9.4.23

UCCISI PERCHÉ ANTIFASCISTI ED EBREI ITALIANI DA TEDESCHI ED ALTRI ITALIANI NAZIFASCISTI!

LE “FAKE-NEWS” SU VIA RASELLA E LE NARRAZIONI DECONTESTUALIZZATE DELLA RESISTENZA

 

In alto a sinistra e sullo sfondo le immagini del luogo dell'attentato. Al centro in alto e sulla destra l'intervento di Alessandro Barbero al Festival della Mente nel 2017. In basso a sinistra Sallusti alla trasmissione DiMartedì. Al centro una targa commemorativa e di fianco La Russa intervistato da LiberoTv
In alto a sinistra e sullo sfondo le immagini del luogo dell'attentato. Al centro in alto e sulla destra l'intervento di Alessandro Barbero al Festival della Mente nel 2017. In basso a sinistra Sallusti alla trasmissione DiMartedì. Al centro una targa commemorativa e di fianco La Russa intervistato da LiberoTv

LA “SPARATA GROSSISSIMA” DI IGNAZIO BENITO MARIA LARUSSA A DIFESA DELLA SUA PUPILLA, “LEADER E SORELLA”

 

Sopra una targa commemorativa e il momento di un'intervista di Enzo Antonio Cicchino (pubblicata su Erodoto Tv) in cui il Gappista Rosario Bentivenga ricorda che c'erano perfino dei fascisti nella Resistenza. Sotto i risultati delle reazioni alle parole della Meloni immortalati nei risultati di Google e Ignazio La Russa a LibertoTv.


IL “FACT-CHECKING” E IL “DEBUNKING” DELLO STORICO ALESSANDRO BARBERO, E ALCUNE QUESTIONI STORIOGRAFICHE ANCORA APERTE, OLTRE ALLE PIÙ DISPARATE TEORIE COMPLOTTISTE

 

Dopo le dichiarazioni della Presidente del Consiglio e del Presidente del Senato sull’atto di guerriglia più importante in un città europea contro il nazifascismo, ossia l’attacco di via Rasella nel Marzo del’44, e la conseguente rappresaglia dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine, scriviamo un corposo articolo (o uno pseudo-saggio) in cui facciamo il “fact-checking” delle “fake-news” sulle teorie trite e ritrite che identificano i partigiani come criminali assetati di sangue e i nazisti morti nell’attentato come una “banda di poveri semi-pensionati”. Prima di addentrarci nella parte in cui smontiamo queste teorie, con l’ausilio di quanto affermato e dimostrato da anni da diversi storici nonostante alcuni dubbi che restano, parliamo anche delle Resistenze e degli attuali meccanismi mediatici che le raccontano, spesso decontestualizzate dal periodo storico in cui sono state attuate scelte tanto dure quanto necessarie, come quelle di impugnare le armi per difendersi dal mostro del nazi-fascismo.

 

 

LE VITTIME DELL’ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE

 



Il 23 Marzo del 1944 diciassette partigiani “gappisti”, e cioè appartenenti ai Gruppi di Azione Patriottica comunisti (le formazioni collegate direttamente al PCI accoglievano circa il 50% dei resistenti armati), portano a segno un’azione di guerriglia contro una colonna tedesca nel centro di Roma, a via Rasella. Muoiono trentatré soldati tedeschi.

Il 24 Marzo del ‘44 i nazifascisti preparano un’azione di rappresaglia, che passerà alla storia come l’Eccidio delle Fosse Ardeatine: giustizieranno 10 italiani per ogni tedesco morto, ma alla fine ne massacreranno 5 in più, 335 in totale, civili e militari, tra i 15 e i 74 anni.

I martiri sono principalmente antifascisti, prigionieri politici, dissidenti e partigiani di tutti gli schieramenti, inclusi quelli cattolici (muore anche un sacerdote), liberali, monarchici e conservatori del Regio Esercito (questi ultimi erano i cosiddetti partigiani “azzurri”, “badogliani” che non facevano parte del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale, ma che combattevano contro il nazifascismo), democratici, “azionisti e, ovviamente, comunisti (non tutti filosovietici), socialisti e anarchici (tre vittime considerate anarchiche secondo Umanità Nova sono anche presenti nella lista dei circa venti “liberi muratori” morti nell’eccidio del Grande Oriente d’Italia), ma anche ebrei (75 erano arrestati per “motivi razziali”), detenuti in attesa di processo e “per motivi di pubblica sicurezza” di cui non si conosce il motivo dell’arresto, uomini rastrellati a caso nei pressi del luogo dell’attentato, persone che avevano salvato ebrei e militari angloamericani o che sostenevano i partigiani (per esempio un giovane di neanche vent’anni fu arrestato con l’accusa di fornire sigarette ai partigiani, altri solo per aver contribuito a diffondere “pubblicazioni clandestine”), e infine sette vittime non ancora identificate.


LE AMBIGUITÁ REVISIONISTE DI GIORGIA MELONI

Il 24 Marzo 2023 Mattarella e alcuni politici nazionali e locali (La Russa, Fontana, Crosetto, Gualtieri e Angelilli) si recano sul luogo dell’eccidio mentre la Presidente Meloni diffonde un messaggio in cui afferma: <<Oggi l'Italia onora le vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Settantanove anni fa 335 italiani sono stati barbaramente trucidati dalle truppe di occupazione naziste come rappresaglia dell'attacco partigiano di via Rasella. Una strage che ha segnato una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale: 335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani. Spetta a tutti noi - Istituzioni, società civile, scuola e mondo dell'informazione - ricordare quei martiri e raccontare in particolare alle giovani generazioni cosa è successo in quel terribile 24 marzo 1944. La memoria non sia mai un puro esercizio di stile ma un dovere civico da esercitare ogni giorno>>.

Ovviamente, e giustamente, si è scatenato un putiferio: la quasi totalità dei martiri fu selezionata tra prigionieri politici ed ebrei, quindi erano sì italiani ma erano anche antifascisti, fatta eccezione per i pochissimi di cui non si conosceva il motivo della detenzione e di quelli non identificati, e presumibilmente anche almeno alcuni di questi ultimi erano antifascisti (abbiamo fatto una “verifica” visionando e facendo ulteriori ricerche sulle 335 schede sul sito del Mausoleo delle Fosse Ardeatine,  realizzate nei decenni dall’Associazione Nazionale Famiglie Italiani Martiri con la collaborazione di altri enti).

