8.4.23

DEFINIZIONE DI TERRORISMO

DIFFERENZA TRA TERRORISTA E FREEDOM FIGHTER

 


 

Per la rubrica “Define” parliamo del concetto di terrorismo, dopo la grave menzogna espressa in questi giorni dalla seconda carica dello Stato: che vuol dire terrorismo? Qual è la differenza con un freedom fighter (combattente per la libertà)? In quanti periodi si può dividere la moderna storia del terrorismo? L’uso della violenza fisica-militare è un tabù? 

Negli scorsi giorni Ignazio La Russa ha propagandato una teoria che mira a dipingere i partigiani (in particolare quelli “rossi”) come dei sanguinari che non avevano contezza di ciò che era strategicamente utile per contrastare il nazifascismo, una teoria semplicistica e che non inquadra il contesto di quegli atroci momenti della nostra storia.

 

Esiste un detto: “quello che per alcuni è terrorista per altri è un combattente per la libertà”, come lo erano i partigiani. Ed è così per quanto riguarda il giudizio “morale” verso chi impugna le armi in un conflitto, venendo etichettato, a torto o a ragione, di essere “terrorista”.

Ma non funziona così a livello legale, e quindi considerando il diritto internazionale: un atto di terrorismo è considerato tale perché prende di mira indiscriminatamente sia civili che militari, al fine di diffondere il “terrore” di subire un attentato, all’improvviso, in una determinata comunità o popolazione, e seguendo una strategia che sfugge ai combattimenti veri e propri, in maniera diretta, per ottenere un risultato politico.  

Invece un “legittimo” atto di guerra tra parti in conflitto è diretto contro obiettivi militari. Durante un atto di guerra "legittimo",  si possono verificare i cosiddetti “danni collaterali”, fredda espressione che indica il coinvolgimento di civili, coinvolgimento che dovrebbe essere evitato il più possibile secondo il diritto internazionale.

La definizione “legale” di terrorismo non si riferisce dunque allo scopo perseguito da chi impugna le armi, ma alla strategia che usa!



Abbiamo pubblicato un post sull'Eccidio delle Fosse Ardeatine di “fact-checking” per le indegne e infondate dichiarazioni del Presidente del Senato: se La Russa fosse familiare con il concetto di terrorismo saprebbe che quello di via Rasella del Marzo del 1944 è stato un legittimo atto di guerriglia, anche se doloroso perché sono morti 8 civili, di cui due nell’esplosione dell’ordigno posizionato dai partigiani e sei  nelle raffiche di colpi esplosi a caso dai tedeschi feriti (di questi sei uno era un poliziotto, e i poliziotti sono considerati dei civili se non fanno parte di corpi di polizia militari, come lo sono i Carabinieri per capirci)... Ma La Russa e i vari post-fascisti o neo-fascisti dovrebbero farsi qualche domanda in più su chi ha causato la guerra, su chi ha ispirato Hitler e il nazismo, e cioè su un certo Mussolini, su tutti i cittadini italiani che hanno sostenuto il fascismo con diversi gradi di responsabilità e colpevolezza materiale e/o morale...

Adesso, per chi volesse scendere nel dettaglio, ripubblichiamo un breve estratto di una tesi di laurea dedicata all’editoria anarchica in cui si affronta il tema della definizione di terrorismo (il capitolo intero, intitolato "L'editoria libertaria italiana, l'anarchismo e il terrorismo" si trova a questo link), sfiorando anche il tema della violenza fisica e militare.

 


Terrorismo, insurrezione e i “pregiudizi” sulla violenza

Partendo da un punto di vista prettamente semantico il termine terrorismo ha almeno tre significati principali. Il primo indica un <<metodo di governo fondato sul terrore>> ed è connesso all’etimologia del termine, cioè alla fase della rivoluzione francese nota come “Terrore”[1]. Il secondo, quello principale nel linguaggio comune corrente, è quello indicante <<l’uso sistematico del terrore al fine di ottenere un risultato politico, qualunque esso sia>>, una definizione che <<in qualche modo si attaglia anche alla guerra e, più in generale, anche agli Stati[2]>>. Non è un caso quindi che la stessa etimologia del termine risalga a un sistema impiegato da un governo[3], mentre oggi si tende ad attribuirlo soprattutto a singoli o gruppi che tentano di influire sulle decisioni di un’organizzazione statale. Infine c’è l’uso figurato del termine che indica <<metodi di polemica culturale o di pressione psicologica fondati sull’uso di argomenti semplicistici e intimidatori[4]>>.

