19.3.23

STRAGE NELLE CARCERI DURANTE IL LOCKDOWN (PARTE 2)

Pubblichiamo la continuazione del resoconto/inchiesta sulle fonti aperte relative alla strage nelle carceri avvenuta a partire dei primi giorni del lockdown nel 2020 (qui il link alla prima parte). Proseguiamo parlando dei frammenti di storia delle altre vittime (e delle 2 ulteriori perlopiù escluse da questa tragica conta) oltre che dei casi giudiziari archiviati e aperti.





6) Ghazi Hadidi (il suo nome è trascritto o riportato anche così: Ghazì Hadidi). Aveva 35 anni, veniva dalla Tunisia ed era in carcere per una <<condanna definitiva per una violenza pesante>> (senza ulteriori specificazioni), riporta il sito Giustiziami. Tuttavia anche per lui si ritrova la dicitura “procedimento penale n. 1068/20 mod.44” (nel caso di Bakili e Iuzu il numero è invece “1069”).

Secondo una detenuta che era trasportata nello stesso blindato diretto a Verona (inizialmente pare che lui fosse destinato a raggiungere  Trento) era già morto o quasi: al momento dell’arrivo era sdraiato ed è stato sollevato di peso, probabilmente perché in coma, e addirittura avrebbe continuato a subire percosse durante il viaggio. Un altro testimone riporta che era già morto o comunque livido all’arrivo. Secondo la dottoressa che operava presso la tenda della Protezione civile posta in prossimità del carcere di Modena era stato visitato, ma non è stato redatto o non si trova il referto. Il medico di turno dell’altro carcere prova a rianimarlo mentre attende l’arrivo dell’ambulanza, invano: muore verso l’alba del 9 Marzo. In quel frangente pare che non fossero stati notati segni di violenza sul suo cadavere, ma successive rilevazioni affermano il contrario…

Stando a quanto si riporta su Carmilla, un agente ha dichiarato che barcollava ma che complessivamente sembrava stare bene, non pareva avesse segni compatibili con una rissa e che fumava tranquillamente. I segni di lesioni sul suo corpo (escoriazioni dovute a un corpo contundente, due denti mancanti e presenza di sangue in bocca) rilevati dal medico legale il 26 Marzo sarebbero legati ai disordini durante la rivolta. Il medico legale che ha constatato la sua morte parla di segni esterni di violenza non evidenti. La procura di Verona, dove era morto mentre era diretto a Trento, non ha disposto l’autopsia ma un esame esterno del corpo. 

La prima autopsia verrà fatta in Tunisia, due mesi dopo, e rileva anche due ematomi sul cuoio capelluto che però non sono collegati, esclusivamente (e quindi da sole) alla morte. Come accaduto per un’altra vittima (Artur Iuzu) in Italia non era stato ritenuto opportuno di procedere con la sezione del corpo e del capo.

Secondo l’anatomopatologa Cristina Cattaneo le conseguenze di un trauma al volto potrebbero essere confuse con quelle di un’intossicazione e dunque la causa del decesso non è appurata. La consulente ha svolto diverse indagini per identificare i morti in mare durante i "viaggi della speranza", sul caso di Yara Gambirasio e firmò la perizia in cui si affermava che Stefano Cucchi non era stato pestato, ma comunque scelta dal Garante die detenuti Mauro Palma per la sua professionalità e fama internazionale, oltre a lavorare al caso pro-bono, ossia gratuitamente) .

Il fratello ha dichiarato ai microfoni di Spotlight: <<se non è stato ammazzato con le botte è stato ammazzato con la mancanza di soccorso>>. Ha inoltre espresso dubbi sulle tempistiche del rimpatrio del salma: <<si sono presi tutto il loro tempo e ce lo hanno riconsegnato senza fare l’autopsia, perché?>>.

 

7) Rouan Ourrad (il suo nome è trascritto o riportato anche così: Rouan Abdellha; Rouan Abdellah; Ourrad Abdellah) veniva dal Marocco, aveva 34 anni e gli restavano da scontare meno di due anni per spaccio.

Avrebbe potuto richiedere le misure alternative se avesse avuto qualcuno fuori che potesse supportarlo. Aveva un fratello gemello che viveva nelle vicinanze di Modena (il libro "Morti in una città silente" parla anche di altri due parenti in Germani e Francia). La madre non riesce a darsi pace e crede che sia impossibile che abbia preso farmaci.

Muore ad Alessandria mentre era diretto ad Asti: il medico che operava a Modena gli aveva somministrato un antidoto contro gli effetti avversi degli oppiacei (il metadone rientra in questa classe come l’eroina), ma una seconda dose non gli sarebbe stata data a causa del trasferimento, che non ha consentito l’intervento dei medici che già conoscevano la sua situazione (descritta come stabile). Quali sono le persone che hanno disposto il suo trasferimento e chi aveva la responsabilità che questo avvenisse in sicurezza? Sapevano e dovevano comunicare che doveva prendere di nuovo l’antidoto, il Naloxone? Probabilmente non sarà un’unica persona però, in un articolo di “Alexik”, (linkato in calce a questo post) si afferma che <<il cinismo del caposcorta ha fatto il resto>>.

Appena sceso dal bus, prima dell’alba, ha un malore nel cortile dell’istituto. La medico di turno tenta di rianimarlo, viene chiamata un’ambulanza con attrezzature specifiche che giunge dopo più di mezz’ora, ma non c’è più niente da fare. Nelle fonti aperte consultate non abbiamo trovato informazioni riguardo ad autopsie ed esami post-mortem svolti, e nemmeno in merito alla presenza di segni di lesioni sul suo corpo.

 

8) Artur Iuzu (il suo nome è trascritto anche così: Arthur Iuzu; Artur Isuzu; Artur Luzy. Nella trascrizione della testimonianza di un detenuto è chiamato anche Izu Arturo) classe ‘88 dalla Moldavia. 

Doveva essere processato dopo pochi giorni. Le cronache modenesi di un anno prima spiegano che avrebbe dovuto essere rimpatriato ed espulso dall’Italia per 5 anni dopo aver commesso una serie di furti, l’aggressione a una cassiera e la resistenza a un arresto, ed era stato condannato a un anno e 450 euro di multa: potrebbe trattarsi anche di un caso di omonimia o potrebbe non essere stato rimpatriato, oppure ancora potrebbe essere ritornato in Italia senza permesso. Si sa comunque che non era ancora condannato in via definitiva per rapina (il primo grado di giudizio non era ancora terminato e nel dossier di controinformazione citato in fondo è riportata la stessa dicitura che troviamo per Bakili, e cioè "procedimento penale n. 1069/20 mod.44 ).

