13.10.24

COME FERMARE COMMERCIO E TRAFFICO DI ARMI?!

OSSERVARE PER DENUNCIARE E DISUBBIDIRE: DALLA NASCITA DELL'"OSSERVATORIO DELLE ARMI NEI PORTI EUROPEI E MEDITERRANEI, THE WEAPON WATCH" AL RUOLO DELLA NATO E DEL COMPLESSO MILITARE-INDUSTRIALE, PASSANDO PER LA TRABALLANTE "LEGALITÀ INTERNAZIONALE"

Sullo sfondo si intravedono e si affastellano delle tabelle e un digramma a torta. Su di esse si intravedono scritte evidenziate come "Israele", "bombe, munizioni, software" e "documento interno della decima legislatura. Al centro una pila di banconote da 50 euro con sullo sfondo decine di proiettili. In alto a destra e in basso a sinistra delle immagini di aerei di combattimento. In basso a destra la sagoma di un soldato. Al centro e a sinistra il disegno di un carro armato visto dall'alto.


In questi ultimi anni commerci e traffici di armi tornano prepotentemente a essere dei temi di pressante e urgente attualità. Lo sono insieme alle azioni di disobbedienza civile e alle inchieste che svelano rapporti politico-militari indecenti e indicibili, ma men che mai segreti.

Dieci giorni fa "Altreconomia" ha smentito il governo, dopo una conferma della "Leonardo SPA", la principale azienda militare italiana: la Repubblica italiana ha continuato a fornire armamenti a Israele. Lo ha fatto inviando dei pezzi di velivoli utili all'addestramento di chi potrebbe sganciare bombe in Palestina e in Libano, nonché fornendo supporto da remoto per l'addestramento

Una settimana fa l'"Unione Sindacale di Base" ha indetto una protesta presso l'aeroporto civile di Montichiari di Brescia: da Giugno alcuni lavoratori denunciano il transito di materiale bellico con tutta una serie di implicazioni etiche e di sicurezza

Intanto, anche i lavoratori portuali europei sono in allerta per gli stessi motivi proprio in queste ore. Mentre chiudiamo quest'articolo l'ultima posizione pubblica della nave "MV Kathrin", battente bandiera portoghese, risulta essere nelle vicinanze di Malta: partita dal Vietnam e diretta a Capodistria, trasporta esplosivi diretti anche in Israele. Tra i primi a denunciare il mortifero carico è stata Francesca Albanese. All'appello per non permettere le operazioni di carico e scarico si sono unite tantissime associazioni, inclusa Amnesty. La Namibia aveva revocato il permesso all'attracco, cosa che permette di evitare anche responsabilità legali legate alla Convenzione sul Genocidio. Stando a quanto riportano le cronache, pare che anche Malta abbia negato alla Kathrin il permesso di entrare nelle proprie acque territoriali, mentre altre navi gli avrebbero portato carburante in attesa di trovare un porto nell'Adriatico.

Questo genere di denunce e di atti di disobbedienza da parte della società civile assume una cruciale importanza in relazione ai crimini commessi da diversi stati, a partire dal regime di apartheid israeliano. Bisogna opporsi ai tentativi, appoggiati più o meno tacitamente dai nostri stessi governi, di riscrivere le leggi di guerra.

Sabato 28 Settembre abbiamo seguito un evento organizzato presso lo spazio autogestito partenopeo "Santa Fede Liberata". All'incontro, intitolato "La guerra comincia qui: fermiamola!", si è discusso della logistica della guerra, delle leggi che regolano trasferimenti di armi e di disobbedienza civile. Ospite era Carlo Tombola dell'"Osservatorio sulle Armi Nei Porti Europei e Mediterranei", The Weapon Watch".

Questo articolo rappresenta una sintesi di quello che si è detto ma, soprattutto, cerca di offrire degli spunti di discussione e di azione, insieme a diversi approfondimenti.

Partiamo con una sintesi molto schematica e iper-semplificata della guerra civile yemenita, messa in relazione alle violazioni del diritto internazionale che vediamo anche in Palestina e Libano. Passiamo poi a parlare di una storica azione di disobbedienza civile dei portuali genovesi, che ha impedito l'attracco di una nave diretta in Arabia Saudita, un esempio di ribellione non violenta da attuare quando le leggi non funzionano o sono ingiusteContinuiamo parlando delle normative che dovrebbero regolare i conflitti e la vendita di armi, e in particolare della legge 185 del '90, il cui spirito originario è stato disatteso negli anni. Con l'attuale governo le cose potrebbero peggiorare, e le attuali garanzie minime di trasparenza sul commercio delle armi potrebbero essere completamente stravolte...

Concludiamo con alcune considerazioni "geopolitiche", per così dire, insieme al mutato ruolo della NATO nell'attuale contesto globale. 

Inoltre abbiamo aggiunto questo post anche nella rubrica "Dati Parziali". Infatti, come dimostra una breve ricerca inclusa nelle prossime righe, i dati pubblici, che dovrebbero aiutare parlamento e società civile a esercitare un controllo sulla vendita di armi e sull'esecutivo, sono talmente "spezzettati" da risultare praticamente incomprensibili al lettore medio, e solo parzialmente decifrabili da occhi ben più esperti, quelli di alcuni esponenti della società civile e del variegato "fronte pacifista" che da anni studiano le relazioni previste dalla 185/90.

L'articolo che vi apprestate a leggere è un esempio di giornalismo sperimentale, un articolo "long form" in stile "slow journalism", che contiene al suo interno diversi "articoletti". Difficilmente riuscirete a leggerlo tutto d'un fiato... Per questo vi consigliamo di leggerlo con calma, ritornando più volte su questa pagina o salvandola. Oppure, perché no, stampandolo, se preferite l'esperienza cartacea. Siamo sicurə che alla fine troverete molti elementi utili di "geopolitica popolare" e sulla legislazione italiana che dovrebbe regolare il commercio d'armi e impedirne il traffico (si tenga a mente che la parola "traffico" indica dei trasferimenti di armi al di fuori di ciò che è considerato legale). Se non sarà così criticateci nell'apposito spazio dedicato ai commenti. In caso contrario, potrete mostrarci apprezzamento e fornire ulteriori spunti di riflessione sempre nei commenti. Buona lettura.


I CRIMINI DI GUERRA IMPUNITI IN YEMEN, IL BLOCCO DELLA "BAHRI YANBU" E LA NASCITA DI "THE WEAPON WATCH"

Nel caotico contesto della decennale guerra civile yemenita si scontrano gli interessi di diversi attori regionali e internazionali. Tralasciando la presenza di Al-quaeda e di altre formazioni, i due schieramenti principali sono rappresentati dagli Houthi, alleati dell'Iran (nonché noti ai più per le recenti azioni di sabotaggio delle navi commerciali nel Mar Rosso) e da una coalizione militare a guida saudita ed emiratina supportata dai paesi "occidentali" (Stati Uniti e Regno Unito in prima fila). Per avere un quadro sintetico delle forze in campo va ricordato che Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, alleati contro Houthi ed Iran, supportano due fazioni diverse all'interno del Consiglio di Presidenza che guida la repubblica yemenita, rispettivamente quella unionista del nord e quella separatista del sud.

La guerra civile yemenita può essere inquadrata come uno dei "conflitti per procura" (proxy wars in inglese) tra Iran e Arabia Saudita, guerre semplicisticamente rappresentate come dei conflitti tra sciiti e sunniti (le "famiglie" principali della religione islamica, storicamente rappresentate dai due paesi e che, a loro volta, contengono una serie di divisioni al proprio interno). Sicuramente ci sono dei fattori etnico-religiosi alla base di queste guerre, ma le ragioni principali risiedono nel controllo politico ed economico del Medio-Oriente e nella proiezione di influenza in altre aree del pianeta da parte di varie potenze, interessi su cui si innestano mire imperialiste di vari "imperi" (o aspiranti tali) e delle rispettive "corti".

