DAGLI ANARCO-CAPITALISTI ALL’UTOPIA LIBERTARIA E DEMOCRATICA
Per la rubrica Esami Infiniti pubblichiamo la parte conclusiva di una tesi dedicata all’editoria anarchica e libertaria in Italia, intitolata per l’appunto: “L’editoria libertaria italiana: dalla frammentazione della galassia anarchica all’omologazione insurrezionale”.
Nella prima parte di questo quinto capitolo si parla di quello che molti (incluso chi scrive) considerano un “corpo esterno” nel mondo libertario: ci riferiamo agli pseudo-libertari definibili “anarchici di destra” (anarco-capitalisti, libertariani, anarco-fascisti) italiani; nel paragrafo successivo si trova una stringata rassegna di produzioni mediali –diverse da quelle “a stampa” cartacee e digitali- concernenti l’anarchismo italiano, oltre a un cenno brevissimo al mondo dei “fediversi”, sicuramente più decentrati (se non anche libertari) dei principali social-network; nel terzo è ultimo paragrafo si trovano delle considerazioni personali sulla “continuità” tra democrazia in senso lato (e pure in senso “liberale” più ristretto) e anarchismo, espresse seguendo la logica che è anche parte della linea editoriale di FanRivista, che prevede il manifestare le convinzioni di chi scrive e così facendo (e cioè "schierandosi") anelare all’obiettività essendo più “trasparenti” verso chi legge.
NELLE PRECEDENTI “PUNTATE”, OSSIA NEI QUATTRO CAPITOLI PRECEDENTI DELLA TESI, SI ERA PARLATO DI:
1) Anarchismo, terrorismo e storia del movimento anarchico in Italia, connessa a quella "mediatica"
2) Case editrici “libertarianeggianti” più tradizionali e più informali
3) Periodici, aperiodici storici e “zine” contemporanee (in questo capitolo abbiamo parlato anche di Sacco e Vanzetti, a cui abbiamo dedicato anche un ricordo “non agiografico” nell’anniversario della loro barbara esecuzione)
4) Piattaforme online e siti libertari autogestiti. Il capitolo è corredato da una sitografia che, per ovvie ragioni, non è esaustiva e potenzialmente aggiornabile ma che può rappresentare un punto di partenza per chi volesse cominciare a “mappare” le produzioni online anarchicheggianti, in continuità cronologica e storiografica con un “lavoraccio” affine iniziato da Leonardo Bettini, che censì svariati periodici e numeri unici (di questo lavoro se ne parla ovviamente nel capitolo precedente).
5) Conclusione
5.1) Il partito
dei Radicali e la “vera destra” libertariana
In questa tesi si è fatto riferimento,
partendo dalle tripartizioni proposte da Sacchetti, a un’ipotetica “sinistra” e
alla rispettiva “destra culturale” del movimento anarchico. In realtà esistono
dei libertari che si definiscono “di destra” nel senso propriamente detto, da
quelli che credono in un mercato assolutamente libero che si regola da sé e che
la totale deregulation sia in grado
di normare anche i rapporti tra gli individui, fino a chi si dichiara
anarco-fascista o anarco-nazionalista[1].
Come si sarà notato leggendo la parte di questa tesi dedicata al web, il resto
del movimento anarchico tendenzialmente non considera tali i libertari “di
destra”, definendoli “pseudo-anarchici”. Comunque, prima di avviarmi alla
conclusione di questo elaborato che si sforza di descrivere e mappare tutte le
componenti editoriali libertarie e anarchiche (componenti anche “ipotetiche”
dal punto di vista teorico secondo alcuni), ho ritenuto necessario menzionarli.
Espressioni editoriali della corrente
“anarco-capitalista” sono le case editrici “Liberilibri” (maceratese e guidata da Aldo Canovari e Carlo
Cingolani) e “Leonado Facco Editore”
(ex leghista, fondatore delle riviste “Il Miglio Verde” ed “Enclave” e del
“Movimento Libertario”). La rivista “capostipite” del movimento in Italia è
stata “Claustrofobia”, pubblicata
tra il 1978 e il 1979.