Muore dopo il trasferimento a Parma il mattino seguente. Secondo la perito del Garante dei detenuti la causa del decesso non è appurata, però ci sono una serie di graffi e segni sul corpo che fanno pensare a possibili colpi ripetuti. A sua detta l’autopsia non è stata completa perché si sarebbe dovuto analizzare cranio e cervello, mancanza che sarebbe dovuta alle nuove precauzioni imposte dalla pandemia: non si potrà ripetere perché il suo corpo è stato cremato. Secondo chi ha invece svolto l’autopsia il quantitativo di metadone era talmente alto da non poter essere quantificato.

Si sa che a Modena era stato trasportato all’esterno del carcere su un lenzuolo, e quindi in condizioni precarie. Viene comunque disposto il trasferimento e dopo l’arrivo è stato visitato “a occhio” fuori dalla cella: mancava un operatore in più per effettuare la visita in sicurezza oltre a un’autorizzazione. C’era solo una dottoressa a occuparsi di quei detenuti (l’altro medico di turno operava in un’altra sezione del carcere), ed erano stati messi in coppie con quelli più lucidi che avrebbero dovuto “vigilare” su quelli in stato di torpore (un altro detenuto è stato salvato fortunatamente).

 

18.3.23

STRAGE NELLE CARCERI DURANTE IL LOCKDOWN (PARTE 1)

LE MORTI DOPO LE RIVOLTE DI MODENA, RIETI, BOLOGNA E S. MARIA CAPUA VETERE: UN RESOCONTO BASATO SULLE FONTI “APERTE”


 



L’OPINIONE PUBBLICA CHE “BUTTA VIA LA CHIAVE” E QUELLA CHE NON ARCHIVIA; LE DOMANDE SENZA RISPOSTA; L’USO E L’ABUSO DI DROGHE LEGALI E ILLEGALI; L’APPROCCIO REPRESSIVO A SCAPITO DEL SOCCORSO


Ricercare la verità, o forse è meglio dire “le verità” delle drammatiche giornate e rivolte, che hanno visto il più alto numero di morti “concentrate” in carcere nella storia repubblicana, è un compito tanto doveroso quanto complesso.

Data la vastità degli eventi, ricostruire quello che è accaduto e che è rilevante dal punto di vista storico, giornalistico e giudiziario (e siamo ancora molto lontani dal potere scrivere la parola “fine” così come l’espressione “siamo a metà strada” da queste prospettive) è difficile forse quanto ricostruire l’atmosfera grigia che si viveva (e si vive) nelle istituzioni totali chiamate “carceri”, delle condizioni precarie in cui lasciamo a marcire delle persone nelle discariche sociali note come “prigioni”, dopo che si è ipocritamente ed egoisticamente “buttata via la chiave”…

Per questo nelle righe che seguono abbiamo cercato di fare quello che questa umile “Zina/Rivista” ritiene di poter fare al meglio, e quindi in diversi mesi abbiamo analizzato, collazionato e fatto una sintesi delle svariate “fonti aperte” (articoli di giornale, inchieste video e scritte, dossier di “contro-informazione” o di informazione alternativa, carte giudiziarie pubbliche ecc.) riguardante quella che forse sarebbe corretto chiamare la “strage” nelle carceri ai tempi del Covid

I colpevoli, presunti e innocenti dal punto di vista legale fino a prova contraria, non sono solo i potenziali perpetratori di torture, omissioni e abusi, per dolo o per negligenza: siamo anche noi quando non ci preoccupiamo abbastanza di trovare dei modi di risolvere, ma soprattutto prevenire certi conflitti, certi comportamenti. Siamo anche noi quando pensiamo che la giustizia coincida con il semplice e menefreghista disinteresse verso chi ha commesso degli errori perché più fragile, perché ritenuto inutile, o forse perché è più “malvagio”... e peggio ancora quando non siamo nemmeno sicuri che certi errori o malvagità siano stati commessi (e cioè di chi, per esempio, è in attesa di giudizio ma è comunque già condannato a vivere nella discarica sociale e forse, quando e se si scoprirà, avrà diritto a un risarcimento economico, ragione principalmente economica che dovrebbe essere presa in considerazione anche da chi è più insensibile).

Oltre al lavoro di ricerca ci siamo presi lo spazio per fare alcune digressioni sui temi della detenzione, della sanità, dell’abuso di psicofarmaci (indotto dal marketing e dall’adottare soluzioni più “economiche” e immediate senza tenere conto dei problemi di lungo termine), del “welfare mafioso” favorito dal proibizionismo e degli strumenti invasivi della nostra privacy che dovrebbero essere usati anche per “controllare i controllori”.

Parte delle fonti sono citate tramite i link, altre sono riportate in calce alla seconda parte di questa lunga e intricata inchiesta, che riteniamo rifletti una vicenda altrettanto “estesa” e ingarbugliata, una “matassa” che per essere sbrogliata ha bisogno dell’attenzione dell’opinione pubblica e della collettività in generale. Per contribuire alla ricerca della verità, oltre al vostro prezioso tempo, vi chiediamo di segnalarci (tramite mail, commenti, social, messaggi ecc.) eventuali inesattezze, precisazioni o qualunque cosa riteniate utile menzionare.

 

Nella notte tra il 7 e l’8 Marzo 2020 viene dichiarato il “primo” lockdown, non ancora esteso a tutto il territorio nazionale. Mentre ci preparavamo a sperimentare un “assaggio” di cosa vuol dire essere ristretti, tramite una sorta di “arresti domiciliari collettivi”, per chi era davvero ristretto nelle prigioni italiane scattavano ulteriori limitazioni, mentre all’estero (e solo successivamente anche in Italia) venivano scarcerati migliaia detenuti proprio per il rischio pandemico: alla paura di contrarre il virus nelle carceri, già drammaticamente e illegittimamente sovraffollate, e quindi con condizioni igieniche già precarie, con pochissimi educatori e medici, e con tutta una serie di complicazioni alle quali chi è “fuori” non sarà mai abituato abbastanza per comprenderle, si aggiungeva la sospensione delle visite di cari e familiari, dei permessi per uscire temporaneamente o per lavoro, della ricezione di pacchi con beni alimentari e di prima necessità, dei colloqui e delle già poche attività che dovrebbero essere finalizzate a “riabilitare” (e la mancanza o inadeguatezza di quelle attività finisce per trasformare le carceri in una scuola di criminalità): scattano delle rivolte nei penitenziari di tutta la penisola, a Foggia si verifica perfino un’evasione di massa. Secondo alcuni le proteste erano motivate esclusivamente dalle già precarie condizioni di vita e dall’annuncio della decisione dell’allora Ministro della giustizia Bonafede, su cui ricadrebbero le responsabilità perlomeno politiche (insieme agli altri esponenti del governo gialloverde e delle amministrazioni locali), della gestione non adeguata delle rivolte, e che non ha comunicato tempestivamente le notizie riguardanti le drammatiche dipartite.

