3.5.23

NON C'È GIUSTIZIA SENZA VERITÀ!

STELLA MORIS, LEGALE E MOGLIE DI ASSANGE: <<I SEGRETI DI STATO NON SONO QUALCOSA DI NATURALE>>


 

Nell'immagine superiore uno striscione in cui Julian Assange è simbolicamente imbavagliato da una bandiera statunitense. Sotto lo screenshot della testata del sito del festival, raffigurante l'automobile in cui è stato giustiziato Giancarlo Siani, una Citroen Mehari: l'ideatrice e la direttrice del festival, Desirée Klain, ha ricordato che la criminalità organizzata è la forma di terrorismo diffusa nel pezzo di pianeta in cui abitiamo.
Nell'immagine superiore uno striscione in cui Julian Assange è simbolicamente imbavagliato da una bandiera statunitense. Sotto lo screenshot della testata del sito del festival, raffigurante l'automobile in cui è stato giustiziato Giancarlo Siani, una Citroen Mehari: l'ideatrice e la direttrice del festival, Desirée Klain, ha ricordato che la criminalità organizzata è la forma di terrorismo diffusa nel pezzo di pianeta in cui abitiamo.


Torniamo a parlare di Julian Assange dopo aver incontrato Stella Moris a “Imbavagliati, Festival Internazionale del Giornalismo Civile”, dove ha ricevuto il Premio Pimentel Fonseca.

 

Stella Moris mette, letteralmente e in senso figurato, la faccia nella cornice realizzata dal gruppo "Free Assange Napoli", che recita <<non si può arrestare la nostra libertà ad essere informati>>. Sullo sfondo alcune tavole della mostra realizzata dall'artista Gianluca Costantini, dove spicca l'immagine di Mario Paciolla, osservatore dell'ONU morto in Colombia in un omicidio mascherato da suicidio.
Stella Moris mette, letteralmente e in senso figurato, la faccia nella cornice realizzata dal gruppo "Free Assange Napoli". Sullo sfondo alcune tavole della mostra realizzata dall'artista Gianluca Costantini, dove spicca l'immagine di Mario Paciolla, osservatore dell'ONU morto in Colombia in un omicidio mascherato da suicidio.


Dopo aver seguito una serie di festival di auto-produzioni grafiche ed editoriali (“Ué Underground Eccetera”, “Raise Your Zine”, “Crack! Vudu” e “Santa Feira”) oltre a quello organizzato da Mediterranea Saving Humans, “A Bordo!”, il nostro auto-inviato per nulla speciale, il difficilmente gestibile Cronista Autogestito, si è recato a un evento più “formale” e “istituzionale”, ma non per questo meno valido e denso di spunti di riflessione sul ruolo del giornalismo, sulla censura e sulla ricerca della Verità.

 

Stella Assange riceve la targa del premio


Nel post che segue ci focalizziamo principalmente sulla vicenda dell’hack-tivista australiano, sugli aspetti della sua attività che alcuni considerano controversi mentre, a nostro dire, di controverso c’è solo il tentativo di incarcerare chi si batte per un’informazione libera, senza la quale non ci può essere una società giusta ed equa.

Nella parte conclusiva troverete alcune considerazioni che ci sono rimaste particolarmente impresse della tre giorni, che si è conclusa Sabato, su diversi temi che ci sono particolarmente a cuore: dalle "persone in movimento" al tema della detenzione, passando per la guerra e le mistificazioni di certi meccanismi mediali.

 


CONOSCENZA, POTERE E SEGRETI: UN CASO POLITICO PIÙ CHE GIUDIZIARIO

L’informazione e le conoscenze corrispondono a un potere, un potere tanto vasto quanto basilare, dato che siamo l’unica specie sulla Terra che può tramandare conoscenze complesse ai posteri. 

Il potere del sapere dovrebbe essere distribuito equamente fra tutti, così come ogni altra risorsa, materiale e non. 

Julian Assange è tra i fondatori della piattaforma Wikileaks il cui scopo era quella di prendere informazioni, e dunque potere, da chi ne aveva molto, per poi “redistribuirlo” e restituirlo alla collettività, proteggendo al contempo chi forniva quelle informazioni tramite sistemi di cifratura. La mole di documenti era immensa e per questo alla stessa collettività, oltre che al suo team, spettava il compito di controllare quelle notizie, prevenendo la pubblicazione di notizie deliberatamente false o pericolose: questo concetto è a nostra detta cruciale, perché implica un controllo collettivo dell’informazione, un protagonismo auto-gestionario nelle verifica delle fonti che non dovrebbe essere delegato solo agli specialisti della comunicazione e della politica.

