, invita il governo israeliano a fare tutto
il contrario della guerra, e quindi ad avviare negoziazioni, usando lo slogan
che l’anziana avrebbe fatto proprio, e cioè “non nel nostro nome”.
Ricordiamo inoltre che perfino l’ex vertice del Mossad Tamir Pardo (e non solo
diverse organizzazioni umanitarie e membri dell’ONU come avevamo già detto tra
queste pagine virtuali) ha definito, un mese prima del 7 Ottobre, il sistema di
segregazione attuato da Israele come un regime di apartheid.
CONTRO L’ETNO-TEOCRAZIA ISRAELIANA O CONTRO GLI EBREI?!
... E DEL POTENZIALE SCOPPIO DI UNA NUOVA GRANDE GUERRA: IL
DEBITO ESTERO STATUNITENSE E IL “FRIEND SHORING”
Dietro la guerra ci sono “i soldi”, è quello che più o meno tutti pensiamo e
sosteniamo, ed è sostanzialmente vero. Si dice anche che le ragioni alla base
delle guerre sono molto simili a quelle che fanno scoppiare liti e conflitti
all’interno delle famiglie o nei gruppi di amici, e anche ciò ha del
vero...C’è qualcosa che però, nella
strettissima attualità e sullo scacchiere politico globale, va oltre le dispute
territoriali e l’accaparramento di risorse (dai preziosi minerali per costruire
i nostri apparecchi elettronici all’acqua, e quindi le risorse idriche,
passando per il vile petrolio), che trascende anche i conflitti ideologici e
culturali (di solito propagandati con delle manichee enfatizzazioni di guerre
tra “bene” e “male”, tra “occidente democratico civilizzato” e “sud del mondo”
o “oriente” “autocratico e incivile”), e che è legato in maniera
interdipendente anche ai soldi che si spendono per le “distruzioni” delle
guerre (e quindi per l’apparato industriale bellico) e per le “ricostruzioni”
post-conflitto (e quindi per l’industria civile): questo qualcosa è il debito estero statunitense...
La questione brutalmente sintetizzata è la seguente:
gli Stati Uniti hanno un enorme debito verso Cina, Russia e altri creditori
“orientali”. I capitali dei debitori statunitensi tendono sempre di più
a essere “mangiati”, o per meglio dire “assorbiti” dai creditori
orientali. Per questo gli USA, dopo aver storicamente sostenuto il
libero scambio e la globalizzazione, cominciano ad attuare politiche
protezioniste, innalzando barriere commerciali, finanziarie, e facendo affari
solo con stati “amici”. Questo cambio delle “regole” della concorrenza
internazionale ovviamente non va giù a chi viene scacciato via dal giro di
affari alimentando tensioni anche, se non soprattutto, di carattere militare.
Per essere “costruttori di pace” bisogna dunque iniziare a considerare le
condizioni economiche delle guerre, e non soltanto quelle ideologiche e le
dispute territoriali che sarebbero quindi secondarie, attuando una strategia di
“pacifismo conflittuale”.
Questa è la tesi del Professore di politica economica Emiliano Brancaccio, economista
“eterodosso” che, insieme al “keynesiano” Robert Skidelsky, ha scritto un appello dal titolo “Le Condizioni Economiche per la Pace”,
sottoscritto da decine di studiosi e pubblicato negli scorsi mesi anche sul
Financial Times ,“tempio” del capitalismo finanziario globale, e su Il Sole 24
Ore, quotidiano della Confindustria.
Le narrazioni mediatiche più diffuse ci abituano a
interpretare le guerre come conflitti di natura religiosa, etnica e ideale:
questi elementi molto spesso sono concreti, ma basare puramente su di essi le
ragioni delle guerre è una <<pura mistificazione>> volta a
costruire una “falsa coscienza”, espressione indicante il concetto marxiano per
cui le classi dominate incorporano nel proprio “senso comune” le tesi della
classe dominante, che riesce dunque a imporre la sua egemonia ideologica.
