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Al centro il disegno di una carta di credito e un salvadanaio a forma di maialino (sulle monete sono impressi i simboli di Fanrivista, ossia il cervello e il grimaldello dell'autogestione). In alto la scritta: "OFFERTA LIBERA", in basso "CLICCA QUI PER FARE UN OFFERTA CON PAYPAL".
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DECENTRALIZZIAMO IL POTERE DELL'INFORMAZIONE!

Non c'è libertà senza verità: sostieni il giornalismo indipendente e aiutaci a decentrare e redistribuire il potere dell'informazione!

In questo post spieghiamo perché è utile sostenere media indipendenti come "Fanrivista, La Fanzina Generalista" con una donazione: se non vuoi o non puoi fare una donazione in vile ma necessario denaro, donaci il tuo tempo leggendo, commentando e criticando questo e altri articoli!



Sopra al collage la scritta "DECENTRIAMO IL POTERE DELL'INFORMAZIONE", sotto "SUPPORTA LA STAMPA INDIPENDENTE". Nella parte sinistra ci sono: 4 omini collegati con delle linee a un uomo di affari, vestito in giacca e cravatta e una valigetta 24 ore, situato al centro e che simboleggia un oligopolio o un monopolio. Al posto del suo volto c'è una sfera con vari simboli che richiamano il mondo degli affari, quello dei media e dei social network tradizionali. C'è poi una televisione che mostra un poliziotto con un manganello e due mani alzate; una pila di giornali cartacei; un simbolo di "pericolo" con sfondo giallo all'interno del quale c'è un rubinetto che lava un cervello; un ragazzo che guarda un tablet mentre delle linee celesti e degli strani esserini rossi collegano i suoi occhi e la sua testa con il device. Sullo sfondo diverse banconote in Euro.  A destra si trovano: il "grimaldello dell'autogestione" (uno dei simboli di Fanrivista, un grimaldello che incorpora la "saetta che rompe il cerchio" simbolo dell'autogestione); una mano che impugna una matita, simbolo della libertà di informazione; una rete "decentrata" o "distribuita" con disegni di volti di diverse persone e diversi omini anonimi collegati da linee (alcuni hanno un cervello al posto della testa, altro simbolo di Fanrivista); c'è poi un omino che lavora al Pc con una stampante-scanner vicino e un altro omino che impugna un megafono.  Al centro ci sono una clessidra, un occhio e una mano con delle banconote, con tre frecce che puntano verso il lato destro del collage e tre scritte: "TEMPO", "ATTENZIONE" e "SOLDI (OFFERTA LIBERA ANCHE ZERO EURO)"


LIBERTÀ DI PAROLA NON VUOL DIRE SOLO POTER PARLARE, MA ANCHE POTER ESSERE ASCOLTATI

Il potere politico, quello finanziario e quello mediatico sono concentrati nelle mani di sempre meno persone.

I "social media asociali" e i motori di ricerca, i principali mezzi d'informazione più recenti, sono posseduti da pochissime e potentissime multinazionali (quasi tutte statunitensi), che costituiscono un oligopolio digitale-feudale globalizzato. Tutte e tutti possono scrivere qualcosa online, registrare un video, pubblicare una foto e così via, ma i contenuti più visualizzati saranno sempre quelli di chi è più potente, di chi paga più soldi ai "padroni" del web, di chi produce contenuti funzionali all'accumulazione su cui si basa il nostro sistema socio-economico, indipendentemente dal fatto che quei contenuti servano o meno a cambiare la società in meglio. Il problema è "sostanziale", non "formale": i testi che scriviamo, i video che registriamo, le foto che pubblichiamo saranno effettivamente fruibili solo se degli algoritmi, programmati da umani, li posizioneranno in cima ai risultati di ricerca o in alto nei "feed" delle pagine dei social network. Nel peggiore dei casi quei contenuti, anche se esistono sul web, verranno completamente esclusi e, quindi, di fatto censurati. La libertà di parola e di informazione "formale" non equivale alla libertà di parola "sostanziale". Questo discorso vale per tutti i tipi di libertà garantiti solo "formalmente", solo sulla carta. E vale anche per la rimozione degli ostacoli che danno accesso equo, per tutte e tutti, a quei diritti.