 

Lo screenshot di una scheda di una giovanissima vittima "per motivi razziali" del sito del Mausoleo

Qualche ora dopo la Meloni, intervistata da un cronista e arrampicandosi sugli specchi con molta disinvoltura e il suo tipico atteggiamento infastidito di fronte a una domanda scomoda ha dichiarato che la parola italiani è <<onnicomprensiva>> e dunque include  “anche” (anche, non soprattutto!) gli antifascisti...

Tralasciando il fatto che c’erano anche almeno 7 persone non italiane tra le vittime, il Presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, Gianfranco Pagliarulo, ha sottolineato che quegli italiani furono “selezionati” tra oppositori politici ed ebrei <<con la complicità del questore Pietro Caruso, del ministro dell’interno della Repubblica di Salò Guido Buffarini Guidi e del criminale di guerra Pietro Kock, tutti fascisti>> e italiani!

L’ambiguità comunicativa, con intenti “revisionisti” di riscrivere la storia (forse inconsciamente), è palese: già nel suo discorso d’insediamento ha affermato che non ha <<mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocratici; per nessun regime, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre>>, e con questo ultimo punto sembra “strizzare a l’occhio” a chi crede nella vulgata secondo cui il fascismo si è “rovinato” solo a partire dalle leggi razziali... In più ci tiene a sottolineare di essere contro tutti i totalitarismi, ma dovremmo parlare principalmente di quello che ha macchiato “il nostro popolo per sempre”. A parte la tiepida condanna del fascismo in quel discorso non parlava dei valori antifascisti fondanti della Repubblica parlamentare che guida (con tendenze “presidenzialiste” grazie a un uso distorto dei decreti legge che bypassano il dibattito parlamentare, tendenze con cui si auspica una riforma della Costituzione in tal senso). L’unica volta che nominava l’antifascismo, quando parlava per la prima volta da Presidente del Consiglio dei Ministri in Parlamento, era in riferimento agli anni di piombo e quando in <<nome dell’antifascismo militante, ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese>>, mentre non fa cenno a chi in nome della ricostituzione di un regime fascista ordiva trame e sfruttava altri ragazzi, più o meno consapevoli e colpevoli, per mettere in atto dei veri e propri colpi di stato, che per fortuna (o forse per volere di qualcuno ancora “più in alto”) sono falliti.



Targhe commemorative dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine



Le omissioni di pezzi di storia e il tentativo di “riscriverla” li ritroviamo anche nel messaggio di Meloni per la mesta ricorrenza del 24 Marzo, quando ha provato a far percepire che quegli italiani erano stati trucidati nelle cave di pozzolana, in quanto “semplicemente” tali, e solo dai nazisti tedeschi. E la giustificazione successiva, per quanto “onnicomprensiva”, omette il fatto che la quasi totalità (se non la totalità “assoluta”) di quei martiri erano antifascisti ed ebrei, e non il contrario!

 

 LE VARIEGATE COMPONENTI DELLA RESISTENZA E I GIUDIZI STORICI “CON GLI OCCHI DI POI”

 

Partigiani dopo la Liberazione


Il fronte della Resistenza armata, così come quello degli altri tipi di Resistenza era sicuramente variegato. Al suo interno i primi nuclei erano costituiti dai militanti che avevano contrastato il fascismo durante tutto il ventennio, pagando con il carcere, con il confino, con l’isolamento sociale e con la vita stessa. Queste persone erano i cosiddetti “antifascisti storici”, cioè si battevano da sempre contro il fascismo.

Ci sono poi gli “antifascisti di guerra” che hanno ingrossato rapidamente le fila del movimento insurrezionale armato e non: sono chiamati così perché le conseguenze disastrose della guerra e delle politiche fasciste e razziste non potevano più essere nascoste dalla propaganda e dall’imperativo del “credere, obbedire, combattere”. Dopo la deposizione di Mussolini, l’armistizio dell’8 Settembre del ‘43, la costituzione del Regno del Sud e della Repubblica di Salò, per molti disertori “allo sbando” la scelta di arruolarsi nella Resistenza era tendenzialmente obbligata  o comunque non pienamente consapevole da un punto di vista politico. Ai disertori si aggiunsero i renitenti alla leva della RSI, persone che non volevano combattere per le repubblica “fantoccio” nazista, oltre a diversi che si erano pentiti, più o meno sinceramente, del fascismo o che si erano avvicinati all’antifascismo in tempi più o meno “sospetti”, sospetti nel senso che forse hanno cambiato appartenenza e “bandiera” quando le sorti del conflitto erano ormai segnate, così come accadde per molti civili, per tutte quelle persone che non erano state educate ad avere un pensiero critico perché cresciute in un regime totalitario. E come è accaduto con molti fascisti che si sono “riciclati” tra le fine delle ostilità e il dopoguerra... <<Mica solo i comunisti hanno fatto la Resistenza, c’erano dentro anche non comunisti, anti-comunisti e perfino dei fascisti>> ha ricordato in un’intervista Rosario Bencivenga, membro del GAP che si travestì da netturbino per posizionare l’ordigno in via Rasella.


Rosario Bentivenga nell'intervista pubblicata da Erodoto Tv di Enzo Antonio Cicchino


Inoltre bisogna ricordare che l’appartenenza a un’ideologia politica o a un’affiliazione partitica non sempre corrispondeva con quelle delle formazioni in cui ci si arruolava, magari per una semplice presenza di una specifica formazione in una determinata zona: per esempio poteva accadere che all’interno delle formazioni fedeli al Re e “autonome”, e cioè fuori dal CLN, militassero anche appartenenti ad altre fedi politiche, perché erano le uniche a operare in una specifica area geografica, e di norma si dovrebbe combattere in un territorio che si conosce bene, soprattutto in un contesto di guerra asimmetrica.

Può sembrare riduttivo osservare quel periodo con i parametri di giudizio di oggi, ed è difficile comprendere e giudicare delle scelte diverse da quelle dell’“antifascismo storico”, delle scelte che non erano completamente “nette” e che implicavano anche l’uso della violenza… Ma furono delle scelte, per quanto eterogenee, che avevano come comune denominatore l’antifascismo. Ovviamente c’è anche chi ha fatto scelte opposte e precise, e si è schierato con i fascisti, prima, e con i nazifascisti, poi: Meloni, che parla di esercizi di memoria storica giornalieri, dovrebbe sottolineare che troppi italiani si sono macchiati, con diversi gradi di complicità morale o concreta, di crimini orribili, inclusi quello delle cave sull’Ardeatina.