Secondo altri sarebbero state invece coordinate da una “regia unica”, composta da esponenti dell’ “alta borghesia” criminale (e cioè mafiosa) che si avvaleva dei “proletari” detenuti di basso profilo oltre che dello “spettro” degli anarco-insurrezionalisti sempre in voga (“fantasma” su cui spesso nella storia si sono “scaricate” responsabilità di zone grigie e poteri tutt’altro che libertari, come avvenne per il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli).

Mentre la maggioranza dei “poveri cristi”, che aveva più di 18 mesi da scontare e il cui reato non era considerato di piccola entità, era condannata alle nuove aggravanti causate dalla pandemia, correva la voce (una voce largamente infondata, si può dire con il senno di poi) della possibilità che pure diversi mafiosi al 41 bis venissero scarcerati a breve (in realtà si trattava di misure previste dalla legge che i magistrati dovevano vagliare caso per caso, anche alla luce della nuova situazione sanitaria, e che forse poteva essere sfruttata anche dagli avvocati dell’alta borghesia mafiosa. Il caso di scarcerazione più controversa è stato probabilmente quella di Pasquale Zagaria, boss dei casalesi).

Comunque in quel periodo, con i cosiddetti provvedimenti “svuota-carceri”, possono uscire all’incirca 8 mila persone dotate del braccialetto elettronico: almeno una parte di quegli esseri umani, considerati reietti della società, forse non ci dovevano nemmeno entrare in carcere… L’uscita di quelle persone dimostra, a detta di chi scrive, che forse già da prima si potevano attuare diverse strategie per prevenire quelli che potremmo definire “reati di sopravvivenza” e per convivere in sicurezza con chi ha fatto degli errori, in concreto espandendo le possibilità offerte da misure alternative alla detenzione.

Durante e dopo le rivolte nelle prigioni, iniziate il 7 Marzo a Salerno, moriranno 13 detenuti (14 se si include la dipartita avvenuta a circa un mese di distanza di una persona con uno stato di salute precario a Terni, 15 se si include il suicidio di un detenuto morto dopo settimane di isolamento a Santa Maria Capua Vetere), 9 erano ristretti a Modena, 3 a Rieti e uno a Bologna, alcuni sono spirati dopo i trasferimenti disposti.

 

LE MANCANZE E GLI ABUSI NELLA GESTIONE DELLE RIVOLTE: DALLA CUSTODIA DEGLI PSICOFORMACI ALLE DENUNCIE DI TORTURE

12.3.23

NUOVO NAUFRAGIO NEL MEDITERRANEO OGGI, A DUE SETTIMANE DALLA STRAGE DI CUTRO

ALARM PHONE AVEVA LANCIATO L'ALLERTA 24 ORE PRIMA


In foto il primo tweet in cui Alarm Phone dava l'allarme, e quello in cui si constata l'irreparabile e si denunciano le autorità italiane



Ieri,11 Marzo, Alarm Phone, rete di volontari e attivisti con l'obiettivo di amplificare la visibilità delle persone in pericolo durante i viaggi della speranza tramite contatti telefonici, aveva lanciato un'allerta diffusa anche via Twitter: <<siamo in contatto con 47 persone alla deriva che sono fuggite dalla Libia. Le condizioni meteo sono estremamente pericolose ed è necessario soccorso immediato!>>.

Due ore fa (sono le 18 mentre si scrive questo post), 24 ore dopo il primo di diversi allarmi con tanto di coordinate e indicazioni precise arriva un altro messaggio, che constata l'irreparabile: <<Siamo scioccati. Secondo diverse fonti decine di persone da quella barca in pericolo sono affogate>>, come troppo spesso avviene, anche se questa volta i corpi non verranno trasportati dalle onde e dalla mancanza di umanità sulle nostre spiagge: lontano dagli occhi e quindi anche dall'attenzione mediatica e dell'opinione pubblica che speriamo non cali, ma che diventi invece più decisa! (e faremo almeno il nostro piccolo come medium indipendente) 

<<Avevamo inizialmente allertato le autorità alle ore 2:28 CET dell'11 Marzo, sottolineando la situazione di pericolo. Le autorità italiane hanno consapevolmente ritardato i soccorsi lasciandole morire>> è l'accusa, con un'argomentazione opposta a quella ripetuta svariate volte dalla presidente del consiglio dei ministri Meloni e dal governo che non hanno ancora risposto davvero alla domanda centrale dell'altra strage: perché quel giorno è uscita la Guardia di Finanza e non la Guardia Costiera? Non ci interessa cosa ha detto Frontex, ci interessa conoscere le catene di comando e di responsabilità italiane, in particolare quelle che riguardano i ministeri guidati da Salvini e Piantedosi! 

Un'ora fa un altro tweet: <<dopo il naufragio con molti morti, ci preoccupiamo che i sopravvissuti -i quali hanno visto i loro amici morire prima di essere salvati da un'imbarcazione mercantile- saranno obbligati a ritornare in Libia o Tunisia, dove condizioni inumane li aspettano. Chiediamo che tutti i sopravvissuti vengano portati in un posto sicuro in Europa!>>. Questa richiesta ci pare tanto giusta quanto simbolica, sapendo che i governi italiani (ed europei), inclusi quelli del PD, hanno finanziato e continuano a finanziare organismi come la sedicente Guardia Costiera Libica collusa con i trafficanti, e hanno sfornato leggi che criminalizzano la solidarietà a partire da Minniti.

Due settimane fa il naufragio di Cutro: la strage si ripete!


TENDERE CONCRETAMENTE VERSO LE UTOPIE

 SE LE UTOPIE NON SONO RAGGIUNGIBILI SONO ALMENO AVVICINABILI!

Tra le righe telematiche della rubrica “Valvola” pubblichiamo, in una manciata di parole, un ragionamento legato a sogni e ideali da cui questa stessa Zina/Rivista scaturisce. Un concetto che è stato già sfiorato quando si è parlato di “eterotopia” (nello specifico nel post dedicato al festival underground "Crack!")

 

Immagine dell'artista KELLEPICS da Pixabay



Chi è militante politico, attivista sociale, o chi semplicemente sogna un Mondo diverso, ispirato/a da ideali tanto alti quanto difficilmente realizzabili (almeno a prima vista), avrà sentito o dovrà sentire spesso frasi come: “ma quello che dici tu è un’utopia”; “non accadrà mai”, “sono castelli in aria, la natura umana è diversa, la storia insegna che…” eccetera eccetera.

Forse è vero che certe cose, come la violenza insita nella natura e funzionale alla sopravvivenza di certi viventi, non si possono cambiare, non si può fare in modo che cessino del tutto...

Forse è vero che nella “storia” (perlomeno quella più vicina a noi che riusciamo a comprendere meglio) è sempre esistita la sopraffazione, l’ingiustizia, l’ineguaglianza, la guerra…

Ma sono convint#, e penso sia anche “più vero”, che se un qualcosa non potrà mai essere completamente raggiunto o realizzato possiamo, perlomeno, tendere verso quel  qualcosa, verso quella idea di società, di mondo, di vita individuale o collettiva...

