20.7.23

DIARIO DAL CRACK! 2023 CANNIBALE: DO EAT OURSELVES!

IL REPORTAGE MAGMATICO E STRAMPALATO

 

locandina di quest'anno
La locandina di quest’anno del Crack! è stata realizzato da Durga Maya

Anche quest’anno pubblichiamo l’inatteso report strampalato del nostro inviato per nulla speciale, il Cronista Autoprodotto, sul Crack!, il festival di arte underground più dirompente e partecipato di tutte le galassie e le dimensioni a noi note (a questo link invece, per i/le più nostalgich* e curios*, quello che avevamo combinato nell’edizione VUDU del 2022).

locandina di quest'anno affissa a un muro


Il festival nasce nel 2003 quando la manifestazione era denominata “Celle Aperte”, e prende il nome da una citazione onomatopeica di Hugo Pratt, la trascrizione del rumore di un ramo che si spezza e di uno sparo nel deserto, facendo “crack” per l’appunto: il fest vuole essere questo, un rumore dirompente in un deserto culturale.

 

la vignetta dello sparo nel deserto

Quest’anno era la prima volta che esponevamo con un banchetto e quindi la prima volta che partecipavamo in prima persona plurale a una fiera, e per questo la recensione del fest di quest’anno è un po’ diversa, in una forma ancora più diaristica del solito, e ancora più svogliata e disordinata dell’anno scorso (essendo stati impegnati nel “propagandare” la nostra autoproduzione giornalistica), ma sempre coerente con lo spirito del giornalismo indipendente e autogestito che caratterizza queste pagine virtuali. 

 

Questo è un “maxi-post”, come la maggioranza che troverete su Fanrivista, seguendo una tattica di sperimentazione giornalistica che consiste nell’inserire tanti “articoletti” all’interno di un “articolone”sfogliatelo e leggetelo con calma, magari cercatevi i “pezzetti” che vi interessano di più, anche se vi consigliamo di leggerlo tutto piano piano, di dedicare il vostro prezioso tempo a una testata con un approccio “slow-news”, contro la fabbrica mediatica che sforna “notizie-spazzatura” da ingurgitare voracemente... Troverete tante digressioni del grafomane e logorroico cronista, insieme a moltissime foto scattate male, ma niente paura: potete ammirare i lavori di tuttə lə artistə e mettervi in contatto con loro grazie a un prodigio della tecnologia chiamato “ipertesto” (e cioè in parole pavore grazie ai link ai loro siti e profili dei “social asociali”). Buona lettura!



Giunti da Napoli in pullman nel primo pomeriggio del 22 Giugno, eravamo carichi di bagagli tanto quanto di energia positiva!

L’ordine di assegnazione degli spazi per esporre quest’anno ha seguito quello in cui ci si è prenotati per la call: noi eravamo verso l’ultimo, e abbiamo atteso fino a tarda serata prima di “piazzarci”. Eravamo abbastanza estenuati, almeno quanto le organizzatrici che facevano l’appello, andavano avanti e indietro sbattendosi per preparare tutto, e alla fine eravamo nella piazza d’armi situata a destra: abbiamo deciso di esporre solo per due dei quattro giorni, mentre Sabato e Domenica abbiamo girato con il nostro “catalogo” di articoli, barattando le nostre stampe dotate di QR che rimandavano al sito con preziosissime autoproduzioni, zine, illustrazioni, ma soprattutto conoscenze!

Il primo incontro, casuale e fruttuoso, ci ha fatto portare a termine una piccola ma fondamentale “missione” mediatica, ed è stato quello con Radio Onda Rossa che era proprio a pochi metri da noi (è stata un’emozione anche solo “vedere” le voci che ascoltiamo assiduamente, così come osservare il dietro le quinte del funzionamento di uno dei primi medium “massivi”, la radio per l’appunto, e non un radio come tante ma una militante!). L’ultimo incontro è stato quello con l’Infoshop-Biblioteca del Forte che ci ha aiutato a diffondere i nostri volantini-articoli cartacei. Ma procediamo con ordine…

 

 

DAL GASTROCAPITALISMO ALL’ANTIPROIBIZIONISMO

 


DO EAT YOURSELF!