E potrà sembrare strano e controverso, ma purtroppo anche alcuni ebrei inizialmente sostennero il fascismo, prima dell’emanazione delle leggi razziali nel ‘38 ovviamente, tanto che gli “ebrei in camicia nera” iscritti al partito fascista all’epoca della marcia su Roma erano circa il 3 per 1000 degli iscritti, e  c’era perfino un ministro fascista ebreo: Guido Jung era infatti ministro delle finanze, poi nel ‘39 verrà congedato dall’esercito per motivi razziali, poi con Badoglio ritornerà a combattere per il regio esercito e a dirigere il ministero. E purtroppo, a proposito dell’eccidio delle Fosse Ardeatine in cui furono barbaramente giustiziati decine di italiani antifascisti ed ebrei, circa un terzo degli ebrei condannati a morte si trovavano tra le grinfie dei nazifascisti per colpa di una spia che li aveva traditi, la collaborazionista ebrea Celeste Di Porto.

Ovviamente dico queste cose, prima di passare alle menzogne di La Russa (che tra l’altro non tengono conto di quello specifico contesto) per far capire che è difficile giudicare delle scelte che vengono fatte in un determinato periodo senza provare a “teletrasportarsi” mentalmente in quel quadro storico: in particolare l’affermazione sugli “ebrei fascisti” potrebbe sembrare provocatoria e antisemita, e per questo è d’obbligo (nonché ovvio) precisare che chi scrive è da sempre anti-sionista e non sarà mai anti-semita.

 

LA SPARATA GROSSISSIMA E INFONDATA DI IGNAZIO BENITO MARIA LA RUSSA, “RICICLATA” FIN DAI PRIMI TEMPI DEL REVISIONISMO STORICO

 

La Russa intervistato da LiberoTV

Una settimana fa Ignazio Benito Maria La Russa, figlio di un segretario del Partito Nazionale Fascista e membro del Movimento Sociale Italiano e nella cui sezione giovanile, il Fronte della Gioventù, militerà sia lui che la sua “leader e sorella”, l’ha sparata ancora più grossa nel tentativo di giustificare l’intento velatamente revisionista della sua pupilla-premier. In un’intervista al programma Terraverso del quotidiano Libero si scaglia contro chi ha accusato la Meloni di revisionismo perché avrebbero osato dire che la Presidente <<non dice le parole che avrei detto io. Voglio che tu che sei al governo devi usare le parole che userei io>>:

no caro La Russa, la Meloni ha sbagliato perché non dice la verità distorcendola, perché non ha detto che quei martiri erano antifascisti ed ebrei, perché non erano stati uccisi “semplicemente” per la loro nazionalità italiana, perché non li hanno ammazzati solo quei tedeschi che li raggruppavano a 5 per volta infilandogli dei colpi dietro la nuca, ammassando pile di cadaveri mentre si ubriacavano per “reggere” lo “spettacolo”, ma li hanno ammazzati anche altri italiani fascisti (come lo era tuo padre e come lo siete almeno in parte anche voi post-fascisti al governo che riprendete le teorie strampalate di Hitler sulla sostituzione etnica) che li avevano traditi o che li avevano “selezionati”. E perché a diffondere queste teorie non è un complottista estremista di destra, ma la Presidente del Consiglio che ha giurato sulla Costituzione antifascista!



I resti dei corpi delle vittime: alcune sono state identificate negli ultimi anni, altre sono ancora senza nome, senza una storia...



Ma Ignazio non si ferma qui e rispolvera una fandonia “storica” ( “storica” nel senso che è molto vecchia e nel senso che mira a riscrivere la storia e a creare un’egemonia culturale nella sua area di riferimento) sulle “povere vittime” dell’attentato di via Rasella, teoria che serve a dipingere i partigiani (ma in realtà anche degli alleati, come si spiega più in dettaglio nelle prossime righe) come dei terroristi, e non dei combattenti per la libertà, che non avevano contezza di cosa fosse strategicamente utile per scacciare via il mostro nazifascista:

verso l’ottavo minuto del video disponibile sul canale YouTube di Libero Ignazio comincia la sua apologia: <<quando la Meloni dice uccisi perché italiani certamente sa benissimo che quegli italiani che furono uccisi per rappresaglia a quello che fecero i partigiani sapendo che ne sarebbe derivato un, un...>>; a questo punto viene interrotto dal conduttore che gli va in soccorso suggerendo che <<non è stata una pagina nobilissima della Resistenza>>. La seconda carica di uno Stato antifascista aggiunge: <<anche perché quelli che vennero uccisi non erano biechi nazisti delle SS ma erano una banda di semipensionati, di una banda>>, <<musicale per altro>> suggerisce il conduttore. E poi riprende a parlare: <<altoatesini, sì. E in quel momento mezzi tedeschi, mezzi italiani, non si capiva bene se erano tedeschi o italiani. Per cui quando lei dice “uccisi perché italiani” nella sua testa lo sa che questi italiani erano italiani perché erano antifascisti>> (e il punto è proprio questo: lo sa ma lo omette, non lo sottolinea, creando un’ambiguità comunicativa che fa pensare che fossero morti solo perché italiani) <<ebrei, detenuti politici, qualcuno chi lo sa, magari pure fascista, chi lo sa. Statisticamente magari ci sarà stato, pure per sbaglio, qualcuno. Ma se li deve racchiudere in una sola parola dice perché italiani>>; interviene nuovamente il conduttore: <<è il tutto, dire antifascisti sarebbe stata solamente la parte>>, ma in realtà come abbiamo già spiegato erano antifascisti la totalità o la quasi totalità, e dicendo “italiani” si è omesso di dire “il tutto” o “il quasi tutto”. Il Presidente post-fascista del Senato continua:  <<Tu puoi dire “io avrei precisato”, ma farne uno scandalo è sinonimo di incapacità di avere motivi di polemica un po’ più strutturati>>.

