22.1.24

LE MERCI NON SI TOCCANO! I CIVILI SÌ…

Parliamo dell’ipocrisia del “dis-ordine” internazionale ragionando sulle azioni di sabotaggio nel Mar Rosso e sull’invio di militari per proteggere le merci invece che le persone.

 

Una nave che porta container

RIDUZIONE DEL TRAFFICO COMMERCIALE MARITTIMO E “RIDUZIONE” DI VITE UMANE

In questi ultimi tre mesi abbiamo assistito a un massacro senza precedenti di civili, medici, operatori sanitari, giornalisti e funzionari delleNazioni Unite a opera dei fascio-sionisti e fanatici messianici israeliani, dopo un atto illegittimo e un eccidio terribile compiuto dalla più conosciuta delle fazioni della resistenza palestinese, Hamas. Quell’atto illegale però non può invalidare la resistenza in toto, anche armata (come abbiamo spiegato tra queste pagine intervistando Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori occupati). 

Gran parte dei potentati occidentali (quelli mediatici inclusi) caldeggiano la “legittima difesa israeliana” che in realtà è “illegittima offesa”, una punizione collettiva di un popolo che vive da decenni sotto una brutale occupazione militare. Ma soprattutto sono interessati a difendere il principale “cliente” della NATO nell’area, Israele per l’appunto, baluardo degli interessi imperialisti occidentali in Medio Oriente.

Negli ultimi mesi i “Partigiani di Dio” filo-iraniani, noti come Houthi, hanno avviato una serie di azioni di sabotaggio contro le navi commerciali che transitano nel Mar Rosso, delle azioni di disturbo che minacciano il transito di merci in una delle principali rotte del commercio globale, quella che passa per il Canale di Suez, con l’intento dichiarato di fermare l’invasione di Gaza. 

I miliziani hanno colpito quasi 30 imbarcazioni che trasportano container con missili, droni e altri velivoli comandati a distanza, dirottando il tragitto di centinaia di navi (secondo alcune stime intorno alle 500 su un totale di 700 che sarebbero dovute transitare lì) e sequestrando la nave “Galaxy Leader” insieme all’equipaggio (che consultando le cronache ci risulta ancora in ostaggio), imbarcazione controllata da un ricco imprenditore israeliano. Il gruppo sciita ha dichiarato che colpirà ogni obiettivo che fa affari con Israele, mentre invece ha garantito che navi russe e cinesi potranno transitare in sicurezza. Probabilmente la Cina, che aveva contribuito al riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, è riuscita a fare pressioni sulla Repubblica Islamica per ottenere il “lasciapassare”, mentre ha invitato l’occidente a non alimentare le tensioni nel Mar Rosso.

Gli Houthi sono un "pezzo" del cosiddetto “Asse della Resistenza” (gli USA lo definiscono l’”Asse del Male”), guidato dall’Iran e di cui fanno parte il regime siriano di Assad, Hezbollah, Hamas e Jihad Islamico Palestinese.

Finora non ci sono vittime “collaterali” tra le fila dei civili sulle imbarcazioni. Invece si contano decine di morti tra i miliziani yemeniti e tra i militari iraniani (secondo gli USA) dopo gli attacchi di Regno Unito e Stati Uniti alle loro postazioni, mentre non si capisce ancora cosa è accaduto a due incursori americani (Navy Seals) che sarebbero scomparsi durante una missione, forse annegati.

La politica del di-sordine internazionale multipolare si mobilita solo se le merci trasportate da navi porta-container, provenienti da Oriente, devono circumnavigare l’Africa arrivando in Spagna, Marocco, Olanda, Belgio ecc. (o anche in Italia, dopo un giro più lungo attraverso lo stretto di Gibilterra), e se quelle provenienti da Occidente devono fare lo stesso percorso inverso. Le implicazioni economiche sono infatti diverse: i prezzi delle assicurazioni si alzano, i tempi e i costi di trasporto aumentano, gli stabilimenti europei di aziende come la Tesla del miliardario Elon Musk si fermano, le merci che hanno una “shelf-life” (data di scadenza) di breve termine rischiano di andare al macero, alcuni porti rischiano di "ingolfarsi", e così via...

Alcuni paesi, e i rispettivi scali marittimi, potranno trarre un vantaggio dalle nuove rotte, mentre altri registreranno delle perdite economiche. Tra i primi ci sono i porti nordeuropei, invece tra chi perde moltissimo c’è sicuramente l’Egitto. Secondo molti lo “shock” che potrà essere provocato sui mercati non sarà importante come quello registrato durante la pandemia del Covid.

Sin dai primi giorni dell’offensiva israeliana molti opinionisti ed esperti suggerivano di inviare delle forze di interposizione militari per imporre un cessate il fuoco ad ambo le parti, per poi idealmente avviare una complicatissima soluzione politica per la questione palestinese, con un governo "transitorio" in rappresentanza del popolo sotto occupazione.

