ISRAELIANI, EBREI ED EX SIONISTI CONTRO SIONISMO E COLONIZZAZIONE PER UNA PALESTINA LIBERA
Abbiamo cominciato a lavorare a questo lungo articolo (che si è trasformato in un saggio informale da leggere con calma) prima dell’attacco partito dalla Striscia di Gaza, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur...
Le accuse a chi critica lo stato di Israele e a chi prova a metterne in dubbio le sue caratteristiche democratiche vanno avanti da decenni, insieme alle politiche colonialiste dello stato ebraico che non rispettano il diritto internazionale. La principale accusa strumentale mossa a chiunque osi mettere in discussione la legittimità delle politiche e dei confini attuali dello stato di Israele, e che si sta rafforzando dopo l’attacco sferrato da Hamas, è quella di essere anti-semita e di aver dimenticato gli orrori dell’Olocausto.
Partiamo chiarendo da subito la posizione di chi scrive in merito ai circa 50 giorni di “punizione collettiva” dei gazawi (crediamo sia sempre utile esprimerla e separarla dai fatti, e se avete il piacere di esprimerne di diverse tra queste righe, o di segnalarci altri articoli e contenuti, non avete che da contattarci via mail o qui sotto nei commenti, e sarà nostro dovere riportarle e un piacere confrontarci) espressa in estrema sintesi: l’ “ultimissima” parte del conflitto all’interno dei territori palestinesi illegalmente occupati vede come principali protagonisti due “destre”, due estremismi e due fondamentalismi religiosi sostenuti da altre avverse potenze (USA e Iran in primis): da una parte quello fanatico-sionista di Israele e dall’altra quello del nazionalismo-islamico di Hamas. La differenza dello stato etno-centrico ebraico, oltre alla sproporzione di forza, risiede nell’avere un’entità statale (quella sionista-occupante e presunta sola “democrazia-liberale-liberista” del Medio Oriente) che occupa e colonizza illegalmente dei territori con un esercito “regolare”(oltre alle milizie paramilitari dei cosiddetti coloni). Per questo, a maggior ragione, dovrebbe rispettare il diritto internazionale, ma ciò non avviene da vari decenni e anzi: dopo aver favorito Hamas per mettere una pietra tombale su qualunque prospettiva di uno stato palestinese (non avendo nessuno con cui “trattare” ufficialmente) sta cogliendo l’occasione per attuare una nuova “Nakba”, la “Catastrofe” del ‘48, l’inizio della contemporanea politica dagli intenti genocidi nei confronti dei palestinesi.
Questo “saggio-articolo” nasce con l’intento principale di smontare le accuse di anti-semitismo mosse a chiunque critichi Israele, perfino agli stessi israeliani ed ebrei: “disinnescare” questo genere di critiche è diventato più arduo dopo le azioni dei fondamentalisti islamici, e in particolare quelle dirette a obiettivi non militari, che sono ovviamente da condannare in quanto crimini di guerra... Il problema però è che i crimini di guerra commessi negli ultimi decenni da Israele, e in particolare dagli estremisti sionisti-colonialisti, vengono ignorati dalla stampa mainstream, impegnata come al solito ad alimentare la narrazione fantoccio dei “buoni occidentali democratici giudaico-cristiani” contro i “cattivi terroristi”, quasi sempre musulmani, oltre a tralasciare le cause materiali e “materialiste” alla base delle guerre.
Quasi nessuno si indigna quando, quotidianamente, l’esercito israeliano (così come altri apparati militari del mondo “civilizzato”) insieme ai coloni (di fatto delle milizie paramilitari supportate dalle forze di difesa israeliane “ufficiali”) commettono indicibili abusi, perfino con l’avallo di leggi palesemente illegali e incivili (si pensi alle varie torture commesse in regime di detenzione amministrative agli “ostaggi” palestinesi israeliani da anni, ai permessi per costruire insediamenti garantiti solo ai coloni, agli spossessamenti forzati di terre, colture, costruzioni, risorse idriche e così via), sistematicamente ignorati dalla quasi totalità di politici e degli apparati mediatici.