E allora facciamo “una polemica” strutturata, cominciando dall’affermazione che quelli non erano “biechi nazisti” ma semi-pensionati: il primo a smentire La Russa è lui stesso. Dopo il pandemonio che ha scatenato diffonde un comunicato in cui dice: <<ho sbagliato a non sottolineare che i tedeschi uccisi in via Rasella fossero soldati nazisti, ma credevo che fosse ovvio e scontato oltre che notorio (…) Non so poi se effettivamente è errata la notizia, più volte pubblicate e da me presa per buona che (…) facessero anche parte della banda militare>>. Quindi praticamente ha ammesso di avere divulgato una notizia di cui non era neanche sicuro... E infatti ha sbagliato! Ha propagandato una gravissima falsità con una leggerezza littoria.

I nazisti del Battaglione Bozen non erano semi-pensionati, ma erano un corpo di polizia affiliato alle SS e avevano tra i 26 e i 43 anni. Erano armati fino ai denti e non erano una “banda musicale”: quel battaglione altoatesino delle SS era obbligato a cantare, e per questo <<nelle memorie di alcuni di quei bimbi, il battaglione era diventato una banda. Ma un conto è un ricordo infantile, altro è che la seconda autorità dello Stato lo faccia proprio e lo ribadisca in pubblico>>, ha spiegato lo storico Alessandro Portelli su Il Fatto Quotidiano.

Prima di passare all’analisi dei fatti di via Rasella, concludiamo con la parte sulle considerazioni mediatiche e comunicative: La Russa, nel diffondere con noncuranza notizie di cui lui stesso dice di non essere sicuro, oltre a consolidare il racconto “egemonico” in favore dei suoi elettori più conservatori e reazionari, ha suscitato ancora più polemiche di quelle fatte dalla Meloni nel giorno della funesta ricorrenza. Sostanzialmente ci ha comunque guadagnato: “spararle grosse” sui media può servire a “sondare il terreno”: in sostanza si può “buttare in pasto” ai media qualcosa di enorme  per sondare le reazioni dell’elettorato e poi, nel caso qualcosa “andasse storto” (come è avvenuto date le reazioni dell’elettorato sensibile alla causa dell’antifascismo, e intanto vi invitiamo a firmare questa petizione per chiederne le dimissioni, che non darà mai, ma è comunque un segnale da fargli arrivare) si può sempre smentire, ritrattare, come ha fatto anche se solo parzialmente. Infine c’è l’antica strategia comunicativa riassumibile nel detto: “non importa che si parli bene o male di qualcuno, l’importante è che se ne parli”, e dunque La Russa ha ottenuto un ritorno d’immagine anche se alcuni lo hanno giustamente stigmatizzato per le fandonie espresse.

 

 

LE MENZOGNE E IL CONTESTO SPECIFICO DELL’ATTENTATO DI VIA RASELLA E DELLA RITORSIONE FEROCE


I soldati tedeschi dopo l'attentato


La fonte principale che utilizziamo per parlare dei fatti di via Rasella è un video del noto storico e divulgatore televisivo Alessandro Barbero, girato al Festival della Mente del 2017 (le altre fonti sono nei link).


 


Il piano di attacco è molto elaborato, prevede l’impiego di 4 combattenti donne e 13 uomini partigiani che, dopo l’esplosione dell’ordigno “principale”, trasportato e nascosto nel vano di una bici da spazzino (e assemblato con 12 chili di tritolo forniti dal regio esercito, e quindi dagli ufficiali della resistenza monarchica, fatto di non secondaria importanza perché testimonia la collaborazione tra le varie forze e l’avallo, perlomeno indiretto, a compiere atti di guerriglia) in via Rasella, intervengono lanciando bombe a mano (“modificate” da colpi di mortaio in uso sempre al regio esercito), sparando contro più di 150 soldati tedeschi e rimanendo a “coprire le spalle” e favorire la fuga di quelli direttamente impegnati. Muoiono 33 soldati tedeschi, di cui 26 sul colpo, oltre a due civili: uno è ignoto mentre l’altro era un ragazzino che aveva sbagliato fermata del tram mentre andava a lavorare in un’officina. Gli altri tedeschi sono feriti e sparano all’impazzata in ogni direzione, uccidendo altri 6 civili (di cui un poliziotto, autista del questore fascista Caruso -quello che contribuirà a redigere la lista dei condannati a morte- che non sapeva dell’attentato e aveva impugnato la pistola dirigendosi sul luogo dell’esplosione, ucciso quindi dal “fuoco amico” nazista).


 

Il luogo dell'attentato e i morti delle SS disposti in fila

Apriamo una breve parentesi sulle vittime civili nei conflitti, e dunque sui cosiddetti “danni collaterali” (tema che abbiamo affrontato più nel dettaglio a proposito di una “fake-news a fin di bene"): anche le bombe americane che cadevano su Roma ne hanno fatte molte, e invece che attaccare le azioni e la memoria della resistenza partigiana, azioni che come si spiega più avanti hanno di fatto reso Roma “città aperta”, bisognerebbe “attaccare” figure come quella di Mussolini, la cui propaganda era finanziata dai signori della guerra fin dagli inizi della sua carriera, e le cui milizie fasciste erano finanziate dai ricchi possidenti terrieri che vedevano diminuire il loro potere man mano che i i poveri contadini iniziavano a coalizzarsi in apposite leghe, sulla spinta di azioni portate avanti da politici come Matteotti. Chiusa parentesi.

Hilter era su tutte le furie e, inizialmente, voleva radere al suolo l'intero quartiere, poi voleva far uccidere 50 italiani (non 10) per ogni morto nazista per rappresaglia, rappresaglia che verrà compiuta in gran segreto: il 24 Marzo, spiega Barbero, <<tutti parlano dell’attentato di via Rasella, anche se la radio non ne ha parlato. Molti sono spaventati dicendo che forse era una cosa troppo grossa, che forse non era il caso, ma nessuno sa niente della rappresaglia>> fino a quando il 25 esce un comunicato tedesco che si scaglia contro i <<comunisti badogliani>>: l’ordine di fucilazione era stato <<già eseguito>>. Dopo la “mediazione” delle alte gerarchie naziste si scese a 10 italiani per ogni tedesco: 335 italiani (erano stati condotti alla morte 5 prigionieri in più per “errore”) verranno portati via dalle prigioni di Regina Caeli, di via Tasso, rastrellati all’occorrenza e condotti alle cave che oggi sono un mausoleo.

