30.4.23

DAL “PANEM ET CIRCENSES” AL “PIZZA E CALCIO”

DAL “FESTE, FARINA E FORCA” AL “SURGELATI, SOCIAL E SOPPRESSIONE”


A sinistra il Colosseo e del pane, con le scritte "Panem et circenses" e "Feste, Farina e forca". A destra uno stadio, una pizza e un calciatore che calcia il simbolo dell'euro, insieme alle scritte "Pizza e calcio", e "Social, Surgelati e Soppressione"

 

Mentre la città di Napoli, dove ha sede la nostra pseudo-redazione, è in piena febbre calcistica pubblichiamo un breve editoriale dello sportivo “popolare” e atleta amatoriale Karin Abdul Poggioreal, rielaborando la nota espressione del poeta misogino e conservatore Giovenale, che precedeva sostanzialmente la stessa strategia attuata del “re nasone”...


 

ARMI DI DISTRAZIONE E INTRATTENIMENTO DI MASSA

Panem et circenses”, tradotto dal latino, significa “pane e giochi del circo”, e indica la strategia di distrazione di massa consistente nel fornire un “piatto a tavola” e varie forme di intrattenimento in modo da tenere tranquillo e soggiogare il popolo, mantenendolo indifferente verso i soprusi di chi concentra nelle sue mani il potere, di chi effettivamente comanda.

Una versione più evoluta dell’espressione risale all’epoca del Regno delle Due Sicilie ed è nota come quella delle “tre F”, ossia “Feste, Farina e Forca”: al cibo e alle feste si affianca anche l’elemento della paura, tramite la repressione giudiziaria e quindi con le impiccagioni esemplari.

Siamo giunti nel terzo millennio, e nonostante le conquiste tecnologiche della nostra specie, talmente evoluta da essere votata all’autodistruzione, si riescono ad assicurare (non sempre) delle condizioni minime di vita e dei diritti umani basilari solo a una parte della società globale, quella più opulenta, moralmente e materialmente affogata in sprechi materiali e intellettuali futili: mentre l’industria alimentare ci rimpinza di cibo spazzatura e quella mediatica ci propina show salottieri e frivoli, un’altra parte del Mondo, saccheggiata e sfruttata da secoli, fa fatica a mettere insieme la quantità minima di calorie necessarie per arrivare alla fine della giornata, fuggendo da guerre e carestie per poi essere tacciata di “rubare il lavoro” e addirittura di essere colpevole di una fantomatica “sostituzione etnica”.

La presunta “apolitica” industria dello “sport-show-business” fomenta una particolare forma di “voyeurismo sportivo”, unita a una perversa logica politica identitaria che porta all’immedesimazione con chi materialmente è impegnato in una competizione: spendiamo miliardi per lo sport ad alti livelli, investendo risorse spropositate su élite di professionisti che dovrebbero fungere da modello per invogliare le nuove generazioni a praticare una sana attività fisica, che finiscono però per diventare gli idoli di tifosi che, letteralmente, si ammazzano sulla spinta di un para-nazionalismo sportivo.

E intanto alcuni bambini giocano a piedi nudi con dei palloni di pezza oppure, peggio, non hanno il tempo di andare a scuola e di giocare perché vengono sfruttati per cucire palloni e vestiti. Nella parte “ricca” del globo mancano le strutture per praticare sport, non troviamo le risorse da investire in scuole, palestre e verde pubblico, divorato dalle speculazioni dell’industria cementifera che al contempo non riesce ad assicurare un altro diritto basilare, quello di avere un tetto sopra la testa.

 





In questi due video due inchieste andate in onda su Tv italiane (rispettivamente del programma “Piazza Pulita” su La7 e “Nemo” sulla Rai) in cui si documenta lo sfruttamento di bambini nell’industria tessile: la nostra “ricchezza” materiale è fondata su uno sfruttamento brutale di esseri umani a danno di altri esseri umani, non dobbiamo dimenticarlo quando indossiamo un vestito o consumiamo un qualsiasi prodotto.

 

L’ “evoluta” società del terzo millennio riesce però a trovare miliardi da spendere nel marketing e nei diritti televisivi per trasmettere incontri, competizioni e campionati, arricchendo ulteriormente una ristretta cerchia di persone, ed esaltando non i valori di fratellanza e divertimento che dovrebbero essere tipici dello sport, ma quelli della concezione di una competizione esasperata, se non addirittura sleale, che a sua volta riflette le meccaniche del capitalismo che pervadono ogni ambito della nostra esistenza, individuale e collettiva, oltre a quelle della guerra che si traduce in scontri fisici tra ultras (quasi sempre di estrema destra) in nome di assurde logiche nazional-localiste.

