DALLA NASCITA DELLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA ALLA TREGUA ARMATA, PASSANDO PER LA STORIA DELLA FREEDOM FLOTILLA COALITION CHE AVEVA ANNUNCIATO UNA POSSIBILE NUOVA MISSIONE PER NOVEMBRE
Questo lungo pseduo-editoriale si concentra sugli eventi più recenti che riguardano le varie “flotillas”, dopo averne iniziato a parlare tra queste pagine digitali lo scorso Maggio: le strategie mediatiche che caratterizzano le varie flottiglie, gli attacchi politici e quelli con droni che hanno preceduto gli ennesimi rapimenti pirateschi in acque internazionali, le mobilitazioni popolari oceaniche, le precedenti e le annunciate nuove missioni umanitarie, e gli aspetti controversi, perché si possono avere obiettivi comuni e non pensarla alla stessa maniera.
Va ricordato, come hanno sempre sottolineato gli attivisti, che la notizia più importante non sono le missioni umanitarie autogestite, ma il genocidio a Gaza e nel resto dei territori palestinesi occupati. Tenendo bene in mente che l’obiettivo è fare pressione su governi e aziende per porre fine a una brutale occupazione militare decennale e a un sistema di apartheid (come risaputo e riconosciuto formalmente anche da un parere consultivo del massimo organo di giustizia dell’ONU), è comunque importante focalizzarsi sugli eventi delle varie flottiglie per la loro portata storica, per l’impatto che hanno avuto e avranno sui movimenti sociali e su tutta la società civile, e per capire come le diverse strategie mediali e di resistenza possono essere impiegate per stravolgere un sistema sociale, culturale ed economico, che nell’oppressione del popolo palestinese ha raggiunto i suoi livelli più bassi.
LE ORIGINI DELLA “GLOBAL SUMUD FLOTILLA”
Lo scorso Luglio le forze di occupazione israeliane si apprestavano a sequestrare in acque internazionali l’equipaggio della barca Handala della “Freedom Flotilla”, dopo aver rapito e rapinato l'equipaggio della Madleen. Circa un mese prima, diverse associazioni riunite in vari convogli, provavano a rompere via terra l’embargo illegale che opprime la popolazione di Gaza da anni. Un blocco illegale potenziato oltre ogni umana decenza e apparenza da quando è iniziata la guerra genocida. L’iniziativa, denominata “Global March to Gaza” (poi rinominata in “Global Movement to Gaza”, GMTG), intendeva passare tramite il valico di Rafah, ma è stata interrotta a metà giugno dopo varie peripezie culminate in violente repressioni in Libia e in Egitto con decine di arresti. In quei giorni gli attivisti che avevano provato l’impresa con la carovana via terra, quelli di GMTG e Sumud Convoy, insieme a quelli che ci provavano da anni via mare, la Freedom Flotilla, annunciavano i preparativi per un nuovo progetto, la “Global Sumud Flotilla”.
Sumud è una parola araba difficile da tradurre e che comprende le sfumature dei significati di “resistenza” e “resilienza”.
La missione umanitaria, entrata nella storia e di cui ancora oggi si continua a parlare, era stata concepita e anticipata dalle parole di una giornalista di Gaza, Bisan Owda, mentre era in collegamento in diretta con gli attivisti della Madleen, l’8 giugno, poche ore prima del loro rapimento: <<a Gaza lo dicono tutti: perché non abbiamo una flottiglia ogni settimana con venti barche, per esempio. Gli israeliani possono fermare la prima barca, la seconda, possono arrestare il terzo equipaggio, il quarto, possono rimescolare le carte e cercare di contattare i governi degli stati del quinto equipaggio, ma non possono fermarne dieci, venti o trenta. Immaginate se arrivassero contemporaneamente ai convogli via terra, come quelli che oggi si muovono per la Tunisia, l’Algeria, l’Egitto e il Nordafrica. Forse non romperanno l’assedio ma faranno così tanto rumore che apriranno un nuovo orizzonte>>.Anche se sono riusciti a fermare tutte le barche, eccetto la “Mikos” che pare sia riuscita perlomeno a entrare nelle acque territoriali palestinesi rompendo simbolicamente il blocco, Bisan aveva ragione: le hanno comunque bloccate, ma sono riuscite ad aumentare la pressione esponenzialmente nei confronti dei governi complici del genocidio. La chiamata all’azione della giornalista di Gaza è stata accolta da più di 40 delegazioni da tutto il Mondo che nelle ultime due missioni hanno impiegato più di cinquanta tra piccole barche a vela “a perdere” e alcune imbarcazioni a motore. Ed è stata accolta da tantissimi collettivi e organizzazioni in tutto il Mondo. In Italia, la punta più avanzata dell’eterogeneo sostegno, è stata rappresentata dai sindacati di base e dai portuali di Genova, che avevano annunciato il blocco del paese se avessero torto anche solo un capello agli attivisti e se non fosse stata posta fine all’assedio.
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| L'abbordaggio piratesco dell'ultima barca, che pare sia riuscita a rompere simbolicamente il blocco, la Mikeno. |
DOPO LA “SUMUD”, LA “FREEDOM” E LA “THOUSAND MADLEEN TO GAZA”: SI INDAGHI SUGLI ATTENTATI CON DRONI, SULLE TORTURE AGLI ATTIVISTI, AGLI OSTAGGI PALESTINESI E SUL POTENZIALE SUPPORTO LOGISTICO GARANTITO DALL’ITALIA
La prima missione è stata scortata anche dalla nave di Emergency, la ONG di Gino Strada, mentre la marina militare italiana si è limitata a un supporto parziale e sostanzialmente di facciata (così come quella spagnola e quella turca). Le barche, da fine Agosto, sono partite a scaglioni da Italia, Spagna, Tunisia e Grecia. Le due missioni si sono concluse con gli abbordaggi illegali il 2 e l’8 Ottobre. La sorte della Global Sumud Flotilla è toccata anche alla Freedom Flotilla Coalition e alla Thousand Madleen to Gaza. Le ultime due facevano parte della seconda missione, passata più in sordina. Ciò è avvenuto anche per una diversa strategia mediatica adottata dalla storica flotilla, più “silenziosa” rispetto a quella della missione “amica”. Le scene che abbiamo visto in diretta sono quasi le stesse dello scorso Giugno e Luglio, quando l’esercito di occupazione aveva sequestrato illegalmente in acque internazionali le altre due piccole barche, le succitate “Madleen” e la “Handala”: di notte le imbarcazioni militari israeliane hanno cominciato a lanciare pesanti getti d'acqua e a irradiare forti luci per rallentare la navigazione in alto mare. Poi gli abbordaggi, con le immagini delle telecamere di sicurezza interrotte dalla loro distruzione fisica o da interferenze per disturbare il segnale. Durante l'abbordaggio, gli equipaggi erano seduti sui ponti delle barche con le mani alzate.
