MIGRAZIONI, SOCCORSI IN MARE E NETWORK SOLIDALI: LA SOLIDARIETÀ NON È UN REATO!
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Immagine di Ralphs Photos da Pixabay |
Nelle scorse ore è
passato in Senato il “decreto Ong” che ostacola (se non addirittura impedisce) le normali operazioni delle
organizzazioni umanitarie che si occupano di ricerca e soccorso nella rotta
migratoria più mortifera del pianeta, quella mediterranea.
In un post pubblicato
nelle scorse ore abbiamo affrontato il tema, ripercorrendo alcune tappe della
storia legislativa della criminalizzazione
della solidarietà. Lo abbiamo fatto partendo da alcuni spunti di
riflessione emersi in un incontro che si è tenuto il 16 Febbraio presso
il centro sociale napoletano Ex Opg, dal titolo “La solidarietà non è un reato”.
Nelle prossime righe
parliamo degli stessi argomenti ma da una prospettiva più ampia, riportando i
preziosi spunti di riflessione che emergono dalle parole di Moussa Abdoul Aziz Diakité, Abdel El Mir del Movimento
Migranti e Rifugiati di Napoli (MMRN) e di Laura Marmorale di Mediterranea Saving Humans. Era presente anche Sacha Girke della crew di Iuventa, che ha condiviso il suo punto di vista antitetico a quello che emergerebbe nella ricostruzione giudiziaria che lo coinvolge, basata sull'infondata tesi del "pull factor" e dei "tassisti del mare", tesi ampiamente pubblicizzata da ricostruzioni di diversi "giornaloni" sempre garantisti con i padroni e implacabili castigatori verso chi ha il delicato e cruciale compito di salvare vite in mare.
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Uno screenshot della diretta Facebook: qui il link |
SCAFISTI PER NECESSITÀ E RETI DI SOLIDARIETÀ INFORMALI:
CRIMINALIZZAZIONE DELLA MIGRAZIONE E DELLA SOLIDARIETÀ
L’inizio della criminalizzazione della migrazione può essere tracciato nel momento in cui gli Stati (e quindi sia i governi sia la cittadinanza) si arrogano il diritto di decidere chi è titolato a varcare un confine e chi no, chi è “fortunato” a essere nato in una parte di pianeta che per secoli ha saccheggiato altre parti da cui molti tentano di fuggire (presumibilmente a malincuore), e chi “eccezionalmente” e sempre in funzione del “mercato del lavoro” (nelle forme dello sfruttamento legale o illegale) può accedervi per ingrossare le fila della cosiddetta “manodopera di riserva” che a sua volta potrà essere ulteriormente criminalizzata quando verrà affidata nelle mani del welfare e del sistema sociale mafioso, offrendo loro delle possibilità che dovrebbero essere invece garantite dai paesi che mirano a definirsi “civili”; o magari quando in quegli stessi Stati ci saranno dei sistemi di accoglienza che invece di “accogliere” serviranno a “spremere” i migranti, oppure a non accoglierli proprio condannandoli a una vita in strada.
La criminalizzazione poi continua verso chi non è stato giudicato “titolato” e adatto agli standard darwiniani-sociali e che, non avendo i mezzi formalmente legali di spostarsi (anche nei casi in cui si avrebbe il diritto formale di chiedere la protezione umanitaria) e costretto dal “proibizionismo delle migrazioni” ad affidarsi a spietati trafficanti, i quali a loro volta vengono sostenuti –quantomeno indirettamente- da quegli stessi Stati che negano loro l’ingresso: dovranno affrontare le intemperie delle roventi aree desertiche in Africa o in Centro America, le avversità delle acque del Mediterraneo o delle gelide zone montuose europee; dopo essere stati sfruttati come schiavi e aver subito indicibili peripezie, anche per anni, viaggeranno su gommoni di fortuna, stipati in container come merci o agganciati con cavi di fortuna sotto dei camion: i più "forti" e "fortunati" arriveranno a destinazione, altri periranno, altri ancora verranno rispediti indietro e ricominceranno daccapo il circolo vizioso...
La criminalizzazione viene poi diretta anche verso chi prova a offrire solidarietà a quegli esseri umani, che non sono solo le organizzazioni umanitarie e i “bianchi”.