OSSERVARE PER
DENUNCIARE E DISUBBIDIRE: DALLA NASCITA DELL'"OSSERVATORIO DELLE ARMI
NEI PORTI EUROPEI E MEDITERRANEI, THE WEAPON WATCH" AL
RUOLO DELLA NATO E DEL COMPLESSO MILITARE-INDUSTRIALE, PASSANDO PER LA TRABALLANTE "LEGALITÀ INTERNAZIONALE"
In questi ultimi anni commerci e traffici di armi tornano prepotentemente a essere dei temi di pressante e urgente attualità. Lo sono insieme alle azioni di disobbedienza civile e alle inchieste che svelano rapporti politico-militari indecenti e indicibili, ma men che mai segreti.
Dieci giorni fa "Altreconomia" ha smentito il governo, dopo una conferma della "Leonardo SPA", la principale azienda militare italiana: la Repubblica italiana ha continuato a fornire armamenti a Israele. Lo ha fatto inviando dei pezzi di velivoli utili all'addestramento di chi potrebbe sganciare bombe in Palestina e in Libano, nonché fornendo supporto da remoto per l'addestramento.
Una settimana fa l'"Unione Sindacale di Base" ha indetto una protesta presso l'aeroporto civile di Montichiari di Brescia: da Giugno alcuni lavoratori denunciano il transito di materiale bellico con tutta una serie di implicazioni etiche e di sicurezza.
Intanto, anche i lavoratori portuali europei sono in allerta per gli stessi motivi proprio in queste ore. Mentre chiudiamo quest'articolo l'ultima posizione pubblica della nave "MV Kathrin", battente bandiera portoghese, risulta essere nelle vicinanze di Malta: partita dal Vietnam e diretta a Capodistria, trasporta esplosivi diretti anche in Israele. Tra i primi a denunciare il mortifero carico è stata Francesca Albanese. All'appello per non permettere le operazioni di carico e scarico si sono unite tantissime associazioni, inclusa Amnesty. La Namibia aveva revocato il permesso all'attracco, cosa che permette di evitare anche responsabilità legali legate alla Convenzione sul Genocidio. Stando a quanto riportano le cronache, pare che anche Malta abbia negato alla Kathrin il permesso di entrare nelle proprie acque territoriali, mentre altre navi gli avrebbero portato carburante in attesa di trovare un porto nell'Adriatico.
Questo genere di denunce e di atti di disobbedienza da parte della
società civile assume una cruciale importanza in relazione ai
crimini commessi da diversi stati, a partire dal regime di apartheid
israeliano. Bisogna opporsi ai tentativi, appoggiati più o meno tacitamente dai
nostri stessi governi, di riscrivere le leggi di guerra.
Sabato 28
Settembre abbiamo seguito un evento organizzato presso lo spazio
autogestito partenopeo "Santa Fede Liberata". All'incontro,
intitolato "La guerra comincia qui: fermiamola!", si è
discusso della logistica della guerra, delle leggi che regolano trasferimenti di armi e di disobbedienza civile. Ospite era Carlo Tombola dell'"Osservatorio sulle Armi Nei Porti Europei e Mediterranei", The Weapon Watch".
Questo articolo rappresenta una sintesi di quello che si è
detto ma, soprattutto, cerca di offrire degli spunti di discussione e di azione, insieme a diversi approfondimenti.
Partiamo con una
sintesi molto schematica e iper-semplificata della guerra civile
yemenita, messa in relazione alle violazioni del diritto
internazionale che vediamo anche in Palestina e Libano. Passiamo poi a parlare di una storica azione di disobbedienza civile dei portuali genovesi, che ha impedito l'attracco di una nave diretta in Arabia Saudita, un esempio di ribellione non violenta da attuare quando le leggi non funzionano o sono ingiuste. Continuiamo parlando delle normative che dovrebbero regolare i conflitti e
la vendita di armi, e in particolare della legge 185 del '90, il cui spirito originario è stato disatteso negli anni. Con l'attuale governo le cose potrebbero peggiorare, e le attuali garanzie minime di trasparenza sul commercio delle armi potrebbero essere completamente stravolte...