Un altro soggetto politico considerato
“sedicente libertario”[2]
è il Partito Radicale, che avrebbe anche <<sdoganato, nel linguaggio
comune della politica, il termine “libertario”>>[3].
Oltre alla nota “Radio radicale” è
da ricordare anche la vicenda di “Stampa
Alternativa” di Marcello Baraghini, noto soprattutto per il fenomeno
editoriale dei “Millelire”[4].
5.2) Dagli archivi a “Mastodon” passando per documentari e fogli volanti
Anche se ho incentrato questo lavoro
sull’editoria (formale e “informale”) del movimento, e quindi sulla carta
stampata e su quella “digitale”, concludendo questo scritto vorrei passare
brevemente in rassegna anche altri tipi di produzioni mediali, sia scritte che
non, oltre che ai produttori, conservatori e diffusori di queste.
In primis per quanto riguarda gli archivi
e i centri studi segnalo il già citato “Fragili carte” di Luigi Balsamini
(edito nel 2009 dalla Vecchiarelli) che censisce e descrive i più importanti.
Per quanto concerne invece le fonti orali dei militanti rimando invece al
volume menzionato “Parlare d’anarchia”, curato dallo stesso autore, da Carlo de
Maria ed Enrico Acciai (edito dalla Biblion nel 2017).
Nel campo editoriale il fumetto più
diffuso dell’anarchismo italiano penso sia “Anarchik”, pubblicato a partire
dagli anni Sessanta prima su vari volantini e poi nelle vignette di “A rivista
anarchica”, e ideato da Roberto Ambrosoli.
Citando i canti e i testi teatrali di
Pietro Gori restiamo ancora nel campo dell’editoria scritta, anche se
“musicale” nel primo caso: dai tempi della schermaglia pubblicistica per
l’esclusiva delle sue opere (occorsa tra i rappresentati delle “due Sociali” di
cui parlo sopra, Monanni e Binazzi) fino ai siti web che riproducono gli
accordi e i testi delle canzoni, passando per le celebri cover di Addio Lugano
di Gaber e Milva, e le opere a noi coeve basate sulla sua vita[5],
riscuote ancora molto successo. Un esempio del “vecchio e nuovo” che si
mescolano si trova in una canzone che risale al 2020, un mashup della sigla del cartone animato Lupin III con “Quando
l’anarchia verrà” di Sante Ferrini[6].
Un'altra rappresentazione teatrale più recente, inizialmente basata sulla
storia di Pinelli, e poi adattata alla simile vicenda di Salsedo per questioni
legali, è “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo[7].
Passando ai prodotti “video”, degno di
nota è il film-documentario “XXI – Errico Malatesta verso un’Umanità
Nova” del regista Niccolò Andenna, che riproduce anche una versione “al
femminile” dell’opera dialogica firmata dall’anarchico campano, “Fra contadini”[8]. C’è poi una puntata intitolata “Gli
anarchici” del 1975 de “La Parola, il fatto”, con la regia di Giuliana
Berlinguer, la sceneggiatura di questa e di Lucio Mandarà, la consulenza
linguistica di Tullio De Mauro e quella storica di Pier Carlo Masini. Più
recente è una puntata del programma RAI “La Storia siamo noi” del 2012,
condotto allora da Gianni Minoli e intitolata “Quando l’anarchia verrà,
cent’anni di movimento”. Di questi giorni (Marzo 2021) è quella dedicata da
“Passato e Presente” (condotto da Paolo Mieli) al terrorismo anarchico negli
ultimi due decenni del Diciannovesimo secolo, intitolata “Morte al tiranno,
anarchici del 1800”[9].
