DALLE
VENDETTE DI STATO AI CRIMINI PUNIBILI E NON PUNIBILI ( parte 1)
La scorsa settimana abbiamo parlato del caso di Alfredo Cospito, anarchico insurrezionalista ristretto al 41 Bis e che rischia l’ergastolo oltre alla sua vita: ha intrapreso uno sciopero della fame da circa tre mesi e ha perso circa 40 chili, dunque non ha più la cosiddetta “massa grassa”. Ha anche rifiutato l’eventuale ricorso all’alimentazione forzata.
In un primo articolo abbiamo parlato in dettaglio delle vicende giudiziarie che lo riguardano, delle ragioni per cui è ristretto al 41 bis e rischia l'ergastolo ostativo, oltre ad altri fatti relativi alla sigla anarco-insurrezionalista FAI-FRI (ragioni "tecniche" che comunque riportiamo in maniera più sintetica nelle prossime righe).
In un secondo post raccoglievamo gli appelli scritti e firmati da decine di avvocati, giuristi, politici e diversi attori della società civile.
Nelle righe che seguono Anarco-Pacifista, autore del citato articolo di cronaca giudiziaria, spiega le ragioni per cui “sta con Cospito” (dal punto di vista umano) riportando diverse considerazioni su 41 Bis ed ergastolo non riducibile (detto anche “ostativo”): c’è un principio della linea editoriale di FanRivista che consiste nell’esprimere le proprie opinioni e di separarle dai fatti, “schierandosi”. In questo modo chi legge può valutare con maggiore oggettività le intenzioni di chi scrive, giudicando con più obiettività l’operato di chi ha creato il contenuto ed esaminando una serie di questioni come la stessa selezione di alcune notizie e argomenti a scapito di altri.
Nella seconda parte di questo scritto, di imminente pubblicazione, Anarco-Pacifista spiega perché “non sta con Cospito” (dal punto di vista politico, dato che si definisce un libertario con posizioni opposte a quelle dell’anarco-insurrezionalismo in merito all'uso e all'abuso della violenza).
LA VICENDA PROCESSUALE DI COSPITO IN ESTREMA SINTESI
Alfredo Cospito è stato condannato per “strage politica” (il reato più grave dell’ordinamento italiano, imputazione che non è stata mossa in altre sanguinose vicende della storia repubblicana, come le stragi di via d’Amelio e di Capaci inquadrate nella cornice legale della “strage comune”) per aver posizionato, insieme alla sua compagna Anna Beniamino, due ordigni davanti alla caserma allievi carabinieri di Fossano nel 2006.
Secondo l’accusa il primo ordigno serviva ad “attirare l’attenzione” delle autorità, la seconda esplosione invece avrebbe fatto i danni “veri e propri” colpendo le persone che sarebbero dovute giungere sul posto.
A differenza di quanto avverrebbe per la strage “comune” (art. 422 C.P.) per il fatto che la vita delle persone è stata messa in pericolo, e anche se non ci sono stati né morti né feriti, data la finalità eversiva rischia l’ergastolo che diverrebbe “ostativo” se Cospito non collaborasse con le autorità (collaborazione per diverse ragioni, esposte nell’altro post, che sembra teoricamente e materialmente impossibile).
La Corte Costituzionale dovrà decidere se nel suo caso la pena potrà essere rideterminata concedendogli l’attenuante delle lieve entità del fatto.
La difesa aveva ammesso che la vita di un indeterminato numero di persone è stata messa certamente in pericolo, ma non la sicurezza dello Stato. Cospito non ha rivendicato la paternità dell’attentato, ma ha comunque affermato che si trattava solo di esplosioni “dimostrative”. Ha invece rivendicato <<per una questione di orgoglio anarchico>> la gambizzazione di Roberto Adinolfi, AD di Ansaldo Nucleare, per cui sta scontando una pena di 10 anni e 8 mesi.
Quest’ultimo attentato, così come altre decine di atti analoghi avvenuti a partire dagli inizi degli anni 2000, sono stati rivendicati dalla sigla insurrezionalista “FAI”, acronimo di Federazione Anarchica Informale.
