Pubblichiamo la continuazione del resoconto/inchiesta sulle fonti aperte relative alla strage nelle carceri avvenuta a partire dei primi giorni del lockdown nel 2020 (qui il link alla prima parte). Proseguiamo parlando dei frammenti di storia delle altre vittime (e delle 2 ulteriori perlopiù escluse da questa tragica conta) oltre che dei casi giudiziari archiviati e aperti.
6) Ghazi Hadidi (il suo nome è trascritto o riportato anche così: Ghazì Hadidi). Aveva 35 anni, veniva dalla Tunisia ed era in carcere per una <<condanna definitiva per una violenza pesante>> (senza ulteriori specificazioni), riporta il sito Giustiziami. Tuttavia anche per lui si ritrova la dicitura “procedimento penale n. 1068/20 mod.44” (nel caso di Bakili e Iuzu il numero è invece “1069”).
Secondo una detenuta che era trasportata nello stesso blindato diretto a Verona (inizialmente pare che lui fosse destinato a raggiungere Trento) era già morto o quasi: al momento dell’arrivo era sdraiato ed è stato sollevato di peso, probabilmente perché in coma, e addirittura avrebbe continuato a subire percosse durante il viaggio. Un altro testimone riporta che era già morto o comunque livido all’arrivo. Secondo la dottoressa che operava presso la tenda della Protezione civile posta in prossimità del carcere di Modena era stato visitato, ma non è stato redatto o non si trova il referto. Il medico di turno dell’altro carcere prova a rianimarlo mentre attende l’arrivo dell’ambulanza, invano: muore verso l’alba del 9 Marzo. In quel frangente pare che non fossero stati notati segni di violenza sul suo cadavere, ma successive rilevazioni affermano il contrario…
Stando a quanto si riporta su Carmilla, un agente ha dichiarato che barcollava ma che complessivamente sembrava stare bene, non pareva avesse segni compatibili con una rissa e che fumava tranquillamente. I segni di lesioni sul suo corpo (escoriazioni dovute a un corpo contundente, due denti mancanti e presenza di sangue in bocca) rilevati dal medico legale il 26 Marzo sarebbero legati ai disordini durante la rivolta. Il medico legale che ha constatato la sua morte parla di segni esterni di violenza non evidenti. La procura di Verona, dove era morto mentre era diretto a Trento, non ha disposto l’autopsia ma un esame esterno del corpo.
La prima autopsia verrà fatta in Tunisia, due mesi dopo, e rileva anche due ematomi sul cuoio capelluto che però non sono collegati, esclusivamente (e quindi da sole) alla morte. Come accaduto per un’altra vittima (Artur Iuzu) in Italia non era stato ritenuto opportuno di procedere con la sezione del corpo e del capo.
Secondo l’anatomopatologa Cristina Cattaneo le conseguenze di un trauma al volto potrebbero essere confuse con quelle di un’intossicazione e dunque la causa del decesso non è appurata. La consulente ha svolto diverse indagini per identificare i morti in mare durante i "viaggi della speranza", sul caso di Yara Gambirasio e firmò la perizia in cui si affermava che Stefano Cucchi non era stato pestato, ma comunque scelta dal Garante die detenuti Mauro Palma per la sua professionalità e fama internazionale, oltre a lavorare al caso pro-bono, ossia gratuitamente) .
Il fratello ha dichiarato ai microfoni di Spotlight: <<se non è stato ammazzato con le botte è stato ammazzato con la mancanza di soccorso>>. Ha inoltre espresso dubbi sulle tempistiche del rimpatrio del salma: <<si sono presi tutto il loro tempo e ce lo hanno riconsegnato senza fare l’autopsia, perché?>>.
7) Rouan Ourrad (il suo nome è trascritto o riportato anche così: Rouan Abdellha; Rouan Abdellah; Ourrad Abdellah) veniva dal Marocco, aveva 34 anni e gli restavano da scontare meno di due anni per spaccio.