Sempre a proposito di programmi della RAI, è probabilmente durante una puntata
di “Dossier” di Enzo Biagi del 1982, dedicata alla guerra di Spagna, che
<<per la prima volta le ragioni degli anarchici vengono esposte in un
contesto pubblico di così vaste proporzioni>>: la testimonianza dell’ex
combattente anarchico Umberto Marzocchi stride con le <<omertose argomentazioni
staliniste>> dei comunisti Vittorio Vidali ed Enrique Lister,
sull’assassinio di Camillo Berneri[10].
Tra i film quello più recente è “Il Banchiere Anarchico” di Giulio Base, basato
sull’omonimo libro di Fernando Pessoa. C’è anche “Ormai è fatta” di Enzo
Montelone, basato sul libro del citato Horst Fantazzini (alias “il ladro
gentiluomo”).
Ritornando alla “carta stampata”,
seppure costituita da volantini e manifesti, segnalo il progetto di raccolta
ancora in corso della BFS, nominato “Fogli volanti”[11].
A proposito delle radio, è stata già
menzionata la torinese “Blackout” (in riferimento a “Il Ros è nudo!”), al cui
progetto hanno contribuito anche <<alcune individualità
anarchiche>>[12]
e che ospita una rubrica della sezione FAI torinese, “Annares”. Un’altra radio
connessa all’area antagonista e anche al movimento anarchico è la bresciana
Radio Onda D’Urto, che come logo riporta quello del gatto nero, tipico della
simbologia anarchica.
Ci sono poi i profili social
(includendo anche YouTube tra questi) di molte delle sigle qui menzionate, che
non provo ad analizzare. Mi preme comunque di segnalare l’uso del social
network “decentrato” “Mastodon”, una sorta di “Twitter” che funziona su dei
server “federati” e con regole personalizzabili per ogni “istanza” (ossia una
parte di un server occupata da un gruppo di utenti). Queste ultime e i relativi
utenti possono a loro volta interagire e seguirsi a vicenda, o meno ... Nel
caso si può anche decidere di cambiare istanza, e se ne possono conoscere altre
tramite il meccanismo “dell’amico che presenta un amico”, che funziona anche
per i singoli utenti, oppure uscendo dalla propria istanza e iscrivendosi ad
altre[13].
Oltre a essere usato da molti dei gruppi citati in questo lavoro, rappresenta
anche un esempio di sperimentazione autogestionaria e libertaria online, ed è
anche open source.
5.3) Considerazioni finali su questa tesi, sull’anarco-insurrezionalismo e sulla democrazia.
Uno dei principali assunti di questa
tesi è quello dell’omologazione editoriale dell’ambito insurrezionale (e in particolare
di quello “nichilista” della FAI-FRI), che si viene a creare nel groviglio di
ripubblicazioni via web e che hanno anche un impatto sul posizionamento nei
motori di ricerca. Come si è visto la pratica della ripubblicazione era già in
uso fin dai tempi dei primi periodici: cercare di tracciare una mappa dei
collegamenti “testuali” tra le pubblicazioni di tempi più remoti potrebbe
essere materia di ulteriori studi anche se, a differenza delle pubblicazioni
via web, un compito del genere potrebbe risultare più arduo, soprattutto per
quanto riguarda la ricerca dei testi non digitalizzati tra quelli sopravvissuti
fino a oggi. Per esempio, proprio l’imponente lavoro di catalogazione di
Leonardo Bettini fu compromesso da un incendio, e non è da escludere che eventi
di questo genere, o anche di altro tipo come la scadenza di un dominio online,
possano vanificare le ricerche di testi anche su supporti non cartacei. Non è
nemmeno un caso che l’analisi di molti dei siti web trattati in questa sede,
alcuni scomparsi del tutto e altri solo modificati, è stata possibile anche a
strumenti di catalogazione come il Web Archive, che permette non solo di
recuperare molti siti del web perduti, ma anche di consultare in ordine
cronologico le diverse “fasi redazionali” di un sito web. Inoltre, sempre a
proposito delle relazioni sul livello specificamente “scritto” (oltre che degli
altri tipi di relazioni “intorno” a uno scritto) l’uso di strumenti
ipertestuali, mappe concettuali digitali e strumenti affini può facilitare sia
la fase della ricerca che quelle della presentazione dei risultati e scomparso
nel 1982.