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| Fermo immagine della diretta delle telecamere di sicurezza delle barche della flotilla poco prima dei blitz. |
Come era accaduto lo scorso Maggio per la “Coscience”, anche la Global Sumud Flotilla è stata attaccata più volte con dei droni quando si trovava ancora in acque internazionali. Gli ultimi tre attacchi con droni, due vicino alla Tunisia e uno vicino alla Grecia, hanno impiegato ordigni incendiari, musica sparata a palla per disturbare le frequenze radio, granate stordenti e liquidi urticanti. A Maggio invece era stata colpita con ordigni più pericolosi la “Conscience”, una vera e propria nave, non una piccola barca a vela. L’attacco militare, compiuto a ridosso delle acque territoriali maltesi, faceva seguito a vari “attacchi burocratici”, culminati con il ritiro della bandiera da parte della Repubblica di Palau.
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| La "Conscience" dopo l'attacco. |
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| Fermo immagine del secondo attentato con ordigni incendiari sganciati da droni in Tunisia. |
Negli attacchi con droni, che hanno coinvolto anche un’imbarcazione e cittadini italiani, non solo c’è la certezza fattuale che siano stati compiuti da Israele e/o alleati, ma ci sono indagini indipendenti e denunce dell’opposizione che mostrano evidenze di un possibile coinvolgimento di basi situate in Italia, oltre all’uso certo dello spazio aereo europeo per compiere gli attentati.
Il ministro fascio-sionista Ben-Gvir, condannato per incitazione al razzismo e supporto a un’organizzazione terroristica dagli stessi tribunali israeliani, aveva minacciato gli attivisti, dichiarando che sarebbero stati trattati come terroristi (da che pulpito viene la predica...). Li ha fatti riunire mentre li insultava con il favore delle telecamere. I pacifisti non si sono fatti intimorire e hanno resistito cominciando a urlare “Free Palestine”. Nei giorni che sono seguiti, i più di 500 attivisti in totale sono stati sottoposti a diverse torture fisiche e psicologiche: sono stati trasportati in blindati con l’aria condizionata al massimo, poi lasciati sotto il sole, inginocchiati e faccia a terra con i loro bagagli sulle spalle per ore. Se si permettevano di parlare tra di loro venivano colpiti sulla testa. Una volta in prigione, potevano bere solo acqua marrone proveniente dal bagno, gli sono stati confiscati tutti gli averi, medicine salvavita incluse. Alle donne non sono stati forniti nemmeno gli assorbenti mentre erano in celle piene di cimici e condizioni igieniche pietose. E poi sono stati sottoposti a umiliazioni varie, come la riconsegna di alcuni effetti personali con scritte e abusati sigilli di Salomone (altri oggetti, come computer e telecamere, non sono stati riconsegnati). Greta Thunberg, già sequestrata e torturata nella precedente missione, è stata costretta a strisciare a terra avvolta in una bandiera israeliana.
Noa Avishag Schnall della Freedom Flotilla, attivista araba, ebrea e anti-sionista che ha rinunciato alla cittadinanza israeliana, mostrando il suo occhio annerito ha raccontato di essere stata presa a pugni, appesa a delle manette metalliche e trascinata violentemente per la prigione. Intanto anche un attivista italiano ha sporto denuncia.
Hanno sperimentato sulla propria pelle un assaggio di quello che vivono quotidianamente migliaia di ostaggi palestinesi, prigionieri nelle galere israeliane, rapiti con un manto di finta legalità. In particolare, quelli detenuti con la cosiddetta “detenzione amministrativa”, possono essere ristretti per un tempo indefinito senza che né loro, né i loro avvocati sappiano di cosa sono accusati. Si viene imprigionati senza un regolare processo e senza sapere nemmeno il perché: così funziona la sedicente “unica democrazia del Medio Oriente”.
Giustamente, ci si è spesi per la liberazione di cittadini italiani come Cecilia Sala, arrestata in Iran negli scorsi mesi. Ingiustamente, però, ancora non si esige chiarezza per le torture subite da cittadini italiani. È sempre il solito “doppio standard”, un doppio metro di giudizio applicato a chi è funzionale ai nostri interessi militari-economici e a chi non lo è: quando crimini e abusi vengono commessi da nostri alleati vengono minimizzati o ignorati, quando li fanno gli altri si ha il pretesto per comprare più armamenti, aumentare le tensioni militari e supportare un genocidio.
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| Vignetta di Latuff da Wikimedia |
In questi giorni si parla di “pace” con una facilità disarmante: è difficile pensare a una qualunque prospettiva seria per un processo di pace se prima non viene fatta giustizia, se prima non si pone fine a un’occupazione illegale che va avanti formalmente dal 1967 (e bisognerebbe discutere anche di quello che è successo prima). Come si fa a parlare di pace dopo decine, se non centinaia di migliaia di morti, se non si assicurano alla giustizia i criminali di guerra e i terroristi di stato, se il diritto internazionale non viene rispettato. Ma va sempre ricordato che le violazioni di una parte sono macroscopiche rispetto all’altra, quella che subisce un’occupazione illegale e una politica coloniale brutale da decenni: i conti dovrebbero essere fatti nei tribunali, quelli degli organismi internazionali e quello della storia, e il prezzo per pagarli non potrà mai equivalere all’annichilimento di una città intera, all’uso della fame come arma sadica di guerra, all’attacco indiscriminato e sistematico di civili che non potrebbe essere giustificato nemmeno dalle mirabolanti argomentazioni sugli “scudi umani”.
Intanto, prima del rapimento in acque internazionali, dai canali della Freedom Flotilla in un comunicato video si annunciava: <<noi non dormiamo, vogliamo letteralmente invadere le coste palestinesi, che appartengono alla Palestina (...) Noi continuiamo con le missioni: non vogliamo fare delle promesse che non potrebbero essere mantenute, ma è molto probabile che ci sarà una quarta ondata della Freedom Flotilla>>. La terza ondata a cui si riferiva il comunicato era stata annunciata da molti organi stampa mainstream in imminente partenza dalla Turchia. In realtà, stando a delle verifiche incrociate della redazione di Fanrivista su varie fonti aperte, non si trattava di una vera e propria missione verso Gaza, ma di un “corteo marittimo” con 45 barche partite da Antiochia in solidarietà con il sequestro della Sumud Flotilla.
POLEMICHE STERILI E COMPLICITÀ CRIMINALI
Circa un mese fa abbiamo visto un Tajani molto imbarazzato. Incalzato da un giornalista in tv su cosa ne pensava lui e il governo in merito alla legittimità del blocco israeliano, è riuscito farfugliando ad ammettere che il blocco è illegale, e ha pure affermato: <<il diritto internazionale è importante ma vale fino a un certo punto>>. Il quasi “non detto” del ministro degli esteri equivale a dire che “la legge è uguale per tutti, ma fino a un certo punto”. La legge smette di essere uguale per uno stato-canaglia “nostro” alleato, e che ha una potentissima influenza sulla nostra cyber-sicurezza. Per quello stato è legittimo, fattualmente, mantenere in piedi un blocco illegale e compiere un genocidio.
