6.12.22

SVEZIA NELLA NATO: “RIMPATRIATO” IN TURCHIA MAHMUT TAT

IL NUOVO GOVERNO SVEDESE “CEDE”, VOLENTIERI, AL RICATTO DEL SULTANO



Nella foto i giornali “di regime” turchi che diffondono le “immagini-trofeo” di Mahmut Tat, ESTRADATO ILLEGALMENTE (a nostro dire) dalla Svezia pochi giorni fa e bollato come "terrorista" del PKK/KCK 

UN’ESTORSIONE GEOPOLITICA

Da Maggio seguiamo la vicenda delle estradizioni ed espulsioni di presunti “terroristi” e dissidenti richieste dalla Turchia a Svezia e Finlandia come condizione per l’entrata nell’alleanza atlantica: abbiamo iniziato a parlare degli eventi relativi alla richiesta, formalizzata in estate con un memorandum firmato dai tre paesi a Madrid, usando l’hashtag del “format” di FanRivista #ComeVaAfinire. Abbiamo iniziato domandandoci se, alla fine, i due paesi avrebbero ceduto al ricatto politico del “Sultano” Erdogan. Purtroppo l’esito da “sindrome di Stoccolma”, almeno parziale e favorito dal nuovo governo di destra, sembra confermare che questa “estorsione geopolitica” abbia funzionato.

Inoltre ci siamo posti anche altre domande “sui massimi sistemi” di politica internazionale, come la “strategia pragmatica” di militanti e attivisti che ricercano la pace non schierandosi “né con Putin né con la NATO”. Adesso però entriamo nel merito della vicenda della prima “estradizione politica”, o per meglio dire dell’espulsione e del conseguente “rimpatrio” di un cittadino curdo-turco per presunti reati politici.



MAHMUT TAT: ACCUSATO DI TERRORISMO, DICHIARA DI AVER SOLO PARTECIPATO A DELLE PROTESTE

Nelle ultime ore i media stanno diffondendo la notizia dell’estradizione di Mahmut Tat, deportato in Turchia dalle autorità svedesi nello scorso fine settimana, dopo una detenzione di circa tre settimane: stando a quanto riporta il sito curdo-”barzaniano” Rudaw era riuscito a contattare la famiglia quando ancora si trovava nel centro per i rimpatri di Molndal e parlando loro del dolore alle mani causato dalle manette. Un altro contatto telefonico sarebbe avvenuto da Istanbul in seguito al trasferimento con un aereo svedese. Adesso si trova nel carcere di Metris.

Tat, originario di Dersim e autista di professione, nel 2015 aveva ricevuto una condanna a quasi sette anni di prigione in Turchia, per presunti collegamenti con il PKK e con l’accusa di “collaborazione con un’organizzazione terrorista”. Per questo aveva lasciato la sua famiglia e cercato rifugio in Svezia, invano... Le autorità svedesi gli avevano comunicato che era considerato una persona pericolosa proprio per la condanna turca. Si è difeso spiegando che era stato accusato in maniera strumentale dopo aver partecipato a due proteste pacifiche e dichiarando: <<come semplice cittadino mi sono schierato dalla parte degli oppressi e della lotta democratica. Se questo è terrorismo, allora sì, sono un terrorista!>>. La richiesta d’asilo allora presentata è stata rifiutata alcuni anni dopo: alcuni giornalisti si interrogano sull’esito della procedura di ricorso avverso la decisione.

Il sito Swedn Postsen ha ricostruito parte della sua storia intervistando un altro esiliato curdo, l’amico Baris Onay, che ha ricevuto un permesso di soggiorno permanente dopo essere passato dalle galere turche per il lavoro svolto nella redazione di un giornale “non gradito”, ma con il timore che il governo attuale possa revocarlo: Tat aveva trovato un impiego in una pizzeria di Goteborg e aveva anche scoperto di avere un tumore. La condanna turca è basata sulle evidenze di un ex appartenente al PKK divenuto un informatore della polizia, evidenze ritenute false da Onay. Il nome dell’informatore, come si legge nelle cronache turche sarebbe Rustem H., e sostiene che Tat avrebbe fornito cibo e altri beni al Pkk.

Nello stesso caso è coinvolto anche il giornalista e attivista ultrasessantenne Hamza Yalcin: come si legge in un rapporto commissionato dal parlamento europeo sul potenziale abuso e sull’uso strumentale delle denunce all’Interpol, Yalcin era stato arrestato con l’accusa di terrorismo in Turchia, nel ‘79, e fuggito dopo sei mesi. Sconterà altri tre anni al suo ritorno in Turchia nel ‘90 prima di ottenere la cittadinanza svedese. Nel 2017, mentre si trova a Barcellona, viene arrestato con un mandato d’arresto dell’Interpol sollecitato dal governo turco: all’accusa di terrorismo si aggiunge quella di aver osato insultare Erdogan. Diversi politici e organizzazioni “alzano gli scudi” ottenendo il suo rilascio e il ritorno in Svezia. Purtroppo non è andata così per Tat perché più “debole” dal punto di vista mediatico e capro espiatorio/“povero Cristo” di turno da sbattere come “mostro terrorista in prima pagina”.




I PRECEDENTI: ERDOGAN VUOLE SOLO LA “CONSEGNA” DI DISSIDENTI?!