Viviamo nei tempi dell'economia dell'attenzione, ossia nell'era in cui prevalgono quei circuiti commerciali che accumulano e vendono la nostra attenzione nella forma di dati, con il fine principale di offrirci volgare marketing, in una maniera molto più sofisticata della classica pubblicità. Le grandi compagnie "tecnologiche" ci rubano tantissimo tempo e denaro: registrandoci su alcune piattaforme, oppure semplicemente scorrendo i contenuti dei vari "social", produciamo dati, e quindi lavoriamo gratis per queste grandi compagnie senza rendercene conto. In cambio otteniamo dei servizi (come vedere un video, per esempio) che però non sono davvero gratuiti (tra l'altro molti di questi servizi stanno progressivamente diventando a pagamento). In cambio otteniamo anche la possibilità di esprimerci, di veicolare contenuti. Teoricamente e "formalmente" quei contenuti potrebbero arrivare a chiunque. Di fatto, saranno "sostanzialmente" visibili e diffusi solo se rispettano i canoni imposti dagli algoritmi, ovvero le sporche regole stabilite dal "mercato" (o per meglio dire, da chi lo influenza e lo dirige).



LA CENTRALIZZAZIONE DEI MASS-MEDIA "CLASSICI" E L'AUTOCENSURA

Anche i principali mezzi di comunicazione di massa "tradizionali" sono storicamente controllati da pochissimi. Le tecnologie e le leggi per controllarli, così come le tecniche per manipolare l'informazione -e quindi la nostra percezione delle realtà- sono molto più semplici di quelle dei "nuovissimi media". Quelli italiani sono controllati principalmente da 5 compagnie (Gruppo GEDI, Caltagirone Editore, Cairo Communication, Fininvest e Tosinvest). Il servizio pubblico radio-televisivo è da sempre oggetto di "lottizzazione" dei vari partiti, anche se con l'ultimo governo la situazione è ulteriormente peggiorata.


Una cartina geografica del Mondo che classifica, con diversi colori , la situazione della libertà di stampa del Mondo: l'Italia è in arancione chiaro.
Grafico basato sui dati del rapporto di "Reporter Senza Frontiere" del 2024 di NordNordWest da Wikimedia, rilasciato con licenza Creative Commons 3.0 (titolo "Press Freedom 2024").


Nell'ultima classifica sulla libertà di stampa elaborata da Reporter senza frontiere l'Italia è scesa al 46esimo posto, retrocedendo dalla classe dei paesi con "problemi rilevanti" a quella di "situazione difficile", tra gli ultimi classificati in tutta l'UE. L'Italia è uno di quei paesi in cui i centri di potere stanno <<orchestrando un'acquisizione dell'ecosistema mediatico tramite media statali sotto il proprio controllo, o privatamente tramite l'acquisizione da parte di uomini d'affari alleati>>. Il rapporto cita il tentativo da parte di <<un membro della coalizione parlamentare al potere di acquisire l'AGI, la seconda agenzia di stampa>> : si tratta di Antonio Angelucci che punta ad acquisire l'agenzia stampa controllata dall'ENI.

Non è di secondaria importanza ricordare che Angelucci, oggi parlamentare della Lega, viene dalle file di Forza Italia, "siede" in parlamento dal 2008 (è stato assente a più del 99% delle votazioni nell'ultima legislatura e a più del 96% nella scorsa), e controlla due quotidiani da sempre politicamente vicini o appartenuti all'impero politico-mediatico del defunto fondatore di quel partito e area politica (Libero e Il Giornale ), il Presidente del Consiglio con più conflitti di interessi della storia italiana, Silvio Berlusconi, che con le sue televisioni ha contribuito al decadimento culturale di questo pezzo di pianeta che alcuni chiamano "Belpaese".