Dopo questa non esaustiva ma necessaria premessa andiamo all'oggetto principale di questo post. Nella nostra epoca, dominata dalla cultura consumista e capitalista, il nocciolo del problema dei traffici di armi risiede in un ordine mondiale e in un sistema socio-economico fondato sull'accumulazione di potere. Imbracciare le armi, e più in generale ricorrere alla violenza, dovrebbe essere una scelta estrema, da attuare solo per difendersi, non per imporre la propria egemonia. E nemmeno per far alzare il "PIL", il volume d'affari, con fruttuosi e mortiferi commerci in armamenti, finalizzati a "risolvere" le crisi generate dallo stesso sistema economico conquistando nuovi "mercati" e ampliando la schiera degli sfruttati. Per questo la nostra Costituzione ripudia la guerra come risoluzione dei conflitti, per questo il diritto internazionale dovrebbe imporre dei limiti a come vengono condotte le guerre, proteggendo in particolare i civili, oltre che porre argini a un sistema capitalista senza freni, ispirato dalla religione del profitto. Un sistema guidato dal cosiddetto "complesso militare industriale" di cui i governi nazionali sono dei meri burattini. I principi nazionali (l'Italia ripudia la guerra) e sovranazionali (le leggi che regolano la conduzione delle guerre, incluse quelle sulle forniture di armamenti), non sono stati rispettati in Yemen.

Nella guerra civile yemenita tutte le parti in conflitto si sono macchiate di palesi violazioni delle leggi internazionali. Abitando però nella parte "occidentale" del pianeta abbiamo il dovere primario di occuparci di quelle commesse dalla nostra "parte"Da anni svariate ONG internazionali, supportate da indagini delle Nazioni Unite, denunciano la commissione di diversi crimini in Yemen da parte della coalizione a guida saudita, commessi con supporto e armi forniti da noi, dalle nostre energie intellettuali ed economiche, dalle nostre menti, dai nostri portafogli e, quindi, con la nostra complicità. Da anni queste denunce sono rimaste sostanzialmente inascoltate, così come gli appelli a smettere di inviare armi usate in palese contrasto delle più elementari norme giuridiche (distinguere i combattenti dai civili, colpire un obiettivo militare solo se strettamente necessario e facendo il possibile per limitare i cosiddetti "danni collaterali", non affamare la popolazione civile, non attaccare personale umanitario, ospedali, scuole, ecc.) oltre che quelle del comune senso di umanità perduto. Tantissime uccisioni di persone innocenti potevano e dovevano essere evitate, tantissime persone dovrebbero prendersi la responsabilità e rendere conto di questi crimini affinché non si ripetano. Invece vige un sostanziale regime di impunità che ha raggiunto il suo apice con la guerra genocida a Gaza e in Cisgiordania, con violazione brutali e grossolane delle leggi di guerra -il cosiddetto "diritto umanitario internazionale". Leggi che vengono riscritte in favore dei nostri "alleati economici" con un'ipocrisia e un livello di mistificazione parossistico e tragicomico, supportato da una schiera di colleghi giornalisti pennivendoli (quando non direttamente coinvolti in delle campagne di propaganda, magari supportate da reparti militari e di intelligence, appositamente dedicati alla guerra tramite la comunicazione). Putin ha invaso uno stato sovrano ed è sbagliato, ma perché non si dice che è sbagliato invadere e mantenere una dittatura militare, un regime di apartheid (definizione legale dell'occupazione israeliana, stabilita dalla traballante legalità internazionale) in piedi in Palestina almeno dal 1967?! Forse perché ci sono delle persone che disgustosamente accusano di antisemitismo chiunque osi mettere in dubbio la presunta legittima difesa israeliana, che in realtà è una decennale punizione collettiva e sproporzionata, che ha prodotto il crimine efferato del 7 Ottobre, sfruttato come pretesto per legittimare un'altra serie di stragi. Così strumentalizzano la tragedia degli ebrei senza terra per legittimare una politica coloniale iniziata con la dichiarazione unilaterale della nascita di uno stato, oggi teocratico ed etnocratico, in violazione del diritto internazionale, fondato sullo sfollamento forzato, sullo stupro e sui massacri della popolazione nativa?! Forse si può dire che Putin è un "pazzo", ma non Netanyahu, anche perché diverse "aziende-vassalle" traggono profitto da questo caos (si pensi agli accordi che l'ENI ha stipulato con il governo israeliano per cercare e sfruttare i giacimenti di gas a largo delle coste di Gaza, poco dopo l'inizio della guerra genocida).

Il minimo che possiamo fare è studiare questi fenomeni e agire di conseguenza. In poche parole dobbiamo ricercare, non perdere tempo in frivolezze consumiste, denunciare, protestare, cambiare il sistema culturale-economico lottando nelle nostre famiglie, sui posti di lavoro, nei "dibattiti al bar", nelle assemblee dei collettivi, ovunque possibile, sacrificando risorse come tempo e denaro, impiegando il privilegio di essere nati nella parte più ricca e ipocrita del pianeta a vantaggio di chi quel privilegio non lo ha, e così redistribuendo in maniera equa i vari tipi di potere. In concreto e in poche parole: dobbiamo "fare inchiesta" e impiegare delle strategie di disobbedienza civile.

Esemplare in questo senso è una storica azione di protesta, avvenuta a Genova nel 2019 e forse irripetibile, secondo Carlo Tombola di "The Weapon Watch". Ad Aprile del 2019 la testata Disclose rivela che, alla fine del 2018, il governo francese aveva continuato a negoziare e inviare armamenti ai sauditi, nonostante fosse stato dichiarato il contrario. In particolare erano stati inviati i cosiddetti cannoni del tipo Caesar, prodotti dall'azienda di stato francese Nexter. Gli armamenti vengono inviati al regime alleato di Israele e USA tramite una flotta di sei navi della compagnia di bandiera saudita "Bahri", principalmente dedita al trasporto di petrolio, linfa vitale e bituminosa del consumismo. La monarchia saudita aveva infatti cominciato a progettare la flotta, per trasportare in autonomia armi, dieci anni prima dello scoppio della guerra civile, flotta che è diventata operativa dal 2013: <<la logistica di guerra si deve prevedere, e si prevede con grande anticipo. I tempi sono lunghi nella logistica>>, argomenta l'attivista Tombola, storico e geografo di formazione. Otto dei cannoni, su un ordine complessivo di 180, sarebbero dovuti passare per Genova a Maggio del 2019. Lì la nave "Bahri Yanbu", che era passata e passerà altre volte per l'Italia, avrebbe dovuto imbarcare altro materiale prodotto da un'azienda italiana, la Teknel. Si trattava di container del tipo "shelter" che, ha spiegato l'azienda a Giugno del 2019, conteneva dei <<generatori a supporto di sistemi di telecomunicazione utilizzati dalla Guardia Nazionale Saudita (pari alla Protezione Civile o ai Carabinieri italiani) in caso di Disaster Recovery per mantenere attive le telecomunicazioni durante particolari eventi ambientali (alluvioni o frane) o a seguito di eventi catastrofici (terremoti o tumulti) che compromettono le normali linee di telecomunicazione siano esse fisse o mobili. Tali sistemi pertanto sono di supporto ed aiuto alla popolazione>>. Diversa la visione di una serie di attivisti, tra cui Tombola, che spiega: <<avendo trovato che quell'azienda romana aveva chiesto l'autorizzazione per esportare quegli "shelter" per un valore complessivo di circa 8 milioni di euro>>, e dopo aver analizzato i documenti pubblici stabiliti dalle legge 185/90, che regola commercio e transito di materiale bellico, <<noi potevamo dire, a ragion veduta, che quelle erano armi che stavano per essere imbarcate a Genova e che erano probabilmente utilizzabili anche nella guerra in Yemen>>.