Conseguentemente al memorandum di Madrid le autorità turche avevano consegnato una “lista di proscrizione” con i nominativi dei “terroristi” da consegnare (ritenuti appartenenti al PKK, al Partito Comunista della Turchia Marxista Leninista e agli ex “alleati” del Sultano della “FETO”): la lista diffusa dai giornali di regime turchi comprendeva almeno 30 nominativi, ma altre fonti riportavano un numero di richieste maggiore (circa 70 per la sola Svezia), probabilmente non divulgate. Pare che Mahmut Tat non fosse presente nelle liste “pubbliche”, mentre sicuramente lo era Hamza Yalcin. Sembra invece che fosse presente anche quello della parlamentare svedese di origine curdo-iraniana, Amineh Kakabaveh, mentre sicuramente era presente quello del peta e politico curdo Mehmet Sirac Bilgin, morto nel 2015 (forse vorranno infierire sul suo cadavere)!

La prima estradizione annunciata è stata quella di Okan Kale, che però non era accusato di terrorismo ma di frode con carte di credito. Si è difeso spiegando che la sua condanna nascondeva una persecuzione per le sue origini curde, per il rifiuto di prestare il servizio militare e per la sua conversione al cristianesimo. Non sappiamo se alla fine è stato effettivamente deportato.

La seconda estradizione annunciata è stata quella di Zinar Bozkurt, simpatizzante dell’HDP (partito di sinistra turco che raccoglie le istanze dei curdi e che deriva da diverse organizzazioni politiche ufficialmente bandite): nel suo caso il pericolo di essere deportato sembra scongiurato anche grazie a una mobilitazione mediatica in suo favore. Mobilitazione che è stata insufficiente nel caso di Tat, forse perché il nuovo governo ha agito con un “passo maggiormente felpato” e più rapido.

Inoltre, nel nostro ultimo articolo sulla vicenda, spiegavamo che forse quello che davvero vuole la Turchia non era solo la “semplice” consegna dei terroristi, che sarebbe ostacolata da diversi fattori legali (bypassati con impudente leggerezza nel caso di Tat, come spieghiamo meglio fra poche righe).



Immagine dell'artista Hawel di Pixabay: riproduce la mappa del Kurdistan con i colori e i simboli della bandiera curda risalente a più di un secolo fa.


UN “RIMPATRIO SENZA PATRIA” E LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA

La parola rimpatrio appare come uno scherzo del destino dato che i curdi, “sparpagliati” tra i confini di quattro nazioni diverse (Turchia, Siria, Iraq e Iran), “dispersi” in un esodo globale e frammentati da secolari divisioni politiche, culturali e linguistiche -storicamente fomentate dai diversi attori del Medio Oriente e, di riflesso, dal resto del mondo intero- sono il più grande popolo al mondo che ha una “patria” (nel senso di valori e tradizioni comuni, anche se negate dalla Turchia che ha bandito le loro lingue e nega la loro stessa esistenza definendoli “turchi delle montagne”) ma non ha una nazione! 


Una parte del partito dei lavoratori curdi (il PKK, considerato come terrorista da USA, UE e ovviamente dalla Turchia) insieme a una serie di soggetti politici curdi ha abbandonato da tempo la strategia “indipendentista” mirante a costituire uno Stato-nazione curdo, a seguito della “svolta” teorica del leader incarcerato Ocalan che critica il concetto di “stato-nazione” senza però negarlo necessariamente. Le sue teorie confederaliste ispirate al municipalismo libertario, consistenti nel creare delle zone autogestite all’interno dei confini degli altri stati, sono state sposate dai curdi-siriani -e anche da altre popolazioni- del Rojava (attualmente sotto un attacco  intensificato della Turchia e mediaticamente isolato da un embargo comunicativo e politico), nel nord-est della Siria.


Inoltre bisogna dire chiaramente che attualmente in Turchia, paese con il secondo esercito più numeroso della NATO, c’è una dittatura (è stato quel “bolscevico sovversivo mangia-preti e mangia-bambini” di Mario Draghi a definire Erdogan come “un dittatore di cui però si ha bisogno”) dove le basilari libertà di una democrazia liberale (e non quelle più avanzate e forse utopiche di una democrazia “libertaria” come quella che si prova a costruire nell’Amministrazione Autonoma del Nord Est della Siria), inclusa quella di una magistratura indipendente dal potere esecutivo, non esistono o sono praticamente compromesse!
Per questo, anche se le persone di cui è stata richiesta l’estradizione fossero “davvero” dei “terroristi”, come sostengono l’autocrate e i suoi sgherri governativi, pensiamo che concederla sarebbe quantomeno immorale, se non anche illegale, dato che quelle persone dovrebbero essere considerate innocenti fino a prova contraria in un tribunale imparziale, oltre al fatto che rischiano la tortura nelle carceri della “Sublime porta”. Infatti l’avvocato di Mahmut Tat ha annunciato che denuncerà lo Stato svedese.



Proto-Redazione




Come di consueto concludiamo l’articolo con una citazione musicale “in armonia” con quanto appena scritto: la canzone “Nostra patria è il mondo intero” (titolo originale “Stornelli d’esilio”), scritta da Pietro Gori

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