LA CAUSA LEGALE INTENTATA DAL SUDAFRICA
Secondo il Sudafrica Israele sta commettendo un genocidio,
e per questo lo ha denunciato alla Corte Internazionale di Giustizia: uccisioni
di massa, distruzioni calcolate e indiscriminate che hanno reso Gaza invivibile
e colpito ogni tipo di infrastruttura a cominciare dagli ospedali, danni
psico-fisici ampliati dall’assedio cui era già sottoposta la popolazione (non
facendo entrare risorse basilari come acqua e cibo) e attualmente incrementato,
sfollamento di persone (anche verso aree definite “sicure” che poi vengono
bombardate) e perfino gli ostacoli per impedire le nascite di infanti, con
donne incinta che se sopravvivono hanno difficoltà enormi a partorire e con la
mancanza di corrente elettrica che fa spegnere le incubatrici, senza la
possibilità di poter fornire aiuti alle quasi 200 donne che ogni giorno hanno
difficoltà relative alla gravità (dati dell’OMS).
Sono dunque 4 su 5 i tipi
azioni commesse dalla forza occupante che, secondo il Sudafrica, ricadono nel II articolo della
Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio,
e basta che anche solo una di queste azioni sia commessa per configurare
“il crimine dei crimini”, che consiste nell’intenzione di distruggere un gruppo
nazionale, etnico, razziale o religioso anche solo in parte.
Ma, secondo il team di legali del Sudafrica, Israele sta
fallendo anche nel punire chi lo incita, quando non sono le stesse alte cariche
dello stato a farlo direttamente. In questo post ci concentriamo dunque sul linguaggio
genocidiario usato nei confini dello stato teocratico israeliano,
linguaggio che costituirebbe la prova delle intenzioni genocide che, per
l’appunto, precedono le azioni.
Lo facciamo a partire dal dossier presentato dal Sudafrica, dalle argomentazioni esposte
nella prima udienza la scorsa settimana (in particolare quelle del legale Tembeka Ngcukaitobi che si è occupato di illustrare le evidenze che dimostrano le intenzioni e le relative dichiarazioni di governanti, militari e società civile) e analizzando anche altre fonti stampa.
Precisiamo che a questo stadio del procedimento non è
ancora necessario provare “nel merito” che il crimine di genocidio si sia
consumato (eventuali responsabilità individuali dovrebbero essere
accertate da un Tribunale ad hoc e dalla Corte Penale Internazionale), ma
basta dimostrare che le accuse siano plausibili per fare
applicare le misure cautelari e imporre la fine dell’invasione (o perlomeno un suo forte ridimensionamento), un
provvedimento che la parte dell’umanità non indifferente allo sterminio chiede a gran voce.
Inoltre va specificato anche che, nel momento in cui le misure venissero
applicate e Israele non le rispettasse, verrebbe coinvolto il Consiglio di
sicurezza ONU.
Le misure per fermare il massacro, inviare più aiuti umanitari e prevenire il compimento del
genocidio verrebbero “allargate” ai paesi alleati di Israele (Italia inclusa). La difesa israeliana ha invece ribaltato le accuse, dicendo che Hamas si è
macchiata di un genocidio e che gli stati che hanno avallato la sua condotta
sono altrettanto responsabili. Di sicuro un genocidio non ne giustifica un
altro, così come la Shoah non giustifica la Nakba del ‘48 (letteralmente “La
Catastrofe”, e cioè lo sfollamento forzato e la pulizia etnica dei palestinesi) e quella del 2023!
IL CRIMINE DEI CRIMINI E LA “PISTOLA FUMANTE”
Il genocidio è “il crimine dei crimini”, l’atto illegale più
atroce dal punto di vista umano e dalla prospettiva del diritto penale e
internazionale, ed è anche un “processo”, qualcosa che si sviluppa malignamente
nel tempo, utilizzando la macchina della propaganda per disumanizzare il
gruppo che si vuole colpire e, così facendo, rimuovendo l’empatia nei
confronti di propri simili...