Barbero esprime il concetto che abbiamo introdotto sopra: <<uno dei grandi equivoci che si sono creati intorno all’attacco di via Rasella consiste nel considerarlo un episodio isolato, senza contesto, come se una bomba fosse scoppiata all’improvviso nel bel mezzo di una città pacifica>>, e non in una città martoriata e ridotta al fame al punto che non si trovava nemmeno l’immondizia per coprire e nascondere l’ordigno, dato che <<Roma non produceva immondizia>>.

Nelle settimane precedenti all’attacco di via Rasella c’erano stati diversi attentati e scontri tra le forze della Resistenza e quelle dell’occupazione Nazi-fascista a Roma, ma <<mai c’è stata una rappresaglia diretta, mai è successo che per un tedesco morto il comando tedesco dicesse “siccome è morto un tedesco adesso fuciliamo degli italiani”; mai un manifesto tedesco ha detto abbiamo avuto dei morti e perciò ammazzeremo degli ostaggi>>.

Poi, cinque anni fa, smentiva la leggenda che La Russa ha propagandato cinque giorni fa: <<devo entrare nel dettaglio di una delle molte falsità che sono state diffuse su questa vicenda: la colonna sarebbe stata composta da anziani, innocui, poliziotti non militari per lo più dell’Alto Adige, mezzi italiani. Quest’ultima è l’unica cosa vera: erano dell’Alto Adige che era stato annesso alla Germania Nazista. La compagnia che viene attaccata è una compagnia di un battaglione del reggimento di polizia militare Bozen, cioè Bolzano: sono militari a tutti gli effetti, subordinati al comando delle SS. Qualche tempo dopo il battaglione prenderà il nome di Reggimento di Polizia Militare delle SS di Bolzano. Non sono giovanissimi e certo non sono nemmeno anziani innocui: il più giovane aveva 26 anni, il più anziano 43. È un battaglione che è impegnato nei rastrellamenti per le strade di Roma per cui si bloccano le uscite di una via e si mandano in Germania tutti quelli che stanno dentro; è un battaglione impegnato nella lotta con i partigiani nei Castelli Romani; dopo l’attentato di via Rasella sarà spostato in Piemonte a combattere i partigiani; un altro battaglione dello stesso reggimento, Bozen, è stato responsabile di crimini di guerra ed eccidi in Cadore; questo è interessante dirlo adesso ma i ragazzi -dei GAP che compiono l’azione NDR- non ne sanno niente. Per loro è una colonna tedesca che passa per il centro di Roma cantando canzoni tedesche>>, cantano su ordine dei loro ufficiali al ritorno da un poligono di tiro dove si esercitavano con armi da guerra, <<con il mitra a tracolla, con le bombe a mano infilate nella cintura>>, bombe che amplificheranno l’effetto dell’azione militare anti-nazista.

C’è poi <<l’incredibile leggenda costruita attorno i fatti di via Rasella per screditare i ragazzi che avevano attaccato i tedeschi: è la leggenda secondo cui i nazisti avrebbero chiesto che i responsabili si presentassero garantendo che in quel caso gli ostaggi non sarebbero stati fucilati>>, e che i quindi i martiri delle Fosse Ardeatine sarebbero morti <<non per colpa loro, ma al loro posto>>.

Lo storico spiega che l’origine di questa “leggenda” o “fake-news” è stata studiata, risalendo fino all’Osservatore Romano: in un articolo, pubblicato il giorno dopo la strage, i nazisti vengono indicati come “vittime” e i martiri “persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all’arresto”, mentre <<che ci siano anche altri colpevoli di averli fucilati il giornale del Vaticano non lo dice>>.

La fake-news verrà amplificata dall’allora segretario federale capitolino della Repubblica Sociale Italiana, Giuseppe Pizzirani, che contribuì alla nascita del Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista dove ha militato Ignazio e suo padre: <<da allora molta gente continua a crederci in buona fede>> anche se i tedeschi non hanno mai pubblicato nessun manifesto chiedendo ai partigiani di presentarsi, così come non si sognarono nemmeno di avvisare la rappresaglia perché avevano paura di scatenare un’insurrezione, come disse il criminale di guerra Kappler a processo che, insieme a Priebke, aveva redatto la mortifera lista. <<Non si erano nemmeno preoccupati di ricercare i veri colpevoli tanto erano sicuri che la popolazione li avrebbe coperti, e anche questo è indicativo>> del malcontento popolare, e non solo della minoranza che aveva impugnato le armi. <<Al processo di Kesserling>>, comandante supremo delle forze tedesche in Italia <<gli fu chiesto se avevano provato a chiedere ai partigiani di consegnarsi>> e questi rispose <<no, non l’abbiamo fatto, ma sarebbe stata una buona idea!>>.

Allora, continua a spiegare lo storico, la fake-news è stata modificata per continuare a far prevalere l’ideologia sui fatti e qualcuno ha cominciato a sostenere che <<anche se i tedeschi non l’hanno chiesto dovevano presentarsi lo stesso, chi fa un attentato poi si presenta!>>, dice ironicamente Barbero, e in più bisogna considerare le implicazioni morali, tattiche e strategiche di cedere alle minacce di rappresaglia: nuovi prigionieri sarebbero stati torturati per ottenere nuove informazioni, ottenendo vantaggi militari; inoltre esiste il famoso detto secondo cui “non si tratta con i terroristi”: per esempio si pensa che lo Stato italiano avrebbe potuto salvare Aldo Moro ma non lo ha fatto perché (teorie “complottiste” a parte) con i terroristi “non si tratta”! E invece con i terroristi nazi-fascisti dovevamo trattare?! Certo, ci sono stati anche degli episodi di persone molto coraggiose che si sono consegnate ai nazifascisti per evitare delle rappresaglie o salvare dei compagni, ma in diversi contesti (si veda per esempio la vicenda del comandante della Brigata Val Fiastre Decio Filipponi o quella del carabiniere Salvo D’Acquisto)

Si discute molto sul fatto che dopo via Rasella ci furono alcuni settori “attendisti” del CLN che furono più titubanti nel rivendicare l’azione e nel compierne altre di simili, così come si è discusso sul consenso “complessivo” del CLN, che in realtà pare che fosse implicito, dato che anche il Comando USA spronava a fare attacchi nel territorio di Roma proprio perché i nazisti non rispettavano l’accordo sulla “Città aperta” (dichiarato unilateralmente dalle autorità italiane e che consisteva nel non operare militarmente nella città per evitare danni di una certa entità), così come è vero che svariate azioni a danno dei nazisti vennero portate a compimento con il consenso “implicito” dell’organismo, sia prima che dopo il Marzo del ‘44.