Il tema dell’edizione di quest’anno ruota intorno all’etimologia della parola “Cannibale”, e dato che i temi delle edizioni del fest sono pensati in “cicli” si inserisce all’interno di quello del colonialismo. Sul sito del festival si legge: <<È storpiando il nome dei popoli del Caribe che il colonialismo ha creato la figura CANNIBALE, l’ha esposta e ritratta. I Caribi sono diventati Canibi e da qui cannibali, l’idea dell’esistenza di un mito cannibalico è un’invenzione razzializzante.  Il colonialismo l’ha concepita e mostrificata. Ha rapito e esposto nei saloni coloniali i nativi razzializati ordinandogli di fingersi cannibali. Quando le avanguardie di inizio Novecento, prima di tutti Dada, hanno reclamato a sè questa invenzione ha assunto un ruolo ideale, di rivolta e di spirito primigenio, senza mai metterne in discussione l’esistenza questo processo ha fatto sì che il suo mito si sia mosso attraverso il secolo e fino a trasformarsi nei mondo movie, o tra gli zombi divoratori di carne umana. CRACK oggi ricorda il cannibale come oggetto di razzializzazione ed espropriazione, vittima due volte prima nella realtà e poi nel racconto e nella trasmissione ideologica e senza prove che ne è stata propagata. 

Il capitalismo invece ha estinto ogni popolo che ha chiamato cannibale. Si è nutrito senza sosta di ogni persona vivente che ha potuto sfruttare. Non ci sono dubbi su chi sterminò e chi fu sterminato.

Il cannibalismo è il tratto distintivo, il dispositivo operazionale del Capitale. Dallo sfruttamento all’espropriazione non ci sono vie di scampo per l’umanità e per il pianeta. Il cannibalismo del Capitale si spinge oltre fino alla pratica del Gastrocolonialismo, occupando gli spazi esterni e interni del nostro corpo, costringendoci a cagare la merda siamo obbligati a mangiare. L’unico modo di sottrarsi al dominio biopolitico è l’Autofagia. Dobbiamo strappargli il boccone di bocca. La mossa estrema, DO EAT YOURSELF! Voi Orde dell’Autoproduzione sapete bene di cosa si tratta. Conoscete la pratica estatica di nutrirsi di niente e creare visioni invincibili. È questo il richiamo che quest’anno il nostro meeting vi lancia. Su cui mescolare le nostre carni e i nostri colori. e al banchetto ogni carne è benvenuta.

ANY FLESH IS WELCOME.

CRACK! supporta #LANDBACK : restituire la terra alle popolazioni Indigene!>>

 

 

RADIO ONDA ROSSA: TANTA MUSICA E “TALK” MILITANTI

Lo stand della radio


Come di consueto allo stando della radio “di chi se la sente” con il suo “segnale che disturba” dal 1977, si raccoglievano i contenuti per “Scarceranda”, l’agenda <<contro ogni carcere giorno dopo giorno, perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva>>, mentre trasmetteva in diretta.

Il tema della detenzione ricorre molto tra le pagine di questo Blog/Zina/Rivista, perciò speriamo sia stato in qualche maniera utile l’intervento che abbiamo fatto in diretta relativo al resconto-inchiesta basato su fonti aperte sulla strage nelle carceri durante i primi giorni dell’emergenza pandemica, a Marzo 2020 (qui trovate la prima parte e qui la seconda): in quel frangente morirono 9 persone nel carcere di Modena (alcune durante o poco dopo il trasferimento), altre 4 a Bologna, una un mese dopo nel carcere di Terni (ufficialmente per cause naturali) e infine una quindicesima nel carcere di S. Maria Capua Vetere, sempre a distanza di un mese dalla purtroppo nota “mattanza”. Quest’ultima era Lamine Hakimi: di lui si è parlato pochissimo, anche se il suo caso è probabilmente quello più scomodo per le autorità: la causa ufficiale della morte delle 14 vittime sarebbe riconducibile a overdose di psicofarmaci e oppiacei, farmaci razziati durante le rivolte, disordini innescati dalla sistemica violazione di basilari diritti, aggravata all’estremo dalla pandemia, partendo dallo spazio disponibile nelle celle per arrivare all’insufficienza di attività riabilitative, nonché di servizi sanitari e psicoterapici. Il caso di Lamine però è diverso: tralasciando il fatto che in carcere non ci sarebbe nemmeno dovuto entrare per il piccolo furto che aveva fatto a Napoli, e che al più doveva trovarsi in una REMS (strutture "eredi" degli ex Ospedali Psichiatrici Giudiziari), lui è morto di overdose di farmaci mentre era rinchiuso in una cella di isolamento da circa un mese (dopo aver subito pestaggi e umiliazioni con referti falsati per “coprirli”), e quindi quando sarebbe dovuto essere sotto stretta sorveglianza, e non durante il caotico momento delle rivolte. Per questo è attualmente in corso un processo con diversi indagati per tortura aggravata dalla morte del detenuto.