Più che le fantomatiche “guerre di civiltà” tra civilizzazione e barbarie, tra mondi liberali e
illiberali, più che le dispute territoriali, sono le forze e le
dinamiche economiche a determinare le guerre: <<tutto si dice
della guerra, eccetto che sia determinata da una legge di movimento dei
capitali. È meglio di dire che quello è pazzo, che quello è cretino, che
quell’altro è scemo, e così via... meglio dire che si combatte per alti ideali
di libertà, che si va a morire ammazzati per una bandiera, piuttosto che
affermare che esiste una meccanica di movimento del sistema,
meccanica completamente elusa>> nei dibattiti dei principali media
generalisti, ma anche nei cosiddetti circuiti accademici “ortodossi” dello
studio dell’economia, nei quali di solito il capitalismo è perfino considerato
propulsore di libertà, e per questo finalizzato <<addirittura alla
costruzione di un nuovo tipo umano>>.
CI PRENDIAMO UNA PSEUDO-PAUSA, MA RESTIAMO SEMPRE ATTIVI-ST*...
Nella nostra foto per la canonica pausa “estiva” (che forse si protrarrà fino ad autunno inoltrato, forse meno, lo stiamo ancora decidendo) non ci sono spiagge e ombrelloni, ma tante cose da leggere e scrivere!
Ci prendiamo qualche settimana di pausa, non tanto per “riposare” ma soprattutto per “organizzarci”: prima di scrivere c’è bisogno di studiare e leggere tanto e per questo ci serve molto tempo, ma intanto: esplorate le diverse sezioni del sito (o semplicemente “scrollate” e navigate all’indietro tra i più di cento post pubblicati nelle pagine virtuali in questo anno e mezzo di attività) e tra gli svariati temi trattati ci sarà qualcosa che vi interessa particolarmente.
Oltre a molti articoli e post su fatti di attualità e di cronaca, che cercano di fotografare momenti della “storia iper-contemporanea” di questi mesi, troverete dei contenuti concepiti come degli “articoli a lunga scadenza”, somiglianti a dei saggi più o meno informali, molto spesso con degli “articoletti” all’interno di un “maxi-articolone” da leggere con tanta pazienza (che crediamo verrà ripagata alla fine, anche per uscire dal bombardamento continuo di news omologate, frammentate e poco approfondite, dedicando un po’ più di tempo a testate indipendenti, autoprodotte e atipiche), e siamo sicur* che troverete tantissimi contenuti sempre utili da leggere anche a distanza di molto tempo dall’immediatezza della pubblicazione.
Noi comunque continueremo a pubblicare degli aggiornamenti sui nostri profili social (sia su quelli “asociali” che sul Fediverso tramite Mastodon) e potete continuare a contattarci per segnalazioni, proposte, comunicati e così via.
ADESSO ESIGIAMO VERTIÀ E GIUSTIZIA PER GIULIO REGENI!
Mentre il dibattito dei media mainstream si focalizza sull’aereo di stato rifiutato da Patrick Zaki, che come difensore dei diritti umani si mantiene indipendente da ogni governo (e in particolare da questo che vorrebbe farsi le foto con lui “in passerella”, e cioè sfruttare il suo caso per ottenere un vantaggio mediatico) e mentre la stampa destrorsa lo bolla per questo come “ingrato”, noi continuiamo a fare pressione sul governo italiano e sul regime egiziano perché adesso si ottenga giustizia e si faccia piena luce sulla torbida vicenda di Giulio Regeni, rapito nel 2016 nel giorno dell'anniversario delle proteste di piazza Tahrir al Cairo, e trovato morto circa dieci giorni dopo vicino a una struttura detentiva dei servizi egiziani.