Giungo quindi al nodo della
consultazione, in una maniera difficilmente concepibile nel periodo in cui ha
vissuto Bettini, degli altri tipi di relazioni, quelle “intorno” agli scritti e
all’altro campo di indagine storiografico, ossia quello delle relazioni
personali, economiche, politiche e sociali che intercorrono tra chi
materialmente produce i diversi contenuti mediali. Del resto non si fa storia
della cultura <<senza fare storia dell’editoria, e non solo nella sua
concreta organizzazione, ma nella trama sottile dei legami di vario tipo che
stabilisce fra quanti concorrono alla nascita di un libro, di una rivista, del
fascicolo di un periodico [o di un sito web e di un video su Youtube]
qualsiasi. D’altra parte neppure storia dell’editoria si fa senza fare storia
della cultura nell’intreccio dei rapporti fra istituti di ricerca e scuole di
ogni livello, fra interessi economici e organizzazioni politiche[14]>>.
Nel mio piccolo ho cercato di ricostruire questo genere di relazioni,
editoriali e non, tramite un lavoro di ricerca basato interamente sulla
consultazione di fonti aperte, e quindi principalmente di testi ed emeroteche
online, (anche perché mentre concludo questo lavoro, nel mese di Marzo 2021,
gli spostamenti sono ancora ridotti o impossibilitati a causa della pandemia
del “covid-19”, oltre al fatto stesso che oggetto principale di questa tesi è
proprio l’ambito del web) ma anche sui dati non immediatamente visibili come
gli indirizzi IP, come ho fatto nel caso di “Finimondo” e “Gratis edizioni”
(oltre che in quello di “Guerra Sociale” e “Edizioni Anarchismo”, relazione
confermata in questo caso specifico dalle carte della più volte citata
inchiesta Scripta Manent). Proprio il continuare a confrontare un dato come
quello degli indirizzi IP potrebbe portare a ulteriori possibili connessioni,
anche se mi risulta che non sia sempre indicativo, oltre ogni ragionevole
dubbio, che esista una connessione “personale” correlabile a quella degli IP:
per esempio due siti “anarco-insurrezionali” potrebbero essere allocati nello
stesso server fornito da “A/I”. Anche a questo proposito mi sembra quasi
superfluo sostenere un approccio multidisciplinare per la ricerca storiografica,
che si apra di più anche a campi come quello dell’informatica oltre che ad
altre materie con cui ci sono già legami “accademici” più consolidati.
Inoltre un'altra evidenza che mi
sembra indiscutibile è quella della funzione storiografica che molti siti,
inclusi quelli insurrezionali, svolgono ripubblicando testi cronologicamente
più lontani da noi. Faccio un esempio che penso sia calzante: se una libreria
americana digitalizza un periodico anarchico in lingua italiana di fine
Ottocento, non è detto che si trovi automaticamente o “facilmente” su Google.
Per prima cosa il motore di ricerca deve “fotografarlo” tramite il suo
“spider-bot”, e già in questa fase potrebbero esserci refusi ed errori vari,
dovuti allo stato della “fotografia” e che potrebbero non restituirci il testo
che effettivamente cerchiamo … Cosa che
non avverrebbe se lo stesso testo venisse digitalizzato con più cura da una
mano umana. In seconda istanza deve essere accessibile tramite una nostra ricerca,
e qui intervengono tutti quei parametri considerati dagli algoritmi, come anche
la ripubblicazione di quel testo su altri siti.
Spero anche che questa tesi abbia
raggiunto almeno in parte il suo obiettivo più generico, ossia quello di
riuscire a tracciare quantomeno la “bozza” di una mappa dei media
“anarchicheggianti”.
