20.1.23

PERCHÉ STO CON COSPITO E PERCHÉ NON STO CON COSPITO (parte 2)

L’USO DELLA VIOLENZA E LA STORICA SPACCATURA DEL MOVIMENTO LIBERTARIO (parte 2)

 

A sinistra un'immagine simbolo della Croce Nera Anarchica. A destra un simbolo pacifista dell'artista Zorro4 da Pixabay

Di seguito il secondo articolo in cui Anarco Pacifista spiega le ragioni della sua solidarietà con Alfredo Cospito e, al contempo, la sua contrarietà alla strategia militante del prigioniero anarchico insurrezionalista: nelle prossime righe tratteremo degli aspetti puramente politici e ideologici del pensiero anarchico e dell’uso della violenza come strumento politico.

Nella prima parte di questo scritto si è parlato sinteticamente della sua vicenda giudiziaria ed è stata trattata più nel dettaglio la questione dell’ergastolo ostativo (o non riducibile) e quella del 41 bis.

In questo altro post di una settimana fa abbiamo parlato più dettagliatamente della sua storia “giudiziaria” (e di altri eventilegati alla FAI-FRI)

In un altro abbiamo invece raccolto tre appelli sottoscritti e sostenuti da migliaia di persone.

 

 



PERCHÉ NON STO CON COSPITO: L’USO DELLA VIOLENZA COME MEZZO, ESTREMO, DI LEGITTIMA DIFESA E L’USO DELLA VIOLENZA COME FINE RIGENERATIVO-SOCIALE

Dagli albori della storia del movimento anarchico e libertario esiste una contrapposizione, tendenzialmente binaria, tra due correnti: << le correnti organizzatrici che reclamano l’esistenza di una struttura pseudo-partitica, dotata di un programma con la principale funzione di coordinamento >> e << quelle antiorganizzatrici, di solito portatrici di istanze più orientate in senso spontaneista e individualista>>. A mio modesto avviso le correnti antiorganizzatrici sono quelle tendenzialmente più violente e di cui si parla maggiormente sui media mainstream.

Un’altra contrapposizione dei movimenti libertari (ma anche di altri movimenti politici) può essere tratteggiata lungo i confini della legittimità dell'uso della violenza come strumento politico e come fine o mezzo dell’attività di militanza. 

L’uso della violenza, inteso genericamente e non solo dal punto di vista libertario, può essere ritenuto un tabù, un qualcosa che non è mai legittimo se impiegato da chi non è titolato “ufficialmente” a usarlo, e quindi –teoricamente- anche da parte di uno “stato-canaglia”, per esempio. 

All’estremo opposto si collocano quelle persone che invece ritengono l’uso della forza fisica un qualcosa di positivo, una forza che mira a fondare un rinnovato ordinamento sociale e un fondamentale e necessario strumento di lotta. Ribadisco che quest’ultimo punto di vista si rispecchia, secondo la mia modesta opinione, nella maggioranza delle correnti anarchiche antiorganizzatrici, e ovviamente nel movimento anarco-insurrezionale, in particolare quello di stampo cosiddetto “nichilista”.

Di queste contrapposizioni ne ho parlato tra le righe della rubrica Esami Infiniti e in particolare nella prima “puntata” di una tesi dedicata alla galassia “editoriale” anarchica, intitolata per l’appunto: L’editoria libertaria italiana: dalla frammentazione della galassia anarchica all’omologazione insurrezionale”.

In particolare nel primo capitolo si traccia una concisa schematizzazione sulla storia dei movimenti anarchici in Italia e si fornisce una sintetica definizione del terrorismo come fenomeno sociale e giuridico. 

Ovviamente le schematizzazioni proposte sopra sono delle “colpevoli” semplificazioni che non tengono conto delle svariate sfumature e declinazioni dell’anarchismo, ma che però ci aiutano a inquadrare il problema: infatti questa contrapposizione binaria si delinea tra chi si concentra maggiormente sulla riflessione teorica, sulle attività sociali e su un uso limitato o nullo della violenza e chi invece sostiene la cosiddetta “propaganda del fatto” violento come un metodo di azione costruttivo, e come una legittima risposta agli abusi dei poteri costituiti.

Questa contrapposizione tra le frange più "legalitarie" e pacifiche e quelle invece più "illegalitarie" e inclini alla violenza si rispecchia anche nelle dicotomiche e vicendevoli accuse di queste due "fazioni".

Non a caso in quel capitolo c'è un paragrafo (1.2.4) il cui titolo è tato lungo quanto eloquente:


<<“Ravacholisti” contro “tolstoiani", “analfabeti” contro “dottrinari”, “finimondisti” contro “cittadinisti”, “imbecilli esteti” contro “civilitici” e “spaventapasseri” contro “caca-inchiostro”: lo scontro dialettico dalla carta stampata all’epoca del web tra due anime dell’anarchismo>>.