11.3.23

DARWINIAN TRAFFICKER DILEMMA E BALLOON EFFECT

GLI SFORZI VANI DEL PROIBIZIONISMO E IL FALLIMENTO SISTEMICO DELLA GUERRA ALLA DROGA

 



Tra le righe digitali della rubrica “Define” parliamo della definizione di due espressioni legate alle politiche sugli stupefacenti illegali, da una prospettiva principalmente “materialista” e basata largamente sulle dichiarazioni di un ex poliziotto infiltrato e sull’ultimo documento delle Nazioni Unite che sancisce, anche per i più conservatori e benpensanti, il fallimento della cosiddetta “guerra alla droga”.



 



 

 

 

LA TEORIA DI DARWIN APPLICATA AL MERCATO DELLA DROGA


Avete presente quando sui Tg, sui giornali e sui media in generale vengono strillati titoli e notizie che suonano più o meno così: <<super-mega operazione porta al maxi sequestro di quintali di droga>>. Analoga enfasi, di solito ripresa pedissequamente dalle veline poliziesche, viene usata anche quando i quantitativi di stupefacenti sequestrati sono più irrisori: <<arrestato spacciatore che nascondeva un etto di droga tra marijuana, cocaina ed eroina>>.

 

Quello che di solito i media mainstream non dicono è che, al di là di come la pensiate, quei sequestri e quegli arresti favoriscono trafficanti e spacciatori più forti (e in questo caso parliamo della legge “darwiniana” del più forte applicata al mercato della droga) oppure stanno semplicemente spostando o “delocalizzando” il problema (in questo caso si può parlare di effetto palloncino).


Quando si parla di “Darwinian Trafficker Dilemma” (“il dilemma darwiniano del trafficante”) ci si riferisce a un fenomeno amplificato o facilitato dalla repressione del traffico degli stupefacenti illegali: le operazioni di polizia, soprattutto quelle che tendono a reprimere i “pesci piccoli” (ma non solo), non fanno altro che spazzare via una parte della concorrenza, favorendo l’ascesa di “pesci più grossi” e culminando nel consolidamento di oligopoli e monopoli nel mercato della droga.


In parole povere si tratta della “legge del più forte”, del “più adatto” che, riduttivamente e materialisticamente, è anche “legge” economica di mercato (legale o illegale che sia).

5.3.23

STRAGE DI CUTRO: SI DOVEVA (E SI DEVE) FARE MOLTO DI PIÙ!

LA CARENZA (SE NON OMISSIONE) DI SOCCORSI E UMANITÀ, IL FOCUS SULLE OPERAZIONI DI POLIZIA A SCAPITO DELL’ATTENZIONE PER I SALVATAGGI, LA REPRESSIONE “VIZIATA” DEL FENOMENO DELLO "SCAFISMO"

 


Alcuni titoli di giornale relativi allo strampalato appello di Piantedosi (a sinistra) e alle dichiarazioni di Orlando Amodeo (a destra), tra i primi a dire pubblicamente che quelle persone potevano essere soccorse. Sullo sfondo l'immagine di Myriams-Fotos di Pixabay. In calce all'articolo l'immagine originale dei titoli nei risultati di ricerca.


A sinistra un tweet di Mediterranea Saving Humans in cui si elogia la Guardia Costiera per un soccorso e si afferma che <<i politici che li "comandano" non valgono un'unghia dell'ultimo marinaio a bordo di quelle vedette>>. A destra alcuni titoli di articoli che riprendono le dichiarazioni di Vittorio Alessandro, ufficiale in congedo della Guardia Costiera che ha affermato: <<salvare vite era il nostro vanto, poi la politica ha fermato tutto>>. Sullo sfondo l'immagine di un gommone tratta dalla sezione "Press" di Mediterranea. In calce al post gli screenshot originali del tweet e dei titoli nei risultati di ricerca.


Una settimana fa, proprio mentre in redazione si chiudevano due articoli sul decreto ONG e sul tema delle migrazioni (forse sarebbe meglio parlare di “persone in movimento”) è arrivata la notizia dell’ennesimo naufragio a Cutro, in provincia di Crotone.

Di fronte ad almeno 70 vite spezzate (sarebbero almeno una trentina i dispersi), infanti inclusi, alcune distinte da un codice perché senza nemmeno un nome e con una storia di cui si conosce solo il finale in una bara, appare ipocritamente ovvio che si doveva fare di più: la magistratura, la stampa e la collettività in generale stanno provando a fare chiarezza su eventuali responsabilità penali e morali riguardanti le carenze (salvo vere e proprie colpose omissioni) nei soccorsi. Fin da adesso sta sempre alla collettività in generale attivarsi perché ciò non accada più, oltre che per ricercare le verità di questa e altre tragedie, anche se per qualcuno sarebbe più corretto parlare di stragi –sempre a proposito di ricerca della verità... Come possiamo fare? Intanto riflettendo, immaginando un nuovo tipo di società sul lungo termine, mentre sul breve termine le iniziative come manifestazioni, petizioni, dibattiti e tutti i mezzi di protesta e pressione a nostra disposizione sono il minimo, forse “sindacabile” in quanto insufficiente…

 

PRIMA SI SALVA, POI SI DISCUTE O SI INDAGA: LA LOGICA POLIZIESCA PREVALE SU QUELLA UMANITARIA

La procura di Crotone ha aperto almeno due fascicoli, stando a quanto riporta la stampa: uno sull’organizzazione del viaggio, con le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, lesioni e omicidio colposo a carico di quattro presunti scafisti e organizzatori, due pakistani e due turchi tra i 17 e i 50 anni. Tre sono in stato di arresto mentre uno è fuggitivo. Pare che abbiano tentato la fuga dopo aver gonfiato un gommone e abbandonato la nave.

L’altra inchiesta dovrebbe chiarire le responsabilità istituzionali della sciagura: si dovranno ricostruire le comunicazioni tra i diversi corpi e istituzioni (ministeri, Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, Guardia di Finanza e l’agenzia europea Frontex) e le intricate catene di comando e responsabilità che evidentemente non hanno funzionato.