Come abbiamo già argomentato, chiedere la liberazione di Assange è un dovere morale di tutti quelli che hanno a cuore la libertà di parola, e il suo caso è preminentemente politico, più che mediatico e giudiziario: hanno prima imbastito contro di lui uno scandalo sessuale in Svezia, si è poi rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador londinese “auto-recludendosi” per 7 anni, e da 4 anni è in un carcere di massima sicurezza britannico, dove vive in un isolamento totale e barbaro per 22 ore al giorno in attesa che venga esaminata la richiesta di estradizione verso gli USA, dove rischia 175 anni di prigione per spionaggio o, addirittura, la pena di morte, se l'accusa formulata nei suoi confronti fosse quella di cospirazione. Negli Stati Uniti è accusato in base al cosiddetto “Espionage Act”, una legge promulgata nel 1917, quando la tecnologia che fa funzionare le nostre radio era ancora agli albori, quando la concezione della libertà di stampa era molto diversa da quella attuale, quando non esistevano ancora le potenzialità della rete di favorire sia la comunicazione libera sia un controllo repressivo e capillare vagamente immaginato da scrittori come Orwell.

Dopo aver provato a macchiare indelebilmente la sua immagine con l’accusa (caduta e infondata) di stupro, chi lo incolpa sostiene che l’attivista, giornalista e programmatore sia un terrorista o una spia al servizio di qualche oscura potenza statale. Secondo chi scrive queste accuse sono delle fandonie campate in aria: la piattaforma Wikileaks infatti ha ospitato migliaia di documenti non facendo sconti a nessuno, né agli USA, né alla Russiané alla Cina, né ai potentati delle multinazionali private, ed è anche per questo che è molto complicato valutare in maniera precisa l’estensione del “raggio” di “nemici” che Assange e il suo team, oltre alle diverse testate internazionali che hanno collaborato con loro, si sono fatti, ed è per questo che non bisogna smettere di indagare e parlare di questa immensa vicenda.

E comunque, se pure volessimo ammettere per assurdo che Assange fosse uno dei peggiori terroristi di tutti i tempi e non uno dei giornalisti più coraggiosi e preparati della storia, se pure volessimo additarlo come “il nemico pubblico numero 1” del “disordine” mondiale costituito, bisognerebbe come minimo assicurargli delle condizioni detentive che siano il più umane possibile (abbiamo scritto diversi articoli sul tema della detenzione in merito, come questo dedicato al caso Cospito).

 


ASSANGE È UN SANGUINARIO PERCHÉ HA DETTO LA VERITÀ?!

Oltre all’accusa di essere al soldo di qualche agenzia di intelligence molti imputano ad Assange l’avere le mani “sporche di sangue” per le conseguenze delle sue rivelazioni, come accaduto in Kenya quando, in occasione delle elezioni del 2007, delle rivelazioni di Wikileaks innescarono un’ondata di violenza. 

In merito alla vicenda Assange dichiarò a Carole Cadwalladr del The Guardian nel 2010: <<in quel frangente morirono circa 1300 persone e 350 mila dovettero fuggire. Fu un risultato della nostra nostra fuga di notizie. D’altra parte gli abitanti del Kenya avevano diritto a sapere che 40 mila bambini morivano di malaria, e che molti altri morivano per il denaro portato al di fuori del Kenya e della conseguente svalutazione dello scellino (…) Bisogna iniziare con la verità. La verità e l’unica maniera per arrivare da qualche parte, perché ogni decisione basata su bugie o ignoranza non può condurre a buone conclusioni>>. Altre accuse affini a questa riguarderebbero il presunto pericolo di vita di diversi giornalisti, politici, diplomatici ed esponenti di ONG, a causa delle rivelazioni di Wikileaks.