Cospito è stato ritenuto da alcuni come “ideatore” e “leader” di questa corrente dell’anarchismo insurrezionale, tendenzialmente spontaneista e individualista-nichilista (e quindi, per definizione, teoreticamente senza leader).
Negli ultimi anni ha continuato a produrre pubblicazioni tramite rapporti epistolari con la sua area politica di appartenenza: secondo la DDA Torinese, la Direzione Nazionale Antimafia e l’allora ministra Cartabia quegli scritti potevano servire a individuare concreti obiettivi da attaccare, incitando potenziali terroristi.Per questo lo scorso Maggio è stato ristretto al 41 Bis, il regime detentivo noto anche come “carcere duro”, utilizzato solitamente per impedire i contatti tra i reclusi appartenenti alle mafie con l’esterno. Contro questo provvedimento l’anarchico insurrezionalista ha intrapreso uno sciopero della fame (per la terza volta nella sua vita) con il rischio di perdere la vita.
Inoltre il suo legale, in un’istanza presentata al nuovo guardasigilli Nordio, spiega che in una sentenza recentemente emessa per altri fatti riguardanti la FAI si afferma che <<non vi è alcuna associazione anarchica di cui Cospito sarebbe l’ispiratore>>. Inoltre l'avvocato ha sostenuto che la pubblicazione della sua corrispondenza era, per l’appunto, pubblica, e quindi sarebbe stato sufficiente un controllo più serrato dei suoi scritti oppure, eventualmente, la contestazione di reati “a mezzo stampa-informale”.
PERCHÉ STO CON COSPITO E CON ALTR# UMAN#: CONSIDERAZIONI SU 41 BIS ED ERGASTOLO OSTATIVO
Luigi Manconi , politico del PD, presidente di A buondiritto e autore di Abolire il carcere ha spiegato a Dicembre al programma radiofonico Forrest che i principi dello stato di diritto vanno garantiti anche se qualcuno “non ci è simpatico”, partendo dalla presunzione di innocenza fino ad arrivare al divieto della pena di concretizzarsi in un trattamento disumano.
La “pena”, come stabilisce l’articolo 27 della Costituzione, dovrebbe invece tendere alla rieducazione e al reinserimento del condannato nella società. Tutti questi principi, spiega Manconi, sono troppo spesso mortificati <<dalla pratica concreta del nostro sistema penitenziario>>.
Parlando nel dettaglio della condanna per strage dell’anarco-insurrezionalista, ricorda che <<questo attentato dinamitardo è stato qualificato dalla Corte di Casszione come strage contro la personalità dello stato, potenzialmente punito con ergastolo. Ma questa strage non ha avuto effetti che siamo soliti attribuire alla strage: non ha provocato danni, feriti o morti. Viene trattato quasi come se fosse l’autore della strage di Capaci. È stato responsabile di un fatto certamente gravissimo, ma non ha avuto le conseguenze che qualificano le stragi. Perché allora dargli addirittura l’ergastolo ostativo? L’ergastolo che impedisce di avere i benefici penitenziari, che impedisce dopo 30 anni di carcere di poter accedere alla liberazione condizionale? Garantismo significa anche “principio di proporzionalità”, e cioè l’entità di danno e pena devono coincidere>>. Per questo, anche chi scrive, ritiene che nel caso specifico ci troviamo di fronte a <<una pena abnorme per un danno che non è abnorme>>.
Riguardo ai contatti con la rete di anarchici ricorda che <<non gli viene contestato il ruolo di coordinatore. Tanto è vero che quando si trovava in alta sicurezza -cioè un regime di alto controllo- ha potuto per anni contribuire al dibattito della sua area politica, scrivere articoli, inviare lettere, collaborare alla redazione di libri, saggi. La sua attività, minuziosamente vigilata, non è stata mai configurata come quella di dirigere la criminalità esterna, o di coordinamento con i suoi compagni di lotta, non veniva qualificata come organizzazione di futuri crimini, ma qualificata come lecita attività di dibattito politico, per quanto estremista e correlata a idee che noi non condividiamo in alcun modo e che fieramente rifiutiamo>>.
