4.6.24

MINACCE ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE DA ISRAELE E USA

LA MINACCIA COME MEZZO DI RISOLUZIONE E IMPOSIZIONE NELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI

L'uso della forza militare e la minaccia di usarla sono i principali strumenti violenti per risolvere controversie internazionali e sono vietati dal diritto internazionale, oltre che "ripudiati" dalla nostra Costituzione.


Oltre alle "minacce militari" vanno considerate anche quelle dirette a singole persone. In questo post parliamo di quelle rivolte a Fatou Bensouda, Procuratrice capo della Corte Penale Internazionale fino al 2021, e al suo successore, Karim Ahmad Khan, che ha richiesto dei mandati di arresto per i leader di Israele e di Hamas.


Nella conclusione di questo post parliamo delle distorsioni e delle possibilità di "conflitto" generate e offerte dal diritto internazionale. Iniziamo, però, ripercorrendo sinteticamente le vicende giudiziarie al centro delle indagini delle due corti con sede all'Aja.



Sullo sfondo il disegno di un manifesto con sopra scritto "Wanted" e sotto "for war crimes and crimes against humanity". Al centro la foto di Netanyahu.



LE ACCUSE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE E LE MISURE PRECAUZIONALI DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA

Il 20 Maggio 2024 Karim Khan, Procuratore capo della Corte Penale Internazionale ha presentato alla Pre-Trial Chamber (la Camera di giudizio preliminare) una richiesta di mandati di arresto per Benjamin Netanyahu (premier israeliano), Yoav Gallant (ministro della difesa israeliano), Yahya Sinwar (vertice di Hamas a Gaza), Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri detto "Deif" (comandante delle brigate Al-Qassam) e Ismail Haniyeh (capo politico di Hamas) per 14 tipologie di crimini di guerra e contro l'umanità che si ritengono siano stati commessi <<almeno a partire dal 7 Ottobre>> e basati su diversi tipi di prove: immagini satellitari, interviste dei sopravvissuti, filmati di telecamere di sicurezza, cartelle cliniche, consulenze di esperti, affermazioni pubbliche degli indagati ecc..

I leader israeliani sono accusati di: usare la fame come arma di guerra; aver provocato intenzionalmente sofferenze, lesioni o trattamenti crudeliomicidio o uccisioniattacchi intenzionali contro la popolazione civilesterminio e/o omicidi, inclusi quelli attuati affamando la popolazione; di persecuzione (privazione dei diritti fondamentali di un gruppo) e altri atti disumani (diretti a provocare sofferenze e danni psico-fisici).

Nella richiesta di arresto si specifica che <<Israele, come tutti gli stati, ha il diritto di difendere la sua popolazione. Quel diritto, tuttavia, non assolve Israele o qualunque altro stato agli obblighi derivanti dal diritto umanitario internazionale>>, ossia le leggi di guerra. <<Oggi ribadiamo ancora che il diritto internazionale e le leggi dei conflitti armati si applicano a chiunque. Nessun soldato, nessun comandante, nessun leader civile -nessuno- può agire impunemente. Niente può giustificare la privazione intenzionale a esseri umani, inclusi così tanti bambini e donne, delle necessità basilari richieste per la loro esistenza. Niente può giustificare la presa di ostaggi o prendere di mira i civili>>.




Nel riquadro sopra (o a questo link se non riuscite a visualizzarlo, il video integrale della richiesta dei mandati di arresto).



I leader del Movimento di resistenza islamico sono accusati di: sterminio; omicidio; cattura di ostaggi; stupro e violenze sessuali, tortura, trattamenti crudeli, oltraggio alla dignità personale e diversi atti disumani nei confronti di prigionieri.