Avrebbe potuto richiedere le misure alternative se avesse avuto qualcuno fuori che potesse supportarlo. Aveva un fratello gemello che viveva nelle vicinanze di Modena (il libro "Morti in una città silente" parla anche di altri due parenti in Germani e Francia). La madre non riesce a darsi pace e crede che sia impossibile che abbia preso farmaci.
Muore ad Alessandria mentre era diretto ad Asti: il medico che operava a Modena gli aveva somministrato un antidoto contro gli effetti avversi degli oppiacei (il metadone rientra in questa classe come l’eroina), ma una seconda dose non gli sarebbe stata data a causa del trasferimento, che non ha consentito l’intervento dei medici che già conoscevano la sua situazione (descritta come stabile). Quali sono le persone che hanno disposto il suo trasferimento e chi aveva la responsabilità che questo avvenisse in sicurezza? Sapevano e dovevano comunicare che doveva prendere di nuovo l’antidoto, il Naloxone? Probabilmente non sarà un’unica persona però, in un articolo di “Alexik”, (linkato in calce a questo post) si afferma che <<il cinismo del caposcorta ha fatto il resto>>.
Appena sceso dal bus, prima dell’alba, ha un malore nel cortile dell’istituto. La medico di turno tenta di rianimarlo, viene chiamata un’ambulanza con attrezzature specifiche che giunge dopo più di mezz’ora, ma non c’è più niente da fare. Nelle fonti aperte consultate non abbiamo trovato informazioni riguardo ad autopsie ed esami post-mortem svolti, e nemmeno in merito alla presenza di segni di lesioni sul suo corpo.
8) Artur Iuzu (il suo nome è trascritto anche così: Arthur Iuzu; Artur Isuzu; Artur Luzy. Nella trascrizione della testimonianza di un detenuto è chiamato anche Izu Arturo) classe ‘88 dalla Moldavia.
Doveva essere processato dopo pochi giorni. Le cronache modenesi di un anno prima spiegano che avrebbe dovuto essere rimpatriato ed espulso dall’Italia per 5 anni dopo aver commesso una serie di furti, l’aggressione a una cassiera e la resistenza a un arresto, ed era stato condannato a un anno e 450 euro di multa: potrebbe trattarsi anche di un caso di omonimia o potrebbe non essere stato rimpatriato, oppure ancora potrebbe essere ritornato in Italia senza permesso. Si sa comunque che non era ancora condannato in via definitiva per rapina (il primo grado di giudizio non era ancora terminato e nel dossier di controinformazione citato in fondo è riportata la stessa dicitura che troviamo per Bakili, e cioè "procedimento penale n. 1069/20 mod.44” ).
Muore dopo il trasferimento a Parma il mattino seguente. Secondo la perito del Garante dei detenuti la causa del decesso non è appurata, però ci sono una serie di graffi e segni sul corpo che fanno pensare a possibili colpi ripetuti. A sua detta l’autopsia non è stata completa perché si sarebbe dovuto analizzare cranio e cervello, mancanza che sarebbe dovuta alle nuove precauzioni imposte dalla pandemia: non si potrà ripetere perché il suo corpo è stato cremato. Secondo chi ha invece svolto l’autopsia il quantitativo di metadone era talmente alto da non poter essere quantificato.
Si sa che a Modena era stato trasportato all’esterno del carcere su un lenzuolo, e quindi in condizioni precarie. Viene comunque disposto il trasferimento e dopo l’arrivo è stato visitato “a occhio” fuori dalla cella: mancava un operatore in più per effettuare la visita in sicurezza oltre a un’autorizzazione. C’era solo una dottoressa a occuparsi di quei detenuti (l’altro medico di turno operava in un’altra sezione del carcere), ed erano stati messi in coppie con quelli più lucidi che avrebbero dovuto “vigilare” su quelli in stato di torpore (un altro detenuto è stato salvato fortunatamente).