Quasi nessuno prova a spiegare come vivono effettivamente i palestinesi, come viene irrimediabilmente limitata la loro libertà di movimento, di proprietà, di accesso a strutture sanitarie e scuole, di come vengono rinchiusi (non solo con gli arresti arbitrari) e uccisi, di come delle famiglie vengono separate da recinzioni automatizzate con meccanismi di riconoscimento facciale, di persone che non possono tornare “a casa” pur avendone il pieno diritto, di persone nate e cresciute in campi profughi che non riescono nemmeno a concepire cosa significhi viveri al di fuori di esso, del senso di claustrofobia, letterale e metaforico, che non può far altro che alimentare i fondamentalismi e la lotta armata (conflitto armato che, tra l’altro, è legittimo di fronte a un occupazione illegale anche secondo il diritto internazionale, anche se il diritto alla difesa non dovrebbe mai coinvolgere civili se non come funesti “danni collaterali”, e nonostante questa constatazione sia dolorosa per qualunque vita spezzata, al di là del fatto che indossi una divisa o meno)... Anzi, se qualcuno prova a fare delle critiche a Israele, anche “minime”, viene perfino tacciato di essere anti-semita e complice dei “terroristi”, il che è linguisticamente paradossale: sono gli israeliani guerra-fondai, nazionalisti e colonialisti, a essere anti-semiti perché anche i palestinesi fanno parte delle popolazioni semitiche, anche se il termine anti-semitismo viene usato in chiave anti-ebraica per la prima volta nella Germania di metà ‘800.
E mentre la maggioranza dei principali media mainstream si scaglia contro i presunti -e talvolta purtroppo veri- antisemiti, all’opposto si fa sempre più largo anche l’islamofobia, un sentimento di cui avere paura e da contrastare tanto quanto l’anti-semitismo, insieme al linguaggio genocida che disumanizza la popolazione palestinese.
Iniziamo da tre stralci di interventi, diffusi tramite dei brevi video, che meriterebbero di diventare virali, di salire alla ribalta delle cronache, di risalire i risultati nei “feed” dei vari social network che invece tendono a identificare come “contenuti sospetti” qualunque critica a Israele penalizzandola o bannandola (e che per questo vi invitiamo a ri-postarli e a schiacciare su “mi piace”, anche se non ci piace vedere immagini, o sentire parole molto forti che però non possiamo ignorare).
Questi primi tre estratti di interventi hanno il merito di sintetizzare efficacemente e in pochissime battute le ingiustizie e le inconsistenze dell’ideale fanatico-sionista, e i danni che esso crea alle diverse comunità nelle terre di Palestina e nel Mondo intero, a cominciare da quelle arabe ed ebraiche: ci riferiamo al rabbino americano “ultra-ortodosso” e anti-sionista Yisroel Dovid Weiss, all’avvocata israelo-americana specializzata in diritti umani Sari Bashi di “Human Rights Watch” e “Gisha”, e a Ruth Ben-Artzi, professoressa di scienze politiche negli USA e nipote di Sara e Benjamin Netanyahu, rispettivamente la “first lady” e il presidente di Israele da cui ha preso le distanze parlando di una deriva “fascista” dello stato di Israele.
Passiamo poi alle parole del medico e oratore Gabor Maté, classe 1944, dopo essere sopravvissuto all’Olocausto era diventato, da giovane, un sostenitore dell’ideale sionista di una “terra promessa”, mosso da una naturale ricerca di protezione per il suo popolo, prima di rendersi conto delle atrocità che venivano commesse nei territori occupati dopo averli visitati.
CONTRO L’ETNO-TEOCRAZIA ISRAELIANA O CONTRO GLI EBREI?!
Foto a sinistra di "Carolmooredc" rilasciata con licenza creative commons: sul cartello del rabbino si legge: "<I rabbini autentici si sono sempre opposti al sionismo e allo stato di Israele>" |