Nel rapporto si spiega che anche se godiamo di un generale <<clima di libertà>>, permane il problema dell' <<autocensura per conformarsi alla linea editoriale>> delle testate o per evitare problemi legali. Le più importanti criticità sono rappresentate dalla diffamazione punita con il carcere (siamo gli unici in Europa), dalle cosiddette "querele temerarie" (atte a intimorire giornalisti ed editori con richieste di danni economici spropositate e costi legali da sostenere) e dalla "legge bavaglio" (che limita il potere della stampa di ricorrere alle fonti giudiziarie e di fornire informazioni complete e corrette sul perché una persona è indagata).

Oltre a quelli legali ci sono i problemi economici: con la crisi economica del sistema neoliberale-capitalista <<i media sono sempre più dipendenti dai proventi della pubblicità e dai sussidi di stato (...) Il risultato è una crescente precarietà che mette in pericolo il giornalismo, la sua dinamicità e autonomia>>. I giornalisti non possono essere solo ricattati direttamente da criminali o mafiosi, ma dalla stessa struttura economica per via indiretta: per ricevere sussidi e sponsorizzazioni devi compiacere qualcuno, devi scrivere quello che piace a qualcuno, devi raccontare quello che fa salire gli ascolti e non quello che serve alla parte della popolazione più svantaggiata. Non devi raccontare e ricercare la verità, ma devi produrre contenuti che fanno alzare il PIL e il consenso di questo politico o di quella azienda.



LA SOCIETÀ UMANA È BASATA SULLA COMUNICAZIONE: SE QUESTA È FALSATA LO È IL SENSO STESSO DELLA NOSTRA VITA

Se la libertà d'informazione è sottomessa a potentati politico-economici non può esserci né democrazia né libertà. Abbiamo visto che l'informazione non è sottoposta solo a censure "dirette", ma anche "indirette", che si concretizzano troppo spesso nell'autocensura: in entrambi i casi il giornalista non è più "il cane da guardia" del popolo, ma il "cane da salotto" che lecca il sedere del potente di turno. Per fare un esempio concreto: il giornalista non è più quello che denuncia un governo, come quello israeliano, per le palesi e conclamate violazioni del diritto internazionale che conducono alla morte di migliaia di civili innocenti, ma quello che minimizza le azioni di criminali di guerra in nome di una presunta "legittima difesa" -in realtà "furia vendicativa"- di territori illegalmente occupati. I giornalisti si trovano così a difendere crimini commessi anche grazie alle armi comprate con i soldi dei contribuenti italiani, armi che alimenteranno altre guerre e conflitti -e le relative industrie, le quali sono a loro volta collegate con l'industria dei media- invece che trovare una soluzione negoziale (come avvenuto con il boicottaggio del regime di apartheid sudafricano, e come dovrebbe avvenire con il regime di apartheid israeliano).



DIRITTO DI CRONACA, DI CRITICA E REDISTRIBUZIONE DEL POTERE DELL'INFORMAZIONE

Uno dei principali effetti dell'accentramento del potere dei media in poche mani è l'omologazione dei contenuti. In altre parole: ci vengono proposte poche narrazioni degli eventi, e quindi poche percezioni della realtà. Spesso queste narrazioni sono polarizzate: veniamo spinti a "posizionarci" in un polo o in un altro, a decidere se stare da una parte o dall'altra, come se stessimo tifando due squadre di calcio. Tutto quello che c'è in mezzo alle due visioni polarizzanti non viene preso in considerazione. "Consumiamo" le stesse notizie "cucinate" in salse politiche e "target" diversi, e sono quasi sempre le agenzie di stampa a determinare la "notiziabilità" di un fatto, e cioè a dettare cosa merita di salire alla ribalta delle cronache o meno. L'"infosfera" mediatica assomiglia a un'enorme catena di montaggio che sforna "junk news" ("notizie spazzatura") a ciclo continuo, da ingurgitare voracemente e velocemente. Anche per questo è sempre più difficile trovare dei contenuti che spieghino in maniera sufficientemente approfondita in cosa consiste un fatto. Molti avvenimenti e nozioni vengono dati per scontati, spesso descritti con un linguaggio gergale ed ermetico, non facendo capire cosa è successo davvero o qual è il nocciolo di un problema.