Sostanzialmente quelli favorevoli a un uso generalizzato della violenza , quelli che considerano il movimento anarchico sovversivo e violento per definizione, accusano gli altri di essere dei codardi che trovano rifugio nelle lotte riformiste e legalitarie; di essere dei “caca-inchiostro” dalla penna sempre pronta a sfornare inutili chiacchiere e dottrine invece che di impugnare le armi per attaccare il potere senza troppi fronzoli e discorsi;

Invece quelli tendenzialmente pacifisti o che credono in un uso della violenza meno esteso e limitato a casi particolari dipingono gli altri come dei fanatici mossi da un ego spropositato e da smanie di protagonismo, degli insensibili senza rimorso alcuno e pantoclasticamente inclini alla violenza; sono descritti come dei ribelli impulsivi e “analfabeti” oltre che codardi perché restano anonimi e che non fanno paura a nessuno (degli “spaventapasseri”), degli esaltati votati a un martirio inutile oltre che esteti della violenza. Illuminante in questo senso è un passo di un comunicato della Federazione Anarchica Italiana in risposta a un altro siglato dalla Federazione Anarchica Informale (non vanno confuse in quanto hanno lo stesso acronimo, FAI) intitolato “Della lotta armata e di alcuni imbecilli”:

<<La pratica della libertà attraverso la libertà può essere contagiosa ma non si può certo imporre. Gli estensori del comunicato rifuggono il “consenso” e cercano “complicità”. Se ne infischiano del fine e pensano solo al mezzo, di fatto rinunciando ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale anarchica. Il loro linguaggio e la loro pratica sono un cocktail di pratica avanguardista e retorica estetizzante>>.

La FAI-FRI (quella “di Cospito”, per capirci) è stata attaccata anche dalle pagine di A rivista anarchica: un articolo loro dedicato si intitolava “Leninisti in salsa informale”. In sostanza venivano accusati di operare secondo le logiche avanguardiste del marxismo-leninismo, logiche che dovrebbero essere estranee a chi si definisce un anarchico e che quindi dovrebbe rifuggire da un “assalto al palazzo” che finirebbe per sostituire la classe dirigente borghese con un’altra comunque oppressiva.

Personalmente propendo per un uso della violenza che dovrebbe essere limitato a casi estremi (un esempio tanto banale quanto efficace può essere quella della resistenza italiana armata contro il nazi-fascismo) mentre nelle parole di molti/e compagni/e violentemente radicali noto una certa diabolica compiacenza verso “il sangue”, noto una rabbia usata a sproposito (rabbia che può implicare una colpevole assuefazione verso concetti come quello di “danni collaterali”, ossia di innocenti coinvolti in attentati attuati per colpire i “colpevoli istituzionali", in una spirale di diversi genere di violenze e colpe che finisce per mettere sullo stesso piano etico oppressi ed oppressori).

 

VIOLENZA MINORITARIA, VIOLENZA DI STATO E PROGRESSO UMANO

In estrema sintesi la mia posizione riguardo alla vicenda di Cospito coincide con quella espressa in uno scritto apparso sul periodico (e sul sito web) dell’organizzazione umanista-socialista “La Comune”, una posizione che mi vede contemporaneamente sia a favore che contro Cospito

<<Da sempre abbiamo espresso la nostra contrarietà alla violenza minoritaria che rappresenta un ostacolo allo sviluppo delle coscienze e delle lotte; a maggior ragione siamo contrapposti a qualunque forma di terrorismo. Le nostre idee, metodi, pratiche e finalità nulla hanno a che vedere con quelle agite da Alfredo Cospito. È da questa postazione che denunciamo la feroce repressione statale e l’accanimento punitivo dei suoi apparati, quelli sì da sempre con le mani sporche di sangue. Lo Stato e i suoi servi, quelli che hanno ucciso Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e tanti altri, che hanno manganellato lavoratori e disoccupati, che hanno caricato studenti e studentesse, che hanno stuprato e minacciato moltissime donne, che hanno fatto morire in mare o nei centri di “accoglienza” donne, uomini e bimbi immigrati e profughi, che sono stati in prima fila nelle responsabilità dirette o indirette e nel depistaggio di stragi rimaste impunite, oggi continuano a mostrare il loro volto oppressivo e repressivo anche contro Alfredo Cospito, come contro moltissimi altri rivelando una volta di più la loro vera natura>>

