27.1.24

DEFINIZIONE DI OLOCAUSTO, DELL’OLOCAUSTO E DEGLI OLOCAUSTI

Per la rubrica “Define” pubblichiamo un breve editoriale nella “Giornata della Memoria” più discussa della storia, cercando di fare chiarezza sulle diverse accezioni della parola “olocausto”. Partiamo proprio dalla definizione che troviamo nei dizionari.

 

 

Alcuni virgolettati di Gabor Maté: definisce Gaza <<il più grande campo di concentramento al mondo>>; << C’era una terra con delle persone, e altre persone la volevano, se la sono presa e continuano a prendersela, continuano a discriminare, opprimere ed espropriare: questo è quanto>>; <<l’omicidio dei miei nonni ad Auschwitz non giustifica l’esproprio dei palestinesi in corso, che giustizia, verità e pace non sono prerogative tribali. Che il “diritto di difendere sé stessi” di Israele, inattaccabile in principio, non conferisce validità alle uccisioni di massa>>; <<La sproporzione di potere, di responsabilità, di oppressione è così marcata da un lato, che basta pensare alla peggiore cosa che si può dire di Hamas moltiplicata per mille, e quella cosa non sarà paragonabile alla repressione israeliana, alle uccisioni e alle espropriazioni dei palestinesi>>
Foto a sinistra di "Gabor Gastonyi", fonte "Clare Day", rilasciata con licenza "creative commons"

DEFINIZIONE DI OLOCAUSTO

Il significato originario e letterale della parola “olocausto” si riferisce a un’antica forma di sacrificio in cui un animale veniva offerto alla divinità bruciandolo. Un’altra accezione del termine indica metaforicamente il sacrificarsi per qualcosa con dedizione assoluta. Altro significato può essere quello di sterminio, massacro, genocidio di un gruppo.

Quando si parla di “Olocausto” (con la lettera grande) nella maggioranza dei casi ci si riferisce al più grave evento della storia dell’umanità, allo sterminio pianificato scientificamente e minuziosamente di ebrei, di rom, di omosessuali, di Testimoni di Geova, di diversamente abili, di oppositori politici e di prigionieri di guerra, e quindi delle minoranze perseguitate dal nazismo. Si parla infatti anche di “Olocausti” al plurale oppure di “Omocausto” intendo quello specifico della comunità LGBT, o ancora di “Porajmos” (letteralmente traducibile in “Devastazione”) e di Samudaripen (“tutti uccisi”) nella lingua dei romanì, e ovviamente di “Shoah” (“Distruzione” in ebraico).

 

24.1.24

A CHI TANTO E A CHI NIENTE:

L’1% POSSIEDE IL 45,6%. IL 50% SOLO LO 0,75%

 

immagine di un dollaro con al centro la figura di un mendicante che chiede la carità a un signore in giacca e cravatta

L’1% DEI PIÙ RICCHI AL MONDO POSSIEDE IL 45,6% DELLA RICCHEZZA GLOBALE; LA METÀ PIÙ POVERA NE POSSIEDE SOLO LO 0,75%; IL 5% DEGLI ITALIANI POSSIEDE IL 46% DELLE RICCHEZZE.


Le statistiche sulla concentrazione del potere economico in Italia e nel Mondo ci fanno comprendere che è sempre più urgente attivarsi per esigere una più equa distribuzione delle ricchezze (non considerando la confusione tra  meriti, privilegi e fortune). Ne parliamo sulla rubrica “Dati Parziali”.

 

 

LA SOPRAVVIVENZA DEL PIÙ RICCO

L’ultimo report sulle disuguaglianze legate alla ricchezza di Oxfam (confederazione internazionale di ONG e movimento che lotta contro disuguaglianze povertà) intitolato “Survival of the richest” (letteralmente “Sopravvivenza del più ricco”, titolo che fa il verso al motto darwiniano della “sopravvivenza del più adatto) afferma che:

<<L’1% dei più ricchi al Mondo possiede il 45,6% della ricchezza, mentre la metà più povera del pianeta ne possiede solo lo 0,75%.

81 miliardari possiedono più ricchezza di quella del 50% del resto della popolazione mondiale messa insieme.

10 miliardari possiedono più di 200 milioni di donne africane messe insieme>>.

Inoltre nell’ultimo decennio <<l’1% più ricco dell’umanità ha acquisito più della metà di tutte le nuove ricchezze>>.

Le ricchezze sono quindi concentrate nelle mani di pochissimi miliardari, mentre miliardi di persone fanno fatica anche a mettere insieme le calorie minime necessarie al funzionamento biochimico del proprio corpo e possiedono una parte infinitesimale degli averi globali.