Ricordiamo che la Corte Penale Internazionale, organismo regolato dallo Statuto di Roma (non sottoscritto da Israele, mentre la Palestina lo ha fatto nel 2015), è nata per perseguire il "crimine dei crimini", il genocidio, e i crimini internazionali di aggressione, di guerra e contro l'umanità commessi da singoli individui. La corte agisce solo nel momento in cui lo stato che ospita i sospettati non riesce o non ha intenzione di perseguirli in maniera imparziale. Non avendo un corpo di polizia dedicato, per eseguire le sue decisioni ha bisogno del supporto degli stati che aderiscono allo statuto. Nel caso specifico ciò implica che se Netanyahu e Gallant non vengono processati in Israele e non mettono piede in uno stato aderente, che avrebbe l'obbligo di arrestarli, riuscirebbero a evitare il processo. Simile discorso vale per il "fantasma di Gaza", il generale Deif, che sarebbe ancora nei sotterranei di Gaza e potrebbe essere fatto prigioniero da chi rappresenta o rappresenterà l'Autorità Nazionale Palestinese (perlomeno teoricamente).

Invece la Corte Internazionale di Giustizia, massimo organismo giudiziario dell'ONU, ha i compiti principali di risolvere controversie tra stati membri e di fornire pareri legali. A gennaio lo stato del Sudafrica ha denunciato Israele di fronte a quest'ultima, accusandolo di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio. Secondo il Sudafrica gli intenti di distruggere la popolazione palestinese sono ravvisabili, anche solo in parte, pure dalle dichiarazioni pubbliche dei governanti dello stato etno-teocratico (le più aberranti le abbiamo raccolte in questo post) e si sono concretizzati in quattro -su cinque- tipologie di atti che connotano il genocidio: uccisioni di massa, danni psico-fisici ampliati dall’assedio cui era già sottoposta la popolazione, non facendo entrare risorse basilari come acqua, medicine e cibo, incrementando denutrizione e mancanza di cure basilari, che si uniscono letalmente alle distruzioni calcolate e indiscriminate che hanno reso Gaza invivibile, con ogni tipo di infrastruttura colpita, ospedali in primis. Condizioni che denotano il deliberato intento di sottoporre la popolazione che si cerca di distruggere a <<condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica>>, anche solo parziale, insieme allo sfollamento di persone verso aree definite “sicure”, ma che poi vengono "regolarmente" bombardate. Infine, la quarta e ultima tipologia di atto genocida denunciato dal paese africano, si concretizza negli ostacoli atti a impedire le nascite del gruppo vittima di genocidio, con donne incinte che, se sopravvivono, hanno difficoltà enormi a partorire, senza considerare questioni come la mancanza di corrente elettrica per le incubatrici, la mancanza di cibo che non permette alle donne di allattare i piccoli e altre atrocità simili.

Ciò andrebbe ricordato alla "scorta mediatica" che sta legittimando il genocidio e che considera tale solo quello subito dagli "ebrei senza terra" durante la Seconda Guerra Mondiale: eventi come il genocidio di Srebrenica nel '95, accertato dal diritto internazionale (con meno di un quarto delle vittime, a oggi, di Gaza) o lo sterminio dei nativi americani non sono considerabili tali, secondo questa curiosa logica che sfrutta il trauma degli Olocausti (il plurale non è un refuso) per legittimare un'occupazione coloniale che va avanti da almeno 76 anni.

Mentre tanti pennivendoli venduti, o artatamente traumatizzati dalla propaganda sionista, fingono o non riescono ad accettare che il genocidio di Gaza sia quantomeno concepibile, la Corte Internazionale di Giustizia, a fine Gennaio, ha ritenuto plausibile che a Gaza si stia verificando un genocidio, in attesa di un verdetto definitivo per confermarlo. Per questo ha emesso un'ordinanza richiedendo a Israele di prevenire il più grave dei crimini, stabilendo delle misure cautelari. Tra queste ci sono l'accesso urgente di aiuti umanitari a Gaza (mentre i vertici di varie entità sioniste continuano a delegittimare l'UNRWA e milizie di coloni attaccano i convogli umanitari) e di prevenire e impedire l'incitamento al genocidio.