La dinamica delle comunicazioni, degli ordini e degli eventi, ricostruita solo parzialmente dalla stampa e dalle dichiarazioni dei diversi soggetti coinvolti, è pressoché questa: nella tarda serata dello scorso Sabato un velivolo di Frontex avvista un’imbarcazione distante circa 40 miglia dalla costa. Attraverso dei macchinari che rivelano fonti di calore si capisce che all’interno della barca ci sono delle persone, anche se non si può stabilire con precisione quante, ma si scoprirà poi che erano circa 200. La Guardia costiera ha precisato che oltre alle buone condizioni di navigazione, nella segnalazione di Frontex si specificava che una sola persona era visibile, ma l’agenzia europea ha smentito questa ricostruzione specificando di aver segnalato <<un’imbarcazione pesantemente sovraffollata>> (chiarendo inoltre che sono i singoli stati a decidere se un'operazione deve essere considerata di salvataggio o di polizia. La Meloni e il governo si difendono con l'argomentazione che l'agenzia europea non ha segnalato situazioni di pericolo). L’aereo rientra per mancanza di carburante e, stando a quanto dichiarato dai portavoce dell’agenzia, comunicano la notizia arriva alle autorità italiane specificando che non c’erano particolari pericoli: partono due imbarcazioni della Guardia di finanza (che fa capo principalmente al ministero dell’Economia, ma che dipende anche da quello della Difesa e dell’Interno, e quindi in questo caso da Piantedosi), cui competerebbe svolgere operazioni di polizia, ma non la Guardia costiera (che dipende dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e quindi da Salvini) che sarebbe dotata di imbarcazioni specifiche per i salvataggi, a differenza delle prime due che sono costrette a ritirarsi per lo stato del mare dopo un secondo tentativo. Secondo il quotidiano Il Domani viene sollecitato allora un intervento congiunto dei due corpi, sollecitazione che non si compie. Sono circa le tre di notte e, dopo quasi tre ore, un pescatore riceve la segnalazione di una barca in pericolo dalla Guardia Costiera. Altre telefonate sarebbero arrivate dai Carabinieri e da alcuni astanti che dalla spiaggia avvistano la barca, oltre che dall'imbarcazione stessa…

Ma è troppo tardi: la Guardia Costiera interviene a naufragio avvenuto, quando il “caicco” (così si chiama quel tipo di imbarcazione turca) si è spezzato in due su una secca, dopo che il motore era andato in aviaria sputando fumo e liquido bollenti: alcuni si aggrappano ai resti che galleggiano, aiutando chi non sa o non riesce a nuotare. Altri non ce la fanno. Si conclude così il viaggio iniziato su dei camion il 21 Febbraio nel distretto turco di Smirne. Inizialmente sarebbero stati imbarcati su un altro natante che però è andato in avaria: vengono trasferiti sulla “Summer Love” e dopo altri tre giorni di viaggio il sogno di una vita decente si infrange a pochi metri dalla costa.

Orlando Amodeo, ex medico della polizia di Stato, soccorritore ed esponente di Sinistra-Verdi ha dichiarato nella serata di domenica, in televisione, che <<se su quella barca ci fosse stata la figlia di un politico si sarebbe andati a fare il salvataggio anche con il mare a forza 20 (…) gli scafisti li inventiamo noi, se l’Europa fosse più umana non esisterebbero>> dice a proposito di quello che è definibile come il “proibizionismo delle migrazioni”. Specifica poi che anni prima lui stesso aveva partecipato a un soccorso con un livello di forza del mare tra il 6 e il 7: tra l’altro pare che il mare in realtà fosse a forza 4 e che comunque c’erano i mezzi per navigare anche con forza 8, come affermato dallo stesso comandante della Capitaneria di porto locale, mentre le veline governative inviate immediatamente alla trasmissione televisiva e ripetute per giorni parlavano da subito dell’impossibilità di effettuare i soccorsi a causa del mare forza 8). Resta da capire perché allora la Guardia costiera non è intervenuta o perché non è stata fatta intervenire.

Le dichiarazioni di Amodeo, amplificate mediaticamente dall’importante televisione commerciale, per quanto importanti e dirompenti sembrano meno strutturate e precise di quelle rilasciate da Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo della Guardia costiera, dichiarazioni ci pare siano passate più in sordina…

Il Manifesto ha spiegato, inquadrando il problema della gestione delle migrazioni da una prospettiva più ampia, che <<in un lungo arco di tempo si possono rafforzare procedure e prassi che inquinano le vicende dei soccorsi di grandi numeri di persone, come i migranti, e le trascinano verso logiche e prassi di polizia. Prima gli interventi erano esclusivamente ispirati al salvataggio. La polizia veniva ovviamente chiamata in causa, ma per aspetti logistici e di ordine pubblico allo sbarco>>.

 


QUANDO C’È UN INCENDIO SI CHIAMANO PRIMA I POMPIERI E POI LA POLIZIA; QUANDO C’È UN’IMBARCAZIONE IN PERICOLO SI CHIAMANO PRIMA I SOCCORSI E POI LA POLIZIA

4.3.23

TERREMOTO IN TURCHIA E SIRIA: TRA EROISMO E VILTÀ

LA CONTINUAZIONE DELLE OSTILITÀ NONOSTANTE L’EMERGENZA;
IL RITIRO DEI SOCCORRITORI SPAGNOLI PER LA DISTRUZIONE DI EDIFICI NONOSTANTE LA POSSIBILITÀ DI SALVARE ALTRE VITE





Torniamo a parlare degli eventi sismici che continuano a colpire Turchia e Siria: a distanza di un mese dalla prima scossa, mentre la mesta conta delle vittime sfiora l’orribile cifra di 50 mila esistenze spezzate, parliamo degli esempi di viltà che offuscano, ma non cancellano, quelli di eroismo in risposta ai pericoli che la potenza della natura pone, ostacoli che possiamo e dobbiamo superare insieme!


Quasi un mese fa pubblicavamo un post sulla “macchina” della solidarietà che si attivava, naturalmente e istintivamente, in risposta alla catastrofe naturale ed “artificiale” del terremoto: la catastrofe è stata anche “artificiale” per la mancanza di prevenzione nell’attuare sistemi di sicurezza antisismici (come i materiali di costruzione da usare, il rinforzo degli edifici già esistenti ecc.), mancanza alimentata dalla corruzione, dall’edificazione urbana selvaggia e dalla devastazione ambientale connessa. 

Sopravvivere in un ambiente che pretendiamo di dominare e che forse è molto più ostile di quanto noi “scimmie urbane” siamo abituate a pensare dovrebbe spingere gli appartenenti alla nostra specie a cooperare e ad essere solidali, una solidarietà che però deve essere generalizzata e non diretta solo al supporto del proprio “maxi-branco” o “maxi-clan”... Oltre ai meccanismi di solidarietà sono continuati, purtroppo, anche quelli che regolano le ostilità e che non si fermano nemmeno di fronte a una sciagura di tale portata.

26.2.23

PERSONE CHE SI SPOSTANO: SOLIDARIETÀ NON CARITÀ, EMANCIPAZIONE NON ASSISTENZIALISMO (PURO)

MIGRAZIONI, SOCCORSI IN MARE E NETWORK SOLIDALI: LA SOLIDARIETÀ NON È UN REATO!