A questo punto è necessario aprire una parentesi sul concetto di "dual use" o "doppio uso": può essere riferito a delle tecnologie da impiegare per scopi, o in contesti, sia militari che civili. Questo concetto può essere usato per legittimare l'esportazione di tecnologie e prodotti bellici spacciandoli come destinati a usi civili. Nei casi migliori e teoreticamente, chi li esporta (inclusi i governi che approvano l'esportazione, oltre a produttori e trasportatori) non si fa troppe domande sull'effettivo utilizzo di essi, se non addirittura crede, in buona fede, che materiali elettronici, sostanze chimiche, sensori, software, disegni, dati tecnici e quant'altro verrà impiegato per usi o in contesti civili, mentre poi chi li riceverà ne farà un mortifero utilizzo. Per esempio delle sostanze chimiche potrebbero avere sia un impiego legittimo in agricoltura che uno illegittimo per creare esplosivi o armi chimiche. Ma lo stesso concetto di "duplice uso" può essere sfruttato anche per impedire che beni, come aiuti umanitari, non arrivino alla popolazione civile... Succede a Gaza, sotto assedio (o embargo) da anni: per esempio un intero carico di forniture mediche, con componenti metallici da usare in sala operatoria o perfino delle semplici stampelle, può essere bloccato con la scusa che potrebbero essere utilizzati per produrre armi (evidentemente e teoreticamente armi rudimentali o "bianche" da impiegare contro i bombardamenti aerei - sempre escludendo un'astratta ignoranza o "buona fede"). A farne le spese saranno pazienti e personale sanitario. Non avranno strumenti basilari per compiere operazioni chirurgiche o fornire cure di routine, come detergenti o anestetici.

Tra Aprile e Maggio del 2019 pacifisti e lavoratori dei porti europei sono in allerta: dopo l'inchiesta giornalistica si diffonde la voce della presenza della nave saudita, ribattezzata da alcuni come la "nave della morte". La barca sarebbe dovuta transitare per il porto francese di Le Havre, dove avrebbe dovuto caricare gli otto cannoni. Ma pacifisti, ONG, politici e lavoratori portuali protestano. La nave fa allora scalo a Santander, in Spagna, dove imbarca altro materiale militare. Tappa successiva è Genova, dove dovrebbero essere caricati gli "shelter" prodotti in Italia. I "camalli" (espressione dialettale che indica i lavoratori portuali) si oppongono: non vogliono contribuire al commercio d'armi, la cui presenza rappresenta anche un pericolo per il porto.

Si organizza uno sciopero e una protesta, avviati dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali e dalla FILT-CGIL. Raccoglieranno l'approvazione della società civile, con la chiesa cattolica in prima fila, e perfino del consiglio regionale di destra. Tombola racconta che i lavoratori si sono recati dall'autorità portuale <<dicendo: "ci state prendendo in giro". Il prefetto convoca le parti: l'autorità portuale, il caricatore, l'agente marittimo e i rappresentanti della compagnia. Lo sciopero che ne venne fuori fu fatto sulla merce, è importante sottolineare questo. La nave poteva partire ma doveva lasciare lì quella merce. Su questo punto le autorità, il prefetto, dicono: "ok, ci avete mentito malamente, la merce resta qui e voi potete andare". È una vittoria storica dei portuali genovesi. Storica perché, dal 2019 a oggi, nessun'altra azione in Europa è arrivata a questo punto>>. Un successo difficilmente ripetibile anche perché, dopo la storica azione, e dopo la "deviazione" di un'altra nave della stessa compagnia un mese dopo sempre a Genova, a seguito del solo preannuncio di una nuova protesta un ingente schieramento di forze di polizia faceva morire sul nascere qualunque tentativo di ribellione pacifica.

Cannoni e altri materiali sono dovuti giungere in Arabia Saudita per altre vie, ma il successo resta. Un successo forse difficilmente replicabile ma da cui, come militanti, possiamo imparare qualcosa, comprendendo il contesto politico in cui è avvenuto. Quel giorno, il 20 Maggio del 2019, a manifestare all'insegna del motto "porti chiusi alle armi, porti aperti ai migranti!" <<c'erano fotografi, scout, gente comune, militanti pacifisti... La giunta comunale di Genova e quella regionale ligure, che sono ed erano di destra, rilasciano un comunicato unanime a sostegno della lotta dei portuali. Interviene perfino il vescovo, dicendo di essere dalla parte dei portuali>>. Lavoratori che verranno poi ricevuti anche dal monarca vaticano (a.k.a. il Papa, lo stesso Papa che a Gennaio ha rifiutato una donazione milionaria all'Ospedale Bambin Gesù da parte dell'azienda statale Leonardo Spa). <<Ecco perché è riuscito quel blocco: è riuscito a coalizzare una serie di forze assolutamente disparate, di solito non coalizzabili, su un obiettivo riconosciuto da tutti spontaneamente (...) Non possiamo fare tanto contro il movimento di navi che portano le armi, ma possiamo far emergere questo traffico>>, aumentando la consapevolezza collettiva. I mercanti di armi hanno tutto l'interesse a mantenere le loro pratiche il più nascoste possibile: la maggioranza della popolazione non si arricchisce con la guerra, non gradisce che preziose risorse siano investite nell'industria militare invece che nella sanità, nell'istruzione o nella previdenza. Anche per questo i media che vanno per la maggiore ci bombardano con un terrorismo psicologico: la guerra viene propagandata con i film, sui giornali, nelle canzoni, nei talk-show, nei videogiochi, ecc., come un'innegabile componente della nostra esistenza. La "baracca consumista-capitalista" crollerebbe senza la creazione di nemici e di guerre "per esportare la democrazia", o di guerre contro il terrorismo combattute applicando un terrorismo di stato, che genera una spirale di violenza infinita. D'altro canto molte multinazionali temono i danni d'immagine qualora si scoprisse il loro coinvolgimento in traffici illeciti o commerci immorali. Il potere dell'informazione risulta perciò fondamentale, sia quando viene usato da chi ha tutti gli interessi a propagandare la narrativa del complesso militare-industriale, sia quando viene impiegato da militanti pacifisti e da tutti gli oppressi.

Per questo scopo di "formazione alla denuncia" sul sito dell'Osservatorio si trova "Il Manuale per Weapon Watcher", un agile strumento introduttivo per <<l'osservazione sul campo, dove il "campo" sono le strade, le stazioni, i porti e gli aeroporti, i magazzini, cioè i "colli di bottiglia" da cui passa il flusso gigantesco delle merci, che è un po' la caratteristica della presente civiltà globale del capitalismo. La scommessa è quella di distinguere in questo flusso ininterrotto una tipologia particolare di merci, gli armamenti e le munizioni da guerra, che sono merci molto speciali, soggette a molti controlli e restrizioni>>.

Nel manuale ci sono delle nozioni di logistica, pratica che non a caso nasce in ambito militare, insieme a un'introduzione ai diversi tipi di armamenti, istruzioni su come riconoscere mezzi che trasportano armi tramite osservazione di codici e altri tipi di dati pubblici (alcuni disponibili online), nonché notizie di cronaca e regolamenti.

Il manuale, così come lo stesso Osservatorio che è nato proprio sulla spinta propulsiva di quella ricerca e protesta del 2019, aspira ad assumere una dimensione transnazionale, come impone la stessa natura globalizzata della logistica.