Non dobbiamo poi dimenticare le limitazioni psicofisiche, che configurano una sorta di “vendetta di stato”, e che si concretizzano anche in una vera e propria deprivazione sensoriale: <<Non si capisce perché improvvisamente questa condizione è stata così pesantemente sottoposta pesantemente a limiti, al punto che tutta la sua corrispondenza viene trattenuta e non consegnata; la sua socialità è limitata conversazioni con un solo detenuto; la sua ora d’aria è limitata all’interno di un cubicolo con alti muri la cui sola visione dell’esterno è limitata a un quadrato sul soffitto con un’inferriata che consente di vedere appena il colore del cielo. Stiamo parlando di una carcerazione estremamente afflittiva>>.
Precisa poi che il “carcere duro” è un’espressione fuorviante, dato che la sola finalità del 41 Bis dovrebbe essere quella di impedire i contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza, e che le restrizioni come il numero limitato di quaderni, oppure impedire attività all’interno della cella come il dipingere, impedire il contatto con parenti di minore di età e <<tutte le altre limitazioni, afflizioni, interdizioni che non corrispondono a quella finalità, sono dunque strumenti per rendere pesantemente violenta e afflittiva quella pena. Sono extralegali, sono illegali (…) tutto ciò si configura come un trattamento tendenzialmente inumano, illegale>> e incostituzionale.
Analoghe considerazioni sono state espresse in proposito dal presidente dell’ANPI, Gianfranco Pagliarulo, quando ha spiegato in una lettera inviata a Il Manifesto le ragioni dell’adesione a uno degli appelli in favore del condannato: dopo aver espresso l’ovvio <<ripudio di qualsiasi atto di terrorismo e la critica senza appello a chiunque lo pratichi>> afferma l’altrettanto <<palese sproporzione tra i reati da lui commessi, il regime di pena che sta scontando, cioè il 41bis, il rischio della condanna all'ergastolo ostativo. La Costituzione va senz'altro interpretata, ma non si può non ricordare - in particolare nel caso di reati non di natura mafiosa e senza esiti letali per la vita umana – l'art. 27, ove recita che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Né si può negare la pesante discrepanza fra la situazione di Alfredo Cospito e le pene comminate a responsabili di reati ben più gravi. È giusta una giustizia che alterna senza criterio rigore e lassismo? È giusta una giustizia non equilibrata? Non posso non notare, per esempio, la consapevole inattuazione negli ultimi vent'anni della Legge Scelba del 1952 che prevede tra l'altro lo scioglimento delle organizzazioni fasciste (...) persino a fronte di episodi di gravità inconfutabile e di cui sono accertati i responsabili, come l'assalto e la devastazione della sede nazionale della CGIL avvenuti il 9 ottobre 2021, quando la Procura non ha contestato agli imputati i reati di apologia previsti dal combinato disposto delle leggi Scelba-Mancino. Leggo inoltre che nel solo 2022 nelle carceri italiane si sono registrati 83 suicidi, ove è lo Stato l'unico responsabile della custodia e perciò della tutela del detenuto. Mi colpisce, infine, il silenzio da parte delle autorità davanti al processo di consapevole autodistruzione intrapreso da Alfredo Cospito con lo sciopero della fame. L'esistenza di quest'uomo è appesa a un filo, e ciò ci interroga sui temi delle condizioni dell'universo carcerario, della giustizia giusta, dei valori costituzionali della dignità della persona e della vita umana. Vedo in filigrana un punto di debolezza dello Stato, laddove l'umanità del trattamento penitenziario è un elemento di forza della democrazia>>.
OPINIONE PUBBLICA POLARIZZATA: BUTTARE VIA LA CHIAVE O ESSERE GARANTISTI
I temi del regime
differenziato del 41 bis e dell’ergastolo
(non solo quello ostativo, che
impedisce di accedere a una serie di benefici, come la liberazione condizionale
dopo aver scontato almeno 30 anni se non si “collabora” oppure, come previsto
dall’ultimo intervento legislativo in materia, il decreto legge 162 del 2022,
se non si rispettano una serie di criteri) polarizzano molto l’opinione
pubblica.