Immagine di Ralphs Photos da Pixabay


Nelle scorse ore è passato in Senato il “decreto Ong” che ostacola (se non addirittura impedisce) le normali operazioni delle organizzazioni umanitarie che si occupano di ricerca e soccorso nella rotta migratoria più mortifera del pianeta, quella mediterranea.

In un post pubblicato nelle scorse ore abbiamo affrontato il tema, ripercorrendo alcune tappe della storia legislativa della criminalizzazione della solidarietà. Lo abbiamo fatto partendo da alcuni spunti di riflessione emersi in un incontro che si è tenuto  il 16 Febbraio presso il centro sociale napoletano Ex Opg, dal titolo “La solidarietà non è un reato”.

Nelle prossime righe parliamo degli stessi argomenti ma da una prospettiva più ampia, riportando i preziosi spunti di riflessione che emergono dalle parole di Moussa Abdoul Aziz Diakité, Abdel El Mir  del Movimento Migranti e Rifugiati di Napoli (MMRN) e di Laura Marmorale di Mediterranea Saving Humans. Era presente anche Sacha Girke della crew di Iuventa, che ha condiviso il suo punto di vista antitetico a quello che emergerebbe nella ricostruzione giudiziaria che lo coinvolge, basata sull'infondata tesi del "pull factor" e dei "tassisti del mare", tesi ampiamente pubblicizzata da ricostruzioni di diversi "giornaloni" sempre garantisti con i padroni e implacabili castigatori verso chi ha il delicato e cruciale compito di salvare vite in mare.


 

Uno screenshot della diretta Facebook: qui il link 

SCAFISTI PER NECESSITÀ E RETI DI SOLIDARIETÀ INFORMALI: CRIMINALIZZAZIONE DELLA MIGRAZIONE E DELLA SOLIDARIETÀ

L’inizio della criminalizzazione della migrazione può essere tracciato nel momento in cui gli Stati (e quindi sia i governi sia la cittadinanza) si arrogano il diritto di decidere chi è titolato a varcare un confine e chi no, chi è “fortunato” a essere nato in una parte di pianeta che per secoli ha saccheggiato altre parti da cui molti tentano di fuggire (presumibilmente a malincuore), e chi “eccezionalmente” e sempre in funzione del “mercato del lavoro” (nelle forme dello sfruttamento legale o illegale) può accedervi per ingrossare le fila della cosiddetta “manodopera di riserva” che a sua volta potrà essere ulteriormente criminalizzata quando verrà affidata nelle mani del welfare e del sistema sociale mafioso, offrendo loro delle possibilità che dovrebbero essere invece garantite dai paesi che mirano a definirsi “civili”; o magari quando in quegli stessi Stati ci saranno dei sistemi di accoglienza che invece di “accogliere” serviranno a “spremere” i migranti, oppure a non accoglierli proprio condannandoli a una vita in strada.

La criminalizzazione poi continua verso chi non è stato giudicato “titolato” e adatto agli standard darwiniani-sociali e che, non avendo i mezzi formalmente legali di spostarsi (anche nei casi in cui si avrebbe il diritto formale di chiedere la protezione umanitaria) e costretto dal “proibizionismo delle migrazioni” ad affidarsi a spietati trafficanti, i quali a loro volta vengono sostenuti –quantomeno indirettamente- da quegli stessi Stati che negano loro l’ingresso: dovranno affrontare le intemperie delle roventi aree desertiche in Africa o in Centro America, le avversità delle acque del Mediterraneo o delle gelide zone montuose europee; dopo essere stati sfruttati come schiavi e aver subito indicibili peripezie, anche per anni, viaggeranno su gommoni di fortuna, stipati in container come merci o agganciati con cavi di fortuna sotto dei camion: i più "forti" e "fortunati" arriveranno a destinazione, altri periranno, altri ancora verranno rispediti indietro e ricominceranno daccapo il circolo vizioso... 

La criminalizzazione viene poi diretta anche verso chi prova a offrire solidarietà a quegli esseri umani, che non sono solo le organizzazioni umanitarie e i “bianchi”.

25.2.23

DECRETO ONG: PRIMA SI SALVA POI SI DISCUTE!

APPROVATO IL DECRETO INUMANO: COMMISSARIO ONU NE HA GIÀ CHIESTO IL RITIRO


A sinistra alcuni articoli sulla richiesta dell'ONU di abolire il decreto. Al centro un'immagine di un soccorso tratta dal sito di Mediterranea Saving Humans. Le altre immagini provengono da Pixabay.

CRIMINALIZZAZIONE DELLA SOLIDARIETÀ E DISSOBEDIENZA CIVILE 





In questo post parliamo del cosiddetto “decreto ONG” (noto anche come decreto anti-sbarchi e decreto Piantedosi) approvato l'altroieri. Lo facciamo partendo da alcuni spunti emersi durante un incontro svolto il 16 Febbraio all’Ex Opg di Napoli, cui hanno preso parte Sacha Girke di Iuventa, Laura Marmorale di Mediterranea, Abdel El Mir e Moussa Abdoul Aziz Diakité  del Movimento Migranti e Rifugiati Napoli (MMRN).

Tema principale dell’appuntamento era la criminalizzazione della solidarietà e delle migrazioni, e più nello specifico del processo in corso a Catania dove alla sbarra siedono 4 membri del team di Iuventa (altri sono stati prosciolti).

Nelle prossime righe invece ripercorriamo alcune tappe della "storia legislativa" degli ultimi anni culminata nell'ultimo decreto, una storia all’insegna della criminalizzazione della solidarietà ma fatta anche di battaglie sociali e di fondamentali esempi di disobbedienza civile.

 

 

DAL CASO OCEAN VIKING AL DECRETO ONG

Nell’Ottobre 2022 il neo-insediato governo bloccava la nave Ocean Viking della ONG Sos Mediterranee a largo delle coste siciliane, impedendone lo sbarco a Catania: quasi 250 migranti venivano dirottati verso il porto francese di Tolone. Le autorità francesi spiegavano l’eccezionalità del provvedimento mentre il governo italiano rivendicava la legittimità del rifiuto con l’argomentazione che quelle persone non avevano bisogno di essere soccorse e che quindi non doveva essere assegnato loro il porto più vicino, argomentazione confutata dalla Commissione europea.

Queste “prove di forza” con chi è debole e che mettono a rischio la vita dei migranti non sono nuove: Matteo Salvini, è ancora a processo per aver impedito (quando era Ministro dell’Interno nel governo “giallo-verde”) nel 2019 l’ingresso della nave della Open Arms e di più di 160 migranti e richiedenti asilo con l’argomentazione della minaccia per la sicurezza nazionale ai tempi dei “decreti sicurezza”: è accusato di sequestro di persona e omissione d’atti d’ufficio, rischiando fino a 15 anni di carcere.