LA LEGGE 185, COME VIENE AGGIRATA E COME SI STA CERCANDO DI SVUOTARLA ULTERIORMENTE

<<La legge 185 nasce nel 1990 su uno scandalo. Pochi anni prima un'altra rivista, questa volta belga, scoprì che l'Italia vendeva le mine antiuomo sia all'Iran che all'Iraq>>, ricorda l'attivista dell'Osservatorio. Anche quella legge fu frutto dell'impegno di un ampio ed eterogeneo movimento popolare coalizzato nella campagna "Contro i mercanti di morte". Alcuni avrebbero voluto introdurre una legge con un solo articolo per abolire fabbricazione ed esportazioni di armi. Non è stato così, ma si è riusciti comunque a mettere un freno alla precedente logica iper-liberista, che potremmo definire sostanzialmente anarco-capitalista. Logica che non teneva conto delle implicazioni relative ai diritti umani: l'export di armi era normato dalle direttive che regolavano il commercio di beni con l'estero, oltre a essere in larga parta sottoposto a segreto di stato.

Invece, scopo principale dell'attuale normativa, è imporre delle autorizzazioni e dei controlli statali per esportare, importare, far transitare, produrre e commerciare armamenti per eserciti e corpi armati, includendo anche le relative transazioni bancarie. Oltre a questo ci sono anche una serie di documenti che garantiscono un certo grado di trasparenza, che tuttavia resta insufficiente, secondo il variegato movimento antimilitarista.

La legge vieta queste attività se commesse in violazione dei regolamenti internazionali e della Costituzione, che stabilisce che la guerra non deve essere un mezzo per risolvere le controversie internazionali. Scendendo nello specifico i divieti si applicano: quando il paese destinatario può impiegare gli armamenti per fini di aggressione e quando vengono accertate violazioni dei diritti umani e delle leggi di guerra (per esempio quando vengono usate contro la popolazione civile); quando il paese destinatario è coinvolto in un conflitto armato in contrasto con il diritto all'autodifesa; quando investe troppe risorse, eccedenti le esigenze di difesa (ossia quando si verifica una sovrapproduzione o un accumulo di troppe armi o prodotti "dual use" che possono essere impiegati in guerra); quando gli organismi internazionali cui la Repubblica aderisce prevedono un embargo di armamenti, anche solo parziale; quando gli armamenti sono di tipo batteriologico, chimico e nucleare o atti <<alla manipolazione dell'uomo e della biosfera a fini militari>> (apriamo una parentesi sulla nomenclatura delle armi chimiche: i gas lacrimogeni, per esempio, vengono classificati come tali solo se usati in guerra, non per gestire le proteste interne a uno stato (o per reprimerle, magari sparandoli ad altezza uomo e violando così altri regolamenti internazionali); il fosforo bianco non è classificato come arma chimica, secondo la CAC -Convenzione internazionale sulle armi chimiche- ma come un'arma incendiaria. Resta comunque un crimine utilizzarlo indiscriminatamente e contro la popolazione civile, e non solo per approfittare dello " schermo di fumo", oppure per segnalare un obiettivo durante un'operazione militare).

Ogni anno, secondo quanto previsto dalla legge, il Presidente del Consiglio deve presentare al Parlamento una "Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento", che include la documentazione dei ministeri competenti in materia. Il parlamento, insieme alla società civile, dovrebbe perciò esercitare un'azione di controllo sull'operato del governo.

"Fatta la legge, trovato l'inganno" recita il proverbio, che parafrasiamo aggiungendo "studiata o sfruttata l'eccezione". Infatti, una delle principali problematiche di questa legge è che non copre le armi "comuni" o "leggere", quelle che ufficialmente non vengono classificate come militari ma che, per esempio, alimentano le attività militari e criminali di formazioni paramilitari, di narco-stati, narco-eserciti e così via. <<Dovremmo controllare anche il cosiddetto "traffico civile">> argomenta a proposito Tombola. Poi esiste il problema delle “triangolazioni”. In pratica si spediscono armi verso una destinazione formalmente “lecita” per poi farle arrivare in altri paesi, aggirando così il divieto.

Altra eccezione espressamente prevista dalla normativa è relativa ai movimenti di armi che riguardano <<il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere>>. Tombola, durante l'incontro, ha spiegato che tra le transazioni escluse dagli obblighi della legge 185 ci sono quelle che avvengono <<all'interno dei progetti NATO. Se per fare un aereo la Leonardo manda avanti e indietro dei componenti, se qui si fa una pennata di coda e là si fa un pezzo delle ali ecc., tutto questo movimento -diciamo "interno"- non viene più registrato>>.

Venendo alla citata relazione governativa, che dovrebbe essere il principale strumento per avere trasparenza, all'art. 5 comma 3 della legge vigente si legge: <<La relazione (...) dovrà contenere indicazioni analitiche - per tipi, quantità e valori monetari - degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite (...) La relazione dovrà contenere inoltre la lista dei Paesi indicati nelle autorizzazioni definitive, l'elenco delle revoche delle autorizzazioni (...) l'elenco delle iscrizioni, sospensioni o cancellazioni nel registro nazionale (...) La relazione dovrà contenere infine l'elenco dei programmi sottoposti a licenza globale di progetto con l'indicazione dei Paesi e delle imprese italiane partecipanti, nonché le autorizzazioni concesse dai Paesi partner relative a programmi a partecipazione italiana e sottoposti al regime della licenza globale di progetto>>.

Agli occhi di un lettore comune, come chi scrive questo articolo, le informazioni contenute nelle centinaia di pagine dell'ultima relazione sembrano molto elaborate a livello statistico.


Diagramma a torta del MEF. Riporta le esportazioni definitive per azienda. La "fetta" più grande della torta è rappresentata dalla Leonardo, con il 42.27% di esportazioni. Tutte le altre messe insieme raggiungono poco più della metà del totale.
In queste immagini notiamo alcuni dei diagrammi a torta inclusi nella relazione governativa relativa al 2023. Clicca con il puntatore del mouse o schiaccia con il dito le immagini per vederle in maniera più nitida.

Diagramma a torta che riepiloga le esportazioni totali per paese aree geografiche. Quasi il 40% è diretto in Medio Oriente. In Asia l'11,29%, in America settentrionale il 5,93%, nei Paesi OSCE, UE, Nato (esclusi Canada e Usa) e Svizzera il 29,32%, nei paesi OSCE escluse UE, Nato e Svizzare il 5,99%, in Oceania il 2,46% e, infine, alla voce "ALTRO" il 5,03%.

In questo diagramma a torta si riportano le importazioni definitive del 2023 suddivise per paese. La fetta più grande è occupata dagli USA, con il 40,46% delle importazioni. La più piccola va alla Repubblica di Serbia, con  lo 0,37%.



La relazione fornisce tutti i dati previsti e succitati, incluse le tipologie di servizi e armamenti offerti da ogni azienda, ma c'è un "piccolo" problema... Dalle più di duemila pagine, contenute in tre diversi volumi, non si riesce a capire a quali paesi vengono consegnati gli specifici armamenti. In parole povere: si capisce "chi" vende "cosa", ma non si comprende esattamente "cosa" viene venduto "dove" (o da dove viene importato, o quali banche sono coinvolte nelle transazioni riguardanti gli specifici armamenti). Oppure si capisce "chi" (il paese) ha comprato "cosa", ma non si riesce a capire da "chi" (l'azienda) lo ha acquistato

Nelle tabelle della prima relazione, quella presentata da Andreotti nel '91, in ogni riga si trovavano la nazione di destinazione, il tipo di armamento, l'azienda che lo ha esportato, la quantità e un codice associato all'autorizzazione per ogni singola esportazione.