 

In basso a destra l'immagine di un dollaro con al centro la figura di un mendicante che chiede la carità a un signore in giacca e cravatta. Poi la scritta: L’1% dei più ricchi al Mondo possiede il 45,6% della ricchezza. La metà più povera del pianeta ne possiede solo lo 0,75%.



In basso a destra l'immagine di un dollaro con al centro la figura di un mendicante che chiede la carità a un signore in giacca e cravatta. Poi la scritta:  81 miliardari possiedono più ricchezza del 50% del resto della popolazione mondiale messo assieme.


RICCHI SEMPRE PIÙ RICCHI, POVERI SEMPRE PIÙ POVERI

22.1.24

LE MERCI NON SI TOCCANO! I CIVILI SÌ…

Parliamo dell’ipocrisia del “dis-ordine” internazionale ragionando sulle azioni di sabotaggio nel Mar Rosso e sull’invio di militari per proteggere le merci invece che le persone.

 

Una nave che porta container

RIDUZIONE DEL TRAFFICO COMMERCIALE MARITTIMO E “RIDUZIONE” DI VITE UMANE

In questi ultimi tre mesi abbiamo assistito a un massacro senza precedenti di civili, medici, operatori sanitari, giornalisti e funzionari delleNazioni Unite a opera dei fascio-sionisti e fanatici messianici israeliani, dopo un atto illegittimo e un eccidio terribile compiuto dalla più conosciuta delle fazioni della resistenza palestinese, Hamas. Quell’atto illegale però non può invalidare la resistenza in toto, anche armata (come abbiamo spiegato tra queste pagine intervistando Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori occupati). 

Gran parte dei potentati occidentali (quelli mediatici inclusi) caldeggiano la “legittima difesa israeliana” che in realtà è “illegittima offesa”, una punizione collettiva di un popolo che vive da decenni sotto una brutale occupazione militare. Ma soprattutto sono interessati a difendere il principale “cliente” della NATO nell’area, Israele per l’appunto, baluardo degli interessi imperialisti occidentali in Medio Oriente.

Negli ultimi mesi i “Partigiani di Dio” filo-iraniani, noti come Houthi, hanno avviato una serie di azioni di sabotaggio contro le navi commerciali che transitano nel Mar Rosso, delle azioni di disturbo che minacciano il transito di merci in una delle principali rotte del commercio globale, quella che passa per il Canale di Suez, con l’intento dichiarato di fermare l’invasione di Gaza. 

17.1.24

IL “GIORNALICIDIO” IN PALESTINA

GENOCIDIO A MEZZO STAMPA E MANIPOLAZIONI MEDIATICHE

 

 

Foto di un giornalista palestinese: in mano ha una fotocamera con teleobiettivo. Indossa un casco con la scritta "tv" e giubbotto con la scritta "press". Sullo sfondo il deserto e alcuni ragazzi.


Mentre sono almeno più di 20mila le vittime, quasi tutte civili, della punizione collettiva dei gazawi e dei palestinesi in tutti i territori occupati, la guerra di sterminio attuata grazie al “pretesto” offerto dai nazionalisti islamici di Hamas (che potrebbe evolvere in una soluzione della questione palestinese, in una “soluzione finale” di Israele per completare la pulizia etnica dei palestinesi o in un conflitto sempre più esteso e diretto tra i vari “imperi" o aspiranti tali) è senza precedenti: oltre alla vastità dell’attacco dell’entità sionista e alla catastrofe umanitaria in corso, mai prima erano morti così tanti membri del personale delle Nazioni Unite (si contano almeno 148 vittime tra gli operatori ONU, quasi tutti tra le fila dell’UNRWA, l’Agenzia per i rifugiati palestinesi), delle persone che offrono assistenza sanitaria (quasi 340 tra medici e infermieri) e mai prima erano morti così tanti cronisti e operatori dell’informazione in così poco tempo (tra gli 80 e i 120), anche se lo stato teocratico israeliano non è nuovo all’eliminazione di “voci mediatiche”, come testimonia l’omicidio di Shireen Abu Akleh nel 2022.

 

L’etno-crazia cliente di NATO/USA in medio-oriente riscrive le leggi di guerra, incluse quelle che dovrebbero tutelare gli operatori dei media, violando in maniera palese e grossolana le principali regole del diritto internazionale, attuando una rozza propaganda pedissequamente replicata dalla maggioranza dei media mainstream occidentali. Per questo nell’articolo che segue ci focalizziamo su una serie di considerazioni meta-mediatiche di questi cento e passa giorni di massacri, e quindi sulla strategia e sulle tattiche propagandiste sioniste, sulla “scorta mediatica” che troppi organi di informazione stanno fornendo loro e ai paesi complici del “caso da manuale di genocidio”, come lo ha definito Craig Mokhiber prima di lasciare l’ufficio newyorkese dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.