Quattro giorni dopo i mandati d'arresto richiesti dalla "corte gemella", la CIG ha sentenziato nuovamente che Israele dovrebbe far entrare, urgentemente, più aiuti umanitari. Ha inoltre stabilito di interrompere la catastrofica offensiva su Rafah e di permettere l'avvio di investigazioni indipendenti insieme alla liberazione degli ostaggi da parte di Hamas. Non si è pronunciata invece sugli "ostaggi" incarcerati da Israele, ossia le migliaia di prigionieri politici nelle galere israeliane dei quali, alcune centinaia, dovrebbero essere rilasciati nell'ambito delle infruttuose trattative che vanno avanti da mesi.



MANIPOLAZIONI, MINACCE IN PRIVATO E QUELLA LETTERA MINATORIA PUBBLICA: DA BENSOUDA A KHAN

Il Procuratore Khan, nella comunicazione della richiesta di arresto, ha anche specificato che <<ogni tentativo di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente gli ufficiali di questa Corte deve cessare immediatamente. Il mio Ufficio non esiterà ad agire in base all'articolo 70 dello statuto qualora questo genere di condotta continui>>. L'articolo in questione si riferisce a diverse forme di intralcio all'operato della corte, inclusi l'intimidazione e la corruzione, e ne afferma la sua giurisdizione.

Ascoltando le parole di Khan la mente di molti analisti è andata subito a una lettera minatoria firmata da 12 parlamentari statunitensi repubblicani, inviata al procuratore il 24 Aprile. Riguardo alle <<notizie circolanti sul mandato di arresto contro Netanyahu da parte della CPI>>, nella missiva si argomenta che <<questo tipo di azioni non hanno basi legali e sono illegittime, e se portate avanti risulteranno in gravi sanzioni contro di lei e la sua istituzione (...) prenda di mira Israele e noi prenderemo di mira lei (...) termineremo di supportare la CPI -alla quale gli Usa non aderiscono, tra l'altro ndr- sanzioneremo impiegati e collaboratori, e bandiremo lei e la sua famiglia dagli Stati Uniti>>. Altre ipocrite ma significative argomentazioni esposte riguardano il fatto che non si potrebbe equiparare l'atto terroristico di Hamas al terrorismo di stato israeliano, considerata l'"unica democrazia del Medio-oriente". Si afferma che attaccare Israele equivarrebbe ad attaccare gli USA e via discorrendo con questo genere di discorsi, propinati anche dalla stampa mainstream. Per par condicio ricordiamo che Khan, dopo aver emesso un mandato di arresto nei confronti di Putin, è stato inserito nella lista dei ricercati dalla Russia l'anno scorso.

Alcuni, quando la notizia è diventata pubblica agli inizi di Maggio, pensavano che dal momento in cui dei parlamentari americani sono capaci di inviare minacce in maniera così "aperta", chissà cosa si può immaginare su quanto avviene "dietro le quinte" e nelle "segrete stanze". Questo genere di sforzo immaginativo è stato supportato da un'inchiesta e diversi articoli di tre testate israeliane, +972 MagazineLocal Call e Haaretz (al giornalista Gur Megiddo fu però impedito di pubblicare la notizia nel 2022) insieme al The Guardian, basati sulle testimonianze di diversi funzionari israeliani, ufficiali e diplomatici

I servizi segreti israeliani avrebbero condotto delle operazioni di intelligence nell'ultimo decennio per spiare ed esercitare pressioni su Karim Khan e sulla Procuratrice che lo ha preceduto e che già indagava su crimini di guerra e contro l'umanità commessi da Israele, Fatou Bensouda, insieme a diversi dipendenti di varie organizzazioni per i diritti umani palestinesi (tra cui anche l'organizzazione Addameer, di cui abbiamo parlato in questo post), per un totale di più di 50 persone. 