Dalle successive relazioni qualcosa comincia a cambiare e, oggi, è praticamente impossibile districarsi nel voluminoso labirinto numerico-testuale di tabelle, come si può osservare nelle immagini e nelle didascalie che seguono.


In questa prima immagine vediamo tre tabelle contenute nella relazione relativa al 2023. Nella prima si trovano i paesi di destinazione degli armamenti insieme alla descrizione di questi, al prezzo e al numero di autorizzazioni concesse. Manca però il nome dell'azienda che li ha forniti o anche un codice che ci possa far risalire direttamente a esse. Nella seconda si trovano le esportazioni suddivise in base all'azienda (in questo esempio c'è la Leonardo) insieme ad altri dati (data, quantità espressa in numeri di oggetti o mesi della prestazione) e infine il materiale oggetto di contratto con relativa tipologia e categoria. Manca però sia il paese di destinazione (eccetto in un caso, più unico che raro, in cui è ricavabile dalla colonna del "Materiale oggetto del contratto", dove si legge: <<SERVIZI PER AEROMOBILE M346 DA SVOLGERSI IN ISRAELE>>). Infine c'è una terza tabella in cui di fianco all'"utilizzatore finale", ossia il paese di destinazione, si trovano altri dati (causale e importi), insieme a un "Numero". Provando a cercare uno dei quei numeri -usiamo il primo nella foto, "78700"- possiamo ricavare l'importo di transazioni bancarie che, nello stesso volume, sono associate a delle aziende -in questo caso "AEREA S.p.A". Tuttavia quel numero non è riportato nelle tabelle contenute negli altri due volumi. Per cui si capisce che c'è stata una transazione, di circa 180mila euro, per una fornitura di AEREA a Israele , ma non si comprende (o perlomeno non è agevole comprendere) quale tipo di armamento è stato venduto.
Clicca con il mouse o schiaccia con il dito le immagini per vederle in maniera più nitida.

In questa prima immagine vediamo tre tabelle contenute nella relazione relativa al 2023. Nella prima si trovano i paesi di destinazione degli armamenti insieme alla descrizione di questi, al prezzo e al numero di autorizzazioni concesse. Manca però il nome dell'azienda che li ha forniti o anche un codice che ci possa far risalire direttamente a esse. Nella seconda si trovano le esportazioni suddivise in base all'azienda (in questo esempio c'è la Leonardo) insieme ad altri dati (data, quantità espressa in numeri di oggetti o mesi della prestazione) e infine il materiale oggetto di contratto con relativa tipologia e categoria. Manca però sia il paese di destinazione (eccetto in un caso, più unico che raro, in cui è ricavabile dalla colonna del "Materiale oggetto del contratto", dove si legge: <<SERVIZI PER AEROMOBILE M346 DA SVOLGERSI IN ISRAELE>>), sia un numero associato a ogni specifica esportazione

Infine c'è una terza tabella in cui di fianco all'"Utilizzatore Finale", ossia il paese di destinazione, si trovano altri dati (causale e importi), insieme a un "Numero". Provando a cercare uno di quei numeri -usiamo il primo nella foto a titolo esemplificativo, "78700"- possiamo ricavare l'importo di transazioni bancarie che, nello stesso volume, sono associate a delle aziende -in questo caso "AEREA S.p.A". Tuttavia quel numero non è riportato nelle tabelle contenute negli altri due volumi. Per cui si capisce che c'è stata una transazione, di circa 180mila euro, per una fornitura di AEREA a Israele , ma non si comprende (o perlomeno non è agevole comprendere) quale tipo di armamento è stato venduto.


Nella seconda immagine, di fianco alle due tabelle che abbiamo già visto, ce ne è una della prima relazione, quella presentata da Andreotti del 1991 (la terza tabella sulla destra). In un'unica tabella si riporta: nazione, società, numero di autorizzazione e data di rilascio, insieme al materiale bellico oggetto del contratto e alla sua quantità. Dati che nell'odierna relazione sono "spezzati" sia dal paese finale, sia dal codice di ogni singola transazione. Cosa che rende praticamente impossibile comprendere quali sistemi di armento sono stati esportati verso (o importati da) ogni singolo paese.
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Nella seconda immagine, di fianco alle due tabelle che abbiamo già visto, ce ne è una della prima relazione, quella presentata da Andreotti del 1991 (la terza tabella sulla destra). In un'unica tabella si riporta: nazione, società, numero di autorizzazione e data di rilascio, insieme al materiale bellico oggetto del contratto e alla sua quantità. Dati che nell'odierna relazione sono "spezzati" sia dal paese finale, sia dal codice di ogni singola autorizzazione. Cosa che rende praticamente impossibile comprendere quali specifici sistemi di armento sono stati esportati verso ogni singolo paese dalle varie aziende.


Come si vede in queste altre immagini, nel secondo volume della relazione relativa al 2023 (e precisamente nelle tabelle del Ministero dell'Economia sulle esportazioni autorizzate) si trova una transazione di 1.223.420 euro. L' "Utilizzatore Finale" è l'Arabia Saudita, l'azienda è la RWM. Il governo Conte aveva imposto un embargo su un particolare tipo di armi prodotte dall'azienda e vendute ai sauditi, in particolare missili e bombe. La decisione è stata poi ribaltata dai governi Draghi e Meloni dopo che il conflitto si è attenuato, cosa che giustamente ha sollevato molte polemiche. L'oggetto della transazione è indicato come "Beni e Servizi soggetti a 185/90", e poi si trova il "Numero Autorizzazione", 87021 in questo caso. Provando a ricercare nei tre volumi della relazione sia il numero dell'autorizzazione sia l'importo specifico in questione, non si riesce a comprendere (perlomeno immediatamente e da chi scrive) cosa sia l'oggetto specifico -e cioè il tipo di arma- di quella transazione. Non lo si riesce a comprendere nemmeno consultando le tabelle relative agli armamenti esportati da quella specifica azienda contenuti negli altri volumi della relazione, dato che vicino al "materiale" oggetto dell'autorizzazione non si indica né il destinatario finale né il numero dell'autorizzazione, mentre si capisce che, in totale, la RWM ha ottenuto 36 autorizzazioni a esportare per un valore di 613.757.124,31 euro. In estrema sintesi il problema è che il numero dell’autorizzazione, attualmente, si trova solo nelle tabelle redatte dal Ministero dell’economia. Questo “codice” dovrebbe essere presente anche nelle altre tabelle per assicurare un minimo ed efficace controllo collettivo.
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Come si vede in queste altre immagini, nel secondo volume della relazione relativa al 2023 (e precisamente nelle tabelle del Ministero dell'Economia sulle esportazioni autorizzate) si trova una transazione di 1.223.420 euro. L' "Utilizzatore Finale" è l'Arabia Saudita, l'azienda è la RWM. Il governo Conte aveva imposto un embargo su un particolare tipo di armi prodotte dall'azienda e vendute ai sauditiin particolare missili e bombe. La decisione è stata poi ribaltata dai governi Draghi e Meloni dopo che il conflitto si è attenuato, cosa che giustamente ha sollevato dubbi e polemiche. L'oggetto della transazione è indicato come "Beni e Servizi soggetti a 185/90", e poi si trova il "Numero Autorizzazione", "87021" in questo caso. Provando a ricercare nei tre volumi della relazione sia il numero dell'autorizzazione sia l'importo specifico in questione, non si riesce a comprendere (perlomeno immediatamente e da chi scrive) cosa sia l'oggetto specifico -e cioè il tipo di arma- di quella transazione. Non lo si riesce a comprendere nemmeno consultando le tabelle relative agli armamenti esportati da quella specifica azienda contenuti negli altri volumi della relazione, dato che vicino al "materiale" oggetto dell'autorizzazione non si indica né il destinatario finale né il numero dell'autorizzazione, mentre si capisce che, in totale, la RWM ha ottenuto 36 autorizzazioni a esportare per un valore complessivo di 613.757.124,31 euro. In estrema sintesi il problema è che il numero dell’autorizzazione, attualmente, si trova solo in alcune tabelle redatte dal Ministero dell’economia. Questo “codice” dovrebbe essere presente anche nelle altre tabelle per assicurare un minimo ed efficace controllo collettivo.