La polemica sull’utilità di compiere quell’azione appare oggi sterile, mentre è comunque utile indagarla da un punto di vista storiografico: le discussioni sulla sua utilità e le modifiche sulle strategie da attuare per evitare o mitigare gli effetti delle rappresaglie si aprirono, per l’appunto, dopo l’attentato, dopo che il regio esercito aveva fornito il tritolo e le armi necessarie per portarlo a compimento: allora furono colpevoli anche i “badogliani” e non solo i “rossi”?! O colpevoli erano semplicemente i nazisti?! E ovviamente si discuteva “dopo” l’attentato anche perché azioni di una certa entità dovevano avvenire con un certo grado di segretezza, e quindi non potevano essere conosciute da tutte le componenti di un movimento tanto moralmente legittimo quanto clandestino.



Lo Youtubber Gioele Sasso mentre parla dei processi a guerra finita
Lo Youtubber Gioele Sasso mentre parla dei processi a guerra finita



Cogliamo l’occasione per segnalare anche due altri video dello Youtubber Gioele Sasso, che gestisce il canale “La Biblioteca di Alessandria”, e che a proposito esprime un suo parere, collegato agli accertamenti giudiziari che si sono svolti sulla vicenda a guerra conclusa, anche su iniziativa dei familiari delle vittime e dei feriti di via Rasella:<<nessun tribunale italiano ha mai condannato i partigiani per quell’attacco né ha mai riconosciuto una diretta correlazione diretta tra l’attacco attuato e le fosse Ardeatine. Il mio parere personale è che questa connessione è molto difficile da trovare: certo è vero, senza l’attacco di via Rasella non ci sarebbero state le Fosse Ardeatine, ma c’è anche da dire che i partigiani all’epoca non potevano sapere che si sarebbe attuato un eccidio di tali proporzioni, anche perché un eccidio di tali proporzioni non era mai stato fatto. Non solo, ma eccidi del genere i tedeschi li compirono in tutta Europa in continuazione, e anche a Roma continuamente fucilavano dei partigiani e dei prigionieri politici che venivano presi, tanto che probabilmente coloro tra i prigionieri politici che vennero avviati alle fosse Ardeatine, sarebbero comunque stati uccisi o fucilati anche senza l’attentato>>.

L'altro video presente sul suo canale presenta un punto di vista che a nostra detta (ma anche a detta dell'intervistatore) è una "teoria del complotto" tutta da dimostrare, che però non proviene dagli ambiti della destra revisionista. Mario Ragionieri, scrittore e storico, sostiene con delle argomentazioni che ci sembrano molto simili a quelli che dicono che non siamo mai stati sulla Luna in quanto a elementi probatori concreti, che in realtà ci fosse una macchinazione dei dirigenti comunisti per far insorgere la popolazione romana e ottenere guadagni politici, invece di limitarsi ad azioni di disturbo nelle retrovie, che avrebbero dovuto concentrarsi sui sabotaggi per ottenere risultati strategici migliori, e che lo smacco inflitto con quella azione non fu strategicamente fondamentale, come invece credono molti, incluso Alessandro Barbero, e come i fatti dimostrano fino a prova contraria: i nazisti infatti lasciarono la città e anche i bombardamenti americani, che facevano tanti “danni collaterali”, cessarono, smettendo di infliggere i danni a quella capitale che doveva essere "aperta"... 

E questa vittoria si ricollega a un’altra “leggenda” sul ruolo marginale dei partigiani italiani: evidentemente quel ruolo non è stato così marginale e ha anche salvato molte vite, e forse la strada non è stata solo “spianata” per gli alleati che avrebbero fatto “il grosso”, ma tutto il contrario, nonostante le intrinseche contraddizioni che si sviluppano all’interno di un contesto di guerra civile, insurrezionale e rivoluzionario, un contesto tra l’altro molto eterogeneo dato che c’erano anarchici, socialisti, comunisti, monarchici, liberali e democristiani, e da cui forse sono nate alcune delle contraddizioni della nostra Repubblica, come la non abolizione dei Patti Lateranensi, per esempio, oppure il “riciclo” di ex-fascisti, usati anche in chiave anticomunista, come il “venerabile voltagabbana” Licio Gelli che tolta la camicia nera cominciò a collaborare con gli americani, o addirittura di quelli che volevano attuare un colpo di stato per distruggere la Repubblica antifascista, come Junio Valerio Borghese; ma fu anche un contesto in cui si cominciarono a sperimentare forme di libertà, di organizzazione alternativa e di democrazia dal basso dopo vent’anni di un’oscura e totalizzante dittatura e di venti mesi di occupazione brutale...

E nonostante gli abusi, presunti e reali, commessi da alcuni che non potranno mai discreditare la stragrande maggioranza di quelle donne e di quegli uomini che si sono sacrificati per liberarci dall’incubo nazi-fascista, un incubo in cui ci si era gettati credendolo un sogno o in cui si era precipitati. A proposito di quegli abusi e del ritornello decontestualizzante “e allora le foibe?!”, il più eclatante di quegli eccidi e di quegli eccessi, è interessante ricordare le parole di Barbero in un altro video, in cui i perpetratori vengono descritti come persone che erano <<i vincitori, avevano ragione e stavano “dalla parte giusta”, ma hanno fatto delle porcate!>>. E anche per la mesta pagina delle foibe si dice che molti furono uccisi “solo perché italiani”: non vogliamo fare l’apologia di nessun tipo di violenza gratuita, che non sia “a difesa” di qualcosa, che non sia “legittima difesa”, ma quegli italiani furono uccisi in un clima di guerra fomentato dagli abusi e dai crimini di guerra che molti italiani avevano commesso, per i villaggi incendiati con i lanciafiamme in Jugoslavia, per le deportazioni, per tutte le cattiverie gratuite, e ci sono andati di mezzo anche povere vittime “solo perché erano italiane” o considerate tali, e quindi accomunate, a torto o a ragione, con gli oppressori.