Lo stesso Tajani, sbrigativamente, parlando dei pericoli che hanno corso gli attivisti ha sottolineato che <<è una loro scelta>>. Infatti, lo è! È una scelta civica obbligata dalla colpevole ignavia e dall’inadempienza di governi come quello di cui fa parte, anche se ci hanno raccontato, a partire dalle precedenti missioni, che gli attivisti erano lì solo per farsi dei selfie in crociera e per coltivare il proprio ego. Il ministero della difesa e la marina militare italiana non avrebbero avuto solo il dovere di scortarla fino a un certo punto, assicurando solo un parziale soccorso, dopo che sono stati bombardati. Il governo avrebbe dovuto far rispettare il diritto internazionale, la marina militare avrebbe potuto scortarli fino a dentro Gaza. Come suggeriscono insigni giuristi da mesi le marine militari, mesi fa, potevano portare gli aiuti direttamente dentro Gaza e le Nazioni Unite potevano inviare i caschi blu, al fine di assicurarsi che gli aiuti e la fame non venissero usati come arma di guerra, una delle svariate violazioni del diritto internazionale commesse da uno stato terrorista... Ma lo sappiamo: il diritto internazionale vale fino a un certo punto!
Restando in tema di diritto e doppi standard, passiamo ad analizzare le incoerenze più macroscopiche di Meloni sulla flotilla. Nel 2012 l’allora parlamentare del PDL, pochi giorni prima della scissione da cui sarebbe nato FdI, si spendeva per riportare a casa due marò: i militari italiani avevano sparato e ucciso due pescatori indiani in acque internazionali, dopo che erano stati scambiati per dei pirati. Meloni sosteneva che i due marò dovevano essere processati in Italia perché, al momento del fatto, si trovavano su una barca battente bandiera italiana, dunque formalmente sul territorio italiano. Per questo il fatto era di competenza di un tribunale italiano.
Tra le varie imbarcazioni della flotilla colpite dai droni ce ne era anche una battente bandiera italiana, cosa che equivale a un attacco del territorio italiano, a un atto di guerra verso l’Italia. Meloni, polemicamente, ha detto che non poteva certo <<muovere guerra a Israele>> per questo. Non c’era bisogno di muovere guerra a Israele, non ci sarebbe nemmeno l’obbligo di mandare armi ad alcune fazioni della resistenza palestinese (come si fa con quella ucraina). Bastava usare le armi della diplomazia, come la convocazione dell’ambasciatore israeliano o l’espulsione dei diplomatici israeliani, cosa fatta dalla Colombia.
Un’altra fandonia propinataci da Meloni e da vari apparati mediatici servili, era quella che per portare aiuti esistevano altri canali, come quelli che si potevano attivare tramite la mediazione di Cipro e del Vaticano. Ma questa argomentazione si scontra con un enorme problema fattuale. A parte il fatto che ogni missione umanitaria è anche una missione politica: una missione umanitaria è un insieme di azioni con cui si cerca di risolvere problemi “politici”. Nel caso della flottiglia, oltre a portare un po’ di aiuti che darebbero comunque un sollievo temporaneo, lo scopo politico era quello di mettere fine a un blocco illegale con un’azione dimostrativa, lo scopo è far rispettare la legge. Il problema fattuale, però, è un altro: non si capisce come sia possibile che la popolazione muoia letteralmente di fame se questi canali esistono davvero. Il problema è che i canali non esistono: lo denunciano da due anni tutte le organizzazioni umanitarie e le Nazioni Unite! Ma tanto, si dice, sono tutti manipolati da Hamas. Eppure Netanyahu ha pubblicamente ammesso, a giugno, che sostiene militarmente proprio quelle bande criminali palestinesi che rubano gli aiuti e che adesso tengono impegnata l’ala militare dell’organizzazione nazionalista e islamista.
Perfino un soldato privato statunitense, che si definisce “pro-Israele”, e che ha lavorato per la sedicente associazione umanitaria usata da Israele come trappola mortale per distribuire gli aiuti, ha definito i siti della “GHF” come delle <<trappole mortali>>. Le trappole vengono sadicamente usate per sterminare la parte più povera della popolazione, quella che non può permettersi nulla al mercato nero gestito dalle suddette bande, mentre al contempo il governo israeliano fa goffamente finta di rispettare la legge per tentare di salvarsi dai tribunali internazionali. Gli altri canali per gli aiuti, quelli a cui si riferisce Meloni, sono quelli gestiti da Israele, che fa di tutto per impedire l’operatività di ONU e organizzazioni non governative. In più, i politici israeliani lo hanno detto più e più volte, pubblicamente, che a Gaza non doveva entrare elettricità, cibo e medicine. Lo hanno detto fin dall’inizio della guerra genocida, tanto è vero che quelle frasi sono in fascicoli pubblici, all’attenzione del tribunale dell’ONU da due anni. Dire che esistono questi canali è un’offesa alla logica e alla ragione umana: prima i politici israeliani affermano che non deve entrare nulla e che tutti gli abitanti di Gaza sono dei terroristi (così parlò il Presidente della Repubblica Herzog), dunque tutti responsabili e passibili di sterminio. Poi dicono che i canali esistono e che a Gaza non si muore di fame. Per credere a queste fandonie o bisogna essere in malafede oppure bisogna essere illogici e con la memoria molto corta. Inoltre Tony La Piccerella, che ha partecipato sia alla precedente missione della “Freedom” che a quella della “Sumud” flotilla, ha dichiarato che il carico complessivo di aiuti che portavano era comunque superiore a quello che eravamo riusciti a sganciare dagli aerei in un giorno. I pacchi lanciati col paracadute, però, finivano per scatenare la ressa tra persone affamate e gang criminali dietro la “borsa nera”, quando non schiacciavano letteralmente e direttamente alcune delle innumerevoli vittime del genocidio dei palestinesi. I pacchi lanciati dal governo Meloni sono solo un’operazione di facciata. Va notato, a proposito di questa polemica, che la nave Conscience della seconda flottiglia a bordo aveva anche personale medico: non portavano solo aiuti insufficienti e un messaggio politico, portavano anche competenze mediche di cui c’è urgente bisogno, visto che hanno decimato medici e infermieri.