Primo piano di Fatou Bensouda che indossa la toga.
Fatou Bensouda, Procuratrice Capo della CPI dal 2012 al 2021. Foto di Max Koot Studio da Wikimedia Commons rilasciata con licenza Creative Commons.


Su Bensouda in particolare si sarebbero concentrate le attenzioni del Mossad, l'agenzia del servizio segreto "esterno", e del suo dirigente dell'epoca, Yossi Cohen, coadiuvato da Joseph Kabila, presidente della Repubblica Democratica del Congo fino al 2019. A partecipare alle operazioni c'erano anche i diretti interessati e accusati dell'esercito, che hanno collaborato investendo risorse per un obiettivo che non era militare. Il capo del Mossad sarebbe entrato in contatto con Bensouda più volte, inizialmente tentando di ingraziarsela e vestendo i panni del "bravo poliziotto". Dopo aver fallito con "le buone" e diversi tentativi di manipolazione sarebbe arrivato a minacciare, più o meno velatamente, la sua famiglia: <<Aiutaci e lascia che ci prendiamo cura di te. Non vuoi addentrarti in questioni che metterebbero a rischio la tua sicurezza o quella dei tuoi cari>>. Suo marito, un uomo di affari, sarebbe stato sul punto di essere oggetto di un'operazione giudiziaria sotto copertura: le informazioni sono finite nelle mani degli agenti israeliani e non è chiaro quale "entità" giuridica l'avrebbe portata a termine, così come ci sono dubbi sull'autenticità delle indagini a suo carico.

La procuratrice ha indagato anche su abusi commessi dagli USA in Afghanistan e, sotto la presidenza di Trump, le furono imposte sanzioni, in seguito annullate dall'amministrazione Biden. Sono le stesse sanzioni che, di norma, vengono applicate a chi è un "terrorista" dichiarato e prevedono, tra le varie misure, il blocco di conti corenti. L'allora direttore della CIA Mike Pompeo l'accusava, senza fornire nessuna prova, di essere coinvolta in atti di corruzione per tornaconto personale. Stretta tra due fuochi, quelle del "Signore" statunitense e del "vassallo" mediorientale della NATO, fu tacciata di antisemitismo da parte di Netanyahu (un classico visto che anche l'altra corte è stata definita tale, insieme a tanti israeliani ed ebrei che si oppongono alla colonizzazione sionista, definiti strumentalmente "ebrei che odiano loro stessi").

Tra gli "obiettivi" palestinesi anche un malato di cancro che aveva paura di vedersi revocato il visto di ingresso per curarsi. Le "notizie" carpite tramite l'attività di spionaggio sarebbero state girate anche a delle persone negli uffici dell'Aja. Uno degli scopi era far dubitare alla Procuratrice delle sue stesse indagini, o indurla a credere che Israele potesse farne di altre "interne" e indipendenti sulle "mele marce" nell'esercito (evidentemente marcio fin dalla sua radice), i cui alti ranghi erano tra i principali obiettivi delle investigazioni, e oggi lo sono ancor di più. Quella delle indagini interne per vanificare qualunque serio tentativo di giungere a una verità processuale è una strategia ben collaudata dallo stato etno-teocratico che, forse, questa volta non funzionerà. Khan ha cambiato idea dopo il 7 Ottobre: inizialmente sembrava non considerare una priorità i fascicoli aperti sui territori occupati dalla sua collega, alla quale andrebbe riconosciuto il merito di aver resistito a pressioni e manipolazioni.


Karim Kan con indosso la toga durante un processo.
Karim Kan, attuale Procuratore Capo della CPI. Foto di Khmer Rouge Tribunal (ECCC) da Wikimedia rilasciata con licenza Creative Commons.