"Decifrare " il contenuto delle relazioni parlamentari è una sfida anche per occhi più esperti di chi scrive questo articolo, quelli di persone che le studiano da anni. Sono letteralmente una manciata in tutta Italia, quelle a conoscenza di Tombola, in grado di estrapolare dei dati in modo da collegare una specifica fornitura di armamenti a un'azienda e al paese destinatario. Infatti, secondo un documento della "Rete Italiana Pace e Disarmo" del 9 luglio 2020 (redatto da Francesco Vignarca, Giorgio Beretta e Maurizio Simoncelli), <<nel corso degli anni la legge 185 è stata disapplicata dai vari governi che si sono succeduti con una serie di decreti o con interpretazioni non conformi al dettato e/o allo spirito legislativo (...) per verificare la corretta attuazione delle prescrizioni della legge occorrerebbe un’analisi dettagliata degli specifici sistemi d’armamento esportati dall’Italia nei vari paesi. E’ proprio questa verifica che nel corso degli anni è diventata sempre più difficile tanto da renderla oggi praticamente impossibile. Mentre, infatti, le prime Relazioni consegnate al Parlamento riportavano con precisione, e in un chiaro quadro sinottico, il sistema d’arma esportato per quantità e valore, la ditta produttrice e il paese destinatario, nel corso degli anni queste informazioni sono state scorporate in una serie di tabelle che oggi non permettono più di conoscere le armi effettivamente esportate verso i diversi paesi acquirenti. Inoltre ormai da quasi 10 anni è stato reso impossibile conoscere le singole operazioni svolte dagli istituti di credito: un fatto che ha favorito soprattutto i gruppi bancari esteri che, a differenza di gran parte delle banche italiane, non hanno adottato politiche di responsabilità sociale riguardo ai finanziamenti all’industria militare e ai servizi per esportazioni di armi>>.

A titolo esemplificativo, sapere che <<alla Beretta è stata autorizzata nel 1992 l’esportazione di 106.400 parti di ricambio (PDR) per pistole mitragliatrici cal. 9 para bellum senza sapere il paese destinatario è un’informazione pressoché inutile per esercitare un effettivo controllo parlamentare. Va comunque detto, ad onor del vero, che perlomeno anche questa Relazione e le successive consentivano di conoscere i valori dei singoli sistemi d’armamento esportati ai singoli paesi (...) permettendo cosi almeno di recuperare, attraverso una faticosa serie di incroci tra le numerose tabelle degli allegati dei ministeri, alcune informazioni essenziali. La Relazioni degli ultimi anni (in particolare del nuovo millennio) si contraddistinguono invece per essere molto corpose (migliaia di pagine, in alcuni anni quasi 2000!) ma con una certa carenza di informazioni fondamentali>>. In pratica oggi, confrontando e incrociando con molta fatica dati come nome dell'azienda, paese di destinazione, valuta utilizzata, costi sostenuti, ecc., si possono ottenere, con molto tempo e tanta fatica, informazioni specifiche solo su una frazione dei vari commerci di armi.

Secondo l’associazione succitata, la sezione che contiene le tabelle curate dal Ministero dell'economia e della difesa (MEF) risulta <<non solo inutile ma addirittura fuorviante>>. Dopo le <<modifiche introdotte dal DL 105 del 22/06/2012, ed in particolare dell’articolo n. 27 della legge 185/1990, al MEF non spetta più il compito di autorizzare le operazioni bancarie relative alle esportazioni di vendita di armamenti: è invece tuttora tenuto a inviare – si noti – al Ministero degli Affari esteri i dati derivanti dalla sua attività (...) Peccato però che poi il MEF allegando le Tabelle relative solamente agli “Importi segnalati” senza metterle in correlazione con le “Operazioni autorizzate” dal Ministero degli Esteri (MAECI) finisca col far mancare l’informazione fondamentale per il controllo, da parte del Parlamento, delle transazioni bancarie. Gli “importi segnalati” infatti si riferiscono ad operazioni effettuate anche in più anni, ma se non si rende nota l’operazione autorizzata (per numero Mae, valore, paese destinatario e tipo di operazione) a cui ci si riferisce di fatto è come presentare una serie di numeri senza alcun punto di riferimento. Inoltre, la relazione del MEF sottrae una serie di informazioni e in alcune versioni ha presentato strane sigle che più che un documento ufficiale fanno sembrare la relazione redatta dal MEF un testo di appunti di qualche svogliato funzionario. In questo modo tutti i Governi più recenti hanno in un certo senso portato a compimento l’opera di svuotamento della Relazione governativa iniziata già nel 2008 con il Governo Berlusconi e proseguita con i Governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni>>. E con l’esecutivo meloniano, dopo un disegno di legge governativo già approvato dal Senato, le cose potrebbero andare di male in peggio...

In un articolo pubblicato a Febbraio sul sito di "Sbilanciamoci" e siglato da Chiara Bonaiuti si spiega che <<confrontando i vari allegati e rapporti, è possibile ottenere informazioni sui trasferimenti e stabilire il collegamento (almeno per le principali transazioni) tra l’azienda esportatrice, la banca, il tipo di materiale, la quantità, il valore e il paese di destinazione finale>>. Quando e se il Ddl verrà approvato le cose cambieranno: <<Mentre prima gli allegati dei vari ministeri dovevano per legge essere inseriti nella Relazione, con il ddl approvato dai senatori ora questi allegati passano attraverso il vaglio della Presidenza del Consiglio dei ministri, che può stabilire quali aspetti riportare al Parlamento (comma 2 dell’art.5). Si svuotano pertanto gli allegati di dettagli fondamentali per realizzare raffronti incrociati tra ministeri (autorizzazioni consegne e pagamenti), precisi (su valori, quantità impresa esportatrice, paese destinatario) e diacronici (cioè su vari anni), essenziali anche per rafforzare la legalità e il rispetto delle norme della legge, e si lascia alla discrezionalità della Presidenza del Consiglio dei Ministri di stabilirne i contenuti>>. Inoltre, verranno <<avvolte da un velo di opacità>> circa la metà delle esportazioni, quelle che godono di <<corsie semplificate>> (come i trasferimenti all’interno dell’UE o in ambito NATO) mentre verrà eliminato del tutto il comma 4 dell’art. 27, proprio quello che impone al MEF di trasferire i dati sugli istituti di credito al MAECI. Con la sua abrogazione, afferma Bonaiuti, si <<abroga la trasparenza bancaria>> in materia. Infine, tra le svariate modifiche previste, si resusciterebbe il “Comitato interministeriale per gli scambi di materiale di armamento per la difesa” (CISD) per sostituire l’“authority” del settore, l’“Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento” (UAMA), l’Autorità che vigila sull’applicazione delle leggi italiane e internazionali e che rilascia le licenze. Così il potere e la discrezionalità del governo aumenterebbero non solo nei dati che verranno pubblicati, ma anche sulle autorizzazioni da rilasciare.