A un estremo si collocano le persone che concepiscono la pena detentiva come una “vendetta”, una mera “punizione” che funga da esempio: sono le persone che seguono la logica brutale dello “sbattere qualcuno in cella e gettare via la chiave”, logica che secondo chi scrive va per la maggiore anche in merito a reati comuni (la cui radice è da individuare principalmente, ma non esclusivamente, nelle diseguaglianze socio-economiche). Vicina a questa posizione è quella di chi considera l’ergastolo ostativo e il regime differenziato del “carcere duro” come degli strumenti essenziali per combattere le mafie e le organizzazioni terroristiche (oltre a fenomeni eversivi mafiosi e politici il 41 bis è previsto anche per altri reati come il traffico di tabacchi e stupefacenti, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento della prostituzione e la diffusione di materiali pedopornografici) e a tutelare le autorità inquirenti che potrebbero essere in pericolo se ci fossero criminali a piede libero o in un regime detentivo che lascerebbe loro un certo margine di libertà per operare da dentro le mura carcerarie.
All’estremo opposto si colloca chi è maggiormente garantista, chi crede che lo Stato non deve essere disumano con chi ha compiuto atti gravissimi mantenendo la sua qualifica di stato di diritto, chi crede nella rieducazione e nel reinserimento dei condannati, chi ritiene che queste misure possono essere strumentalizzate e distorte (stimolando “false” collaborazioni con gli apparati giudiziari) e quindi di chi crede che lo Stato sta attuando delle vere e proprie torture. Ancora più all’estremo si colloca chi ritiene che le azioni di strutture come la FAI-FRI o le Brigate Rosse costituiscano un legittimo uso della forza (di queste posizioni ne parlerò in maniera più approfondita nel prossimo post).
Ai microfoni di Radio Onda Rossa il Garante Nazionale dei Detenuti Mauro Palma ha spiegato che nel corso degli ultimi anni il 41 bis, previsto come disposizione temporanea nel ’92 e poi modificato più volte fino a diventare parte integrante dei sistemi di detenzione è stato nel tempo inasprito. Palma ricorda che dei circa 700 ristretti al “carcere duro” (non tutti condannati con sentenza definitiva) circa 200 sono ergastolani: ha veramente senso “interrompere” i contatti con le organizzazioni criminali a persone che usciranno dal carcere (proprio perché con condanne inferiori al carcere a vita) e quindi potranno potenzialmente ritornare a essere organicamente parte di quelle organizzazioni? Non è forse una forma “aggravata” di afflizione dagli effetti controproducenti?
Il garante parla anche dell’altra questione fondamentale che abbiamo già affrontato, ossia quella della deprivazione sensoriale e sociale: che senso hanno le limitazioni alle ore d’aria e alla socialità con gli altri 3 detenuti "selezionati" con cui è concesso condividere gli spazi, spazi ulteriormente ristretti rispetto a quelli del resto della popolazione carceraria? Che senso ha il sostanziale divieto di osservare perfino il cielo?
La risposta consisterebbe sostanzialmente nella costrizione a collaborare (collaborazione che come si è già detto può essere impossibile o strumentale, punto su cui ritorniamo fra pochissime battute): allo stesso programma radiofonico è intervenuto il già citato Manconi che ha parlato del 41bis come una vera e propria forma di accanimento. Per esempio a Cospito è stato perfino vietato di conservare in cella le foto dei genitori defunti, senza il riconoscimento “visuale” degli stessi da parte del sindaco del comune di origine: <<la finalità e quella di piegare il detenuto>> ledendo la sua dignità, finalità che si riscontra anche in altre forme e disposizioni <<bizantine>> del sistema penitenziario.
In merito all’ergastolo ostativo, detto propriamente “ergastolo non riducibile” è utile spendere alcune parole sul caso di Marcello Viola, boss della ‘ndrangheta: si è sempre dichiarato innocente ma è stato condannato per una serie di reati, tra cui quello di essere il mandante dell’efferata esecuzione di un rivale che è stato decapitato e la cui testa è stata usata per un macabro tiro a segno.