 


TATTICHE E STRATEGIA DELLA GUERRA MEDIATICA ISRAELIANA: L’AUTODIFESA INVOCATA A SPROPOSITO

Una delle principali tattiche della macchina da guerra mediale israeliana consiste nel minimizzare le perdite sul campo affermando al contempo di essere ancora in grado di difendere il “focolare coloniale ebraico” dopo aver miseramente fallito, prima militarmente e poi umanamente. Sono partiti con il de-umanizzare il popolo palestinese, identificando tout-court questo con Hamas, e dipingendo la principale fazione del variegato fronte della resistenza come affine ai tagliagole dell’ISIS (mentre Netanyahu e i fascio-sionisti sostenevano occultamente Hamas, anche in funzione anti-ISIS, oltre a fungere da "nemico di comodo"), enfatizzando gli aspetti dell’eccidio commesso da una singola componente della legittima resistenza in armi di un popolo occupato, raccontando una storia che inizia e finisce nel 7 Ottobre del 2023, nascondendo decenni di occupazione illegale e il “peccato originale-colonialista” che ha portato alla nascita dello stato sionista (definizione più corretta di “stato ebraico”, come sostengono pure molti rabbini) e anche manipolando quello che è effettivamente accaduto a cominciare da quel tragico giorno (ricordate la fake-news dei bambini decapitati?!). Tragico e orrendo per le vittime civili di ambo le parti, anche se quelle di una parte sono molte di più e dovevano essere evitate.

16.1.24

IL LINGUAGGIO GENOCIDA DI ISRAELE

LA CAUSA LEGALE INTENTATA DAL SUDAFRICA

 

Secondo il Sudafrica Israele sta commettendo un genocidio, e per questo lo ha denunciato alla Corte Internazionale di Giustizia: uccisioni di massa, distruzioni calcolate e indiscriminate che hanno reso Gaza invivibile e colpito ogni tipo di infrastruttura a cominciare dagli ospedali, danni psico-fisici ampliati dall’assedio cui era già sottoposta la popolazione (non facendo entrare risorse basilari come acqua e cibo) e attualmente incrementato, sfollamento di persone (anche verso aree definite “sicure” che poi vengono bombardate) e perfino gli ostacoli per impedire le nascite di infanti, con donne incinta che se sopravvivono hanno difficoltà enormi a partorire e con la mancanza di corrente elettrica che fa spegnere le incubatrici, senza la possibilità di poter fornire aiuti alle quasi 200 donne che ogni giorno hanno difficoltà relative alla gravità (dati dell’OMS).


Nel disegno un elicottero sgancia un missile verso un bimbo palestinese, rivolto di spalle, con una kefiah e un orsacchiotto. Sull'elicottero c'è scritto Israel, e l'ombra proiettata dal bambino diventa la scritta "Gaza". Ai lati le mura che circondano Gaza
Disegno di Carlos Latuff rilasciato con licenza creative commons


Sono dunque 4 su 5 i tipi azioni commesse dalla forza occupante che, secondo il Sudafrica, ricadono nel II articolo della Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio, e basta che anche solo una di queste azioni sia commessa per configurare “il crimine dei crimini”, che consiste nell’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso anche solo in parte.

 

Ma, secondo il team di legali del Sudafrica, Israele sta fallendo anche nel punire chi lo incita, quando non sono le stesse alte cariche dello stato a farlo direttamente. In questo post ci concentriamo dunque sul linguaggio genocidiario usato nei confini dello stato teocratico israeliano, linguaggio che costituirebbe la prova delle intenzioni genocide che, per l’appunto, precedono le azioni.


Lo facciamo a partire dal dossier presentato dal Sudafrica, dalle argomentazioni esposte nella prima udienza la scorsa settimana (in particolare quelle del legale Tembeka Ngcukaitobi che si è occupato di illustrare le evidenze che dimostrano le intenzioni e le relative dichiarazioni di governanti, militari e società civile) e analizzando anche altre fonti stampa.

 

Precisiamo che a questo stadio del procedimento non è ancora necessario provare “nel merito” che il crimine di genocidio si sia consumato (eventuali responsabilità individuali dovrebbero essere accertate da un Tribunale ad hoc e dalla Corte Penale Internazionale), ma basta dimostrare che le accuse siano plausibili per fare applicare le misure cautelari e imporre la fine dell’invasione (o perlomeno un suo forte ridimensionamento), un provvedimento che la parte dell’umanità non indifferente allo sterminio chiede a gran voce. Inoltre va specificato anche che, nel momento in cui le misure venissero applicate e Israele non le rispettasse, verrebbe coinvolto il Consiglio di sicurezza ONU. 