Alessandro Sallusti, direttore di Libero, ha difeso parzialmente La Russa dichiarando al programma di La7 Di Martedì che l’attentato di via Rasella <<è stata la strage più stupida di tutta la Resistenza: non lo dice Ignazio La Russa ma lo dicono i documenti del Comitato di Liberazione Nazionale del Nord che, in contrasto con quello romano, diceva “ma perché fate ‘sta cosa che sapete benissimo che per ogni soldato tedesco che muore moriranno 10 dei nostri. Io non voglio difendere nessuno ma la storia è più complicata di quello che ci hanno raccontato fino a oggi, e quindi va raccontata totalmente>>.

 

Sallusti a La7
Sallusti a La7


 

Proviamo a raccontarla completamente senza avere le pretese di essere i detentori della verità.  Barbero dice: <<C’è chi ha detto che non dovevano fare l’attacco perché sapevano che i tedeschi avrebbero ucciso dieci persone per ogni caduto (...) finché gli storici non se sono occupati e hanno scoperto che fino a quel momento mai i tedeschi avevano fucilato dieci persone per rappresaglia per ogni caduto>> perlomeno a Roma, dato che le forze tedesche avevano ordinato simili ritorsioni altrove con degli appositi provvedimenti, precedentemente (ma anche successivamente all’eccidio sull’Ardeatina, purtroppo):

per esempio nell’Ottobre del 1941, tra Kraguejevac e Kraljevo, nella Serbia occupata dai Nazisti furono massacrate migliaia di persone (le stime oscillano tra le circa 3000 e 7000 persone di diverse nazionalità) in seguito all’uccisione o al ferimento di poche decine di nazisti. Per ordine di Hilter dovevano essere fucilati 100 ostaggi e 50 ostaggi rispettivamente per ogni soldato tedesco morto o ferito. Anche a Napoli, durante le epiche “Quattro Giornate” nel Settembre del ‘43, il colonnello Scholl aveva richiesto la consegna di 30mila napoletani da deportare nei campi di lavoro, e aveva disposto che <<ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato 100 volte>> oltre alle <<già eseguite rappresaglie>>, ma la popolazione insorse costringendo a far trattare la ritirata del nemico tedesco in cambio del rilascio degli ostaggi.

Barbero, ricostruendo la dinamica successiva al fatto di via Rasella, ricorda che un furioso Hitler inizialmente voleva disporre l’uccisione di 50 italiani per ogni tedesco deceduto: anche consultando altre fonti ci sembra dunque che il numero variava anche in base alla differente etnia (anche se all’epoca si sarebbe detto alla “razza”, ma la razza umana è unica) e nazione in cui attuare le ritorsioni. Il noto medievista e conduttore della Rai continua a smontare la “leggenda”: <<A Roma c’erano stati innumerevoli attentati e tedeschi uccisi, e mai c’era stata una rappresaglia di quelle proporzioni. Mai nessun manifesto l’aveva minacciato. L’unica cosa che i tedeschi avevano sempre detto e ripetuto è che i Gappisti sapevano -perché quello sì stava scritto sui manifesti- era:“chi attacca i tedeschi sarà punito con la morte”.

Per precisione bisogna ricordare però che in un caso, due settimane prima dell’attacco alla colonna tedesca, c’era stato un atto di rappresaglia, in cui però a essere uccisi furono 10 prigionieri partigiani al Forte Bravetta come “prezzo” da pagare per un tedesco ucciso: probabilmente sarebbero stati comunque giustiziati di lì a poco, così come i prigionieri politici uccisi nelle cave sull’Ardeatina…

Si potrebbe argomentare che non c’era mai stata una ritorsione di quelle proporzioni perché non c’era stato un attentato di quelle proporzioni (in Italia e a Roma, come abbiamo appena visto), ma a parte le considerazioni già espresse sul valore di quell’azione, non dimentichiamo che nell’Eccidio delle Fosse Ardeatine invece furono uccisi oltre ai partigiani anche ebrei, prigionieri politici e altre persone ristrette in attesa di giudizio: alcuni parlano di “detenuti comuni” ma consultando le 335 schede e facendo altre ricerche su fonti aperte online ci risulta che, a parte la stragrande maggioranza di prigionieri politici, ci sono pochissimi per i quali o non è noto il tipo di incriminazione o il tipo di affiliazione politica. Come avvenne in altri casi simili, la maggioranza di persone sulle quali si abbattevano le rappresaglie erano persone che avevano fatto una scelta di militanza consapevole, e quindi in larga parte (se non tutte) pienamente consce, e forse orgogliose, del rischio a cui andavano incontro, persone che avevano scelto di sacrificare la propria vita per far vivere meglio noi, oggi, e dobbiamo portare avanti quel sogno realizzabile di una società più giusta ed equa, celebrare la loro memoria ma anche tentare di indagare gli aspetti potenzialmente controversi, ma identificando e denunciando le menzogne quando appaiono chiare. E quegli italiani E antifascisti si staranno rivoltando nella tomba sentendo le parole di Meloni e La Russa.

Soffermiamoci quindi ancora sulle discussioni intorno all’utilità di quell’azione militare, in particolare riguardo ai rapporti interni al CLN e con le altre formazioni autonome, e ancora più nello specifico sulle versioni discordanti che narrano delle reazioni dei diversi dirigenti politici, uno dei punti più spinosi della vicenda perlomeno dal punto di vista storiografico: Barbero ricostruisce il cammino di Giorgio Amendola, comunista nella giunta militare del CLN e quindi responsabile dell’azione, mentre si reca dal fondatore della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi al palazzo di Propaganda Fide, area coperta dall’immunità diplomatica, insieme a Sergio Fenoaltea, del Partito d’Azione. A un certo punto si sente il grande botto e Fenoaltea dice <<ma cosa è successo? Credi che siano stati i partigiani?!>>, Amendola risponde vagamente <<è possibile>>.

Arrivano da De Gasperi che, preoccupato, gli chiede cosa sia successo: Amendola fa un po’ il vago <<non so, forse un’azione dei nostri GAP>>. De Gasperi risponde ironicamente, secondo la versione proposta da Barbero: <<deve essere così, voi comunisti una ne pensate e mille ne fate>>. Secondo lo storico Enzo Forcella invece questa versione, pur non dubitando del racconto di Amendola, sarebbe fuorviante perché in realtà De Gasperi non conosceva ancora l’entità dell’attentato. Secondo altri sarebbe stato addirittura informato dallo stesso Amendola prima dell’attuazione del piano, mentre secondo Andreotti l’attentato fu compiuto contro il parere del CLN, che non avrebbe autorizzato azioni contro i nazisti.