Mi appresto infine a esporre alcune
considerazioni, che in parte riflettono anche delle idee e convinzioni
personali: ci tengo a sottolinearlo perché credo fortemente nel fatto che
esporre le proprie opinioni su determinati fatti, quando sono separate da
questi, sia un segno dello sforzo di cercare di essere il più obiettivi
possibili. Ritengo che la stessa selezione di certi argomenti e l’omissione di
altri o il minor rilievo dedicatogli, si scontrino intrinsecamente con lo
sforzo di essere rigorosi e obiettivi. Tuttavia questo non vuol dire che non si
possa giungere a un certo grado di obiettività e, soprattutto, che chi legge
possa farsi un’idea dei punti di vista che possono incidere, anche
inconsciamente, sulla selezione di un argomento piuttosto che sull’esclusione
di un altro, così come sulla maniera in cui questo viene enunciato. In altre
parole: esprimere le proprie opinioni, separandole dai dati e dai fatti
“oggettivi”, o dalla ricostruzione di questi fatti che sia il più plausibile
possibile e che tenga conto di quanti più punti di vista diversi possibili, è
secondo me un fondamentale segno di obiettività.
Dunque, concludendo, vorrei avanzare
alcune osservazioni storiche e politiche sul fenomeno dell’anarco-insurrezionalismo,
in particolare quello odierno del contesto italiano: anche se considerassimo la
Repubblica Italiana come una poliarchia “plutocratica” o una “democratura”[15],
c’è come minimo un certo margine di libertà, ottenuto anche grazie ai sacrifici
di tutti quelli che hanno scelto l’”illegalismo partigiano” durante la
Resistenza (tra cui, è doveroso ricordarlo, anche combattenti anarchici, molti
dei quali probabilmente non sono stati certo felici dell’esito socio-politico
determinato in larga parte dai loro “compagni d’armi” comunisti e
democristiani), che renderebbe anacronistico ogni ricorso a mezzi violenti per
fomentare un’ipotetica insurrezione generalizzata. La strategia
insurrezionale-terrorista, seppure venisse considerata eticamente accettabile
come mezzo per raggiungere un modello di società ideale, è antiquata almeno per
due motivi: il primo riguarda la ricerca del consenso della “massa” (sia
borghese che “neo-proletaria”) che, secondo la mia modesta opinione, con questo
genere di azioni viene per lo più alienato o, ancora peggio, può essere
sfruttato e incanalato da aspiranti golpisti e “complottatori” amanti del
“pugno di ferro”, che verrebbe ritenuto o spacciato come necessario per
ristabilire “l’ordine”. In secondo luogo i mezzi repressivi e gli strumenti
polizieschi-militari dei “governanti”, del “sistema” (al di là di cosa si pensi della loro legittimità e del
fatto che possano sconfinare oltre i limiti imposti dalle varie leggi e
garanzie internazionali, prima fra tutte la “Dichiarazione Universale dei
Diritti Umani”) sono oggi più che allora sproporzionati, rispetto a quelli di
chi sogna l’instaurazione di una società di piccole “federazioni” o di
“super-individui” che magicamente raggiungono armonia e solidarietà, fondata
sulle macerie di quella passata e sui fiumi di sangue versati in nome di essa.
Anche in passato non si è nemmeno riusciti a raggiungere obiettivi molto meno
ambiziosi e proiettati sul breve termine, come la pressione che sarebbe stata
esercitata per il rilascio di Sacco e Vanzetti con l’attentato dinamitardo che
ammazzò più di trenta persone a Wall Street, evento ricordato come il più
importante atto di terrorismo internazionale sul territorio statunitense,
secondo solo a quello dell’undici Settembre 2001[16].
Del resto anche la democrazia può
essere intesa (perlomeno quella “diretta” e non rappresentativa) nella sua
forma “pura” come un qualcosa di utopico, un tipo di società verso cui si può
tendere all’infinito senza mai raggiungerlo (così come il concetto matematico
di tendenza all’infinito). Una tensione verso un modello di libertà assoluta
che sia sempre e comunque rispettosa di quella altrui. Concetto di libertà che
in qualche modo è connesso sia a quello dei “libertari” che dei “liberali”.