l'illustrazione che accompagna il resoconto-inchiesta, descritta nel dettaglio nei due post collegati


La “fonte aperta” che si è occupata principalmente di questo caso è il giornalista Nello Trocchia, ma nel nostro resoconto sono citati sia svariati media “canonici” (come l’inchiesta “Anatomia di una rivolta” andata in onda su Rainews) sia siti web di contro-informazione (come il dossier dei/delle compagn* del Comitato Verità e Giustizia per i morti del S. Anna e il libro di Sara Manzoli, “Morti in una città silente” edito da Sensibili alle foglie): confrontando questi documenti eterogenei (articoli, stralci di documenti giudiziari, ecc.) abbiamo provato a ricostruire alcuni frammenti di vita di quelle 15 persone. Alcune mandavano avanti famiglie, altre erano gravemente malate ed erano arrivate a proteste estreme, con atti autolesionistici come l’ingestione di lamette. Perfino le trascrizioni dei loro nomi sono diverse (e le abbiamo “rintracciate” e riportate tutte usando basilari tecniche di ricerca online), e di alcuni si sa il motivo per cui erano stati condannati, di altri non si sa nemmeno perché erano ancora sotto processo: anche i più “perbenisti” che etichettano chi finisce dentro come un “criminale” da “mettere in cella buttando via la chiave”, senza interrogarsi sulle radicate problematiche sociali alla base della maggioranza degli atti che la società definisce come illegali, dovrebbero capire che molte di quelle persone erano in attesa di giudizio, e che quindi non erano nemmeno formalmente ancora definibili “criminali”.

Le inchieste su quelle morti, fatta eccezione quella di Lamine, sono state tutte archiviate, nonostante i segni di lesioni, le autopsie mancanti, e tutta un’altra serie di punti mai chiariti che abbiamo riportato nell’inchiesta... Come abbiamo spiegato nell’ultimo aggiornamento sulla vicenda, anche quelle per torture e lesioni a Modena potrebbero avviarsi verso l’ennesima archiviazione, mentre resta un piccolo spiraglio davanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per riaprire il caso delle morti di Modena. 

Altro punto che abbiamo sfiorato nell’intervento alla radio riguarda l’uso delle telecamere di sorveglianza, e quindi degli strumenti tecnologici di controllo e repressione: nel caso di S. Maria Capua Vetere l’intervento della procura ha permesso di recuperare i filmati dei pestaggi che qualcuno avrebbe provato a cancellare... In altre strutture invece si sono trovati solo i filmati utili a incriminare i detenuti per i disordini delle rivolte: quegli strumenti di controllo e sorveglianza dovrebbero essere usati principalmente per “controllare i controllori”, dovrebbero fungere da deterrente contro le brutalità delle polizie per impedire che si verifichino dei “casi Cucchi”, ma purtroppo ci pare invece che i controllori li usano “unidirezionalmente” per reprimere, repressione che troppe volte prevale sulla logica dei soccorsi...

Oltre a questo e alle diverse ricostruzioni di quei tragici giorni, nel resoconto si trovano alcune digressioni, come quella più “generica” sul sistema carcerario e quella più “specifica” sull’uso problematico di sostanze legali e illegali: se pure volessimo ammettere che tutte quelle persone siano morte esclusivamente di overdose (e non esclusivamente o congiuntamente a percosse, alle carenze nei soccorsi e alla gestione stessa delle rivolte, cominciando dai protocolli per la conservazione dei farmaci) dovremmo comunque farci qualche domanda sull’ "appetenza di stato" indotta con l’uso massiccio di psicofarmaci. Un uso problematico che esiste anche fuori dalle mura carcerarie, ma che all’interno è fatalmente amplificato: l’utilizzo di questi medicinali, che a detta di chi scrive non va né demonizzato né santificato come qualunque sostanza legale o illegale, è infatti propagandato dal marketing della “pillola magica” che risolve tutti i problemi, ma che in realtà è funzionale a un sistema economico e medico che lo privilegia rispetto a interventi riabilitativi e psicoterapici più costosi, che richiedono più sforzi, e quindi sotto-finanziati... Alla fine della giornata lavorativa è più facile, e soprattutto economico, avere una persona sedata che una realmente “riabilitata” socialmente e anche dal punto di vista della salute mentale, con degli sforzi economici e sociali che richiedono molto tempo e pazienza...