Anche sulla posizione di Palmiro Togliatti, dirigente del Partito Comunista, esistono versioni contrastanti, che vanno dall’appoggio tramite un ipotetico ordine diretto alla condanna dell’atto che si sarebbe concretizzata in restrizioni di azioni future, passando per una sostanziale indifferenza in quanto non poteva né ordinare e né impedire l’atto e perché cercava di creare le condizioni per una cooperazione tra i diversi partiti e i monarchici.

Divergenti sono anche i racconti sulle prese di posizione di Sandro Pertini: quella riportata da Barbero dipinge l’esponente del Partito Socialista come un po’ arrabbiato e geloso di Amendola e dell’efficienza dei comunisti, al punto che avrebbe dichiarato al suo compagno “massimalista”: <<va bene, però se fate un’altra azione così grossa per piacere ditecelo e la facciamo insieme perché vogliamo partecipare anche noi>>, dato che come ricorda lo storico <<Amendola è un comunista e i comunisti in quell’epoca sono sospettosi, -solo in quell’epoca? : ) NDR- Amendola non si fida e decide che l’azione contro la colonna tedesca la faranno da soli>>. In un’altra versione il comando di eseguire l’azione sarebbe partita direttamente da lui e Amendola. Un’altra narrativa lo dipinge in maniera meno “massimalista” e assolutamente contrariato per le proporzioni delle rappresaglie che potevano essere innescate, definendola un atto irresponsabile, mentre sarebbe stato in favore di una protesta pacifica contro le forze d’occupazione per cercare di non ingaggiare uno scontro armato.  Personalmente (visto che su questa zina/rivista si crede che esporre le proprie opinioni sia un atto dovuto per tendere verso l’obiettività) questa mi sembra la soluzione ideale, ma personalmente non vivevo nella Roma occupata dai nazisti ed è facile parlare con il senno e con “gli occhi di poi”, anche se questa posizione “minimalista” non riflette quello che l’ex Presidente della Repubblica e padre della patria ha dichiarato ufficialmente... Nel corso delle vicende giudiziarie che seguirono dichiarò, in linea con la ricostruzione che fa Barbero, che non era a conoscenza del piano per questioni di segretezza, ma che venuto a sapere dell’atto lo approvò completamente perché era assolutamente necessario colpire il nemico, e che i GAP comunisti avevano agito in base alle direttive generali dell’organismo militare del CLN.

Fatto sta che, spiega Barbero, <<il risultato è surreale perché i nostri alleati e lo Stato italiano legittimo che allora combatteva al fianco degli anglo-americani (…) sono rimasti stupefatti e ammirati dell’attacco di via Rasella. Il generale Alexander, comandante di tutte le truppe alleate del Mediterraneo, disse che lui aveva cominciato a rispettare gli italiani quando aveva scoperto che Roma era “una città che ha osato sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato”>>, e il giorno dopo via Rasella i tedeschi <<evacuano a tutti gli effetti Roma: sarà per questo che Roma, che fino al 23 Marzo era bombardata dagli americani ogni giorno, da quel giorno in poi non viene più bombardata per due mesi...>>, con ordigni che avrebbero dovuto colpire solo obbiettivi come depositi e stazioni, ma come sappiamo bene le “bombe intelligenti” non sono mai esistite (si pensi che nel bombardamento del quartiere di San Lorenzo del Luglio del ‘43, vicino alla ferrovia, dopo che gli americani lanciarono dei volantini invitando la popolazione a lasciare le case, morirono circa 1500 romani. Comunque chi scrive non comprende a pieno l'affermazione di Barbero, quando dice che i tedeschi evacuarono Roma "a tutti gli effetti" dopo il fatto di via Rasella, dato che almeno "tecnicamente" Roma verrà liberata in maniera conclusiva dagli alleati il 5 Giugno, il giorno dopo l'Eccidio della Storta).

Anche il presidente dell’ANPI, Gianfranco Pagliarulo, ha ricordato che <<l’attentato di via Rasella, lodato pubblicamente dal comando angloamericano, è stata la più importante azione bellica computa in una capitale europea>> nella Seconda Guerra Mondiale.

Barbero conclude dicendo che <<però molta gente>> incluso un certo “La Rissa”<<ha pensato che via Rasella è stata un delitto e che i ragazzi che l’hanno fatto sono dei criminali, ed è una cosa che ci insegna molto sul paese che siamo>>.

Qualcuno potrebbe obiettare: “eh, ma allora perché non ve la prendete pure con quelli che erano filosovietici? E quelli che volevano instaurare la dittatura del proletariato? Perché non ve la prendete con tutti i totalitarismi” (riprendendo la retorica meloniana esposta nel suo discorso d’insediamento)?

La risposta: a parte che chi scrive non è favorevole a un’ipotetica dittatura del proletariato (differenziandosi quindi da compagne/i marxiste/i ortodosse/i e simili per il metodo, proiettato sul lunghissimo termine, e che rifugge “scorciatoie” e “assalti al palazzo” per raggiungere una società pienamente egualitaria), in Italia non c’è mai stato un regime comunista: facciamo dunque i conti con la nostra storia e con le mostruosità che il fascismo ha commesso nella nostra “patria Italia” e nella nostra “patria Mondo Intero”!

 

Antifa de Chiaro

 

 

Come di consueto alleghiamo una citazione musicale: il remake degli Ustmamò del canto partigiano “Siamo i ribelli della Montagna” di attribuzione incerta







Questa volta alleghiamo anche una citazione cinematografica: la scena dell’episodio della morte di Pina in “Roma Città Aperta” di Roberto Rossellini, che è ispirato all’uccisione di Teresa Gullace mentre protestava e cercava di lanciare un tozzo di pane al marito in carcere.

Tra l’altro è interessante notare che l’episodio di via Rasella non fu rappresentato in quel film per le diverse sensibilità in merito all’opportunità e al vantaggio strategico dell’attentato.




ultima modifica 16-04-2023 ore 12:37


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