Il 15 Febbraio il cosiddetto “Codice di condotta delle Ong” (tecnicamente il Decreto Legge num. 1 del 2 Gennaio 2023) è stato approvato alla Camera e l'altro ieri in Senato. Sono almeno tre i punti critici del decreto, firmato dal Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che per le ONG che si occupano di SAR (Search and Reascue, ossia dell’attività di Ricerca e Soccorso) e per diversi esponenti istituzionali internazionali e della società civile sono in palese violazione del diritto internazionale. Punti che sembrano studiati per ostacolare con la burocrazia le attività delle ONG (mentre il governo invoca la questione della “difesa” dei confini, difesa che in realtà è stata appaltata alla sedicente Guardia Costiera libica, come argomentiamo nelle prossime righe): dopo un salvataggio non si può approdare nel porto più vicino ma solo in quello assegnato dalle autorità, costringendo le persone a bordo a navigare in condizioni precarie anche per giorni (dato che i porti assegnati distano anche diversi giorni di navigazione) e, paradossalmente, a essere “spedite” per decine di chilometri come dei pacchi, via pullman, in zone prossime al porto più vicino ma non a quello di assegnazione (in pratica dopo giorni in mare per raggiungere il porto più lontano vengono rimandati indietro).

18.2.23

HA VINTO (DI NUOVO) IL PARTITO DELL'ASTENSIONE!

 




LA DECADENZA DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA

Le ultime votazioni amministrative in Lazio e Lombardia confermano il trend di quelle politiche, dove si è raggiunto il massimo storico di persone che non si sono presentate alle urne (alle ultime elezioni nazionali hanno votato circa 6 italiani su 10, a quelle regionali solo 4 su 10, nemmeno la metà degli aventi diritto): il "partito" più grande è quello dell'astensione, quello del non voto! È un sintomo della crisi e della disaffezione verso il modello democratico rappresentativo-liberale: un modello meno brutale di molti regimi "apertamente autoritari", ma per definizione prossimo al concetto di "democraturaoligarchica ed aristocratica, tipologie di derive democratiche conosciute e concepite fin dai tempi antichi. In parole povere, esprimibili nel concetto dell'altra possibile deriva democratica: se democraticamente si eleggesse un dittatore (non come le elezioni truccate a suon di botte del fascismo, per capirci...) quella forma di governo sarebbe ancora una democrazia?!

Il modello democratico rappresentativo è più libero delle "dittature palesi" e meno "subdole", ma il grado di libertà aumenta insieme a quello del potere economico e "politico" (intendendo politico non in senso lato, non nel senso dei poteri individuali e collettivi -che non sono una deterministica somma- ma nel senso ristretto della sua deriva oligarchica): per i "poveracci" che nascono con un passaporto "sfigato", oppure per chi non riesce a soddisfare bisogni primari come quello del tetto e del cibo e che soffre gravi disagi, quel grado di libertà formale e garantita è a quota zero: in quei casi puoi anche morire di freddo e fame ai margini di città-vetrine oppure in fondo al mare, nel mezzo di confini ghiacciati o roventi, in balia di trafficanti illegali conniventi con certi membri delle istituzioni legali, mentre cerchi di fuggire da una dittatura "subdola" o mentre fuggi da condizioni aggravate dal saccheggio secolare di quelle stesse democrazie liberali che ti vogliono respingere a ogni costo, che ti faranno lavorare solo se accetterai le condizioni della schiavitù contemporanea, e che ti daranno il permesso di entrare solo se sei funzionale in qualche maniera al “mercato del lavoro”.

 

L'ETEROGENEA COMPOSIZIONE DEL PARTITO DEL NON VOTO

BERLUSCONI ASSOLTO NEL RUBY TER

A NOSTRA E FUTURA SAPUTA


Berlusconi assolto in primo grado al "Ruby Ter": molti media si scagliano contro la gogna mediatica che nemmeno Socrate e Cristo hanno patito...


Nel cosiddetto processo “Ruby ter” Berlusconi e una ventina di persone erano accusate di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza: al centro della vicenda una sorta di stipendio versato dall’ex premier  alle varie “olgettine” che secondo l’accusa serviva a corromperle per mentire riguardo alle serate a base di sesso a pagamento. La difesa invece sosteneva che si trattava di un legittimo risarcimento “caritatevole” per il danno di immagine subito dalle donne, se non addirittura un tentativo di estorsione da parte di queste.






Quattro giorni fa arriva la “svolta” nel processo che dura da dieci anni: dato che le accusate vestivano la qualifica di imputate nei processi “Ruby 1 e 2”, e non quella di testimoni, non erano tenute a dire la verità, e quindi i reati non si sarebbero “giuridicamente” consumati. Infatti nell’ordinamento italiano chi è indagato o imputato può avvalersi della facoltà di non rispondere, se non addirittura anche di quella di mentire.

In attesa della pubblicazione delle motivazioni della sentenza e della possibilità che la procura faccia ricorso in appello, i giudici di primo grado hanno affermato quindi che Mr. B. non ha corrotto e che il fatto non sussiste: siamo content@ che, almeno per il momento, qualche persona in meno finirà nelle carceri indecenti o nelle abitazioni di lusso ai domiciliari…

Intanto i media mainstream, in particolare quelli politicamente ed economicamente vicini al leader di Forza Italia, si scagliano contro la “gogna mediatica”, sfornando titoloni e articoli in cui denunciano la tribolazione mediatica che forse nemmeno Socrate (accusato di corrompere le nuove generazioni e di non riconoscere gli dei) e il Gesù storico hanno subito (pare che il Cristo abbia subito un doppio processo in tempi molto più rapidi, uno di fronte al Sinedrio con l’accusa di "deicidio" e uno di fronte al prefetto Pilato per sovversione: la crocifissione era la pena di morte prevista dai romani, per gli ebrei invece era la lapidazione). Meno male che non ci sono stati suicidi con la cicuta a causa della gogna mediatica… di suicidi nelle carceri però, purtroppo, l’anno scorso ce ne sono stati 84: la stampa mainstream sembra più orientata a trattare i -presunti- disagi dei potenti che abusano –moralmente se non anche giuridicamente- del loro potere politico, mentre i poveri disgraziati possono crepare dopo che la chiave viene proverbialmente buttata: questa è la giustizia della nostra democrazia liberale, dove la legge è uguale per tutti solo da un punto di vista formale ma, disgraziatamente, non sostanziale.

16.2.23

COME E PERCHÉ SI DIVENTA VEGAN?

SCELTE BESTIALI E NON SOLO ALIMENTARI...

 

 


Pubblichiamo il “sequel” di un articolo apparso sulle pagine della rubrica “Valvola”, scritto dall’allora autore “Semivegano Indeciso”, auto-ribattezzatosi per l’occasione come “Vegano Deciso MinimumFlexy”.