Sullo sfondo, scuro, un uomo seduto e piegato nell'angolo a sinistra. Il cielo appare come una sorta di grafico e in alto a sinistra si intravede un pianeta. Al centro la sagomo di un volto: dal cervello partono dei punti che si collegano a un Pc, a sua volta collegato a uno schermo che mostra un cervello, e a una formula chimica. Lo schermo è a sua volta collegato a un altro schermo, dove si nota un cubo e tre siringhe iniettato i colori blu, verde e rosso. Lo schermo è collegato a un altro macchinario che stampa su un lungo nastro cartaceo la scritta (molto piccola): "Information Overload - Net Compulsions - Cybersexual addiction - Cyberrelationship addiction - Computer addiction". Una parte della sagoma del volto appare come una collina, su cui si "adagiano" caoticamente diversi elementi che richiamano il web (tra i quali una pagina di un vecchio browser, la barra di un desktop, i simboli del browser Chrome, di Twitter e di una mail). Sulla parte destra della sagomo del volto c'è quello che sembra un cielo stellato, ma al posto delle stelle ci sono tanti numeri (in stile "Matrix") fucsia.
Una rappresentazione dell'infosfera da Wikimedia, intitolata "Infosphäre 3" di "Matthias A. K. Zimmermann, Schweiz/Switzerland" rilasciata con licenza Creative Commons.


Molte volte il cronista o la cronista non hanno lo spazio per esprimere le proprie opinioni. Alcuni pensano che così facendo si riesce a mantenere un certo grado di neutralità e obiettività. Secondo chi scrive questa è una grande menzogna! Per esempio, quando in un servizio del telegiornale un cronista porge il microfono a un politico che fa un monologo, il giornalista si sta mantenendo neutrale ma la notizia riportata (la dichiarazione del politico) non lo sarà: verrà espresso un solo punto di vista, quello del politico, senza contraddittorio.

Chi fa informazione ha il dovere di esercitare non solo il diritto di cronaca, ma anche il diritto di critica, che dovrebbe essere il "sale" della democrazia. Se non viene esercitato il diritto di critica diveniamo spettatori passivi esposti al lavaggio del cervello di chi ha più potere. Così non siamo più cittadini di una democrazia, ma sudditi in una "democratura". In altre parole: quando non si esprimono delle opinioni c'è solo una proverbiale "campana" che diffonde la sua versione dei fatti, mentre "l'altra campana" viene esclusa. Inoltre, anche la stessa selezione di una specifica notizia, mentre si decide di scartarne un'altra, quasi sempre riflette opinioni e pregiudizi di chi le produce. Così come vengono riflessi dalla maniera in cui viene presentata quella notizia, enfatizzandone alcuni aspetti o escludendone altri.

Chi legge o ascolta una notizia, conoscendo il punto di vista e le opinioni di chi la presenta, potrà avere una visione davvero completa di come viene rappresentata, potrà sviluppare una sua opinione critica o meno, e ci si avvicinerà maggiormente a neutralità e obiettività.

Lo sforzo comunicativo che facciamo tra queste pagine digitali è quello di fare giornalismo in maniera "artigianale", puntando sulla spiegazione di eventi nella maniera più semplice e al contempo approfondita. E quando spieghiamo degli eventi esprimiamo anche delle opinioni, separate dai "fatti". Cerchiamo di esercitare al meglio sia il diritto di cronaca che quello di critica, con la massima trasparenza, onestà intellettuale e rispetto per le opinioni diverse.

La diversità di opinioni e narrazioni deve essere vista come un valore, come quello della biodiversità in natura. Per questo servono opinioni e narrazioni diverse, e anche per questo è nata "Fanrivista, La Fanzina Generalista": per il bisogno di decentrare il potere dell'informazione e redistribuirlo verso "il basso", per fare informazione "dal basso", per inserire una voce diversa nel panorama mediatico italiano e globale. E di voci così ne servono tante!