Un giornalista dovrebbe cercare di essere “scomodo” anche verso le proprie convinzioni (e, come si sostiene nel manifesto programmatico di questa Zina/Rivista, manifestarle è in realtà un passo necessario per tendere verso la massima obiettività), e per questo abbiamo vestito i panni dell’“avvocato del diavolo” e abbiamo fatto questa domanda a Stella Moris:

<<Alcuni sostengono che la pubblicazione di certe notizie ha messo diverse vite a rischio: ammesso che sia vero, lei pensa che sia un prezzo necessario da pagare per avere una società e un mondo migliore?!>>. 

Questa la risposta della legale e madre di due figli che ha avuto con l’hacktivista: <<Beh, gli Stati Uniti hanno fatto delle affermazioni dubbie e generalizzate che non sono mai riusciti a provare in un’aula di giustizia quando è stato chiesto sotto giuramento, non avevano prove. Sicuramente devono fare degli annunci molto forti perché non vogliono che la stampa li metta in imbarazzo. Wikileaks ha sempre curato le sue pubblicazioni e ha rivelato, letteralmente, massacri di intere famiglie, di civili in maniera indiscriminata nelle strade di Baghdad, di decine di migliaia di civili in Iraq, di tortura, e così via... È qualcosa di concreto, ci sono nomi di vittime innocenti ma niente è stato fatto. Quindi è davvero un tentativo di spostare via l’attenzione dai veri crimini che Wikileaks ha rivelato, attribuendo fantomatiche accuse a Julian per provare a minare il supporto in suo favore>>.

 


IMPORTA PIÙ COME SI OTTIENE UN DOCUMENTO, OPPURE IMPORTA IL SUO CONTENUTO?!

La vicenda di Assange è una vicenda in primis politica, <<perché quello che ha fatto venire a galla consiste in crimini commessi da Stati, insabbiamenti commessi da Stati. Le persone devono capire che a volte, anche se ci sono delle apparenze di legalità, in realtà quella legalità è una cortina fumogena, per questo non bisognerebbe farsi distrarre dai tecnicismi giuridici>>, spiega Sara Gonzàlez Devant, come si chiamava Stella prima di cambiare il suo nome all'anagrafe per ragioni di sicurezza: ci troviamo quindi di fronte a un caso politico “mascherato” da caso giudiziario, e infatti ci risulta che tecnicamente e formalmente Assange è accusato negli USA non tanto per la pubblicazione dei documenti in sé, ma perché avrebbe aiutato l’ex militare Chelsea Manning  a “crackare” il sistema informatico statunitense per ottenere quei documenti

Bradley Edward Manning (il nome di Chelsea prima di intraprendere un percorso di transizione di genere) aveva contribuito a diffondere il video che ha portato alla ribalta delle cronache di tutto il globo Wikileaks, intitolato "Collater Murder", in cui si documentavano gli omicidi commessi dall'esercito degli USA in Iraq: inizialmente era stata condannata a 35 anni, ma poi è tornata libera dopo averne scontati 7 con la grazia concessa da Obama (la cui amministrazione sarebbe seconda, nella storia degli USA, solo a Trump in merito alla repressione legale e allo spionaggio di giornalisti che si sono avvalsi di fonti riservate, come avviene da che mondo è mondo e come previsto dalla nostra deontologia).

A tal proposito diversi colleghi ritengono che Assange, favorendo Manning nell'ottenere i documenti riservati, si sia spinto troppo in là dal punto di vista deontologico. Chi scrive invece crede che, al di là delle implicazioni meramente penali e dei tecnicismi giuridici, se dei documenti hanno la valenza di essere conosciuti dal pubblico non importa tanto come vengano ottenuti, ma ci dovrebbe importare principalmente il loro contenuto, soprattutto se parliamo di crimini commessi dalla principale potenza mondiale nel frangente delle guerre "per esportare la democrazia".

Non è un caso che ci sono stati molti tentativi, soprattutto da parte del governo degli Stati Uniti, di negare il fatto stesso che lui fosse un giornalista, e infatti in questi giorni Assange è stato iscritto al sindacato dei giornalisti della Campania, e altre 18 nazioni europee hanno siglato la decisione con cui gli è stata fornita la tessera onoraria: <<non ci sono dubbi che Julian è un giornalista, ma è anche uno dei più importanti giornalisti dei nostri tempi>> ha dichiarato Stella Assange, e adesso lo è a tutti gli effetti anche da un punto di vista formale, un motivo in più per sostenerlo insieme alla tanto attesa cittadinanza onoraria che dovrebbe essere sancita anche dalla città di Napoli.

