L’OMICIDIO SPACCIATO GOFFAMENTE COME SUICIDIO
Sullo sfondo il murale di Luca Carnevale "Humanhero" non lontano da dove viveva Mario, a Napoli. A destra lo striscione del gruppo "Giustizia per Mario Paciolla" |
LA PRESSIONE CHE DOBBIAMO APPLICARE PER ARRIVARE ALLA VERITÀ
Parliamo di Mario Paciolla chiedendo verità e giustizia: a differenza del caso di Giulio Regeni, dove i “cattivi” sono i servizi segreti legati al regime di Abdel Fattah al-Sisi, nel caso di Paciolla almeno alcuni dei “cattivi” (per negligenza quantomeno, se non per dolo) sono dei funzionari delle Nazioni Unite che hanno ripulito la scena del crimine con la candeggina, avallando l’improponibile tesi del suicidio (che senso avrebbe prenotare un biglietto per ritornare a Napoli e suicidarsi dopo poche ore?!). Anche per questo, probabilmente, l’attenzione mediatica e la conseguente pressione sulle autorità in merito alle vicende dell’attivista, giornalista e funzionario ONU napoletano non sembrano essere sufficienti, e per questo dobbiamo chiedere, con ancora più forza, verità e giustizia per lui e per tutte le vittime della storia italiana, decedute all’estero mentre svolgevano attività giornalistiche e umanitarie, di cui non si conoscono con certezza mandanti e ragioni delle esecuzioni, partendo da Italo Toni e Graziella De Palo nel lontano 1980 fino alla morte del fotoreporter Andy Rocchelli nel 2014, e passando per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin nel 1994...
Sullo sfondo un'installazione dedicata a Mario, di cui parliamo nella conclusione di questo post |
CHI ERA MARIO: UN TRASFORMATORE DEL PRESENTE PER UN FUTURO DI GIUSTIZIA SOCIALE
Mario Carmine Paciolla era nato nel 1987 a Napoli, città in cui ha vissuto e studiato: si è laureato nel 2014 in scienze politiche all’Università L’Orientale, conseguendo il titolo di Dottore Magistrale in “Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa”.
Mario Paciolla era un instancabile attivista, un trasformatore del presente per un futuro di giustizia sociale, una persona che voleva capire le ingiustizie di questo pianeta, perché per combatterle bisogna prima conoscerle... E la principale maniera per tendere verso un mondo più giusto consiste nel raccontare quelle ingiustizie. Infatti era anche un giornalista, aveva animato la fanzina universitaria “Levante”, era tra i fondatori della rete “Cafè Babel” di cui faceva parte anche un altro blog napoletano da lui fondato, “L’Europeo Napoletano” (quella sezione del sito è attualmente offline, ma al seguente link trovate tutte le pagine archiviate nell’Internet Archive), e aveva anche scritto sulla prestigiosa rivista “Limes” e su “East West” con lo pseudonimo di “Astolfo Bergman”.
Per lui il giornalismo stava diventando pericolosamente sempre più una “questione di click”, con richieste di scrivere di argomenti triviali come il gossip (cosa chiesta molto di frequente a me e a colleghe/i) che fanno “audience”, e vendono molta più pubblicità delle notizie di bambini che muoiono sotto le bombe, per esempio... Invece il compito di un giornalista, quello di raccontare l’attualità, e cioè di spiegare “le cose”, ha a che vedere con il grado di civiltà della specie umana, un compito tanto impegnativo quanto sottovalutato se non addirittura stigmatizzato (per esempio quando si dice che noi giornalisti siamo degli insensibili ficcanaso, degli egocentrici che mirano solo a vendere di più, ecc.).A proposito della spettacolarizzazione e della mitizzazione dei narcos nelle serie-TV che fanno tantissimi “ascolti”, a scapito di una narrazione aderente alla realtà del fenomeno della criminalità organizzata, diceva: <<se si deve parlare dei narcos si deve parlare di chi subisce le conseguenze dei traffici, della povere gente, non di Escobar e di chi fattura miliardi>>.
I suoi amici e colleghi, intervistati nel documentario “Come Fuoco”, ricordano che anche sul campo di basket, sport di cui era piacevolmente appassionato, dava il 101%, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Nano Malefico”: infatti Mario ci metteva il massimo impegno e passione in tutto, sui campetti come nell’attivismo.
UN OMICIDIO GOFFAMENTE MASCHERATO DA SUICIDIO
Prima di arrivare in Colombia aveva girato mezzo globo, era stato in Giordania, in India e poi in Argentina, aveva raccontato degli immensi sacrifici, degli spostamenti di poche centinaia di metri con la scorta per evitare attacchi e da programmare in maniera meticolosa, limitando l’umana facoltà di movimento, e quando qualcuno gli chiedeva: <<ma perché lo fai? Chi te lo fa fare?!>>. Lui rispondeva: <<sto vivendo la storia, sto aiutando delle persone>>. Per lui era chiaro: la storia siamo noi, non bisogna voltare la faccia di fronte ai soprusi e abbiamo il dovere di sfruttare al meglio il privilegio di vivere nella parte di Mondo che ha costruito il suo agio sullo sfruttamento dell’altra parte del pianeta.