Un’altra polemica mossa dalla presidente sovranista -piegata agli interessi del complesso militare e industriale a guida statunitense- riguardava il fatto che la flottiglia avrebbe messo a rischio il “piano di pace”, di fatto una strategia propagandistica di “peace-washing”. Trump se ne è preso i meriti, e perfino Tajani ci ha messo la bandierina sopra, ripubblicando il video di alcuni gazawi che sventolavano la bandiera italiana. Nel video ripubblicato senza autorizzazione, Tajani ci ha messo sotto il suo nome, facendo intendere che i palestinesi ringraziavano l’Italia e il suo governo. Peccato che gli autori del video ne hanno reclamato la paternità, sottolineando che ringraziavano il popolo italiano che era sceso in piazza, non certo il governo.
È più logico pensare che se si è arrivati alla traballante tregua armata è stato anche grazie alle proteste di una società globale largamente indignata, una società che comincia a scorgere qualcosa oltre il sudicio velo di bugie propagandistiche. Ed è anche logico pensare che si vuole arrivare a una tregua non certo perché questi figuri hanno come interesse la pace... Vogliono normalizzare il genocidio di Gaza, buttarsi come avvoltoi sui soldi della ricostruzione (il governo post-fascista vuole un posto nella “board” che dovrebbe ricostruirla, ma i costi spetterebbero a chi l'ha distrutta) mentre Israele sposta più soldati in Cisgiordania e tiene impegnata Hamas con le bande criminali che rubano gli aiuti, quelle finanziate dal governo di Netanyahu.
Anche la diatriba sulle “vere” intenzioni dei partecipanti risulta sterile e illogica. La premier diceva che la vera intenzione dei partecipanti era solo quella di andare contro il governo italiano. A parte il fatto che c’erano più di quaranta delegazioni da tutto il mondo, con partecipanti che non hanno mai nemmeno sentito nominare Giorgia Meloni, c’è un’altra considerazione banale, ma fondamentale da fare: il governo italiano, insieme ad altri, è sospettato di essere complice del genocidio commesso da Netanyahu e alleati. Ci sono delle misure, prescritte dalla Corte Internazionale di Giustizia, che dovevano essere adottate per prevenire il genocidio. A queste si affianca la decisione dell'Assemblea Generale dell'ONU, che imponeva a Israele di ritirarsi dai territori occupati entro Settembre, e agli altri stati di impegnarsi con misure e sanzioni per far rispettare la legge. Invece, il parlamento israeliano ha approvato un provvedimento preliminare per annettersi "ufficialmente" tutta la Cisgiordania.
Non è un caso che diversi giuristi italiani hanno presentato delle denunce nei confronti del nostro governo: non è stato fatto praticamente nulla per proteggere i cittadini italiani sulle flottiglie, e bisogna fare ancora chiarezza sul supporto militare che l’Italia ha fornito a Israele dopo il 7 Ottobre. Addirittura la testata di Fratelli d’Italia, “La Voce del Patriota”, invocava l’applicazione dell’articolo 244 del Codice Penale contro gli italiani a bordo della flottiglia. Si tratta dell’articolo che punisce chiunque compie “atti ostili verso uno stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra”. Altri, invece, parlavano della configurabilità di sequestro di persona, rapina (le barche sono state confiscate insieme ad alcuni averi) e tortura. Insomma, le intenzioni di andare contro il governo italiano sono più che legittime in quella che dovrebbe essere una democrazia. Illegittimo è andare contro dei liberi cittadini che si sono assunti dei rischi per fare quello che i governi non fanno.
TRA FAKE NEWS E CRITICHE COSTRUTTIVE: SI POSSONO AVERE OBIETTIVI COMUNI E NON PENSARLA ALLA STESSA MANIERA
La strategia comunicativa adottata dalla Global Sumud Flotilla è stata molto più esplicita e capillare di quella più mite della Freedom Flotilla. Per questo ha attirato anche più fake-news e critiche, anche da attivisti presenti a bordo.
Oltre a quattro parlamentari italiani (le europarlamentari Scuderi e Corradi, il senatore Croatti e il deputato Scotto), a bordo c’erano anche vari giornalisti. Tra questi Lorenzo D’Agostino, Emanuela Pala e Saverio Tommasi, che hanno pubblicato delle corrispondenze, rispettivamente, per Il Manifesto, Piazza Pulita e Fanpage. Altri due giornalisti sono stati invece allontanati dall’impresa. Francesca Del Vecchio, de La Stampa, ha denunciato di essere stata <<cacciata>> perché il suo lavoro <<non era considerato “allineato”>>. Gli organizzatori, invece, hanno replicato che c’erano delle misure di sicurezza da rispettare e che erano state violate, tra cui quelle di rivelare l’esatta posizione delle piccole imbarcazioni nei giorni di formazione prima della partenza. Queste misure, hanno spiegato organizzatori e partecipanti, servivano a tutelare specialmente gli attivisti più in vista, come Greta Thunberg, non tanto dagli onnipresenti servizi segreti israeliani e alleati, ma soprattutto dal pericolo che potevano rappresentare potenziali estremisti “comuni”, per così dire. La stessa Greta Thunberg ha lasciato il comitato degli organizzatori perché non condivideva la strategia comunicativa, a sua detta troppo incentrata sulle vicende della Flottilla rispetto al genocidio a Gaza, ma ha comunque continuato la missione.
Si è detto molto risentito anche Claudio Locatelli, giornalista indipendente ed ex combattente per le YPG in Rojava: prima della partenza ha avviato una raccolta fonti che ha collezionato almeno 31 mila euro, con l’intenzione di seguire la Global Sumud Flotilla tramite un “vascello stampa” da lui capitanato. Gli organizzatori hanno poi preso le distanze dal “giornalista combattente”, negli ultimi tempi impegnato a raccontare la guerra in Ucraina, accusandolo di protagonismo e di aver raccolto fondi a nome della flotilla indebitamente. Locatelli ha smentito di averlo fatto, anche se il logo della flotilla presente nel video in cui presentava l'iniziativa aveva il logo della Sumud flotilla. Alla fine è riuscito a seguire solo alcune tappe italiane della seconda “ondata”, organizzata con la Freedom Flotilla. Infatti, il vascello stampa su cui sventolava anche la bandiera europea, è rimasto fermo in Italia per dei guasti, come capitato anche ad altre barche. In una diretta su YouTube ha criticato i colleghi presenti sull’altra “flotilla” definendoli <<embedded>> (letteralmente “incorporati”): questo termine è riferito a quei giornalisti che seguono una vicenda a stretto contatto con alcuni dei protagonisti, per esempio documentando una guerra insieme a un esercito, non osservando quell’esercito dall’esterno. Questo tipo di giornalismo offre il vantaggio di avere un punto di vista molto ravvicinato di alcuni eventi, ma ciò è possibile a scapito dell’indipendenza nei movimenti, se non anche della neutralità nel racconto di quegli eventi.