Le misure per fermare il massacro, inviare più aiuti umanitari e prevenire il compimento del genocidio verrebbero “allargate” ai paesi alleati di Israele (Italia inclusa). La difesa israeliana ha invece ribaltato le accuse, dicendo che Hamas si è macchiata di un genocidio e che gli stati che hanno avallato la sua condotta sono altrettanto responsabili. Di sicuro un genocidio non ne giustifica un altro, così come la Shoah non giustifica la Nakba del ‘48 (letteralmente “La Catastrofe”, e cioè lo sfollamento forzato e la pulizia etnica dei palestinesi) e quella del 2023!

 

 

foto di Netanyahu con una sua dichiarazione:<<non ci fermeremo fino a quando la nostra missione non sarà completa, fino a quando la luce sovrasterà l’oscurità, fino a quando il bene sconfiggerà il diavolo assoluto che minaccia noi e l’intero pianeta>>
Foto originale rilasciata con licenza creative commons. Clicca o "schiaccia" le immagini per vederle in maniera nitida

 

IL CRIMINE DEI CRIMINI E LA “PISTOLA FUMANTE”

Il genocidio è “il crimine dei crimini”, l’atto illegale più atroce dal punto di vista umano e dalla prospettiva del diritto penale e internazionale, ed è anche un “processo”, qualcosa che si sviluppa malignamente nel tempo, utilizzando la macchina della propaganda per disumanizzare il gruppo che si vuole colpire e, così facendo, rimuovendo l’empatia nei confronti di propri simili...

15.1.24

GENOCIDIO, RESISTENZA, STAMPA ASSERVITA, BOICOTAGGIO E CESSATE IL FUOCO

In foto Francesca Albanese. Nella didascalia si vede una sua dichiarazione: <<Il diritto internazionale, in particolare il protocollo aggiuntivo alla convenzione di Ginevra, riconosce il diritto di un popolo oppresso, un popolo sotto occupazione straniera, alla resistenza. (...) Questo diritto è riconosciuto anche ai palestinesi attraverso risoluzioni dell'Assemblea generale ma nei limiti del diritto internazionale, quindi i civili non si toccano, non si ammazzano, non si brutalizzano, non si prendono in ostaggio.  Però c’è una cosa sulla quale insisto: un atto illegittimo della resistenza va investigato, va giudicato, i responsabili vanno assicurati alla giustizia ma quest'atto illegittimo non invalida la resistenza tutta.>>


In 7 minuti la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, ci parla del massacro del popolo palestinese in corso e le chiediamo di:

1) Diritto a resistere di un popolo oppresso con le armi

2) La differenza e le connessioni tra i concetti di “genocidio” e “pulizia etnica”.

3) La strage di personale sanitario, di operatori dell’ONU e giornalisti che si somma a quella dei civili a Gaza e nei territori occupati.

4) Cosa possiamo fare, adesso, per fermare il genocidio?

5) Boicottaggio economico

Francesca Albanese, la settimana scorsa, al margine di un’intensa presentazione del libro “J’Accuse” (edizioni “Fuori Scena”) di circa due ore a Napoli (sala pienissima, mentre non sembravano presenti organi mediali “mainstream”), ha dedicato un po’ del suo preziosissimo tempo alla nostra umile “fanzina/rivista”, aiutandoci a chiarire alcuni concetti che riteniamo fondamentali per comprendere meglio il “conflitto” (o forse sarebbe meglio dire la strage di civili) con un tasso di <<mortalità senza precedenti>>, la cui ultima fase è stata innescata da <<un atto illegittimo della resistenza>> che però non può invalidare <<tutta la resistenza>>, considerando anche la prospettiva del diritto internazionale.
Un “conflitto” narrato da una <<stampa totalmente connivente, come nei peggiori genocidi>>, che <<sembra completamente imbastardita, nel senso che non riporta più i fatti, non permette alla gente di acquisire consapevolezza, e che continua a fornire una visione parziale e alterata>>, e che quindi è complice...

Di seguito la trascrizione integrale dell’intervista. Qui invece il link per vedere il video su Youtube.




DOMANDA: Un popolo oppresso ha diritto a resistere con le armi?

RISPOSTA: Il diritto internazionale, in particolare il protocollo aggiuntivo alla convenzione di Ginevra, riconosce il diritto di un popolo oppresso, un popolo sotto occupazione straniera, alla resistenza. Durante l'epoca della lotta anti-coloniale, quindi tra gli anni 60 e gli anni 70, anche l'Assemblea generale ha riconosciuto il diritto alla resistenza, diritto alla resistenza anche armata. Questo diritto è riconosciuto anche ai palestinesi attraverso risoluzioni dell'Assemblea generale ma nei limiti del diritto internazionale, quindi i civili non si toccano, non si ammazzano, non si brutalizzano, non si prendono in ostaggio.
Però c’è una cosa sulla quale insisto: un atto illegittimo della resistenza va investigato, va giudicato, i responsabili vanno assicurati alla giustizia ma quest'atto illegittimo non invalida la resistenza tutta.