Per noi il giornalismo non è vendere spazi pubblicitari, parlare di gossip o dello sport-show-business, ma è impegno quotidiano di militanza: ricercare e raccontare la e “le” verità è una “missione”, qualcosa cui dedichiamo la nostra intera esistenza, e parlare di quell’inchiesta è stata la principale “missione mediatica” (tra l’altro inaspettata) del Crack!: anche se a volte dobbiamo svagarci e divertirci, non dobbiamo mai dimenticare chi non può permettersi il privilegio del distrarsi, come chi è “buttato via” dalla società a marcire nelle discariche sociali che chiamiamo “carceri”... E proprio perché siamo “privilegiat*” a vivere nella parte del Mondo che fonda il suo agio sullo sfruttamento di altri pezzi di pianeta geografici e societari, non dobbiamo mai smettere di lottare per cambiare lo stato di cose attuale con costanza e disciplina autogestita.

Ringraziamo i/le compa che ci hanno dato la possibilità di intervenire (e se ci stanno leggendo sarebbe molto utile per affinare le nostre abilità comunicative ripescare quell’intervista e risentirla, perché sul sito non l’abbiamo trovata...)

A questo link invece trovate l’intervento introduttivo di Valerio Bindi sull’edizione di quest’anno, dedicata al “gastrocolonialismo”, mentre qui  trovate una lunga intervista alle/ai tipe/i di “Futures of Comics”,un programma di ricerca internazionale non accademico sul fumetto nel mondo globalizzato.

alcune immagini dello stand della radio

alcune immagini dello stand della radio


Sempre a proposito del tema della detenzione, cogliamo l’occasione per segnalare un altro articolo, dedicato al fallimento della guerra alla droga, per la rubrica pseudo-enciclopedica Define intitolato “Darwinian Trafficker Dilemma e Ballon Effect”: in questo post si spiega quello che molti avevano previsto da subito, e cioè che la “guerra alla droga” inaugurata nell’era di Nixon è fallita... E non lo dico io che sono un pericoloso sovversivo, ma lo dicono le Nazioni Unite e perfino un ex poliziotto infiltrato britannico: si è poi pentito della sua attività poliziesca, spiegando che molte delle persone che ha contribuito ad arrestare avevano semplicemente bisogno di aiuto, auspicando il rinnovo di sperimentazioni come le “stanze del buco” che sono state inspiegabilmente abbandonate nel Regno Unito. Inoltre, da un punto di vista “materialista”, spiega che gli arresti e i sequestri che vediamo sulle news servono solo a una cosa: consolidare monopoli e oligopoli dei trafficanti dell’ “alta borghesia” o “nobilità” mafiosa, sprecando risorse in denaro e aiutando i “pesci grossi” delle narco-mafie, originando narco-stati e così via...

E segnaliamo anche quello su “Come abolire il carcere, partendo dalle politiche sugli stupefacenti” che approfondisce un tema di cui parliamo più approfonditamente nel prossimo paragrafo (non cambiare canale e “stay tuned!”).

 

“INTERSEZIONIAMO” LA LOTTA ANTIPROIBIZIONISTA A QUELLA AMBIENTALISTA, ANTICAPITALISTA E A QUELLE DELLE ALTRE IDENTITÀ MARGINALIZZATE E DISCRIMINATE!

Lottare per i diritti di chi è ristretto vuol dire anche portare avanti le istanze contro le politiche proibizioniste, dato che attualmente le leggi sulle droghe conducono dietro le sbarre circa il 20% della popolazione carceraria globale, mentre in Italia la media è più alta aggirandosi intorno al 34%, e il 40% delle persone detenute usa droghe . Molte di queste sono ulteriormente marginalizzate perché alla discriminazione che deriva dall’uso di una sostanza considerata illegale si sommano quelle basate su provenienza geografica, classe sociale, genere, identità di genere, orientamento sessuale e così via: i “marchi” impressi su identità singole e collettive si intersecano, e allora anche noi dobbiamo incrociare le diverse istanze e lotte. Le persone che usano droghe illegali fanno parte di una minoranza, se rapportate a quelle che usano esclusivamente droghe legali, e la condizione di emarginazione cui vengono costrette crea molti più problemi dello stesso uso problematico (e quindi che genera dipendenza, molto spesso “psicologica” più che fisica) o non problematico di una sostanza.