Anche la “Omar Al-Mukhtar”, l’imbarcazione con a bordo Omar Al-Hasi, ex premier libico, è stata estromessa dalla flotilla “ufficiale” che in un comunicato chiariva: <<rifiutiamo un mondo dove gli spazi di terra e mare sono usati per sfollamento e morte. Il Mediterraneo deve essere spazio di sfida e giustizia, non un cimitero per le persone in movimento>>. Il riferimento è alla schiavitù e ai traffici di esseri umani in Libia. L’imbarcazione con l’ex premier libico ha continuato il viaggio in maniera indipendente dal resto della flotilla, con cui ne ha condiviso la sorte.
Una delle vere e proprie fake-news diffuse (a differenza di altre notizie più o meno vere ma tendenziose), voleva far credere che i primi attentati con gli ordigni incendiari sarebbero stati inscenati dagli stessi attivisti con dei razzi di segnalazione. Peccato che perfino le autorità tunisine hanno ufficialmente smentito questa versione, dopo che avevano ripulito frettolosamente la scena del primo delitto per evitare un incidente diplomatico.
Altre polemiche, più fondate, sono state scatenate da alcuni video di Khaled Boujemaa, uno dei coordinatori della sezione magrhebina della flotilla, e dalle notizie diffuse sul suo abbandono della missione. Nei video si dice risentito con uno degli organizzatori per dei problemi relativi al fatto che l’identità di alcune persone gli sarebbe stata celata. Però, non chiarisce esplicitamente, a quanto ci risulta, che il problema per lui risiedeva specificamente nell’identità di genere. Dunque, secondo alcune fonti, avrebbe deciso di rimanere in Tunisia perché si opponeva alla presenza di attivisti della comunità LGBTQIA+ a bordo, incompatibile con le visioni più tradizionali e conservatrici della cultura islamica (ne esistono di diverse).
Secondo altre fonti stampa, Boujemaa non ha espressamente dichiarato di aver lasciato la missione per la presenza di attivisti della comunità LGBTQUIA+, ma lo avrebbe fatto per dei problemi relativi alle riparazioni di alcune barche. Più esplicita è stata sicuramente Mariem Meftah che, secondo le cronache, è tra le attiviste che ha promosso il viaggio in Tunisia. Ha scagliato parole al vetriolo e argomentazioni omofobe contro la comunità LGBTQUIA+ in un post su Facebook, in cui afferma che ognuno può fare quello che vuole (ma solo dietro la porta della propria casa, senza pubblicare foto di uomini che si baciano e senza insegnare che il binarismo di genere non è l'unica opzione), e che la presenza di attivisti che si definiscono “queer” nella missione compromette i valori tradizionali a cui lei è legata (molto simili a quelli di tanti conservatori occidentali), e alla sacralità della causa palestinese.
A calmare le acque è intervenutə unə dellə partecipantə alla missione, Saif Ayadi, militantə tunisinə comunista di “Queer Sumud”: <<non sono stato cacciato dalla Flotilla. Ci sono state solo delle discussioni interne all’organizzazione sulle politiche e i numeri di partecipanti. Non state a sentire le bugie sioniste (...) fanno finta di difendere le nostre identità queer solo per buttare fango sulla flotilla e rompere la sua unità>> e portare avanti una politica di “pinkwashing” (espressione che indica l'intenzione di "lavare" alcuni crimini argomentando che si rispettano i diritti di donne e minoranze LGBTQIA+).
Al di là di come sia andata effettivamente e delle specifiche dinamiche all’interno della flotilla, e tenendo presente che persone con idee molto diverse possono avere degli obiettivi comuni, restano comunque dei problemi: esistono delle fortissime tendenze conservatrici e discriminatrici in tutte le religioni, specialmente quelle monoteiste, così come sono assodati i tentativi di pinkwashing israeliani. Ammesso che si sia davvero più inclusivi con le donne e con alcune minoranze nell’autoproclamato stato ebraico, questo giustificherebbe la discriminazione verso altre minoranze?! Giustificherebbe occupazione, apartheid e genocidio?! Ovviamente no, ma è una delle principali argomentazioni della “hasbara”, la propaganda israeliana-sionista, che suona più o meno così: “noi siamo liberali e moderni, gli altri sono incivili e barbari. Noi rispettiamo i gay, gli altri li incarcerano e li uccidono. Per questo dovete sostenere il nostro regime di apartheid dove tutti vivono felici e contenti con le loro differenze, anche se la legge fondamentale dello stato nazione afferma che Israele è uno stato ebraico, uno stato in cui gli ebrei di tutto il mondo possono venire e avere liberamente la cittadinanza, ma non i palestinesi nativi che abbiamo cacciato via a partire dal ‘48. E non arrabbiatevi troppo se andiamo a sterminare i civili dei paesi incivili”.
Ma la “macchina del fango” per cercare di sporcare l’immagine delle flottiglie ha impiegato altri mezzi: hanno cercato delle vaghe connessioni legate a simpatie politiche (a detta di chi scrive discutibili, come le sopra menzionate opinioni conservatrici) per spacciarle come supporto finanziario da parte di Hamas. Hanno fatto delle supposizioni e le hanno spacciate come prove, ma non hanno trovato lettere private autografe, evidenze di trasferimenti di denaro, o altri documenti bancari, a supporto della teoria che le centinaia di attivisti e le persone che hanno speso soldi regalando e riparando delle vecchie barche a vela -la cui confisca era praticamente certa fin dall’inizio- sarebbero in realtà al soldo di Hamas. La flotilla ha richiesto che eventuali prove di tali connessioni vengano consegnate agli organi appropriati per eventuali indagini, consegna che non ci risulta sia avvenuta da parte delle autorità occupanti. Ma queste vaghe connessioni sono state sufficienti per scatenare una campagna mediatica per delegittimare l’intera flotilla.
Il governo israeliano, pochi giorni prima dell’arrivo della flotilla nella prossimità delle acque palestinesi occupate e controllate illegalmente da Israele, ha diffuso due documenti, affermando di averli ritrovati recentemente a Gaza. La prima “prova” dei supposti legami diretti e finanziari della flottiglia con Hamas è in realtà una lettera inviata nel 2021 dal defunto Ismail Haniyeh (leader di Hamas e negoziatore ucciso da Israele in Iran a Luglio del 2024) alla “Conferenza Popolare per i Palestinesi all’Estero” (“PCPA” è l’acronimo in inglese, una delle svariate associazioni della diaspora palestinese). Documento che era stato anche pubblicamente diffuso, anni prima, dalla PCPA (come ha ricostruito “Il Fatto Quotidiano”). Il secondo documento, viene pubblicizzato dal governo israeliano come <<presentato per la prima volta, che mostra una connessione diretta tra i leader della flotilla e l’organizzazione terroristica di Hamas>>.