Dal 2016 al 2018 collabora in Colombia con la Ong “Peace Brigades International”, fa da scorta di interposizione non violenta a protezione di alcune personalità minacciate (compito simile a quello che svolgeva Vittorio Arrigoni in Palestina), poi in Agosto diventa Field Officer per la missione ONU che seguiva il processo di riconciliazione tra i guerriglieri delle FARC-EP e il governo.
Nel 2019 il governo bombardò il villaggio di Aguas Claras dove si trovava una “cellula” delle FARC contraria agli accordi, e si trovavano anche dei bambini soldato che morirono in quel frangente. Mario aveva redatto un report su quei fatti. Viene poi a sapere che Raùl Rosende, dirigente della missione ONU, aveva fatto avere quel report a un politico dell’opposizione, Roy Barreras, che poi porterà alle dimissioni del ministro della difesa, Guillermo Botero, il quale non aveva gradito le rivelazioni ed era dunque contrario al rinnovo della missione delle Nazioni Unite (come emerso da un dossier della testata “El Espectator”).
Mario aveva tentato di “ripulire” i social da elementi che potessero ricondurre il report alla sua paternità, aveva chiesto di essere trasferito, aveva subito un cyber-attacco insieme ad altri colleghi, e aveva prenotato un biglietto per tornare a casa, intenzione manifestata telefonicamente ad amici e parenti insieme al timore di essere <<fregato>>: il 15 Luglio del 2020 viene trovato impiccato nella sua casa di San Vincente del Caguàn con un lenzuolo. Secondo la perizia di parte il lenzuolo non è compatibile con il “solco” sul collo, così come le tracce di sangue e le ferite superficiali sui polsi non rendono credibile l’ipotesi che abbia prima tentato di tagliarsi le vene, ma suggeriscono che siano state inflitte mentre era agonizzante o già deceduto... E questi sono solo i principali punti oscuri delle sue ultime ore.
Il giorno dopo, con le indagini della polizia ancora in corso, alcuni funzionari ONU del dipartimento della sicurezza ripuliscono la casa con la candeggina e prendono gli effetti personali di Mario (alcuni dei quali non posseduti direttamente da lui, ma forniti dall’ONU, come il pc), sotto la guida di Christian Leonardo Thompson, un ex militare e responsabile della sicurezza con cui Mario avrebbe parlato poco prima della morte. Quest’ultimo e un altro funzionario, Juan Vàsquez Garcia, sono stati denunciati dai genitori di Mario e quattro poliziotti sono stati indagati per non aver preservato adeguatamente la scena del crimine, mentre a Ottobre 2022 la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione del caso, certa dell’atto “volontario” del cooperante partenopeo.
Al centro i genitori di Mario a un incontro presso la Scuola di Pace di Napoli, dopo la proiezione del documentario citato |
INSTALL-AZIONE DI LIBERI
Il 22 Giugno il gruppo “Giustizia per Mario Paciolla” insieme agli attivist* di “Liberi” (una parodia di "Libero") hanno rivalorizzato un edicola abbandonata affiggendoci sopra un “dazebao”. Altre installazioni/azioni del genere le avevamo già viste in favore di Julian Assange e del diritto all’abitare.
Negli articoli ripresi dal giornale murario, un progetto diretto da Nicola Angrisano, oltre a una sintesi della vicenda di Mario si parla di iniziative analoghe per mantenere viva l’attenzione sul suo caso: di seguito le foto delle tre maxi-pagine che si trovano in via Pietro Castellino nel quartiere Rione Alto, dove abitava Mario.
Cliccate o schiacciate le immagini per vederle in maniera più nitida
Ringraziamo gli attivist* di Liberi per averci segnalato l’iniziativa ma, soprattutto, li ringraziamo insieme al gruppo “Giustizia per Mario Paciolla” per la coraggiosa e dovuta lotta che portano avanti: chiedere verità e giustizia per Mario significa lottare per un mondo più onesto, e quindi più giusto!
Sostenete la stampa indipendente leggendoci, criticandoci, apprezzandoci, e contattandoci per incontrarci di persona e portare avanti un modello di giornalismo indipendente e militante, ma anche per altri tipi di iniziative come delle manifestazioni, inviandoci dei comunicati e così via: con questo articolo non vogliamo “mitizzare” Mario, ma vogliamo sfruttare il suo esempio per provare a renderci tutt* protagonist* di cambiamento, agendo in prima persona, singolarmente e collettivamente! E speriamo di aver non soltanto onorato la sua memoria, ma piuttosto di aver iniziato a contribuire alla sua e alla nostra battaglia per la ricerca della verità e la giustizia sociale!
NOI NON ARCHIVIAMO!
VERITÀ E GIUSTISZIA PER MARIO PACIOLLA!
Cercatore di Verità
Come di consueto alleghiamo una citazione musicale in armonia con quanto scritto sopra: “Semp Ccà” (tradotto in italiano standard “Sempre qui”) di Valerio Bruner, dedicata espressamente a Mario
Una poesia di Mario trascritta da Samuele Mojo |
ultima modifica 30/03/2024 ore 15:27
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