Qualcuno di voi potrebbe pensare che questa testata sia l’ennesima webzine di controinformazione (o per meglio dire di "informazione alternativa"), di matrice “anarcoide”, o più genericamente “di sinistra”, che finirà per alimentare l’overloading informativo e la frammentazione all’interno dell’editoria alternativa. Anche se questi rischi restano concreti, non è assolutamente un male l’esistenza di tante “nicchie” informative che garantiscono il pluralismo dell’informazione e che invece di accentrare il potere della stampa tendono a diffonderlo più equamente … Tuttavia queste “nicchie” dovrebbero collaborare e "fare rete" tra loro, ricercando l’unione nella diversità per contrastare i grandi oligopoli editoriali. È infatti fondamentale cercare di evitare il rischio di auto-isolarsi e rinchiudersi in una "nicchia-ghetto" alternativa: per questo devono essere combattute le tendenze settarie e personalistiche, migliorando non solo la capacità di produrre contenuti ma anche quella di ascoltarsi a vicenda, espandendo le possibilità di confronto e di processi dialettici.



IL GIORNALISMO AUTOPRODOTTO DI FANRIVISTA

L'obiettivo principale del progetto de "La Fanzina Generalista", evidenziato già dal titolo, consiste nell'unire il mondo dell'"autonomous publishing" (autoproduzioni editoriali in rottura con le dinamiche di mercato e algoritmiche) con il giornalismo, l'attualità a 360 gradi e, quindi, con la stampa generalista. È una testata "publishing fluid" con un raggio di azione ampio, volutamente indefinito: è un po' fanzina, un po' blog e un po' rivista generalista...

Questa testata rappresenta perciò una "palestra" autogestita di giornalismo sperimentale e scrittura autoprodotta in cui "allenarsi" e auto-formarsi senza i condizionamenti tipici degli organi di stampa che vanno per la maggiore. Tra queste pagine impalpabili puntiamo a creare articoli "a lunga conservazione", ossia contenuti di approfondimento utili da leggere anche molto tempo dopo la pubblicazione, invece che articoli da "consumare" in fretta come il cibo spazzatura. I contenuti pubblicati tra queste pagine digitali puntano a divulgare notizie non "coperte" da altri media e a veicolare punti di vista differenti su avvenimenti che salgono agli onori -o ai disonori- delle cronache.

Un'altra caratteristica di Fanrivista è lo sforzo di analisi metamediale: è un mezzo di informazione che cerca di analizzare come funzionano altri media. Anche in questa maniera si cerca di mutare e contrastare "dall'interno" le distorsioni dei mezzi di informazione dominanti. Seguendo lo spirito libertario delle radio libere e inserendoci nella tradizione delle fanzines autoprodotte dimostriamo che un giornalismo alternativo non solo è possibile, ma anche necessario. Per sovvertire dall'interno il sistema informativo sono stati accettati alcuni compromessi "burocratici", come la registrazione in tribunale della testata. Lo scopo, però, non è sfidare sul piano economico i grandi conglomerati dell'informazione. Non si cerca di raggiungere il più alto numero di lettrici, lettori o lettor* possibili, compromettendo l'originalità e l'indipendenza dei contenuti. Si punta invece a cercare di costruire relazioni concrete anche solo con poche persone, di costruire qualcosa di realistico con loro... Qualcosa come una discussione, un nuovo articolo, oppure la visione di una società diversa. Il fine ultimo è stimolare delle azioni concrete: non basta criticare ciò che non va bene, ma serve immaginare soluzioni e atti concreti per arrivare a una società rinnovata, per ideare e realizzare un sistema socio-economico alternativo a quello capitalista, fondato sull'accumulazione di risorse economiche infinita in un sistema-pianeta finito, sullo sfruttamento e sulla disuguaglianza.