Il documento, diffuso solo in parte, è un pezzo di una lista datata 2017 con 7 nominativi, oltre a logo, mail e contatti social della PCPA. Sul sito del governo israeliano l’hanno tradotta in inglese aggiungendo <<ritrovata in una postazione di Hamas>>, mentre su X l’hanno pubblicata in originale (presunto originale). Il governo israeliano afferma che i nominativi presenti nella lista avrebbero firmato una dichiarazione della PCPA. La PCPA sarebbe subordinata ai governanti di Gaza, fungerebbe da rete di <<ambasciate de facto>> e, per questo, nel 2021 è stata ufficialmente designata come organizzazione terroristica da Israele. Alcuni dei nomi nella lista (senza specificare quali) sarebbero dei <<ben noti membri operativi di Hamas di alto rango>>. Tra i 7 nominativi ce ne sono due che proverebbero inconfutabilmente un oscuro e diretto rapporto tra la flottila e Hamas. Ce ne è anche un terzo, quello di un giornalista palestinese che negli anni ha anche collaborato, tra le varie testate, con la BBC, Al Jazeera, RAI e Mediaset (e che vi invitiamo a seguire per le sue preziose riflessioni): si chiama Samir Al Qaryouti. In realtà, fa notare un altro giornalista palestinese su X, Haniye chiedeva alla PCPA di unirsi a loro (quindi non erano uniti), e il documento-bufala israeliano è una semplice lista con i nomi dei partecipanti a una conferenza.
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| I documenti diffusi dal governo israeliano. |
Il primo nominativo “misterioso”, “rivelato in esclusiva” dal ministero degli esteri israeliano, è quello di Saif AbuKeshek, palestinese residente a Barcellona, membro del consiglio direttivo della flotilla e membro della PCPA (come si può leggere nella sua breve biografia sul sito della flotilla), nonché attivista di altri gruppi da decenni. È anche amministratore delegato di Cyber Neptun SL, una compagnia costituita lo scorso giugno (evidentemente anche per gli adempimenti legali dell’impresa umanitaria, come dichiarato pubblicamente dall’imprenditore-attivista palestinese) e pubblicamente inclusa nel registro delle imprese spagnolo. Quanto basta, secondo il governo israeliano, per affermare che si tratta di una <<compagnia di facciata spagnola che possiede dozzine di imbarcazioni della “Sumud” flotilla, ed è perciò segretamente posseduta da Hamas>>. Ci si aspetterebbe qualcosa di più di un semplice nome di una compagnia per dimostrare questo legame “segreto”. Avrebbero potuto almeno evidenziare quali delle imbarcazioni, tra quelle riconducibili alla compagnia nello specifico, sarebbero state impiegate nella missione. Ci hanno provato con l’altro nominativo. Zaher Birawi, sempre secondo le veline del governo israeliano riprese da tanta stampa, sarebbe <<il vertice del gruppo PCPA di Hamas nel Regno Unito, che è conosciuto per essere un leader delle proteste delle flottiglie verso la Striscia di Gaza negli ultimi 15 anni>>. Infatti: è conosciuto anche per essere uno dei promotori dei viaggi che tentano di rompere pacificamente l’assedio di Gaza da anni. E se fosse veramente il vertice britannico di Hamas, non si capisce come ancora non sia stato arrestato dal Regno Unito. Ma queste accuse troppo vaghe non bastano di certo. E allora ci hanno provato diffondendo, sempre con il supporto di tanta stampa mainstream, diverse foto: ritraggono alcuni dei partecipanti della flotilla in eventi pubblici a cui prendevano parte i politici di Hamas, partito con politici regolarmente eletti (anche se alcuni di questi politici possono non piacere, nemmeno a chi scrive questo articolo, per essere franchi. Ma sull’opportunità di farsi delle foto con qualcuno ne parliamo meglio fra poche righe...).
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| Matteo Salvini durante l'incontro con Netanyahu dello scorso Febbraio a Gerusalemme. Immagine dai profili a-social del ministro delle infrastrutture e dei trasporti. |
In un altro documento, il governo israeliano ha diffuso due foto di Wael Nawar, attivista ed ex prigioniero politico tunisino nel consiglio direttivo della flotilla, fisicamente attaccato durante la precedente “Marcia Globale verso Gaza”. Una è stata scattata a giugno mentre era in posa (in posa, dunque non segretamente) con un gruppo di persone insieme a Youssef Hamdam, giovane rappresentate di Hamas in Algeria. Un’altra risale a febbraio, in occasione dei funerali di Hassan Nasrallah, con Ishan Attaya, membro dell’ufficio politico della Jihad Islamica Palestinese. Ai funerali del leader di Hezbollah c’era anche Thiago Avila, volto noto delle due penultime flottiglie. Si è recato più volte in Libano, realizzando vari video sull’attacco israeliano in Libano, con bombe che hanno scavato crateri profondi decine di metri e ucciso tantissimi civili innocenti per uccidere il leader di Hezbollah, Nasrallah. Al suo funerale lo ha elogiato definendolo <<un martire che ha ispirato i libanesi e il mondo intero per la lotta anti-coloniale e anti-imperialista, avendo sconfitto più di una volta il peggior male della sua epoca>>. Non la penseranno esattamente così i palestinesi che sono stati perseguitati dal regime siriano alleato di Hezbollah e che si sono scontrati con questi (sulle contraddizioni che esistono nei contesti rivoluzionari e anti-coloniali ci torniamo su nella conclusione).
Poi, hanno diffuso le foto del già citato Birawi mentre siede alla destra di un uomo, con il volto cerchiato di rosso. Alla sinistra di quest’altro uomo c'è Hanyeh. Hanno detto che l'uomo seduto di fianco a Birawi (quello con la faccia cerchiata di rossa) è un leader di Hamas. Peccato che si tratta un politico britannico, George Galloway. L'immagine, tra l'altro, è quella di una visita a Gaza nel 2010 (molto tempo prima del 7 Ottobre). Di fianco hanno messo un'altra foto di Birawi (cerchiando il suo volto di rosso questa volta) in un incontro pubblico con Greta Thunberg. Insomma, è un lavoro di propaganda un po' superficiale se non cerchiano nemmeno il volto delle persone giuste...