 

La consegna della tessera con cui si sancisce che Assange è a tutti gli effetti un giornalista, anche in Europa
La consegna della tessera con cui si sancisce che Assange è a tutti gli effetti un giornalista, anche in Europa

 

I SEGRETI DI STATO NON SONO QUALCOSA DI NATURALE!

Come abbiamo accennato Stella Moris era a Napoli per ricevere il premio del festival, dedicato alla memoria di Eleonora Pimentel Fonsenca, giornalista e sostenitrice della Repubblica Napoletana, un'entità politica portata avanti dagli intellettuali più "illuministi" di quel tempo e ispirata ai primi ideali giacobini che, nel 1799, erano però già stati “sorpassati” dal Direttorio francese, e giustiziata per impiccagione dopo che le truppe sanfediste riconquistarono la città permettendo il ritorno dei Borbone. 

Riportiamo dunque il discorso dell’avvocata e compagna di vita di Julian. Tra le sue parole ci colpiscono particolarmente quelle che riguardano la presunta “naturalezza” dei segreti di stato: chi scrive pensa che se esistono davvero delle “bugie bianche” queste dovrebbero essere limitate nel tempo e per uno scopo che dovrebbe evitare un "male peggiore", altrimenti finirebbero per diventare delle “bugie nere” alla base di manipolazioni. Il confine tra persuasione e manipolazione risiede infatti proprio nella veridicità di fatti e dati a supporto di un'argomentazione: quando questi sono falsati ci troveremo di fronte a imbrogli e raggiri e non a un sincero tentativo di convincere qualcuno genuinamente...

<<Come sapete Julian rischia di morire in prigione, e la possibilità di essere liberato dipende dalla nostra capacità di mobilitarci e di informare la parte di pubblico interessata nella giustizia. Sento di dover definire il contesto per comprendere come si è arrivati alla sua persecuzione: dobbiamo avere la memoria lunga, una memoria basata su informazioni vere. La nostra società si sta muovendo velocemente verso una direzione che non possiamo prevedere. La maniera in cui l’informazione viene comunicata è “arbitrata” da algoritmi che fungono da terze parti, da agenti di smistamento dell’informazione. Quando Julian avviò Wikileaks capì come funzionava Internet, cogliendo la capacità della nuova rivoluzione nella comunicazione, ma comprese anche la grande minaccia alla nostra civiltà in cui l’informazione era centralizzata>>: è vero che oggi potenzialmente tutti possono comunicare qualcosa in rete con grande facilità, ma non è altrettanto facile essere “sentiti” o letti, dato che nel decidere questo intervengono algoritmi e multinazionali private, che tendono a favorire contenuti più monetizzabili, prescindendo dai messaggi che vengono veicolati, in maniera simile a quanto avveniva (e in parte ancora avviene) sui mass media che hanno preceduto il Web.

E a proposito dei mass media, <<Julian comprese che gli archivi storici sono sacri. Attualmente viviamo in un mondo in cui la verità è demonizzata, è considerata un pericolo ed è appannaggio di piccole entità che detengono il potere. Spesso, quando mi fanno delle domande, me ne capita una sui segreti di stato, come se i segreti di stato fossero qualcosa di naturale, come se fossero un fatto opposto alla verità e non il contrario.

Mantenendo Julian in prigione si manda il segnale che ora non si può più dire la verità: Julian ha detto la verità sulle guerre in Afghanistan e in Iraq, delle guerre comunicate al mondo tramite la propaganda e seppellendo la verità. C’è una citazione di Orwell: “in tempi in cui l’inganno è universale dire la verità è un atto rivoluzionario”.

Difendere la libertà di Julian significa difendere il nostro diritto di conoscere la verità, di acquisirlo nuovamente perché al momento è perso, abbiamo perso la possibilità di parlare senza paura. Non possiamo vivere in una società dove la verità è manipolata e la nostra storia viene cambiata.

Julian fece un discorso in cui spiegava come le informazioni su Internet venivano modificate continuamente, paragonando questi tentativi con quello che si faceva negli archivi storici sovietici. Raccontò l'aneddoto della rimozione delle voci di alcuni personaggi dalle enciclopedie: alcune pagine sul Mare di Barents vennero inserite per “coprire” quelle mancanti che erano state strappate, mentre oggi possiamo accorgerci che delle pagine mancano o sono sostituite: quando si digita l’indirizzo di un articolo mancante, per esempio, appare il messaggio “errore 404”. Per questo ho paura per il nostro futuro collettivo, perché la nostra storia potrebbe essere manipolata e ridimensionata: non possiamo sopravvivere in un Mondo dove non si può dire la verità!