Giorgio Beretta, della “Rete Pace Disarmo”, si è pronunciato così sulle modifiche che il parlamento potrebbe approvare in via definitiva, rinunciando alle sue funzioni e facendoci assomigliare sempre più a una “democratura”, a una “dittatura della maggioranza” (di quelli che effettivamente si recano alle urne per votare) invece che a una democrazia liberale: <<Col pretesto di rendere la normativa più rispondente alle sfide dell’attuale contesto internazionale, il governo Meloni vuole di fatto limitare l’applicazione dei divieti sulle esportazioni di armamenti, ridurre al minimo l’informazione al Parlamento e alla società civile ed eliminare, tra l’altro, dalla Relazione ufficiale annuale tutta la documentazione riguardo al coinvolgimento degli Istituti di credito nell’import-export di armi e sistemi militari italiani. I cittadini non sapranno più dalla Relazione quante e quali armi vengono esportate e non avranno più informazioni sulle banche, nazionali ed estere, che traggono profitti dal commercio di armamenti in particolare verso regimi autoritari e Paesi coinvolti in conflitti armati>>. Del resto, già adesso non abbiamo informazioni dettagliate sulle transazioni bancarie: sappiamo solo quali istituti di credito sono più “cattivi”, ossia conosciamo solo quali banche traggono maggiore profitto dai commerci delle armi.



DALLA MILITARIZZAZIONE DELLE FERROVIE AL CAMBIAMENTO DELLO SCOPO DELLA NATO, PASSANDO PER IL RUOLO DI AZIENDE COME “LEONARDO”

Il volantino dell'iniziativa, siglato da "Assemblea Antimilitarista Napoli". Al centro il disegno di un carro armato con un cannone floscio


Nell'incontro con Carlo Tombola si sono affrontate svariate questioni, come i recenti piani di militarizzazione della rete ferroviaria, con il trasporto di materiale bellico su linee destinate al trasporto di persone e merci (e cioè un utilizzo più esteso delle linee ferroviarie "dual use"). Secondo l’attivista il fenomeno della militarizzazione del trasporto ferroviario italiano non ha <<un influsso sul movimento degli armamenti che avviene in Italia. Il problema è invece ideologico: si militarizza il comparto ferroviario per militarizzare i ferrovieri. A quel punto i ferrovieri saranno messi in condizione di violare delle norme non più interne, ma delle leggi nazionali>>. Dunque, in un mutato quadro normativo, cambierebbe il tipo di sanzioni contro quei ferrovieri che si opporrebbero al trasporto di armi tramite azioni di disobbedienza civile, e così facendo si colpirebbe <<il "lavoro", che è il punto debole della catena logistica>>.

Si è parlato più in generale anche di logistica. La “rivoluzione” dei container, impiegati massicciamente a partire dalla guerra nel Vietnam, ha segnato uno spartiacque nella decadente e guerresca società capitalista e globalizzata. Con delle navi lunghe fino a quasi mezzo chilometro e larghe cento metri, che trasportano dei giganteschi “contenitori”, i quali hanno dimensioni standardizzate e adattate per camion e treni, il costo di trasporto della gran parte delle merci viene abbattuto drasticamente. In questo modo si può produrre praticamente di tutto dovunque, “delocalizzando” gli impianti industriali dove è più conveniente. “Dovunque” di solito corrisponde a quei posti in cui c’è più “manodopera a basso costo”, e cioè più sfruttamento delle “merci” umane. “Conveniente” corrisponde quindi allo sfruttamento di “risorse”, quelle “umane”, e più in generale quelle del resto dell’ambiente. È un meccanismo ben oliato, frenetico come i consumi e che non ammette “ritardi” (come scioperi e proteste), al punto che alcune fasi di produzione vengono completate direttamente a bordo. 

A proposito della legge 185/90 e della “nomenclatura” usata nella logistica di guerra si è toccato un altro punto fondamentale, quello della “ricerca della verità”. In pratica i vari codici numerici e tutta la “nomenclatura” della logistica degli armamenti potrebbero essere comunque alterati, in nome di una fantomatica sicurezza, giustificata da segreti di stato che nascondono loschi fini e non il bene comune. Tra l’altro, si è detto sopra, la stessa legge 185 non “copre” una serie di armamenti e contiene diverse eccezioni. Tuttavia fornisce delle garanzie, comunque insufficienti. Entriamo così in un altro tema dibattuto, quello del diritto.

Un tempo considerevole della discussione è stato impiegato sulla valenza del diritto internazionale. Si è parlato ovviamente anche dell’impunità dei fanatici che guidano Israele, <<un paese NATO "senza dirlo" e un paese nucleare "senza dirlo". È un paese canaglia ma non si può dire, perché dirlo è antisemita>>, fa notare con amara ironia l’attivista. Alcuni militantə libertariə in sala hanno espresso una totale sfiducia in qualsivoglia istituzione, statale e sovrastatale. Da militante libertario ritengo che il campo della “legge” è uno dei tanti in cui portare conflitto, soprattutto quando la legge è dalla parte degli oppressi. Non posso però negare una certa sfiducia dato che, troppo spesso e come recita una massima, “la legge per gli amici si interpreta, per tutti gli altri si applica”. In altre parole: troppe volte il diritto è un’arma nelle mani di chi ha già il coltello dalla parte del manico, un’arma che avvantaggia chi può permettersi un buon avvocato, chi può corrompere, minacciare e così di seguito… Tuttavia, se godiamo di una serie di diritti basilari (continuamente messi in discussione) lo dobbiamo a una serie di conquiste per cui i movimenti di base (o “dal basso”), le persone oppresse di tutti i luoghi e di tutti i tempi hanno lottato (a volte, purtroppo, anche in maniera violenta). Oppure, sono conquiste ottenute “hackerando” un sistema legale opprimente. In Medio Oriente stiamo vedendo che il diritto internazionale, per adesso, non funziona. Ma è proprio per questo che dobbiamo esigere delle garanzie minime, altrimenti a regolare le guerre di conquista e le “battaglie” sociali saranno dei furiosi guerrafondai. Una schiera di anarco-capitalisti, quelli che pensano solo al potere e al profitto, quelli che stanno imponendo un “diritto internazionale della giungla” (con tutto il rispetto per gli esseri senzienti che vivono nelle poche giungle rimaste e che non stanno distruggendo il pianeta, a differenza della stragrande maggioranza dei sapiens). Le garanzie minime “liberali” o "social-democratiche" non sono sicuramente sufficienti, ma possono essere un punto di partenza, anche se viene messo continuamente in discussione (e forse, a maggior ragione, lo sono proprio perché queste garanzie vengono messe sempre in discussione). Per cui, da socialista libertario, penso che dovremmo "attraversare" anche il campo di lotta costituito dal diritto, senza farci particolare illusioni. Nel mentre, dobbiamo immaginare e sperimentare, a partire dal nostro piccolo, delle maniere di autogovernare le nostre vite in maniere alternative a quelle strettamente “burocratiche”, senza scontrarci “mortalmente” con esse.

Si è discusso poi delle logiche di aziendalizzazione delle università che si sono tuffate nel business mortifero delle armi. <<Bisognerebbe chiedersi: come mai le università hanno bisogno di questi soldi? Perché le università sono state ridotte a essere "sul mercato", come se fossero delle aziende qualunque? Ma che profitto dovrebbe fare l'università, se non quello di costruire dei quadri per il nostro paese?! Poi tra l'altro li costruiamo ma li mandiamo all'estero... è un mondo in via di fallimento complessivo, concepito così è senza senso>>, argomenta Tombola, le cui riflessioni sono tanto ampie e profonde quanto “erranti” (divagazioni piacevoli a mio dire, nonostante non siamo d’accordo su diverse cose).