Concludiamo con alcune considerazioni "geopolitiche", per
così dire, insieme al mutato ruolo della NATO nell'attuale contesto
globale.
Inoltre abbiamo
aggiunto questo post anche nella rubrica "Dati Parziali".
Infatti, come dimostra una breve ricerca inclusa nelle prossime
righe, i dati pubblici, che dovrebbero aiutare parlamento e società
civile a esercitare un controllo sulla vendita di armi e
sull'esecutivo, sono talmente "spezzettati" da risultare
praticamente incomprensibili al lettore medio, e solo parzialmente
decifrabili da occhi ben più esperti, quelli di alcuni esponenti della
società civile e del variegato "fronte pacifista" che da
anni studiano le relazioni previste dalla 185/90.
L'articolo che vi
apprestate a leggere è un esempio di giornalismo sperimentale, un
articolo "long form" in stile "slow journalism",
che contiene al suo interno diversi "articoletti".
Difficilmente riuscirete a leggerlo tutto d'un fiato... Per questo vi
consigliamo di leggerlo con calma, ritornando più volte su questa
pagina o salvandola. Oppure, perché no, stampandolo, se preferite
l'esperienza cartacea. Siamo sicurə che alla fine troverete molti
elementi utili di "geopolitica popolare" e sulla
legislazione italiana che dovrebbe regolare il commercio d'armi e
impedirne il traffico (si tenga a mente che la parola "traffico" indica dei trasferimenti di armi al di fuori di ciò che è considerato legale). Se non sarà così criticateci nell'apposito
spazio dedicato ai commenti. In caso contrario, potrete mostrarci
apprezzamento e fornire ulteriori spunti di riflessione sempre nei commenti.
Buona lettura.
I CRIMINI DI GUERRA
IMPUNITI IN YEMEN, IL BLOCCO DELLA "BAHRI YANBU" E LA
NASCITA DI "THE WEAPON WATCH"
Nel caotico contesto
della decennale guerra civile yemenita si scontrano gli interessi di
diversi attori regionali e internazionali. Tralasciando la presenza
di Al-quaeda e di altre formazioni,
i due schieramenti principali sono rappresentati dagli Houthi,
alleati dell'Iran (nonché noti ai più per le recenti azioni di sabotaggio delle navi commerciali nel Mar Rosso) e da una coalizione militare a guida
saudita ed emiratina supportata dai paesi "occidentali"
(Stati Uniti e Regno Unito in prima fila). Per avere un quadro
sintetico delle forze in campo va ricordato che Arabia Saudita ed
Emirati Arabi Uniti, alleati contro Houthi ed Iran, supportano due
fazioni diverse all'interno del Consiglio di Presidenza che
guida la repubblica yemenita, rispettivamente quella unionista del
nord e quella separatista del sud.
La guerra civile
yemenita può essere inquadrata come uno dei "conflitti per
procura" (proxy wars
in inglese) tra Iran e Arabia Saudita, guerre
semplicisticamente rappresentate come dei conflitti tra sciiti e
sunniti (le "famiglie" principali della religione islamica,
storicamente rappresentate dai due paesi e che, a loro volta,
contengono una serie di divisioni al proprio interno). Sicuramente ci
sono dei fattori etnico-religiosi alla base di queste guerre, ma le ragioni principali risiedono nel controllo politico ed economico del
Medio-Oriente e nella proiezione di influenza in altre aree del
pianeta da parte di varie potenze, interessi su cui si innestano mire
imperialiste di vari "imperi" (o aspiranti tali) e delle
rispettive "corti".