Julian è la vittima di un abuso brutale. Con la sua vicenda non sono in gioco solo i suoi diritti ma anche i nostri, come cittadini e come pubblico. Il suo arresto viola i valori europei e il diritto a essere informati. C’è un paese straniero, extraeuropeo, che ha esercitato il suo potere per restringere la libertà d’espressione. Julian è venuto in Europa per pubblicare le notizie di violazioni enormi riguardanti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, pensando che l’Europa fosse un posto sicuro in cui ci fossero delle tutele che, nel suo caso, sono però venute meno (…) lo scopo della sua carcerazione è quello di fungere da deterrente per altri giornalisti, per questo il primo passo consiste nel liberarlo, e poi possiamo avere un mondo più sicuro in cui i giornalisti possono lavorare, dato che il suo caso serve a impostare una nuova consuetudine per cui i giornalisti vengono messi in prigione: questo è quello che molti governi vogliono fare, vogliono essere in grado di mettere in carcere i giornalisti, e se lo fanno gli USA perché non dovrebbero farlo anche gli altri?!>>.

 

 

BEPPE GIULIETTI: PARLIAMO ANCHE DI REGENI, PACIOLLA, ROCCHELLI E RUBIO!

La tre giorni è stata densa di spunti, e per chiunque se la fosse persa è possibile rivederla completamente nelle dirette che si trovano sulla pagina Facebook del Festival

Tra i tantissimi interventi pensiamo sia essenziale riportare quello di Beppe Giulietti, presidente del sindacato unitario dei giornalisti, la FNSI, e tra i fondatori dell’associazione Articolo 21. Oltre a ricordare che l’incarcerazione di Assange è paradossale, <<perché chi ha svelato l’inganno sta in carcere, mentre chi l’ho fatto gira per il mondo strapagato con milioni di euro (...) sta in carcere chi ha rivelato i misfatti e non chi li ha commessi, provocando guerre, terrore e violenza>> che, in parole povere, è un po’ come arrestare qualcuno perché denuncia un omicida e non l’omicida, ha ricordato l’importanza di battersi per tutte le vittime di censura, per tutti quelli che hanno pagato, anche con la vita, un prezzo altissimo per assolvere al fondamentale compito di fare informazione e ricerca: <<noi continueremo a chiedere Verità e Giustizia non solo per Assange.


 

Beppe Giulietti mentre interviene alla premiazione


(…) faccio un appello anche a me stesso e ai giornalisti: raccontiamo la storia di Assange, però anche quella di Mario Paciolla>>, giornalista e osservatore ONU morto in Colombia in circostanze che definire sospette è un eufemismo; così come bisogna parlare di Andrea Rocchelli, giornalista e fotoreporter morto nel 2014 in Donbass probabilmente per un colpo di mortaio sparato dall’esercito ucraino; e anche di Giulio Regeni, dottorando per l’Università di Cambridge trucidato dai servizi egiziani in circostanze ancora da chiarire; Giulietti vuole attirare l’attenzione su chiunque sia in pericolo per la libertà di informazione, <<fino all’“ultimo” cronista di periferia>>, riferendosi nello specifico a Mimmo Rubio, uno dei circa 20 giornalisti che in Italia vive sotto scorta, e che era presente all’evento.


 

Anna Maria Motta e Giuseppe Paciolla: i genitori di Maria Paciolla
Anna Maria Motta e Giuseppe Paciolla: i genitori di Mario Paciolla continuano coraggiosamente a chiedere che si faccia luce sull'oscura vicenda del figlio, morto "suicidato" in Colombia. Hanno denunciato due funzionari dell'ONU che hanno usato la candeggina per pulire la scena del crimine oltre a quattro agenti che avrebbero permesso un inquinamento delle prove così grossolano.