Probabilmente rientro nella definizione di codardocivilitico” e “caca-inchiostro”: sono talmente “civilitico” e “cittadinista del mondo” che credo (come spiegato nel capitolo conclusivo della citata tesi di laurea) che la stessa democrazia liberale (se non “democratura” o vera e propria oligarchia) con le sue infinite e tragiche distorsioni possa essere comunque una “tappa” intermedia e dolorosa verso un progresso umano: 

ritengo che un vero progresso umano si potrà raggiungere solo cambiando prima l’essere umano stesso, e non potrà mai essere –viceversa- il prodotto di un ordinamento sociale “imposto” da fantomatici super-uomini nichilisti che magicamente si gestiscono da soli (in questo caso critico gli anarchici-individualisti e antiorganizzatori);

oppure quello “imposto” dopo una tanto epica quanto violenta e irrealistica insurrezione generale (in questo caso critico altre “dottrine” anarchiche che implicano l’uso della violenza (l’unica guerra “giusta” è quella che si combatte a protezione di qualcosa) e che anche per questo sono destinate a restare minoritarie, incomprensibili per i più e ingiustificabili eticamente dal mio punto di vista; 

e il progresso a mio dire non si potrà realizzare tantomeno dopo un assalto al palazzo o dopo una sua versione confusa e “spontanea” (qui comincio a uscire fuori dalla critica degli ambiti libertari e mi rivolgo in particolare alle dottrine leniniste e insurrezionali a cui ho fatto cenno) che sostituirà una classe sociale tramite l’ “avanguardia” rivoluzionaria della stessa classe sociale o di un’altra classe sociale che finirà per acquisire certi caratteri di quella “abbattuta”… 

E ovviamente non credo nemmeno che potrà essere il prodotto (quantomeno esclusivo) delle lotte socialiste-riformiste in senso stretto il cui fallimento, insieme alla sua commistione con la religione dello stato-nazione e quella capitalista della crescita economica perpetua, mi pare sia sotto gli occhi di tutti: 

la soluzione è probabilmente nello sperimentare nuove forme di vita e di lotta inserendosi negli attuali, anche se ancora insufficienti, “interstizi” guadagnati dopo secoli di abusi e che sono comunque a rischio… O comunque immaginando qualcosa di “nuovo”, qualcosa che rompa con gli schemi dominanti e che sia maggioritariamente (in concreto, unanimemente in teoria) condiviso, qualcosa che implica processi lunghissimi, senza prendere “scorciatoie” violente, e che probabilmente non sarà mai compiutamente definito e non avrà mai termine “ultimo”... Qualcosa di “mai finito” che è assimilabile invece al concetto matematico di tendente all’infinito, uno sforzo “rivoluzionario” e di cambiamento perenne, senza fine…

Ai “ravacholisti (espressione che mutuo da Errico Malatesta che si vantava di aver contribuito alla loro “distruzione” ideologica, e che credeva in uso limitato della violenza paragonandola a un << chirurgo che taglia quando è necessario, ma evita di infliggere inutili sofferenze>>; va detto pure che lo stesso Malatesta si scagliava anche contro i “tolstoisti” e cioè gli appartenenti al <<partito della resistenza passiva, il quale ha per principio che bisogna lasciare opprimere e vilipendere se stesso piuttosto che far male all’aggressore. È quello che è stato chiamato l’anarchia passiva>>), faccio un ulteriore appello:

non fatevi manipolare da chi ha tutto l’interesse ad aumentare il livello di scontro (fisico più che intellettuale e ideologico) in modo da “giustificare” ulteriori derive repressive! Non fatevi strumentalizzare dal vostro nemico numero uno, non scadete nella lotta sul suo stesso campo di battaglia perché strategicamente inutile, perché i suoi mezzi “armati” sono molto più forti e perché, seppure si ammettesse l’eufemisticamente remota possibilità di una “vittoria” militare tout court, sareste scesi al suo infimo livello perdendo la vostra credibilità e perdendo d’occhio l’obiettivo stesso per cui avete scelto certi metodi incongruenti, e cioè quello di una società più giusta dove un umano non domina un altro umano, dove un umano non risponde alla violenza con altrettanta o maggiore violenza, non la usa a sproposito… ma prova a convincere l’altro umano, lo persuade con la forza dei “fatti”, quei fatti che costruiscono “qualcosa” e non si limitano a distruggere!

Convincere, non vincere” “proporre, non imporre” “costruire non distruggere” “rappresentare, non soppiantare” recitano alcuni “comandamenti” zapatisti…

Anarco Pacifista






Ringraziamo "Lo Skietto" per le immagini (e il collage) di questo post, scattate ieri a un presidio davanti la prefettura partenopea cui hanno aderito realtà politicamente eterogenee. 

Come di consueto concludiamo l'articolo con due citazioni musicali: Prisoner di Lucky Dube e Radici della violenza dei Sud Sound System











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