Dopo questa non
esaustiva ma necessaria premessa andiamo all'oggetto principale di
questo post. Nella nostra epoca, dominata dalla cultura consumista e capitalista, il nocciolo del problema dei traffici di armi risiede
in un ordine mondiale e in un sistema socio-economico fondato
sull'accumulazione di potere. Imbracciare le armi, e più in
generale ricorrere alla violenza, dovrebbe essere una scelta estrema,
da attuare solo per difendersi, non per imporre la propria egemonia. E nemmeno per far alzare il "PIL", il volume
d'affari, con fruttuosi e mortiferi commerci in armamenti, finalizzati a "risolvere" le crisi generate dallo stesso sistema
economico conquistando nuovi "mercati" e ampliando la
schiera degli sfruttati. Per questo la nostra Costituzione ripudia la
guerra come risoluzione dei conflitti, per questo il diritto
internazionale dovrebbe imporre dei limiti a come vengono condotte le
guerre, proteggendo in particolare i civili, oltre che porre argini a
un sistema capitalista senza freni, ispirato dalla religione del
profitto. Un sistema guidato dal cosiddetto "complesso
militare industriale" di cui i governi nazionali sono dei meri
burattini. I principi nazionali (l'Italia
ripudia la guerra) e sovranazionali (le leggi che
regolano la conduzione delle guerre, incluse quelle sulle
forniture di armamenti), non sono stati rispettati in Yemen.
Nella guerra
civile yemenita tutte le parti in conflitto si sono macchiate di
palesi violazioni delle leggi internazionali.
Abitando però nella parte "occidentale" del
pianeta abbiamo il dovere primario di occuparci di quelle
commesse dalla nostra "parte". Da anni svariate ONG
internazionali, supportate da indagini delle
Nazioni Unite, denunciano la commissione di diversi crimini in Yemen
da parte della coalizione a guida saudita, commessi con
supporto e armi forniti da noi, dalle nostre energie
intellettuali ed economiche, dalle nostre menti, dai nostri
portafogli e, quindi, con la nostra complicità. Da anni queste
denunce sono rimaste sostanzialmente inascoltate, così come gli
appelli a smettere di inviare armi usate in palese contrasto delle
più elementari norme giuridiche (distinguere i combattenti dai
civili, colpire un obiettivo militare solo se strettamente necessario
e facendo il possibile per limitare i cosiddetti "danni collaterali", non affamare la popolazione civile, non attaccare personale umanitario, ospedali, scuole, ecc.)
oltre che quelle del comune senso di umanità perduto. Tantissime
uccisioni di persone innocenti potevano e dovevano essere evitate,
tantissime persone dovrebbero prendersi la responsabilità e rendere
conto di questi crimini affinché non si ripetano. Invece vige un
sostanziale regime di impunità che ha raggiunto il
suo apice con la guerra genocida a Gaza e in Cisgiordania,
con violazione brutali e grossolane delle leggi di guerra -il
cosiddetto "diritto umanitario internazionale". Leggi che vengono riscritte in favore dei nostri "alleati economici"
con un'ipocrisia e un livello di mistificazione parossistico e
tragicomico, supportato da una schiera di colleghi giornalisti
pennivendoli (quando non
direttamente coinvolti in delle campagne di propaganda, magari supportate da
reparti militari
e di intelligence,
appositamente dedicati alla
guerra tramite la comunicazione). Putin ha invaso
uno stato sovrano ed è sbagliato, ma perché non si dice che è
sbagliato invadere e mantenere una dittatura militare, un regime di
apartheid (definizione legale dell'occupazione israeliana, stabilita dalla traballante legalità internazionale) in piedi in Palestina almeno dal 1967?!
Forse perché ci sono delle persone che disgustosamente accusano di
antisemitismo chiunque osi mettere in dubbio la presunta legittima
difesa israeliana, che in realtà è una decennale punizione collettiva e sproporzionata, che ha prodotto il crimine efferato del 7 Ottobre, sfruttato come pretesto per legittimare un'altra serie di stragi. Così strumentalizzano la tragedia degli ebrei senza
terra per legittimare una politica coloniale iniziata con la
dichiarazione unilaterale della nascita di uno stato, oggi teocratico
ed etnocratico, in violazione del diritto internazionale, fondato
sullo sfollamento forzato, sullo stupro e sui massacri della
popolazione nativa?! Forse si può dire che Putin è un "pazzo", ma non Netanyahu, anche perché diverse "aziende-vassalle" traggono profitto da questo caos (si pensi agli accordi che l'ENI ha stipulato con il governo israeliano per cercare e sfruttare i giacimenti di gas a largo delle coste di Gaza, poco dopo l'inizio della guerra genocida).