Ha parlato anche dell’arresto avvenuto in quelle ore, a pochi giorni delle elezioni in Turchia, <<da parte di un alleato della NATO>> di 150 esponenti curdi, incluso diversi cronisti, qualcosa che purtroppo è di routine nel paese con il secondo esercito più grande del patto atlantico: è assurdo che <<i curdi ci piacciono quando combattono l’ISIS, ma i curdi non ci piacciono quando rivendicano la loro libertà, per questo dedichiamo un pensiero anche a loro>>.


la premiazione di Fatou Diako


A ricevere altri due premi “Honoris Causa” sono state Fatou Diako, presidente della sezione campana di Articolo 21 e dell’associazione Hamef, <<per aver costruito ponti di solidarietà locali e internazionali, con il suo instancabile impegno di attivista, contribuendo a far diventare Napoli una città-rifugio>>, e Annalisa Savino <<per aver difeso con la forza delle parole e delle azioni, attraverso il suo lavoro di dirigente scolastica, vissuto come una missione, la Memoria, la Storia, la Resistenza e la Costituzione Italiana>>, la preside del Liceo Da Vinci di Firenze che scrisse una lettera sulla genesi del fascismo, a poche ore di distanza dal pestaggio perpetrato da due giovani di Azione Studentesca, difesi da alcuni politici con la pretestuosa argomentazione della legittima difesa.


 

premiazione della preside Savino


 

IL FLASH MOB PER LA PACE IN PIAZZA DEL PLEBISCITO

 

immagine della maxi-bandiera della pace dispiegata nella piazza e portata a mano da una ventina di persone


Alla seconda giornata tre giornaliste hanno partecipato a un flash-mob in Piazza del Plebiscito, intitolato “Spieghiamo la Pace”, (in preparazione per la marcia Perugia-Assisi), oltre che della già citata Fatou Diako: si tratta di Zhanna Zhukova dall’Ucraina, di Farzana Jadid dall’Afghanistan e di Sara Hajinezhad dall’Iran (i loro interventi li trovate anche nel video che abbiamo realizzato in fono a questo post).


Marisa Laurito sventola la bandiera della Repubblica Napoletana-"giacobina"
Marisa Laurito sventola la bandiera della Repubblica Napoletana-"giacobina"


Ospite d’eccezione era Marisa Laurito che, come l’ideatrice e organizzatrice del festival Rosaria Klain (detta Desirée), ha appoggiato l’attuale sindaco di Napoli del PD. A questo proposito ci tengo a esprimere un parere personale: non nutro simpatie politiche verso il sindaco Gaetano Manfredi, ma credo pure che se ci sono delle battaglie sociali (che possono essere “singole” o di più ampia portata) da portare avanti, bisognerebbe farlo superando le divisioni ideologiche-ideali e le specifiche appartenenze politiche (nei limiti del politicamente possibile), “unendo le forze” e, perlomeno idealmente, intraprendendone anche altre insieme, nonostante “sani” (nel senso di molto duri ma altrettanto sinceri) contrasti e divergenze.

Per questo vi invito a sottoscrive la petizione avviata dalla nota attrice napoletana in favore del popolo iraniano, diretta alla “Guida Suprema”-teocratica Ali Khamenei e alla Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen (forse indirizzare delle richieste a quest’ultima ha un valore che non è solo simbolico, ma anche pratico). E per questo ci teniamo a fare ugualmente “pressione” su Manfredi perché si affretti a concedere la cittadinanza onoraria ad Assange.

 

Un partecipante al flashmob ha la maglietta del Che e alza il pugno chiuso

l'enorme bandiera viene trasportata nella piazza



MAMMA AFRICA: DAL TRAFFICO DI ARMI AI BUCHI NERI DELL’INFORMAZIONE

Nella giornata conclusiva si tenuto il convegno intitolato “Mamma Africa”, focalizzato <<sulla drammatica situazione umanitaria e di restrizione violenta della libertà di stampa in Congo e in Somalia>>. 