Così come c’è una certa coincidenza tra l’anelito di libertà risorgimentale e
quello degli “internazionalisti”, oltre che alla comunanza di alcune pratiche
“illegaliste”. Nonostante questa tensione sia verso un qualcosa di non
pienamente raggiungibile, di utopico, ciò non vuol dire che sia necessario
smettere di inseguire il sogno di un mondo di liberi e di eguali in senso
assoluto. Ma soprattutto penso che non si debba cedere alla tentazione di usare
mezzi e scorciatoie violenti che, a mio dire, confliggono teoreticamente con il
fine che si vuole raggiungere, sia che si tratti dell’opera di un’avanguardia
rivoluzionaria leninista, sia di un’altra avanguardia rivoluzionaria
“mascherata”, orientata allo spontaneismo, che tentano di imporsi,
rispettivamente, per instaurare una dittatura “transitoria” di una classe
oppure per tentare di affermare la propria configurazione sociale.
È un po’ come dire che l’unanimità
delle decisioni in una società potrà essere raggiunta “sempre”, solo
utopisticamente … Ma non per questo bisogna “eliminare”, magari fisicamente,
chi impedisce di raggiungerla o anche solo smettere di ricercarla, di tendere
verso essa. In termini pratici questo obiettivo si potrebbe raggiungere
partendo dalle decisioni che riguardano il “piccolo” quotidiano e dai
compromessi “orizzontali” che richiedono apertura mentale e non
un’intransigenza “cretinista” (parafrasando Berneri) rivoluzionaria (non mi
riferisco al genere di compromessi fatti per compiacere un “potente” e per
ottenere, “verticalmente”, gerarchicamente, altro potere, un meccanismo già
noto a Étienne de La Boétie
che non a caso è considerato un “proto-anarchico”). Poi ci sono anche questioni
di più ampio respiro che da sempre impegnano le discussioni dei libertari, tra
cui per esempio i legami con soggetti politici “esterni” al movimento o la
partecipazione alle elezioni, nel senso sia dell’opportunità di partecipazione
alle elezioni (si pensi ad Andrea Costa e a Francesco Saverio Merlino), ma
anche della sola e circoscritta partecipazione al voto.
A tale proposito lo storico Gianfranco
Ragona, parlando di come l’anarchismo sia relegato in una posizione minoritaria
nella scena politica, fa un invito a <<tutti i libertari, critici,
ribelli, profeti di verità, utopisti>>: <<risuona sempre più
impellente la vecchia ingiunzione latina: Hic
Rodhus, hic salta>>[17],
ossia “dimostrate le vostre affermazioni ora”.
Nella conclusione del citato
comunicato della FAI (quello in cui si prendono le distanze dalla FAI-FRI) per
esempio si trova una risposta abbastanza precisa, anche se non “dogmaticamente”
definita: <<La scommessa degli anarchici
organizzatori è quella di costruire ambiti di relazione politica e sociale,
che, con il loro stesso esistere, prefigurino relazioni sociali libere, dove il
legame organizzativo amplifica la libertà del singolo. L’anarchismo sociale non
è permeato da alcuna pretesa che esista la formula definitiva per la società
anarchica, ma si interroga e interrogandosi prova a praticare una relazione tra
diversi che miri alla sintesi possibile, nel rispetto delle differenze di
ciascuno e ciascuna. Siamo consapevoli che solo una società omologata e,
quindi, intrinsecamente autoritaria se non totalitaria, può immaginare di
espungere il conflitto dalle relazioni sociali: per questa ragione consideriamo
l’anarchia un orizzonte costantemente in costruzione, dove la rivoluzione
sociale che abolisce la proprietà privata ed elimina il governo, è il primo
passo non l’ultimo di un percorso di sperimentazione sociale, che è nostro sin
da ora.>>
Molto sinteticamente un’altra risposta
possibile, potrebbe essere espressa dalla formula “anarchismo riformista”[18],
formula contigua alle politiche gradualiste e alla concezione del socialismo
anarchico come <<compimento ideale della democrazia>>[19].