Hanno diffuso anche le foto di Mandla Mandela con Ismail Haniyeh, e hanno ricordato le sue dichiarazioni in favore di molti leader, come quelle rilasciate dopo la morte di Nasrallah e dello stesso Haniyeh. Madla Mandela, imbarcatosi sulla flotilla, è proprio il nipote di quel Mandela che riuscì a liberare il Sudafrica dall’apartheid anche con la lotta armata, cosa che sembrano dimenticare i vari pragmatici, sostenitori del fatto che il diritto internazionale vale fino a un certo punto, soprattutto il diritto a resistere in armi a un’occupazione illegale (sempre che le armi non vengano imbracciate contro lo zar Putin). Sono state diffuse anche le immagini di Fehmi Bülent Yıldırım con vari politici di Hamas. Lui è il presidente della ONG turca “IHH Humanitarian Relief Foundation”, che si era imbarcato sulla missione del 2010. Proprio menzionando l’IHH, cominciamo ad avviarci verso la conclusione di questo lungo pseudo-editoriale. Stare dalla parte degli oppressi non vuol dire stare dalla loro parte acriticamente. Si può criticare riconoscendo il proprio privilegio, quello di essere nato come cittadino della parte colonizzatrice del pianeta, non quella colonizzata. Infatti, gli aspetti più problematici dell’IHH, erano stati evidenziati e criticati in tempi non sospetti tra queste pagine digitali (l’opinione finale riguardo a questo aspetto la trovate nelle ultime righe, separata dai fatti). Lo avevamo fatto in occasione dell’attentato terroristico alla Conscience, con un articolo di approfondimento che inserisce la cronaca recente nel suo più ampio contesto storico, incluso l’attacco alla flottiglia della Mavi Marmara del 2010 che finì nel sangue (purtroppo è ancora attuale e vi invitiamo ad aprirlo dal link qui sopra e a leggere anche quello dopo: vi interesserà se già siete arrivatə fin qui!). Nell’articolo parlavamo delle prime missioni del genere, di cui cinque andate a buon fine, organizzate dal “Free Gaza Movement” a partire dal 2008, e di quella della Freedom Flotilla nel 2010, finita nel sangue. Tra l’altro l’ufficio di Gaza dell’“Associazione Mavi Marmara” è stato completamente distrutto il 12 di questo mese.
Quanti politici, dopo che Netanyahu è diventato ufficialmente un ricercato, si sono fatti fotografare insieme al premier israeliano e ai suoi sostenitori?! Quanti ne vengono ospitati nelle televisioni di tutto il mondo?! Mattarella non si è fatto fotografare con il presidente Herzog (quello che dice che tutti gli abitanti di Gaza sono responsabili del 7 Ottobre), prima di criticare Israele?! Il Papa non si è fatto fotografare con Herzog (anche se nelle immagini non sembra sorridere, a differenza del presidente israeliano)?! Salvini non è andato a incontrare a Gerusaleme il criminale Netanyahu, lo scorso febbraio, mentre sorrideva e gli stringeva calorosamente la mano?! Chi ha permesso a Netanyahu di fare un discorso in pompa magna di fronte al parlamento statunitense?! Quanti lo hanno applaudito?! L’entità delle malefatte di Hamas è paragonabile a quelle israeliane? Secondo chi scrive, non c’è assolutamente paragone (e anche secondo un noto sopravvissuto all’Olocausto antisionista). E allora, anche se le foto con politici di Hamas possono essere considerate inopportune, non c'è comunque paragone con quelle che ci si scatta insieme ai terroristi di stato israeliani!
Qualunque azione contro civili in violazione del diritto internazionale è da condannare. Ma condannando si può comprendere, e comprendere non equivale a giustificare. Non si possono giustificare crimini di guerra, al di là di chi li abbia commessi. Ma è più facile comprenderli se si inseriscono in un contesto di occupazione decennale, in una storia di abbandono e tradimento dei palestinesi da parte delle sedicenti democrazie liberali (e all'inizio anche dell'Unione Sovietica) e in un contesto di guerra asimmetrica, dove ci sono poche migliaia di guerriglieri mal supportati da altri “imperi” -o aspiranti tali- contro una potenza nucleare illegale. In questa dinamica coloniale, fondata sullo sterminio degli ebrei senza terra, sullo sfruttamento del trauma dell’Olocausto e degli olocausti, è più facile comprendere anche le malefatte israeliane, senza certo giustificarle. I crimini di guerra commessi da Hamas sono ancora più difficili da giustificare rispetto a un genocidio, il crimine supremo. Crimini di Hamas sui quali si dovrebbero fare più indagini, chiarendo anche il ruolo che ha giocato la "Direttiva Annibale" (ovvero l'uccisione da parte di Israele dei suoi stessi civili per evitare che venissero fatti ostaggi) e continuando a smentire le fake-news, propinate e poi ritratte persino da "Genocide Joe Biden", sui bambini decapitati da Hamas, sulle persone messe nei forni il 7 Ottobre, sugli anatomicamente impossibili seni tagliati con cui ci sarebbe stato il tempo di giocare a pallone durante un attacco militare. Anche in questi casi ritorna il problema del doppio standard. È disgustoso rendere più cruento l'attacco di Hamas per giustificare un genocidio, come è disgustoso il negazionismo di qualunque olocausto, quello dei palestinesi come quello di ebrei, rom, gay, diversamente abili e oppositori politici. Sui giornali e in tv si critica chi pensa che il 7 Ottobre sia un atto di resistenza legittimo dal punto di vista del diritto internazionale, cosa che non è vera: un atto della resistenza può essere illegale e brutale, ma quel singolo atto non invalida il diritto a resistere in armi. Tuttavia, è molto più difficile sentire critiche su tutti i “7 Ottobri” inflitti alla popolazione palestinese fino al 6 ottobre 2023 e a partire dall’8 ottobre 2023. Bisogna comprendere, senza giustificare quello che si pensa non sia giusto e, ancora più importante, senza applicare due metri di giudizio diversi.
SUPPORTARE CRITICANDO, COMPRENDERE NON GIUSTIFICANDO, MA LA PRIORITÀ RESTA UNA: FERMARE GENOCIDIO E OCCUPAZIONE
La credibilità di un governo accusato di sterminio e genocidio non è certo alta, e quelle che possono sembrare simpatie politiche di alcuni membri e organizzatori della flotilla non sono certo prove di legami finanziari o militari con Hamas o con la JIP. Tuttavia, affrontare queste simpatie politiche è comunque importante, soprattutto per chi si definisce “progressista” o “di sinistra”: bisogna affrontare potenziali contraddizioni nei contesti rivoluzionari e anti-coloniali, così come è importante riflettere sui regimi considerati da molti soggetti “di sinistra” come degli alfieri contro l’imperialismo. Sono gli stessi regimi e gruppi armati che supportano alcune fazioni della resistenza armata palestinese. Ma riflettere su queste contraddizioni, sulle criticità di fazioni delle varie resistenze armate della storia (inclusa quella che ci ha liberato dal mostro del nazi-fascismo), è sicuramente meno urgente della pressione che bisogna imprimere sui nostri governi per fermare le carneficine quotidiane e l’occupazione! A maggior ragione, dobbiamo prima concentrarci sulle "nostre" malefatte, considerando che l’Italia non è alleata di paesi come l’Iran ma di Israele e -più o meno indirettamente- anche di altri paesi mediorientali che fanno finta di interessarsi alla questione palestinese.
