LA PARTECIPAZIONE PALESTINESE E IL "BOTTINO" DEL TEAM DEI RIFUGIATI
Da una settimana si sono concluse le Olimpiadi di Parigi 2024 e a breve inizieranno i Giochi Paralimpici.
Gli organi di stampa dominanti continuano a parlare di "bottini" delle singole nazioni in medaglie e di "medaglieri". Invece in questo articolo, per la rubrica "DiSport", tracciamo un bilancio alternativo al mainstream, con dei conteggi che non riguardano le medaglie conquistate dai vari paesi.
Iniziamo parlando degli atleti palestinesi che non ci sono più e quelli che sono riusciti a partecipare. Anche se non hanno conquistato nemmeno una medaglia sono loro i vincitori e le vincitrici morali di questa edizione, l'ottava a cui ha preso parte la delegazione palestinese (in tutto sono 9, considerando l'atleta paralimpico che si cimenterà nel lancio del peso). Hanno gareggiato e alzato la bandiera che li rappresenta, nonostante il fatto che qualcuno continui a negare l'esistenza stessa dei palestinesi, definendoli genericamente "arabi", per legittimare la pulizia etnica "dal fiume al mare".
Concludiamo parlando di altri "momenti mediali salienti" di queste Olimpiadi, in particolare della pugile DONNA (scriviamolo a lettere grandi) Imane Khelif e del team dei rifugiati. E facciamo pure qualche considerazione sui valori dello sport mercificato e sul ruolo dello sportwashing.
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Foto di Amada MA da Unsplash |
GAREGGIARE PER RESISTERE ED ESISTERE
Si parla sempre dello spirito dello sport e delle emozioni che dovrebbe generare, della sorellanza dei popoli che dovrebbe stimolare. Purtroppo nell'attuale sistema socio-economico capitalista lo sport valorizza la competizione più esasperata possibile, il tifo da stadio diventa paradigma della dialettica politica -intendendo la parola "politica" in senso lato- mentre la politica -in senso partitico- sfrutta lo sport per aumentare la "polarizzazione" degli elettori-tifosi. Oppure, più semplicemente, per domare la voglia di cambiamento stonando l'opinione pubblico a suon di "pane e circo".
Questa maniera di sfruttare gli eventi sportivi per fini politici-mediatici, nel solco della tradizione dello sportwashing (ripulire l'immagine di un paese o di un politico tramite lo sport), era evidente già prima dell'inizio degli ultimi giochi olimpici:dopo l'invasione dell'Ucraina da parte russa nel 2022 si è scelto di far partecipare gli atleti russi e bielorussi senza esporre le bandiere e intonare i rispettivi inni nazionali. Nonostante le plateali violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale lo stesso provvedimento non è stato adottato nei confronti dello stato di apartheid israeliano, ennesimo esempio di "doppiostandard" o "due-pesismo".
Oggi, come società collettiva e non come singole individualità e collettività, siamo "troppo dentro" questa funesta fase storica per accorgerci che i giochi olimpici parigini verranno ricordati come le Olimpiadi durante il genocidio palestinese: da Ottobre 2023, l'inizio della vendetta e punizione collettiva israeliana per lo smacco militare inferto durante il sanguinoso atto terroristico guidato da Hamas, sono stati massacrati almeno 300 tra atleti, allenatori, arbitri e ufficiali di gara palestinesi (dato fornito da Mustafa Siyam della Palestinian Sports Media Association). Si stima che tra questi più di 60 avrebbero potuto competere alle ultime Olimpiadi. Stando a quanto riportato dal sito israeliano Haaretz (che non cita fonti specifiche) anche <<molte dozzine di atleti israeliani, di tutti i livelli, inclusi quelli giovani, sono morti durante o dopo il 7 Ottobre (...) potrebbero essere oltre 100>>. Non possiamo dire se nel funesto conteggio della testata israeliana sono stati inclusi anche i dodici ragazzini uccisi da un'esplosione in un campetto di calcio di Majdal Shams, villaggio illegalmente occupato da Israele: di sicuro quei bambini non avevano la cittadinanza israeliana, ampiamente rifiutata dalla maggioranza della comunità drusa del posto (a differenza di quanto affermato da molti).
Tra i volti più noti delle vittime "sportive" del genocidio palestinese c'è Majed Abu Maraheel, calciatore, corridore e primo atleta olimpico della storia palestinese. Uno degli innumerevoli bombardamenti aerei israeliani, con il pretestuoso obiettivo di "eradicare il terrorismo" esercitando una forma di "terrorismo di stato", ha comportato l'amputazione di una gamba e la morte di Nagham Abu Samra, karateka, laureata in scienze motorie e fondatrice della prima palestra di karate per donne a Gaza. Tra le tante vite e i rispettivi sogni spezzati sono stati uccisi anche Hani Al-Masdar, assistente allenatore della nazionale di calcio, i calciatori Ahmad Abu Al-Atta, Shadi Abu al-Araj e Mohammed Hussein Al-Sulibi, i pallavolisti Hassan Abu Zuaiter e Ibrahim Qusaya, il corridore Wasem Ayman Abu Deeb e il nuotatore paralimpico Majdi al-Tatr.