A tal proposito penso ci sia bisogno di sperimentare continuamente varie
“alternative” di vita, e del resto la sperimentazione stessa è una componente
della vita democratica e di quella di chi non pretende di avere verità assolute[20].
Infine, alle ipotetiche accuse dei
vari “anarco-insurrezionali” di essere un “delatore” o un “servo dei padroni”
risponderei spiegando che quello che mi sta a cuore è la ricerca della verità,
e riproporrei loro le brevissime considerazioni sul tema della segretezza che
si trovano nel paragrafo dedicato ad “A/I”, oltre al citato passo in cui
Malatesta si vantava di aver contribuito a “combattere” il “partito dei
ravacholisti”.
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Sitografia (include solo i siti usati come fonti
e non tutti quelli indicati in questa tesi)
www.180gradi.org
www.anarchiciferraresi.noblogs.org
www.bfscollezionidigitali.org
www.bibliotecaborghi.org
www.bibliotecadigitale.fondazionebasso.it
www.candilita.it
www.cavallette.noblogs.org
www.feartosleep.espivblogs.net
www.federazione-anarchica-milanese-fai.noblogs
www.finimondo.org
www.galzeranoeditore.blogspot.com
www.greennotgreed.noblogs.org
www.guerrasociale.anarchismo.net
www.it.squat.net
www.italicheautoproduzioni.blogspot.com
www.lagazzettadelmezzogiorno.it
www.nato.int
www.nautilus-autoproduzioni.org
[1]Riguardo agli anarcocapitalisti, alla
differenze e alle affinità con il resto dell’universo libertario segnalo
l’articolo di M. Suttora Libertari:
destra o sinistra?, in <<Il
Foglio>>, Maggio 2000 e pubblicato sul blog dell’autore all’indirizzo
maurosuttora.blogspot.com/2000/05/libertari-destra-o-sinistra.html ; un esempio
di persona che si dichiara anarcofascista è l’estremista di destra Maurizio
Boccacci, cfr. M. Lugli, Il samurai
dell’estrema destra che odia i negri e gli ebrei, in <<La
Repubblica>>, 15 Dicembre 2011, reperibile all’indirizzo (url consultate il 09/03/2021).
[2]Cfr. T. Antonelli, Uno di loro, in <<UN>>, 28
Maggio 2016, reperibile all’url umanitanova.org/?p=2924 ; si dice in questo
articolo che i radicali sono <<sedicenti libertari>> in quanto non
considerano l’abolizione della proprietà privata necessaria per <<la
liberazione dallo sfruttamento capitalistico>>.
[3]F. M. Nicosia, Marco Pannella e i radicali italiani, in <<movimento
libertario.it>>, 26 Marzo 2012, cit., reperibile all’url
movimentolibertario.com/2012/03/marco-pannella-e-i-radicali-italiani/ (url
consultata il 09/03/2021).
[4]Cfr. Incontro con Marcello Baraghini per i 50 anni di Stampa Alternativa e i
60 da radicale da marciapiede, in <<partitoradicale.it>>, 30
Novembre 2019, reperibile all’url
partitoradicale.it/2019/11/30/incontro-con-marcello-baraghini-per-i-50-anni-di-stampa-alternativa-e-i-60-di-radicale-da-marciapiede/
(url consultata il 09/03/2021); sul fenomeno dei “Millelire” e dei libri
tascabili si veda anche A. Cadioli e G. Vigini, Storia dell’editoria …, cap. V,
pp.127-132.