Il problema, insomma, è sempre quello del doppio standard, del doppio metro di giudizio: sebbene sia legittimo criticare un partito nazionalista e islamico, sia da destra che da sinistra, non si capisce perché tali critiche, se fatte nei riguardi di politici israeliani e fondamentalisti ebraici, nei riguardi di gente che rivendica il genocidio in nome del progetto biblico-divino della “Grande Israele”, vengano bollate come antisemitismo. Eppure queste critiche sono state mosse anche dagli attivisti ebreie/o israeliani sulle flottiglie. Ma soprattutto, criticare un partito nazionalista e islamico, non corrisponde a giustificare l’uccisione indiscriminata di migliaia di civili, non giustifica una guerra di annichilimento dopo che, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, si era detto “mai più”. E non giustifica nemmeno le esecuzioni sommarie dei capi politici di Hamas: li dovevano processare nelle aule della Corte Penale Internazionale, insieme ai capi politici di Israele. Parimenti non sono giustificate nemmeno le esecuzioni sommarie di Hamas a danno dei presunti -fino a prova contraria in un processo legittimo- collaborazionisti di Israele. Non si possono giustificare anche se non sono paragonabili a quello a cui l'esercito israeliano ci ha abituati, assuefandoci alle quotidiane immagini di morte e distruzione che vediamo su smartphone e pc (perché quelle in televisione sono molto edulcorate, non rendono l'ampiezza della cattiveria impiegata. Ma tanto è "Pallywood" dice qualcuno, è tutto finto!).
Obiettivo non certo secondario di questi viaggi, oltre a cercare di rompere pacificamente il blocco illegale, era quello di tenere alta l’attenzione sulle martoriate terre di Palestina e amplificare l’ondata di indignazione popolare. Le manifestazioni oceaniche, con centinaia di migliaia di persone in piazza solo in Italia, dimostrano che l’obiettivo, per adesso, è stato raggiunto.
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| Manifestazione del 31/08/2025 al porto turistico di Napoli in favore della Global Sumud Flotilla |
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| Testa di un corteo napoletano del 04/09/2025 in favore della Sumud Flotilla. |
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| L'occupazione del porto commerciale di Napoli durante lo sciopero generale del 03/10/2025. Immagine di Davide Gargiulo. |
Probabilmente è stato raggiunto anche per la composizione variegata delle flottiglie e delle piazze, con tutte le loro potenzialità e contraddizioni, oltre all’indignazione popolare. Si è provato a delegittimare quelle manifestazioni per qualche stupido che si è messo a spaccare delle vetrine e a cercare lo scontro a tutti i costi con le forze di polizia. Mentre si è enfatizzato oltre l’inverosimile qualche vetrina spaccata, poco si è parlato dei manifestanti pacifici che hanno cacciato via dai cortei quelli che con i loro atti vandalici hanno esposto l’intero movimento a facili strumentalizzazioni. Qualcuno potrebbe dire che “tanto strumentalizzeranno comunque le manifestazioni”, e si potrebbe contro-argomentare che tale possibilità non va offerta su un piatto d’argento, oltre ai pericoli che possono derivare da scontri e incendi. Non bisogna confondere un fine legittimo con mezzi controproducenti (per fortuna, secondo chi scrive, attualmente la “lotta armata” o la “guerriglia urbana” non ha alcun senso in contesti come quello italiano). E non bisogna nemmeno cedere alle provocazioni di infiltrati, potenzialmente connessi a oscuri attori governativi (non necessariamente italiani) a cui non interessa nulla della Palestina e delle lotte sociali. A quelli interessa solo aumentare il caos, così arriva “l’uomo forte” o “la donna forte” a mettere “ordine e disciplina”. Ordine e disciplina che "vale fino a un certo punto", per parafrasare Tajani. La storia non si ripete mai in maniera completamente esatta, ma qualcosa ci insegna!
La Palestina è come una lente di ingrandimento che ci fa vedere da vicino le contraddizioni globali del nostro sistema culturale, sociale ed economico. Siamo arrivati al punto in cui chi ha più soldi e armi può permettersi di decidere della vita di migliaia di persone, di usarle come cavie per testare nuovi armamenti e di sperimentare tecniche di propaganda varie, alcune molto poco raffinate. E può farlo senza nemmeno più l'indecenza di trovare delle scuse credibili, può farlo senza l'intermediazione dei governi, perché gli imprenditori sono diventati direttamente governanti. Per giustificare qualunque crimine, incluso “il crimine dei crimini” -il genocidio- oramai basta dire che è sempre colpa di Hamas e che Israele si difende soltanto. Non conta nulla, dopo due anni dal 7 Ottobre, che tutti gli attori indipendenti sul campo dimostrano con prove inoppugnabili che il governo israeliano è una delle principali organizzazioni terroristiche della storia. Secondo la banale e crudele narrativa israeliana, amplificata da tanti media italiani, mentono tutti, sono tutti al soldo di Hamas o dei suoi utili idioti: le Nazioni Unite, i massimi organismi giudiziari internazionali, i medici e gli operatori che lavorano con autorevoli organizzazioni umanitarie, inclusa la Croce Rossa su cui si è letteralmente sparato più volte. Sarebbero tutti bugiardi, e i fascio-sionisti israeliani le povere vittime. Tuttavia, queste fandonie che negano l’evidenza, i menzogneri che dicono “a Gaza non c’è la fame, è tutto un film creato da Hamas”, risultano comunque efficaci in un’epoca in cui si può dire tutto e il contrario di tutto, in tempi in cui siamo tutti impegnati a rincorrere l’accumulazione infinita del profitto e la nostra realizzazione personale, dimenticando quella collettiva, quella globale e non tribale. Quelle manifestazioni oceaniche suggeriscono che qualcosa sta cambiando, che il castello di menzogne perde dei pezzi... Se vogliamo abbatterlo, però, serve più impegno e serve una maniera diversa di concepire il significato della parola “politica”.
La liberazione della Palestina potrebbe coincidere con la liberazione del mondo intero da un sistema e da vari “sottosistemi” opprimenti e insostenibili. La continuazione dell’occupazione della Palestina, invece, potrebbe coincidere con il prolungamento permanente della guerra e con una sua espansione su larghissima scala, senza precedenti. Sta a ognunə di noi cercare di fare la differenza, nel suo piccolo o nel suo grande.
Editorialista Travagliato
Come di consueto, insieme a una citazione musicale in armonia con quanto scritto, aggiungiamo anche dei video di alcune delle manifestazioni che abbiamo seguito in favore della Flotilla (se non li vedete nel riquadro qui sotto li trovate tra gli "shorts" e le "live" del nostro canale YouTube, oltre che sui vari profili a-social e del Fediverso). Quando facciamo la cronaca delle manifestazioni non cerchiamo di focalizzarci tanto sugli scontri e sui momenti di maggiore tensione, come fa spesso la stampa che va per la maggiore, ma ci concentriamo sulle istanze dei manifestanti e sui loro interventi, solitamente trascurati perché fanno meno scalpore. La canzone è "Sumud" di Murubutu.
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ultima modifica 26/10/2025 00:31













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