CLICCA O SCHIACCIA L'IMMAGINE PER VEDERLA IN MANIERA NITIDA In basso a sinistra i titoli dei giornali in una ricerca su Google che parlano dell'attacco a Patrick Zaki, definito "ingrato" per aver rifiutato il volo di stato offerto dal governo (in fondo all'articolo trovate l'immagine originale). In alto a sinistra l'immagine di Patrick Zaki dell'Egyptian Initiative for Personal Rights (l'originale a questo link). In alto a destra l'immagine di Giulio Regeni di Asiaecica (l'originale a questo link). In basso a destra un banner in cui si chiede verità per Giulio Regeni fotografato da Camelia.boban (l'originale a questo link). Licenza delle tre foto "CC BY-SA 4.0 DEED"
Il governo "post-fascista" prova ad appropriarsi di una battaglia portata
avanti da un largo settore della “società civile”, oltre che da movimenti e individualità più “politicizzati”. Il giornale Libero attacca lo studioso definendolo "ingrato" per l'ovvio rifiuto del volo di stato, mentre il ministro Crosetto sfodera un pessimo umorismo dicendo: <<meglio, così risparmiamo>>.
La locandina di quest’anno del Crack! è stata realizzato da Durga Maya
Anche quest’anno pubblichiamo l’inatteso report
strampalato del nostro inviato per nulla speciale, il Cronista Autoprodotto,
sul Crack!, il festival di arte underground più dirompente e partecipato
di tutte le galassie e le dimensioni a noi note (a questo link invece, per i/le
più nostalgich* e curios*, quello che avevamo combinato nell’edizione VUDU del
2022).
Il festival nasce nel 2003 quando la manifestazione era
denominata “Celle Aperte”, e prende il nome da una citazione
onomatopeica di Hugo Pratt, la trascrizione del rumore di un ramo che si spezza
e di uno sparo nel deserto, facendo “crack” per l’appunto: il fest vuole essere
questo, un rumore dirompente in un deserto culturale.
Quest’anno era la prima volta che esponevamo con un
banchetto e quindi la prima volta che partecipavamo in prima persona plurale a
una fiera, e per questo la recensione del fest di quest’anno è un po’
diversa, in una forma ancora più diaristica del solito, e ancora più
svogliata e disordinata dell’anno scorso (essendo stati impegnati nel
“propagandare” la nostra autoproduzione giornalistica), ma sempre
coerente con lo spirito del giornalismo indipendente e autogestito che
caratterizza queste pagine virtuali.
INIZIA A SETTEMBRE IL PROCESSO PER OMICIDIO PLURIAGGRAVATO A CARICO DEL CARABINIERE
Parliamo di Ugo Russo, la giovane vita che, secondo
la ricostruzione dei pubblici ministeri, è stata spezzata da un militare
addestrato all’uso di armi con vari colpi d’arma da fuoco, di cui uno fatale
che sarebbe stato sparato alle sue spalle, tre anni fa a Napoli: riteniamo che
la questione “burocratica” e mediatica del murales a lui dedicato sia salita
alla ribalta delle cronache a discapito delle ricostruzioni sulla sua morte, delle
sistemiche tragedie sociali alla base della diffusione di reati predatori, ma
anche delle misure di “welfare” mafioso che compensano le mancanze statali,
nonché del labile confine tra “buoni e cattivi”.
Nell'immagine un disegno di Ugo Russo contenuto nel fumetto di Zerocalcare intitolato "Strati", ripreso nell'installazione degli attivisti di Liberi
Partiamo quindi dalla ricostruzione di quel funesto
evento, per poi concludere con una serie di considerazioni e opinioni, e
dopo aver dato nota di una nuova un’installazione-azione degli
artisti-attivisti di “Liberi” e di “Free Assange Napoli”, fiduciosi che le
verità relative alla tragica fine di un adolescente emergeranno completamente
nel processo che partirà a breve, e sperando di aver contribuito nel nostro
piccolo a far conoscere meglio la vicenda, dal punto di vista della mera
cronaca ma soprattutto da quello sociale: abbiamo cercato di farlo nel modo più
oggettivo possibile e chiariamo da subito che secondo noi in questa orrenda
storia non ci sono né santi né mostri, ma esseri umani con cui condividiamo
tanti problemi che dobbiamo risolvere insieme, per continuare un percorso di
cambiamento sociale e perché fatti del genere non si ripetano più!