Non considerando le forniture di armamenti inviate allo stato teocratico sionista, le uniche forze militari che sono state inviate nell’area sono quelle a difesa dei “sacri” interessi commerciali, più sacri della vite umane... Per questo lo scorso Dicembre gli USA hanno annunciato l’operazione “Prosperity Guardian”, sostenuta da diversi paesi, Regno Unito in primis.

Nelle ultime ore il Ministro degli esteri Tajani si è detto favorevole a un’altra missione europea (piano ASPIDES), possibilmente in coordinazione con quella succitata guidata dagli USA. Verrebbero sfruttati anche altri mezzi già dispiegati per un’operazione simile, avviata alcuni anni fa su iniziativa della Francia (EMASOH-Agenor). L’intento per il successore di Berlusconi è quello di <<difendere le nostre esportazioni>> con un’azione militare e <<diplomatica>>.

Invece a Gaza si immagina di inviare un altro contingente italiano ma solo ad operazioni israeliani “finite”, solo dopo che il “nemico di comodo” Hamas venga perlomeno decimato. E sempre sostenendo l’”alleato di comodo”, ossia la decrepita Autorità Nazionale Palestinese a guida Fatah, oramai discreditata per la stragrande maggioranza dei palestinesi.

L’invio di una forza di interposizione internazionale per fermare il massacro in atto non è un’opzione da considerare per chi ci governa... Storicamente le “operazioni di pace" si sono rivelate in larga parte fallimentari e dovrebbero passare per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, lo stesso che non è riuscito a imporre un cessate il fuoco per il veto degli USA, provvedimento definito come <<spietato>> da Amnesty International. Esistono  3 tipi di operazioni di pace: quelle di “peace keeping” (letteralmente “mantenimento della pace”), “peace building” (“costruzione della pace”) e “peace enforcement” (imposizione della pace). L’ultimo tipo potrebbe essere anche approvato quando le parti in conflitto non sono d'accordo.

Tuttavia il fatto che di queste operazioni e di queste opzioni se ne parla pochissimo, relativamente al conflitto in corso, è significativo: ci fa comprendere quanto l’umanità intera debba cominciare a concepire un diritto internazionale che possa legittimamente essere chiamato “ordine” internazionale

In più c'è un altro tipo di "sabotaggio economico" e non violento che ognuno di noi può attuare da subito: il boicottaggio economico!

 

L’INSUFFICENZA DEL DIS-ORDINE INTERNAZIONALE

L’Unione Europea e gli Stati Uniti non hanno fatto praticamente nulla per fermare lo sterminio di innocenti inermi, anzi sono complici… Invece il Sudafrica e, paradossalmente, il gruppo sciita e filoiraniano yemenita sono tra i pochissimi che si sono mossi per cercare di fermarlo: il primo con un’azione legale basata anche sugli intenti genocidi manifestati pubblicamente dalla società israeliana nella sua interezza (a partire dai governanti fino ai semplici "cittadini-influencer" che si prendono gioco delle sofferenze dei gazawi sui "social asociali"); il secondo con delle azioni di sabotaggio che probabilmente mirano ad acquisire più prestigio militare e politico, piuttosto che per la mera solidarietà al popolo palestinese. Gli Huthi con queste azioni possono incrementare il consenso “interno” al paese e dimostrare “all’esterno” la loro capacità di destabilizzare l’area. In Yemen è in corso una guerra civile, iniziata dal 2014, considerata da molti come una guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita.

Inoltre bisogna comprendere quali sono i soggetti politici, statali ed economici che, in seguito all’attacco di Hamas, traggono vantaggio dall’interruzione “politicamente forzata” degli "accordi di Abramo". Al centro di questi patti e negoziazioni c'era l’avvicinamento economico e politico di Israele con diversi paesi arabi, Arabia Saudita in primis (tema che abbiamo iniziato ad approcciare in un articolo sulla “vera” ragione della guerra in Palestina e in Ucraina: il debito estero nordamericano e la politica statunitense del friend-shoring).

Le scelte di proteggere gli affari, invece che i civili, ci fanno capire quello che conta davvero nell’attuale sistema socio-economico, il capitalismo: i commerci devono continuare perché questo sistema si basa sulla crescita del volume di affari infinita, sull’estrazione selvaggia di “risorse” da portare avanti con le guerre, in un sistema-pianeta che ha risorse finite, incluse quelle “umane”. Le migliaia di morti non sono nemmeno “danni collaterali”, ma “danni funzionali” all’accaparramento di terre e risorse, alimentando la miliardaria industria mortifera degli armamenti.

 

Il direttore-tuttofare



foto di dendoktoor da Pixabay

ultima modifica 28/01/2024 23:55

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