Carlo Tombola con in mano un microfono. Su un tavolo si vedono un PC e un proiettore. Sul telo è proiettata la copertina del "Manuale del Weapon Watcher". Le pareti dello spazio liberato appaiono leggermente rovinate.


Altro tema portante dell'incontro è stato quello delle ingerenze della NATO a guida statunitense negli affari europei ed italiani. Sono tre gli eventi storici e paradigmatici ricordati a riguardo. Il primo in ordine cronologico riguarda l’incidente della funivia del Cermis. Poi si è parlato del caso di Abu Omar, evento da inquadrare nella supposta “lotta al terrorismo” e nelle fantomatiche guerre di “esportazione della democrazia” che, alla fine, hanno creato più terrorismo e instabilità globale. Il sequestro dell’imam milanese rappresenta soltanto uno solo dei <<circa 1200 rapimenti ed esecuzioni extragiudiziali nel periodo delle guerre in Afghanistan e in Iraq>> ricorda Tombola. Infine, arrivando ai giorni nostri, si è menzionato il sabotaggio del gasdotto Nordstream, conduttura sempre osteggiata dagli USA. Le veline governative ufficiali, riprese dalla stampa mainstream, sostenevano che i russi si sarebbero sostanzialmente sabotati da soli. Questo fino ad Agosto, quando un’indagine tedesca ha messo in luce che il sabotaggio sarebbe avvenuto per mano ucraina. L’esplosione del gasdotto, secondo Tombola, è un ammonimento: <<europei, non illudetevi di poter "giocare una partita" in autonomia. Si decide a Washington>>, e si decide anche da chi e da dove si compra l’energia, insieme allo stesso tipo di energia da impiegare.

Abbiamo assistito a un cambiamento di paradigma politico-militare dopo la guerra fredda: prima lo scopo della NATO era <<difendere l'Italia da una possibile invasione sovietica. Oggi lo scopo è la proiezione americana in altri teatri di guerra (...) e dico americana e non NATO perché è la stessa cosa: non illudiamoci che gli alleati possano fare delle cose senza che gli americani lo vogliano>> (sarebbe più corretto dire "nord-americana", ma la sostanza del discorso è chiara e da me condivisa). Con la professionalizzazione degli eserciti, venendo quindi meno l'obbligo di leva, si sono abbassate anche le possibilità di un controllo "popolare" sull’operato delle forze armate (si pensi al gruppo dei “Proletari in divisa” negli anni '70). Ma soprattutto questa presenza “nord-americana” ha dei costi in termini politici, economici (<<ci chiedono il 2% del PIL come costo di questa protezione>>) ma anche ambientali (per esempio <<si calcola che a Vicenza, nelle ore di punta ci sono diecimila veicoli in più in circolazione>>). <<Ridiscutere l'Alleanza Atlantica, ridiscutere l'impatto sulla nostra quotidianità della loro presenza è anche un passo per cambiare lo slogan fallimentare che è "fuori l'Italia dalla Nato": lo diciamo ma non succede! Vediamo se ci sono degli aspetti più concreti di questa limitazione, di questa presenza, di dare un senso diverso alla loro presenza>>.

Il business della guerra non si riduce al mero scambio di armi e denaro. Per utilizzare i vari sistemi di difesa e offesa servono conoscenze specifiche, come quelle indispensabili per pilotare un modello particolare di areo, oltre ad attrezzature o munizioni peculiari, possedute solo da alcuni paesi o alleanze. Tutto ciò ha un impatto anche sulle relazioni diplomatiche oltre che su quelle commerciali. Un esempio di cui ci siamo occupati tra queste pagine riguarda l’acquisto del sistema di difesa missilistico russo S-400 da parte della Turchia. Acquisto che ha spinto l’impero USA a escludere il regime di Erdogan dal programma di sviluppo degli arei F-35 e alla sospensione delle forniture per i meno avanzati F-16, ritrovandosi così con delle ferraglie inutilizzabili dal valore milionario. A quel punto Erdogan ha usato il potere di veto all’entrata di nuovi membri della NATO (Svezia e Finlandia) come arma di ricatto per ricevere più armamenti. Un "gioco" cinico principalmente a danno della comunità curda. E questo è solo un esempio... 

Esempio che però è molto utile per concludere questo post parlando proprio del ruolo delle aziende militari nelle relazioni politiche, relazioni costituite da tanti livelli che si incrociano. <<Leonardo>> argomenta Tombola, <<è così importante non per quello che fa, ma per quello che permette di fare per chi è a Roma, al governo. Ecco perché i governi, di qualunque colore, hanno usato Leonardo nello stesso modo: come "telefono rosso" con il Pentagono, con cui siamo legati a "filo triplo". Perché i piani di Leonardo sono i piani del ministro della difesa. Poi, in questo ultimo caso, addirittura il Ministro della difesa era colui che rappresentava già Leonardo dentro il complesso militare industriale, perché lui arriva da una consulenza diretta di Lenoardo. Lo ha fatto per anni ed era il presidente dell'azienda della difesa dello stato italiano, quindi la persona tecnicamente più giusta per fare questo collegamento. Quello che fa Leonardo>>, nel senso di quello che produce materialmente la principale azienda militare italiana, <<tutto sommato è secondario: è subfornitore di Boeing, di Lockheed Martin, di tutte le operazioni che si svolgono negli Stati Uniti>>.

Non possiamo non concludere senza un ultimo pensiero a quello che avviene nelle martoriate terre del Medio Oriente, un “fuoco” che presto potrebbe “scottare” anche noi occidentali, noi che pensiamo che le guerre non ci toccano, dopo che ne abbiamo fatte tantissime per guadagnarci una posizione di malefico privilegio.

La traballante legalità internazionale, espressa dalle Nazioni Unite (che andrebbero ridiscusse e ristrutturate), stabiliscono che Israele è una potenza occupante che applica l'apartheid. Difendere lo stato israeliano per come è oggi e per come lo è stato dall’inizio del suo progetto coloniale, equivale a difendere il regime di apartheid sudafricano. Per questo la priorità deve essere il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni rivolti a questo regime, cominciando dagli armamenti. Dobbiamo tranciare questi pericolosi e immorali legami che non si limitano al solo all'import o all'export di armi, e che sono anche illegali. Forse anche i presidenti di alcuni paesi “occidentali”, come la Francia, cominciano ad avere paura di finire al banco degli imputati, in qualità di complici, in una “seconda Norimberga” (che spero comunque non implichi impiccagioni e altri spargimenti di sangue, ma solo verità, giustizia e riconciliazione).

Per raggiungere qualunque obiettivo in tal senso, anche minimo, strumenti come un ampliamento della 185 possono sicuramente servire, come è utile opporsi agli illiberali intenti del cosiddetto “Ddl sicurezza”, che vuole criminalizzare ulteriormente le proteste non violente e altri diritti fondamentali. Il principale estremismo da combattere è quello dell’ignavia, dell’indifferenza, della noncuranza. Abbiamo molto da fare... 

Buone lotte!

Il direttore-Tuttofare


Nel riquadro qui sotto (o a questo link se non lo visualizzate) si trova il video dell’incontro con Carlo Tombola di "The Weapon Watch" a Santa Fede Liberata. La qualità del video purtroppo, dati gli scarsi mezzi di cui siamo attualmente dotati, lascia a desiderare. Tuttavia ci sembra importante avere almeno una “traccia storica” di quanto viene detto negli incontri nei vari spazi liberati cui prendiamo parte (incontri che non hanno nulla da invidiare ai "talk-show" e ai vari programmi televisivi di cui dovremmo essere passivi spettatori). 

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ultima modifica 28/10/2024 09:09

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