[5]Uno spettacolo basato sulla sua vita è
stato quello organizzato nel 2015 dalla sezione livornese della FAI, in uno
spazio occupato contiguo a quello dove Gori è stato detenuto per la prima
volta, cfr. Pietro Gori a teatro, in
<<UN>>, 28 Settembre 2015, reperibile all’indirizzo
umanitanova.org/?p=1386 (url consultata il 08/03/2021).
[6]Si trova all’indirizzo
youtube.com/watch?v=JFc1m338UDU (url consultata il 08/03/2021).
[7]Cfr. Dario Fo e quella morte accidentale di un anarchico, in
<<collettiva.it>> reperibile all’indirizzo
collettiva.it/copertine/culture/2020/12/05/news/dario_fo_e_quella_morte_accidentale_di_un_anarchico-694173/.
[8]Disponibile all’indirizzo
youtube.com/watch?v=feSIH5TSK0A (url consultata il 08/03/2021).
[9]Reperibile all’indirizzo
raiplay.it/video/2021/02/Passato-e-Presente---Morte-al-tiranno-anarchici-del-1800-09e6c951-a5b1-48cb-86e4-8c7371f5551b.html
(url consultata il 08/03/2021).
[10]Cfr. G. Sacchetti, Con l’amore …, e cit. p. 92.
[11]Cfr.
bfs.it/index.php?it/187/fogli-volanti (url consultata il 09/03/2021).
[12]Cfr. e cit.
radioblackout.org/chi-siamo/ (url consultata il 09/03/2021).
[13]Cfr. Come cercare e seguire utenti “sconosciuti” su Mastodon, 1 Aprile
2019 in <<cagizero.wordpress.com>> all’url
cagizero.wordpress.com/2019/04/01/come-cercare-e-seguire-utenti-sconosciuti-su-mastodon/
(consultata il 09/03/2021).
[14] E. Garin, Editori
e cultura a Firenze: Olschki, un secolo di editoria fra cataloghi e convegni
reperibile all’indirizzo olschki.it/media/3a2b4050.pdf (url consultata il
15/03/2021).
[15]La parola “plutocrazia” indica un
sistema politico con un’influenza predominante di chi detiene grandi capitali,
mentre “democratura” indica un sistema formalmente democratico ma
sostanzialmente autoritario, cfr. voci del vocabolario e dei neologismi sul
sito della Treccani, rispettivamente agli indirizzi:
treccani.it/vocabolario/plutocrazia/;
treccani.it/vocabolario/democratura_res-3a7baa29-8997-11e8-a7cb-00271042e8d9_%28Neologismi%29/
(url consultate il 09/03/2021).
[16]Ricordo che l’evento è quello di cui
ho parlato nella parte di questo scritto dedicata ai “galleanisti”. In
particolare la bomba di Wall Street sarebbe addebitabile all’anarchico Mario
Buda ed è narrata con toni “epici” dal sito web “Finimondo” e da un’altra
pubblicazione a questo collegata, in un saggio intitolato “Nemesi a Wall
Street”.
[17]G. Ragona, Anarchismo…, cit. p. 139.
[18]L’espressione “anarchismo-riformista”
è usata in senso spregiativo dai comunisti anarchici di “Alternativa
Libertaria” nell’articolo Frammenti di un
anarchismo riformista, 10 Novembre 2011, reperibile all’url
anarkismo.net/article/21043, che recensisce il volume dell’antropologo D.
Graeber, Fragment of an anarchist
antropology, Prickly Paradigm Press, Chicago, 2004 (url consultata il
09/03/2021).
[19]Cfr. N. Musarra, Merlino e la rivoluzione nel Mezzogiorno d’Italia, in G. Landi (a
cura di), AA. VV. La fine del socialismo?
Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibilie. Atti del Convegno Imola 1
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consultata il 09/03/2021).
[20]Sulla democrazia, sulla relativa
possibilità di non avere verità assolute oltre che sullo spirito sperimentale
che caratterizza la caratterizza rimando a G. Zagrebelsky, Imparare la democrazia, Gruppo editoriale l’Espresso, Roma, 2005.
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