Tra i relatori c’erano Enzo Nucci, inviato del Tg3, e Jean Léonard Touadi, analista congolese, advisor della FAO (organizzazione dell’ONU che si occupa di agricoltura e alimentazione) ed ex deputato. Nel video in calce a questo articolo trovate anche una sintesi di quanto esposto dai due nel convegno, mentre il filmato dell'incontro intergrale lo trovate sempre sulla pagina Facebook del festival: 

in circa un’ora si sono condensate moltissime questioni cruciali sul rapporto che lega il cosiddetto “mondo sviluppato” a quello “in via di sviluppo”, partendo dai secoli di soprusi su cui quella nozione distorta di "sviluppo" e il nostro “benessere” economico sono fondati, per arrivare ai conflitti dimenticati, dei veri e propri “buchi neri” nella storia "scavati" da manipolazioni che dipingono una serie di guerre come “tribali” (a meno che non si vogliano definire le <<multinazionali come delle grandi tribù>>, nota sarcasticamente Touadi) ma che in realtà dovremmo chiamare “imperialiste”, e arrivando a parlare dei “giri globalizzati” del traffico di armi (a Castel Volturno ci sono molti ex bambini soldato esperti nell’assemblaggio delle armi che finiscono sul mercato nero, ha ricordato Desirée) alimentati dall’industria bellica “occidentale”, e di cui beneficiano sia eserciti regolari che altri gruppi come l’M23 in Congo. 

Alcuni dei miliziani di quel gruppo, tra quelli che hanno deciso di deporre le armi, dovrebbero essere reintegrati nella società civile, dopo aver commesso terribili violenze: <<questo preoccupa la popolazione civile che ha già iniziato a protestare>>, un meccanismo che ci ricorda <<la storia di Mario Paciolla, il nostro concittadino ucciso in Colombia e che per l’appunto lavorava sul ricollocamento delle FARC nella società civile e per cui stiamo ancora attendendo verità e giustizia>>, ha notato Giunio Santini, esperto dei confitti nella regione dei Grandi Laghi.

Nella conclusione Fatou Diako ha fatto cenno a un grave episodio che si è verificato nel capoluogo partenopeo: il 28 Aprile c’è stata una manifestazione nazionale a Roma organizzata dal Movimento Migranti e Rifugiati di Napoli. Il titolare di una ditta di trasporti, che avrebbe dovuto assicurare la partenza di circa un centinaio di compagni/e migranti da Napoli, all’ultimo momento ha revocato l’accordo per la trasferta, sostenendo che era sua intenzione trasportare solo <<lavoratori italiani>>.

Oltre a questo ha anche fatto un breve cenno ai meccanismi mediatici e politici che contribuiscono all’ignoranza e all’indifferenza verso i problemi dell’Africa: <<non è che scappiamo perché vogliamo divertirci nel Mediterraneo, scappiamo, dal nostro continente, per realtà come quelle di cui abbiamo parlato stasera: in Costa d’Avorio abbiamo vissuto una guerra civile nel 2011. Il nostro presidente in carica è stato preso mandato in prigione>> dopo essere stato processato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, anche se in ultima istanza è stato liberato per insufficienza di prove. <<Diciamo la verità, diciamo perché stanno morendo troppi giovani, troppi africani nel deserto e nel Mediterraneo, perché ci costringono a scappare. Ci sono troppe armi anche nelle mani dei civili (come avete detto stasera), ci sono tanti disastri, violenze sulle donne: è la realtà che l’Africa vive, diciamo la verità per cercare di salvare le vite di chi prova a cercare una “nuova” vita, non voglio dire una vita “migliore”>>.

 

 

LA MOSTRA DI GIANLUCA COSTANTINI 

Presso l’Istituto per gli studi filosofici, che ha ospitato l’evento, fino al 31 Maggio è ancora possibile  vedere la mostra dell’attivista, fumettista e scrittore Gianluca Costantini, in cui sono immortalati diversi giornalisti, fotoreporter, cameramen, attivisti e “cercatori di verità” vittime di censura e conflitti: sono raffigurati i volti di Mantas Kvedaravicius, Viktor Dedov, Zoreslav Zamoysky, Olexandra Kuvshinova, Maks Levin, Pierre Zakrzewski, Brent Renaud, Roman Nezhyborets, Yevhenii Sakun e Oksana Baulina, tutti morti nel conflitto ucraino.

Segnaliamo e commentiamo alcune delle altre raffigurazioni, in quanto direttamente e strettamente connesse ai temi specifici che abbiamo trattato in questo "reportage atipico" del festival:

C’è una vignetta molto critica dell’invio di armi in Ucraina dove sono raffigurati due bambini che mantengono un missile e la scritta “altre armi non fermeranno la guerra”: la tesi è portata avanti dalla maggioranza delle persone che si definiscono pacifiste, oltre che dagli organizzatori della marcia Perugia-Assisi, con una strategia che punta, concretamente e sostanzialmente, sulla diplomazia più che sull'aumento della potenza di fuoco, e quindi sull'allungamento del conflitto.