Dal punto di vista giuridico non esiste una definizione univoca del termine[5] anche se, a partire dagli anni ottanta, si è cominciato ad affermare il principio secondo cui non era la legittimità dello scopo ultimo di un’azione violenta a tracciare il confine tra un atto terroristico e uno legittimo (in quanto finalizzato al diritto di autodeterminazione e indipendenza), bensì la stessa strategia atta a infondere paura e che rifugge il combattimento vero e proprio, oltre a colpire deliberatamente e indistintamente vittime sia civili che militari[6]. Quindi, prima dell’affermarsi di questo nuovo punto di vista (che incentra la nozione di terrorismo intorno alle tattiche seguite e non allo scopo ultimo perseguito) l’aforisma che recita “one man’s terrorist is another man’s freedom fighter” e che indica il sottile confine tra il giudicare dell’azioni come atti di terrorismo o il combattere per la libertà, era sostanzialmente valido. Diversamente, oggi, si può affermare: <<Non è vero che è impossibile distinguere un terrorista da un combattente per la libertà: il punto è che col dire che il terrorista di uno è il combattente per la libertà di un altro, semplicemente si confonde l’obiettivo con l’attività. (…) Questa tattica può essere utilizzata da individui o gruppi che perseguono qualsiasi tipo di obiettivo finale, ivi inclusa la liberazione nazionale, ed in effetti nella storia ciò è frequentemente avvenuto>>[7]. Per questo, ritornando nel campo linguistico, di solito l’aggettivo “terrorista” ha una connotazione negativa, mentre parole come “guerriglia” e “insurrezione”, insieme a “combattenti per la libertà” (freedom fighters in inglese) o “partigiani” sono associate a individui e movimenti che, si ritiene, usano legittimamente la violenza[8]. Naturalmente non è detto che queste parole abbiano una connotazione positiva di per sé.

La parola insurrezione infatti indica l’organizzazione del dissenso verso governi e istituzioni, finalizzata al loro rovesciamento con mezzi violenti ed extralegali, con il coinvolgimento delle masse popolari. A questo punto risulterà chiaro che il terrorismo e la guerriglia sono delle tattiche, dei metodi che possono essere usate all’interno di una strategia insurrezionale[9].

Spostandoci verso il contesto sociologico (e più nello specifico nell’ambito mediatico-comunicativo, maggiormente in considerazione in questo frangente) e prendendo in esame il concetto più generico di “violenza”, si può definire un atto “fisicamente” violento quello caratterizzato da tre elementi: la finalità del danneggiamento “fisico” per l’appunto, la volontarietà dell’azione e il modo diretto o indiretto tramite cui l’atto viene realizzato, ossia se si danneggia immediatamente l’obiettivo dell’azione o se vengono minate le risorse materiali a sua disposizione[10]. Dunque, tralasciando per il momento questioni come la violenza verbale atta ad aizzare le “masse” o quella psicologica che può derivare da un’azione “materialmente” aggressiva, l’approccio per una definizione della violenza nel campo socio-politico in un’ottica “avalutativa-weberiana”[11], deve tenere presente e allo stesso tempo scartare due concezioni della violenza, che lo studioso Mario Stoppino aveva identificato con le espressioni “pregiudizio del conservatore” e “pregiudizio del ribelle”, in quanto entrambi parziali.

Secondo il primo tipo di preconcetto <<la violenza incarna una specie di tabù sociale, che porta alla condanna morale di qualsiasi atto fondato su risorse coercitive>> diverse da quelle usate dallo Stato (e non è secondario il fatto che un governo si caratterizza anche per il monopolio della “forza”). Nel caso del secondo preconcetto invece si esalta la violenza <<come un fatto positivo, che promuove la rigenerazione della società su basi rinnovate e solidaristiche>>[12], e il ricorso a mezzi estremi è giustificato, viceversa, come legittima risposta agli abusi dello “Stato” o del “sistema”.

Inoltre una delle fondamentali caratteristiche della violenza esercitata dagli Stati è la prevedibilità: di norma le circostanze e le regole che determinano delle punizioni o degli atti di guerra “vera e propria”, convenzionale, sono anticipatamente manifeste, mentre i terroristi attaccano in maniera casuale, incalcolabile, generando così paura e incertezza[13]. La strategia terrorista consegue almeno tre risultati in campo sociale: oltre ad attirare l’attenzione e ad affermare, come si è detto, la legittimità del proprio uso della forza, si mira anche all’ottenimento del sostegno all’interno della comunità[14]. Quest’ultima conseguenza è la meno scontata, essendo la strategia terrorista un’arma a doppio taglio che può finire con alienarsi il consenso delle popolazione.

Da una prospettiva storiografica il terrorismo moderno, come fenomeno internazionale, può essere diviso in quattro “ondate”, secondo lo schema proposto dallo studioso americano e professore di scienze politiche David Charles Rapoport[15]: la prima ondata è identificata come quella “anarchica”, iniziata negli anni ottanta dell’ottocento e durata per quarant’anni circa. In Italia potremmo considerarla conclusa con il regicidio a opera di Bresci e, come si spiega nelle prossime righe, gli italiani sono stati protagonisti di questi eventi. La seconda, definita “anti-coloniale”, arriva agli anni sessanta del novecento. La terza, indicata come quella della “New Left”, si sarebbe perlopiù esaurita negli anni novanta e, infine, l’inizio di quella “religiosa” viene posto alla fine degli anni settanta.