Durante la detenzione ha mantenuto una buona condotta e si è laureato in medicina (è stato soprannominato “il Chirurgo”), secondo molti però “sotto sotto” non è cambiato, e non si è “trasformato” socialmente. Nel 2019 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (la CEDU), dopo il ricorso dei suoi legali contro l’effettivo “fine pena mai”, ha condannato l’Italia per la violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo rispettivamente quello che vieta la tortura e una pena o un trattamento inumano e degradante; e quello che tutela il rispetto della vita privata e familiare.
Nella sentenza si afferma che non è detto che la collaborazione sia connessa a una scelta volontaria, dato che si potrebbe voler evitare di mettere in pericolo sé stessi o i propri cari, così come non è detto che questa sia collegata a un concreto distacco con l’organizzazione criminale di appartenenza, e quindi strumentalizzabile.
Non si dovrebbe dunque impedire a una persona di accedere a benefici, garantiti dalla funzione riabilitativa della pena, sulla base di una presunzione di pericolosità che può essere smentita solo con la “collaborazione”, costituendo quindi una “probatio diabolica”, una prova praticamente impossibile (e anche un sorta di onere della prova “invertito” perché sarebbe l’accusato a dover dimostrare di non avere più contatti con l’organizzazione criminale). La collaborazione potrebbe essere “impossibile” anche quando il condannato o l’accusato, pur avendo preso parte a piani criminosi, non ha elementi probatori sufficienti e “utili” da fornire.
Non è dunque assolutamente detto che la scelta di collaborare sia “libera”, e quindi in molti casi ci potremmo trovare di fronte a collaborazioni “indotte” se non addirittura “inventate” di sana pianta (emblematico è il caso del “pentito” Vincenzo Scarantino, che sarebbe stato torturato da alcuni uomini dello stato per dichiarare il falso e depistare le indagini sulla morte del giudice Borsellino).
Tutti questi aspetti problematici sono stati affrontati anche in diverse sentenze della Corte Costituzionale: sul sito specializzato in questioni di diritto Altalex si spiega, in un articolo pubblicato a Novembre di Anna Larussa intitolato "Ergastolo ostativo: la guida all'istituto", che il decreto legge sull’ergastolo ostativo varato dal governo Meloni, in sostanziale continuità con la riforma dell’ex guardasigilli Cartabia, <<non introduce significative modifiche per i detenuti sottoposti al regime dell’ergastolo ostativo ed anzi, lungi dal recepire le indicazioni della Corte Costituzionale per rendere la pena dell’ergastolo riducibile anche de facto, restituisce un articolato che renderà molto difficile, per i detenuti all’ergastolo e per i condannati a una pena riferibile a taluno dei delitti “ostativi” indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, l’accesso ai benefici penitenziari esterni al carcere in assenza di una positiva collaborazione con la giustizia>> . Perciò l’Unione delle Camere Penali ha rilevato un <<atto di ribellione alle indicazioni del Giudice delle Leggi>>, e cioè della Corte Costituzionale che <<ha reso noto di aver disposto la restituzione degli atti alla Corte di cassazione quale giudice a quo, affinché verifichi gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate e proceda a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza>>.
Alcuni giorni dopo, sempre su Altalex viene pubblicato un altro articolo che già dal titolo pone una domanda a due avvocati, lanciando anche un sondaggio sul sito: "Ergastolo ostativo: la nuova disciplina risolve i problemi di costituzionalità?". I legali hanno esposto opposti pareri in merito al superamento delle criticità della precedente legislazione in contrasto con la Costituzione e con il diritto internazionale: secondo Marco Griguolo il decreto avrebbe risolto il problema della presunzione di pericolosità legata alla collaborazione, dato che non è più assoluta ma relativa.
L’avvocata Valentina Alberta invece sostiene che formalmente la collaborazione è stata eliminata come condizione per richiedere i benefici, tuttavia de facto le nuove procedure potrebbero rendere impossibili questo tipo di richieste. Tra le varie problematiche enunciate dall’esperta c’è anche una possibile violazione dello statuto della Corte Penale internazionale, che impone la possibilità di riesaminare la pena dopo 25 anni di reclusione per gli ergastolani.