 

Intere città e regioni (quest’anno in Italia tocca al Napoli) si eccitano e si bloccano, alimentando sprechi consumistici, partendo dalle tonnellate di nastri “plasticosi” per improbabili e pacchiani addobbi fino ad arrivare agli scempi ambientali e sociali dei mondiali in Quatar, dove sono morti più di seimila “schiavi” per costruire “colossei” e “piramidi” contemporanee. Se un’infinitesima parte di quelle energie, di quella passione, di quell’eccitazione fosse impiegata e canalizzata in uno sforzo di cambiamento sociale avremmo molto di cui gioire, invece di urlare come dei babbei “goooool”, sfogando in maniera vana le nostre frustrazioni con celebrazioni da stadio e da salotto, e non impegnandoci per un mondo più equo per noi singoli e per il Mondo intero.

 

 

“PIZZA E NETFLIX” E “SURGELATI, SOCIAL E SOPPRESSIONE”

Ma la logica del “pane e giochi circensi” non la troviamo solo nell’ambito sportivo: oltre al “pizza e calcio” potremmo parlare di “pizza e Netflix”, o ancora meglio di “surgelati, social e soppressione” penale, rielaborando il concetto borbonico delle “tre F” con quello più attuale delle “tre S”.

La dimensione dell’intrattenimento malsano e frivolo, fine a sé stesso o finalizzato a vendere pubblicità, invade anche gli ambiti della vita politica. Parallelamente chi si impegna in battaglie per un mondo migliore viene visto come un pericoloso sovversivo, un poco di buono, un perditempo e un ingenuo lavativo, una persona socialmente divergente e “deviata” da isolare, reprimere e sopprimere, mentre il sostegno a una fede politica si tramuta in appartenenza da stadio, nel tifo di un “leader” politico, degradato a chiacchiera da bar, tramutando la scheda elettorale in schedina del totocalcio: chi vince quest’anno le elezioni?

Invece di impegnarci in una vita di comunità concreta che trascenda l’ambito dei nostri schermi e le vetrine social, invece di obbligarci in forme di volontariato e attivismo sociale più o meno radicale, finisce per prevalere la logica del “tanto non cambia niente”, dell’indifferenza, dell’arrivismo, del coltivare “il proprio orto” perché tanto “homo homini lupus”, perché ognuno deve pensare a sé stesso, come se le nostre esistenze non fossero interdipendenti: vince il Napoli, la Juventus, l’Argentina o il “Roccassola Futboll Club” e siamo tutti più contenti... Andiamo a fare la sfilata con le bandiere, incastrandoci nello stesso traffico automobilistico in cui spendiamo gran parte della nostra giornata respirando una fresca aria “benzinosa”, per poi riposarci abbuffandoci di maratone televisive dopo aver passato altre 9 ore davanti uno schermo, in officina, in magazzino o in fabbrica.

Ma nonostante le “armi di distrazioni di massa” abbiamo ancora il potere di comprendere e cambiare la nostra società, le nostre abitudini, anche se a qualcuno fa più comodo “imporre” dei prodotti e delle scelte omologanti e omologate!

“Dirottiamo” più risorse per praticarlo lo sport invece di fare i “guardoni” delle partite, impieghiamo le nostre energie per sperimentare pratiche più fruttuose di intrattenimento che non ci riducano a semplici “consumatori”, ma cittadini del mondo consapevoli e protagonisti: nell’immediato dovremmo costruire più parchi, campetti, strutture sportive per fare sport gratuitamente, dovremmo finanziare le biblioteche, le attività teatrali e cinematografiche dal basso, le sperimentazioni artistiche, artigianali, scientifiche, i luoghi in cui fare musica, ballare e gioire in maniera libera e senza dover pagare la “consumazione”... Insomma, in estrema sintesi: riappropriamoci della Cultura e di una Vita sana, libere e inclusive, diventiamo protagonisti ed estendiamo le pratiche culturali auto-gestionarie anche all’auto-governo, diffondendo il potere decisionale e immaginativo e non accentrandolo nelle mani di chi impone un’egemonia culturale qualunquista e subordinata alla divinità capitalista.

 

Karin Abdul Poggioreal

 

Come di consueto alleghiamo al post due citazioni musicali in armonia con quanto scritto:

la prima è “Gol Gol Rap – Evviva il calcio popolare” degli Assalti Frontali e del Piccolo Coro dell’Antoniano

 




la seconda è “Il mio paese se ne frega” di Inoki




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