PER LA PROCURA INATTENDIBILI LE TESTIMONIANZE IN
MERITO AL FILONE DI INAGINE SU LESIONI E TORTURA
Tre mesi fa abbiamo pubblicato un dettagliato resoconto
relativo alle rivolte e alla strage nelle carceri durante i primi giorni
dell’esplosione della pandemia, un evento tanto tragico quanto oscuro e unico
nella storia penitenziaria italiana (qui la prima parte e a quest’altro link la seconda)...
Evento unicoma non per questo imprevedibile dato che la
gestione di una rivolta in un luogo studiato per contenere persone che non vogliono
essere rinchiuse non dovrebbe essere qualcosa di straordinario: alcuni
provarono a scaricare le colpe su una “complottistica regia mafiosa”, ipotesi
smentita da un’apposita Commissione del Ministero della Giustizia che ha
analizzato le dinamiche dello scoppio delle rivolte istituto per istituto.
Secondo l’apposita commissione resta comunque l’ipotesi che <<familiari
e gruppi antagonisti abbiano concordato il momento in cui dare avvio>>
alle proteste, e che quindi questi sono capaci di “creare conflitto” anche
senza il supporto della criminalità organizzata. Nel 2021 sono state concepite
nuove norme per fronteggiare questo tipo di situazioni, con molte perplessità sul “via libera” al personale esterno armato, mentre
sarebbe più utile ripensare “da zero” l’istituzione carceraria tendendo verso
un orizzonte abolizionista e analizzando le cause che portano la stragrande maggioranza di esseri umani
nelle carceri (le sole politiche antiproibizioniste, che derivano dalla fallita “guerra alla droga” annunciata nell’era di Nixon, sono alla base della
restrizione di circa il 20% della popolazione carceraria globale).
La ragione principale dei disordini risiede nelle barbare e disumane
condizioni delle “discariche sociali” che chiamiamo carceri, con dei
problemi sociali e sanitari strutturali, ulteriormente aggravati dalla pandemia:
si pensi solo al fatto che mentre fuori ci organizzavamo per restare isolati e
distanziati, all’interno delle prigioni il sovraffollamento era (ed è
ancora) la norma, ma come abbiamo già scritto questa era solo la criticità più
lampante di tutte, insieme all’insufficienza di assistenza sanitaria e di
attività che servirebbero a “riabilitare” le persone ristrette per rientrare al
meglio nella nostra società malata...
Altre criticità nella gestione e prevenzione degli effetti
tragici delle rivolte è sicuramente quella della custodia degli psicofarmaci
(metadone incluso) che, da soli (e quindi tralasciando le svariate evidenze che
suggeriscono episodi violenti), avrebbero condotto alla morte per overdose
di 13 delle vittime. Una quattordicesima invece è morta a distanza di un
mese per cause naturali, presumibilmente peggiorate da quegli eventi, e sempre
a distanza di un mese una quindicesima è morta sempre per overdose di
farmaci ma non durante il caos delle rivolte, bensì in una cella di isolamento
a S. Maria Capua Vetere, e quindi in un momento in cui doveva essere sotto
stretta sorveglianza.
A sinistra e al centro le immagini di Cospito che viene allontanato da un'udienza, riprese da siti dell'area insurrezionalista e usate per pubblicizzare degli eventi in suo favore. A destra la stessa immagine diventa un'icona, viene stilizzata e usata per analoghe iniziative.