PRODUZIONE INDUSTRIALE: OGGETTI DI CARNE



Come di consueto citiamo un brano/video musicale in sintonia con quanto scritto nel post (questa volta però lo mettiamo all’inizio dell’articolo). Si tratta di “Am I Wrong” di “Etienne de Crecy”. Nei 4 minuti di video animato si racconta la storia romanzata di un hamburger: il cervello di un bovino è collegato a un macchinario che gli fa credere di vivere normalmente nella natura. Invece una creatura, a metà tra l’umano e il canide, taglia pezzi del suo corpo che entreranno in un macchinario per la triturazione della carne, a monte di un procedimento del confezionamento di burger di un fast-food.

Una persona, per caso, scoprirà il “bestiale” e disumano trattamento cui è sottoposto l’animale, innescando un sabotaggio della catena di montaggio e una vendetta dell’animale tanto rabbiosa quanto macabra.

Nonostante la narrazione fantasiosa il video mi fa tornare alla mente momenti reali di diverse fasi delle mie passate occupazioni nella ristorazione e in una fabbrica dove si confezionano prodotti a base di carne.


NELLA PRECEDENTE “PUNTATA”: SCELTA ETICA O SENSORIALE?

Qualche mese fa ho scritto un articolo intitolato Perché è come si diventa VEG” (sottotitolo: “Le svariate sfaccettature di un’unica scelta: il rispetto per il pianeta e per tutti i suoi abitanti, nonostante gusti e preferenze connesse a contraddizioni ed ipocrisie umane”).

Nel post si trovano diverse definizioni che consentono di “etichettare” diverse scelte di regimi alimentari, tra cui due intermedie tra il veganismo e il vegetarianismo, e cioè “flexitarianismo” e “semi-veganismo”. Se non avete familiarità con questi termini e con altri meno particolari, come pescetarianismo, carnivorismo e necrofagia, potreste trovare utile il precedente post, e vi invitiamo caldamente a leggerlo.

Oltre a questo raccontavo le motivazioni che possono condurre una persona a optare per un regime alimentare specifico, insieme a quelle mie personali ovviamente: in estrema sintesi sono stato vegetariano per circa 7 anni (e cioè non ho mai mangiato né carne né pesce ma ho continuato a consumare, più o meno sporadicamente, alcuni latticini e uova).

Da circa tre mesi sono diventato vegano, con tre eccezioni (contate) di cui parlo fra pochissime righe (non “cambiate canale”!).

La scelta che mi ha inizialmente portato a essere vegetariano era sia etica che "di gusto", e dunque "sensoriale": a un certo punto della mia vita ho cominciato a provare sia tristezza che disgusto nel mangiare cadaveri processati. Un simile disgusto, anche se in maniera molto minore, e un’ipocrita tristezza l’ho avuta anche per i latticini e per le uova (per le uova un po’ di meno), percependole come qualcosa di almeno vagamente “impuro”, qualcosa che usciva dalle mammelle di un animale o dalle sue parti intime, qualcosa con un odore e un sapore a tratti gradevole ma che comunque “non mi convinceva” pienamente. Per i primi venticinque anni circa della mia vita ho sempre mangiato “male”, sia quando ero onnivoro che vegetariano…

Insomma, in parole povere, direi che la questione etica e la questione sensoriale-gustativa nel mio caso erano nate insieme, e quindi capire quale fosse sorta prima o quale fosse prevalente era un po’ come cercare di capire se “è nato prima l’uovo o la gallina?”.

 

10.2.23

COS’È LA GIUSTIZIA RIPARATIVA?

LA DIFFERENZA E LA COMPLEMENTARITÀ CON I PARADIGMI DELLA RETRIBUZIONE E DELLA RIABILITAZIONE

 In circa 1200 parole ed 8000 battute, tra le righe della rubrica Define, cerchiamo di definire brevemente la “giustizia riparativa” spiegando in cosa consiste praticamente ed enunciando altri due paradigmi giudiziari (che iniziano pure con la lettera “r”).



Collage de "Lo Skietto" realizzato con immagini da Pixabay: grazie alla comunità del sito!




TRE PARADIGMI DELLA GIUSTIZIA: RETRIBUTIVA , RIABILITATIVA (O RIEDUCATIVA) E RIPARATIVA

Quando si parla di una pena come quella dell’antica “legge del taglione” (ossia “occhio per occhio, dente per dente”) oppure come un determinato periodo di tempo da scontare in carcere, ci troviamo di fronte al modello di giustizia retributivo, quello che prende il nome da un “debito” che bisogna pagare: anticamente la punizione era intesa come un male da subire per il male causato (malum passionis propter malum actionis), mentre oggi la sanzione dovrebbe tendere alla riabilitazione, alla rieducazione e al reinserimento nella società della persona condannata, oltre a fungere da deterrente. A queste due modalità di rimediare ai conflitti che implicano la commissione di un atto illegale, se ne può aggiungere una terza: la “riparazione” di un rapporto sociale che si è “danneggiato”, a volte irreparabilmente, a seguito di un azione criminosa.

Nonostante esistano svariate definizioni e accezioni dell’espressione, la giustizia riparativa è comunemente intesa come un processo di mediazione tra autori di un atto criminale, la vittima e la collettività, finalizzato a riconciliare i rapporti o a sanare il più possibile la frattura che si è venuta a creare.

La giustizia riparativa quindi non consisterebbe tanto nella riparazione penale, “materiale” ed economica di un danno (o al limite questo potrebbe costituire un aspetto secondario a seconda dell’atto illegale commesso e di cosa prevede un sistema giudiziario), e non sostituirebbe gli altri due modelli di giustizia ma li affiancherebbe, trascendendo l’ambito meramente giudiziario e addentrandosi nella complessa dialettica delle diverse componenti sociali.



TRE PARTI IN CAUSA: VITTIMA, CARNEFICE E COMUNITÀ

Con il paradigma riparativo si sposta il focus dal reato alla vittima (oltre che alla collettività intera), concentrandosi anche sui “perché” di chi l’ha commesso e intervenendo nelle relazioni conflittuali che derivano dal misfatto per gestire una frattura relazionale, provando a ricomporla o quantomeno a mitigare gli effetti che creano divisione e dolore.

La “vittima”, che può essere una singola persona o un insieme di individui, dopo la sentenza di condanna e un’eventuale riparazione economica di solito viene dimenticata, non viene “seguita” dal sistema sociale e punitivo. Invece, sempre ammesso che voglia farlo, avviando un percorso di confronto con il reo e con la collettività, potrebbe avere la possibilità di palesare la sua sofferenza, di affrontare meglio il suo disagio senza “seppellirlo” nella sua anima e, in ultima istanza, dovrebbe sentirsi almeno vagamente soddisfatta nel vedere un colpevole pentito, “trasformato”, consapevole del male che ha fatto, convinto a non ripetere più una certa azione perché sofferente per lo stesso patimento che ha inflitto… e magari anche a comprendere le “ragioni del male”, i motivi che lo hanno spinto a commettere un torto.