 

 

Paolo Maria Addabbo

 

 [1]Vocabolario Treccani, ad vocem, cit. all’indirizzo treccani.it/vocabolario/terrorismo/ (url consultata il 12/02/2021)

 [2]R. Barberini, Terrorismo e guerra, in “Questione Giustizia”, reperibile all’indirizzo:

 questionegiustizia.it/speciale/articolo/terrorismo-e-guerra_7.php (url consultata il 12/02/2021).

 [3]Ibidem, cit. <<I bombardamenti della Raf britannica su Dresda furono “bombardamenti terroristici” non solo nella retorica del Ministero della propaganda di Goebbels: si trattò di attacchi deliberati contro non combattenti. Anche i bombardamenti aerei in Iraq, Afghanistan e Siria hanno provocato terrore e morte tra i civili. >>. Questi sono altri due esempi di forme di terrorismo, in senso lato, messe in atto da governi.

 [4]Vocabolario Treccani, Ibidem; per approfondire la vastissima questione linguistica, oltre che storica, del terrorismo si segnala F. Benigno, Terrore e terrorismo, Saggio storico sulla violenza politica, Einaudi, 2018.

 [5]Secondo la definizione, aggiornata nel 2016, della NATO: <<l’uso illegale di forza o violenza contro singoli o beni di proprietà, o anche la minaccia di questo uso, che infonde paura e terrore nel tentativo di intimidire o coartare governi o società, oppure per ottenere il controllo di una popolazione in modo da raggiungere obiettivi politici, religiosi o ideologici >>. Trad. mia, dal documento NATO del 06 Gennaio 2016 qui reperibile:

 nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/topics_pdf/20160905_160905-mc-concept-ct.pdf. Il Comitato antiterrorismo delle Nazioni Unite invece, nel 1979, decise di non definire giuridicamente il terrorismo (per approfondimenti si rimanda a R. Barberini, La definizione di terrorismo e gli strumenti giuridici per contrastarlo, in <<Gnosis Rivista Italiana di Intelligence>>, 28, Gennaio-Aprile 2004, cfr. par. “La definizione di terrorismo in ambito Nazioni Unite”). A oggi l’Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha ancora definito con precisione cosa si intende per terrorismo, pur prendendo una serie di provvedimenti per <<specifiche forme di terrorismo>> e avendo come primo riferimento, in ordine cronologico, la definizione formulata dalla Società delle Nazioni nel 1937: <<ogni atto criminale diretto contro uno Stato con l’intenzione o la previsione di creare uno stato di terrore nelle menti di persone specifiche, di un gruppo di persone o della popolazione in generale>> (trad. mie), cit. dal documento ONU del 2006 all’indirizzo:

 un.org/sc/ctc/wp-content/uploads/2017/01/2006_01_26_cted_lecture.pdf (url consultate il 12/02/2021).

 Per dare un’idea di quanto la questione delle definizioni di terrorismo sia dibattuta in ambito internazionale, si segnala che ne sono state censite più di duecentosessanta, a partire da quella data da Robespierre nel 1794, in A.P. Schmid (a cura di), AA.VV, Routledge Handbook of Terrorism and Counterterrorism, Routledge, Londra e New York, 2011, pp 99-148.

 [6]Cfr. Barberini, Terrorismo …

 [7]Ibidem.

 [8]Cfr. M.C. Ünal, Terrorism versus insurgency: a conceptual analysis, 2016, Springer, Dordrecht, p.5.

[9]Cfr. S. Coccia, C. Pasqui, Terrorismo ed altri metodi dell’Insurrezione nella Guerra Rivoluzionaria, in <<difesa.it>> (sito del Ministero della difesa), 2010, reperibile all’indirizzo:

 difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pubblicazioni/Documents/5411_Ric_Pasqui_Coccia.pdf

 (ultima consultazione 13/02/2021).

 [10]Cfr. F. Chiapponi, Comunicazione Politica …, pp. 370-371

 [11]Per una definizione dell’avalutatività in Weber si rimanda all’enciclopedia Treccani, ad vocem, treccani.it/enciclopedia/avalutativita_%28Dizionario-di-filosofia%29/.

 [12]Cfr. Chiapponi pp.370-371; sulla questione della legittimità della violenza e della configurazione di essa come caratteristica dello stato si veda pp. 373-374.

 [13]Cfr. ivi. p. 374.

 [14]Cfr.ivi pp. 375-376.

 [15]Cfr. D.C. Rapoport, The Four Waves of Rebel Terror and September 11, in Anthropoetics VIII, 1, 2002, Los Angeles, reperibile all’inidirizzo anthropoetics.ucla.edu/ap0801/terror/ (ultima consultazione 14/02/2021).


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ultima modifica 10/04/2023 ore 19:07 

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