Pubblichiamo una stringata sintesi della vicenda
giudiziaria di Alfredo Cospito e di Anna Beniamino, insieme agli ultimi
aggiornamenti e a degli approfondimenti
Nel 2022 la Corte di Cassazioneconfermava la
condanna per le esplosioni di due ordigni davanti la caserma per allievi
carabinieri di Fossano in provincia di Cuneo nel 2006, riqualificando però il reato commesso come quello più grave previsto dall’ordinamento italiano, e
cioè di “strage politica”. Inizialmente era stato condannato per “strage
semplice”, e per “strage” si intende anche il solo tentativo di uccidere
più persone, dato che l’attentato è stato solo tentato (mentre Cospito lo ha
sempre definito meramente “dimostrativo” pur non reclamandone la paternità, e
spiegando che <<gli anarchici non fanno stragi indiscriminate perché
non sono lo stato>>). Per questo la Suprema Corte aveva
rinviato gli atti alla Corte d’assise di Torino per calcolare nuovamenta
la pena. Quest’ultima chiamava in causa la Corte Costituzionale per
decidere se nel suo caso si potevano concedere le attenuanti, nonostante la
recidività, che lo avrebbero salvato dalla pena dell’ergastolo: ad
Aprile la Consulta ha dichiarato incostituzionale una parte
dell’articolo 69 del Codice penale, precisamente quella che vietava di
considerare le circostanze attenuanti come prevalenti sull’aggravante della
recidiva. In quei giorni Cospito interruppe lo sciopero della fame che aveva
intrapreso come forma di battaglia non violenta contro il “41 bis” e il regime
di ostatività,e che è durato circa 6 mesi. Dopo la decisione è
stato infine condannato a 23 anni invece che all’ergastolo, mentre per lo
stesso evento la sua compagna, Anna Beniamino, è stata condannata a 17
anni e 9 mesi invece che a 27 anni e 1 mese come chiedeva la procura.
Per chi fosse interessato ad approfondire la vicenda da un
punto di vista sia politico che tecnico, oltre al resoconto già menzionato segnaliamo i seguenti articoli:
Qui trovate un’ “esclusiva” di Fanrivista (dato
che siamo stati i soli a mettere a confronto due notizie di cronaca
avvenute lo scorso Gennaio) dove parlavamo dei “due pesi e due misure” usati
con Cospito e Matteo Messina Denaro: un primo punto riguarda l’accusa di strage
politica, dato che in un primo momento il vertice di Cosa Nostra era
accusato “semplicemente” di omicidio plurimo per il concosro nella
strage di Capaci, mentre poi verrà condannato solo per strage comune.
Inoltre in quei giorni mentre il Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria vietava alla dottoressa che curava la
salute di Cospito di rilasciare dichiarazioni alla testata radiofonica
antagonista “Radio Onda d’Urto”, tutte le principali testate
nazionali pubblicavano le dichiarazioni di Messina Denaro ai sanitari che lo
avevano in cura, dichiarazioni che potenzialmente potevano nascondere dei
messaggi in codice e che dunque sarebbe stato più sensato vietare, a differenza
di quelle dell’anarchico che da anni pubblicava a distanza su vari siti della
galassia anarchica, testi che giustificherebbero il regime ostativo cui
è sottoposto, mentre secondo il suo legale sarebbe bastato applicare una
censura sulla sua corrispondenza lasciandolo nella sezione di “alta sicurezza”.
Qui invece il nostro Anarco-pacifista esprime
la sua posizione personale su questioni di militanza, e in particolare riguardo
all’uso della violenza come strumento politico, sulle diverse anime
e sulle storiche spaccature del movimento anarchico (no, anarchia non
vuol dire semplicemente “caos”, casomai ve lo steste chiedendo!).
Qui parlavamo delle accuse, campate in aria, mosse da Giovanni
Donzelli (Fratelli d’Italia) alla pseudo-sinistra del Partito
Democratico (in questi giorni per il sottosegretario alla giustizia Andrea
Delmastro, che ha passato le informazioni a Donzelli, è stata disposta l'imputazione coattaper rivelazione di segreto d’ufficio), “disegnando” alcuni scenari
che potrebbero essere puri “deliri complottisti” senza fondamento
così come dei frammenti “di e delle” verità legate al caso umano e
giudiziario dell’anarchico-nichilista.
Proto-Redazione
Come di consueto alleghiamo una citazione musicale in armonia
con quanto scritto sopra: si tratta di “Kanzone su un detenuto politico”
dei “24 Grana”