 

vignetta molto critica dell’invio di armi in Ucraina dove sono raffigurati due bambini che mantengono un missile e la scritta “altre armi non fermeranno la guerra”


C’è poi il ritratto di Annalisa Savino, la preside che ha ricevuto il premio, accompagnato dalle frasi della sua lettera, ormai celebri, sull’origine del fascismo, ma avversate da chi evidentemente non ha piena contezza dell’orrore subdolo che è stato il ventennio: <<il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate di migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti>>


 

Ritratto della preside Savino


Tra i vari ritratti di Julian Assange segnaliamo quello con una frase di Naomi Colvin che recita: "l’estradizione è un istituto politico più che uno di tipo legale", concetto affine a quello succitato, e cioè che il caso di Assange è prima di tutto politico. A fianco si trova la vignetta di Stella Moris con i loro due figli e la scritta: "Buon compleanno Julian". In un altro il volto di Julian è circondato da filo spinato e la scritta: “Free Assange Now”, uno slogan che è anche un hashtag molto usato per invocare la libertà dell’hactivista. 


ritratto di Assange


 

Anche il volto di Patrick Zaki è avvolto dal filo spinato, mentre sullo sfondo spicca la scritta “uscita”, e sulla giacca di Giulio Regeni, anche lui perseguitato e vittima del regime egiziano, c’è una macchia di sangue a forma di cuore, un elemento caratteristico e ricorrente nelle sue opere, insieme al motivo della concertina.

 

Ritratto di Patrick Zaki


Ritratto di Giulio Regeni


L'elemento artistico del sangue ricorre molto nelle opere dell'attivista che ha subito in prima persona la repressione: in questo caso c'è una macchia del fluido rosso, a forma di mappa dell'Iran, che esce dalla bocca della "guida" teocratica iraniana, e con la scritta “il sangue di “Ali Khamenei” ".

 



Infine ci sono sei tavole dedicate alla vicenda ancora tutta da chiarire di Mario Paciolla: ci colpisce particolarmente quella  in cui dalla bocca di Mario escono parole di un umorismo che purtroppo fa piangere: <<No, non è stato un rapimento. Almeno è stato evitato il solito stupido chiacchiericcio sul pagamento di un riscatto da parte del Governo italiano e la classica conclusione che in fondo “se l’è cercata”. No non è stato un rapimento>> in questo caso, ma un terribile omicidio goffamente mascherato da suicidio!

 



Grazie per essere arrivat# fin qui, speriamo che questo maxi-post sia stato in qualche maniera utile: per qualunque segnalazione, richiesta, precisazione, critica, apprezzamento, insulto poco costruttivo, proposta su come portare avanti delle "lotte" o qualunque proposta in generale (non ci piace il concetto di "scrittore/lettore", il senso di questa "Zina" è anche quello di trascendere il rapporto binario "produttore/fruitore") basta commentare qui sotto, scriverci sui social, inviarci una mail, ma non si accettano piccioni viaggiatori perché siamo (seriamente) contro lo sfruttamento di altri essere senzienti, a cominciare da quelli della nostra stessa specie!

L'amore è rivoluzionario, come la/le Verità... LOVE!


Julian Assange Libero! 

Patrick Zaki Libero!

Verità e Giustizia per Giulio Regeni!

Verità e Giustizia per Andy Rocchelli!

Verità e Giustizia per Mario Paciolla!



Cronista Autogestito

 


 

In questo video i momenti che abbiamo selezionato della tre giorni, inclusa la nostra domanda a Stella Moris.




 

Come di consueto, chiudiamo questo articolo con una citazione musicale in armonia con gli argomenti trattati: si tratta di “Journalistes en danger" di Alpha Blondy





Cronista autogestito indossa la maschera di Assange con la bocca imbavagliata dalla bandiera USA

Cronista Autogestito nella "cornice" succitata del gruppo Free Assange Napoli

Cronista Autogestito con la bandiera della pace sullo sfondo
Gli autoscatti del Cronista Autogestito durante il festival


la cornice succitata posta davanti il volto di un antico filosofo

ultima modifica 09/11/2023 ore 12:10

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