LA MIA ESPERIENZA DA EDITORE-DIRETTORE-GIORNALISTA PRECARIO E LA FONDAZIONE DE "LA FANZINA GENERALISTA"

Chi scrive queste righe si chiama Paolo, detto "Lo Skietto", e ostinatamente cerca di cambiare in meglio sé stesso e il cosmo. Sono un giornalista indipendente e precario dal 2012, e ho iniziato il percorso per diventare giornalista pubblicista da adolescente. Dal 2022 porto avanti il progetto di "Fanrivista, La Fanzina Generalista". Sono anche l'editore precario e "puro" della testata (gli "editori impuri" sono quelli che svolgono attività economiche e hanno interessi in campi diversi da quello editoriale).

Ho una laurea in "Editoria e Scrittura" e ho svolto i lavori più disparati per sopravvivere, dall'operaio in fabbrica al segretario passando per il lavapiatti. La maggiorparte di offerte di collaborazioni che ho trovato nell'ambito giornalistico erano gratuite o "a pagamento irrisorio" (in un caso l'azienda per la quale ho collaborato è fallita e non sono stato pagato per gli ultimi pezzi che avevo pubblicato). In un altro caso, solo per citare un esempio, mi è stato chiesto di scrivere di gossip... A quel punto ho compreso che l'auto-produzione era la migliore soluzione: invece di ricevere -forse- pochi euro a settimana, alla condizione di raggiungere migliaia di visualizzazioni ad articolo, con il rischio di compromettere la mia indipendenza anche solo nel processo di selezione delle notizie, lavorando come uno schiavo digitale per guadagnare cifre inferiori a quelle che servono per una vita dignitosa o anche solo a sopravvivere economicamente, ho pensato che era meglio investire il frutto dei lavori precari e le mie energie professionali in un progetto di giornalismo indipendente.

Tuttavia, resta un problema comune a progetti di militanza e attivismo affini a Fanrivista (sia editoriali che non): quello della sopravvivenza economica. Esistono due grandi rischi per tutte le attività "alternative" al mainstream (non solo editoriali): il primo è quello di sparire, il secondo è quello di essere fagocitati dal "mercato", anche solo dalle sue logiche.



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Senza contare il mio auto-sfruttamento quotidiano per assicurare fino a quattro aggiornamenti settimanali del sito, ho speso circa 1500 euro in più di 2 anni di attività tra costi di registrazione della testata, costi di manutenzione del sito, apertura di Partita IVA e di un conto dedicato per retribuire collaboratrici e collaboratori.

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I grandi giornali, gli organi di stampa che vanno per la maggiore, e quelli più piccoli che seguono le loro orme, hanno a disposizione tantissime risorse, sia pubbliche (le nostre tasse!) sia private (risorse di chi ha interesse a manipolare l'informazione). Nonostante tutti i soldi che hanno a disposizione spesso divulgano notizie errate, fake-news più o meno intenzionali, narrazioni polarizzanti che rendono il dibattito su problemi pubblici e politici come il tifo allo stadio, e sfruttano anche i lavoratori dei media. Sempre più spesso ci bombardano con notizie futili, gossip, titoli clickbait per articoli che ci fanno sprecare solo tempo, e così via. Invece, testate come Fanrivista, con molti meno fondi riescono a offrire un servizio informativo in grado di competere con gli altri in quanto ad accuratezza e ad approfondimento delle notizie.

Donazioni a questo o ad altri progetti di "informazione alternativa" sono sicuramente utili, ma da sole non bastano... C'è bisogno anche di altro: serve un impegno quotidiano nel contrastare la de-politicizzazione della società, serve comprendere che la parola "politica" non è brutta e non si declina solo in senso partitico, serve un impegno nelle piccole e grandi battaglie locali e globali. Nello specifico contesto dei media, serve una cosa ancora più importante: cominciare a boicottare i grandi apparati mediali, non sprecare il nostro tempo a "scorrere" o produrre contenuti frivoli, studiati per creare dipendenza e per vendere più pubblicità. Come detto all'inizio, inoltre, quei contenuti non sono mai veramente gratuiti, dato che il tempo che passiamo sui social, la nostra attenzione e i dati che produciamo rappresentano il "nuovo petrolio", i preziosissimi dati.

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Paolo Maria Addabbo AKA il direttore-Tuttofare  17/08/2024

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