Più ottimista, anche se con alcune riserve, la posizione espressa pochi giorni fa da Davide Galliani su Fuoriluogo in un articolo intitolato “Ergastolo ostativo, un paese quasi normale”: << oggi registriamo un dato: qualunque detenuto ostativo, nel momento in cui domanda qualsiasi beneficio/misura alternativa, dovrà essere valutato nel merito. Prima, la domanda era destinata al cestino della inammissibilità, se non si prestava utile collaborazione con la giustizia. Oggi, benefici e misure alternative devono essere meritati nel merito, senza che possa valere come assoluta preclusione la scelta di non collaborare utilmente con la giustizia. Da un punto di vista sostanziale, non esiste più il doppio binario –e cioè di una "pena" "doppia", quella per i reati commessi e l’aggiunta della misura di sicurezza per la pericolosità sociale NDR-: non mi pare poco>>.
Infine bisogna ricordare che la stessa validità costituzionale e umana dell’ergastolo “semplice” è stata più volte contestata negli anni: la “risposta” della Corte Costituzionale è consistita nel ritenere legittimo il “fine pena mai” perché esiste la possibilità che la pena in realtà finisca…
Concludendo questa parte dedicata alle questioni “di diritto” e di “diritti umani” esprimo solidarietà ad Alfredo Cospito e a tutt# i/le detenut#: in questo senso “sono con Cospito” e con tutte le persone che credono in una giustizia che non significa soltanto o prevalentemente “punizione”, ma che si attua prevenendo le diseguaglianze sociali (disuguaglianze fondate su “crimini” veri e propri ma che non sono puniti “penalmente”) alla base della stragrande maggioranza dei “crimini” (puniti penalmente tramite un sistema carcerario e punitivo che va superato perché concepito come una “discarica sociale” per “il deviante” ed evoluto in una “scuola di criminalità” d’eccellenza) tramite un’educazione condivisa, partecipata, e l’adesione a determinati valori, partendo dal rispetto dei più basilari diritti umani per arrivare al ricorso alla violenza fisica solo in casi estremi e per legittima difesa. Quei diritti vanno comunque e assolutamente garantiti anche a chi ha aderito ad altri valori che giustificherebbero la gambizzazione di un uomo (chiunque esso sia, non importa se è un politico potente o un "banale" prigioniero di guerra) e il piazzare o inviare un ordigno che tra l'altro non rischia solo di "colpire" un potente di turno, ma anche "civili" innocenti che con quel potente di turno non hanno niente a che fare.
Da “anarchico” (anche se preferisco la definizione di “socialista libertario” o di “anarco-riformista”, che potrebbe sembrare ai più ossimorica), proprio per il rispetto profondo che nutro verso la vita di ogni essere umano, anche di quello che a mio giudizio è il più odioso, non condivido assolutamente i metodi di lotta degli anarchici insurrezionalisti della FAI-FRI, come spiego nel prossimo articolo dove si affrontano questioni più marcatamente ideologiche e politiche...
Ringraziamo "Lo Skietto" per le immagini di questo post, scattate ieri a un presidio davanti la prefettura partenopea cui hanno aderito realtà politicamente eterogenee |
Mi dicono spesso che sono un complottista, e allora provo a immaginare uno scenario che può essere sia iper-complottista che realista: se ci fosse stata veramente una trattativa con Matteo Messina Denaro per abolire il 41 bis e l'ergastolo ostativo, il governo (incluso quello passato che ha firmato il 41 bis per Cospito o comunque alcuni settori istituzionali) potrebbe "trattare malissimo" l'anarchico per innescare un'ondata popolare per abolire o riformare in senso favorevole ai mafiosi i due istituti. Uno scenario più realista è più semplice da disegnare: i governi "trattano malissimo" Cospito perché anarchico, per "punirne uno per educarne 100" e gli interessi dei prigionieri politici con quelli della criminalità organizzata semplicemente convergono...
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