IL DIRITTO: UN CAMPO DI "CONFLITTO" DA "ATTRAVERSARE"

Si dice spesso che la legge non è uguale per tutti, che per "gli amici" (inclusi gli "stati amici", nel diritto internazionale) si interpreta e per le persone "comuni" (o per gli stati considerati "arretrati", da conquistare e sfruttare) si applica.

Purtroppo, secondo l'opinione di chi scrive, queste considerazioni sul diritto, nazionale e internazionale, sono tendenzialmente vere. Di conseguenza dal diritto possono derivare tante distorsioni e ingiustizie "formalizzate" a danno degli oppressi, sia singoli che gruppi. Una di queste distorsioni, tra le principali cause dell'apice del genocidio incrementale attuato a partire dall'8 Ottobre, è proprio la risoluzione 181 del '47. Gli stati occidentali hanno fatto "bancarotta fraudolenta" sullo sterminio degli ebrei, facendo pagare a un altro popolo le sue colpe: alla popolazione in possesso di circa il 7% della terra palestinese ne veniva assegnato più del 50%. Una soluzione che, ovviamente, non poteva essere accettata dalla maggioranza araba, che fu espulsa forzatamente. Si stabilì poi il diritto al ritorno di quelle persone espulse con una pulizia etnica funzionale all'instaurazione di un nuovo "squilibrio" demografico, a vantaggio della popolazione occupante. Si affermò che le annessioni israeliane a partire dal '67 erano illegali, cominciarono delle trattative che avrebbero dovuto portare alla pace con gli accordi di Oslo. Ma i fanatici messianici e i fascio-sionisti, invece di ritirarsi dalle colonie, continuarono e continuano a espanderle...

Tuttavia il diritto è uno di quei campi in cui si può condurre e provocare "conflitto", soprattutto per evitare altri tipi di conflitti violenti. Un esempio di "conflitto costruttivo" e delle contraddizioni all'interno di istituzioni come le Nazioni Unite è rappresentato dalla vicenda di Craig Mokhiber. A pochi giorni dalla pensione si è dimesso dalla carica di dirigente dell’ufficio di New York dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ammettendo il fallimento decennale della sua organizzazione sulla questione palestinese. Nella lettera inviata all’Alto Commissario, Volker Turk, ha parlato di un <<caso da manuale di genocidio>> e di <<pulizia etnica di Gaza>>, denunciando la complicità non solo di stati e governanti, ma anche di chi fa informazione: <<le aziende dei media occidentali, sempre di più su richiesta dei governi, stanno violando palesemente l’articolo 20 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, disumanizzando incessantemente i palestinesi per giustificare genocidio e diffondere la propaganda di guerra>>. L’ex membro dell’ONU descrive l’organizzazione di cui ha fatto parte come divisa in due: da una parte gli organismi decisionali, più “politici” e visibili, a partire dal Consiglio di Sicurezza bloccato <<dall’intransigenza degli Stati Uniti>>, dei settori e delle persone che hanno <<ceduto all’opportunità politica>> o che hanno troppa paura di fare il loro dovere, temendo le punizioni degli stati più forti. Dall'altra parte si trovano tanti dipendenti e funzionari motivati da alti ideali.

Per questo, se non vogliamo precipitare nell'abisso di una guerra sempre più vasta e senza fine, se non vogliamo un Mondo regolato da una "legge della giungla" basata sul terrore della deterrenza nucleare, dobbiamo assolutamente "attraversare" il campo del diritto ed evitare che venga fagocitato da chi vuole ricorrere alla guerra e alle minacce come mezzo di coercizione e di risoluzione delle controversie. Dobbiamo farlo per garantire le libertà di tutt*, libertà che non devono essere solo "sulla carta", formali e simboliche, ma sostanziali. Inclusa la libertà di tutte le persone che vivono "dal fiume al mare". Ed esclusa le libertà di negare l'altrui autodeterminazione e di opprimere.



Paolo Maria Addabbo


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Ultima modifica 06/06/2024 22:30

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