Quasi sempre le “vittime” della droga non sono causate dalle sostanze in sé, ma dallo stigma verso chi le usa, dalla mancanza di conoscenza degli effetti delle droghe e dai mix di queste, e quindi ancora più banalmente dal non capire esattamente cosa si sta usando (un po’ come quando ai tempi del proibizionismo degli alcolici negli USA si pensava di assumere alcol “regolare” ma magari si stava bevendo qualche intruglio industriale). Quando una persona deve impiegare gran parte del suo tempo solo per ricercare una sostanza, la sua vita viene monopolizzata insieme alle sue risorse economiche, non dandogli nemmeno la possibilità di cercare un lavoro, di studiare, di curare la sua salute, non avendo la possibilità di parlare apertamente con un* dottor* di un suo potenziale uso problematico o di altri problemi legati alla sua salute, proprio per lo status illegale della sostanza e le probabili ripercussioni legali e sociali; quando una persona necessita di assistenza medica perché ha usato “male” una sostanza, diventa più difficile soccorrerla perché non si sa con precisione che cosa ha usato (anche solo per questo le pratiche di “drug checking” dovrebbero essere la norma, mentre attualmente nel nostro paese sono in un limbo legale); quando una persona inala una sostanza con un “pippotto” non sterile (per esempio una banconota) agli effetti collaterali della droga potrebbero sommarsi batteri e altre malattie trasmissibili come l’epatite C (similmente a quanto avviene con le siringhe sporche), e potremmo continuare con altri esempi del genere, arrivando fino all’inquinamento causato dalla produzione di sostanze chimiche (come l'MD) in maniera non controllata, e quindi al danneggiamento del nostro habitat già ampiamente compromesso...

Secondo chi scrive, lo stigma verso chi usa sostanze considerate illegali è purtroppo molto diffuso anche negli ambienti di militanza e attivismo politico, riproducendo dinamiche discriminatorie tipiche dell’ambito sociale politicamente non radicalizzato, qualunquista o menefreghista, e legate ad almeno due ragioni principali: la prima, quella più diffusa anche nei settori della società “non politicizzati”, consiste nel considerare alcune droghe come “cattive” sulla base del loro status legale, non comprendendo invece che questo deriva principalmente da scelte “materialiste” e funzionali al capitale. Per fare un esempio pratico: se consumi alcol ogni giorno, anche moderatamente, e nel fine settimana vai giù di gomito un po’ di più, allora sei considerato “normale” anche se quel consumo di alcolici, seppur moderato, potrebbe condurti quantomeno a delle sindromi micro-astinenziali e ad altri effetti negativi. Se invece assumi cannabis, sempre moderatamente, sei solo un "fattone inutile" o peggio un "tossico"; la seconda ragione è collegata allo sfruttamento delle droghe come arma bio-politica e repressiva: da decenni il dibatto storiografico ha portato a galla una serie di evidenze che mostrano come le droghe sono state usate per “fiaccare il morale”, la mente e le spinte anti-reazionarie di identità e collettività scomode, oltre che sbatterle in galera. A partire dagli anni ‘70 in Italia, mentre scomparivano improvvisamente dal mercato nero marijuana, hashish e anfetamine (la “Simpamina”, nome commerciale di un derivato dell’anfetamina, era venduto nelle farmacie italiane legalmente fino ai primi anni di quel decennio), l’eroina cominciò a essere diffusa capillarmente con la vendita a prezzi stracciati o addirittura ceduta gratis (spesso con connivenze tra i neofascisti e le mafie per il traffico), e con una doppia campagna di disinformazione: da un lato si montavano inchieste giudiziarie e giornalistiche contro i “capelloni” che compromettevano l’“ordine sociale” e corrompevano le perbeniste genti, dall’altro con un marketing subdolo che paragonava gli effetti collaterali della “siringa” a quello della “canna”, facendo cadere nella dipendenza e nell’apatia politica una generazione di potenziali “sovversivi”.

Ma è proprio per questo che l’approccio alle sostanze deve essere laico e scientifico, non demonizzandone o mitizzandone nessuna, ed è per questo che ci ha fatto molto piacere incontrare al festival realtà come quella del “Progetto Nautilus” (che offre anche supporto psicologico), del collettivo antiproibizionista dello spazio “FORTEmente ANTIPRO” e di “Lab57 (laboratorio antiproibizionista bolognese registrato come APS “Alchemica”), che hanno tenuto una serie di attività volte alla sensibilizzazione, alla prevenzione e alla riduzione dei rischi e del danno (se un rischio viene ridotto a zero il danno non c’è o è trascurabile...).

Ed è proprio per questo che la battaglia antiproibizionista deve essere portata avanti con più impegno e costanza e non vista come un tabù: bisogna parlarne apertamente e cominciare a concepire dei modelli alternativi di regolamentazione, che non siano quelli propugnati principalmente da “Big Pharma”, “Big Tobacco”, “Big Agriculture” e tutti gli altri “Big”, incluse le potenti e le più ricche narcomafie che prosperano nei posti più poveri del pianeta, fomentando guerre e conflitti che insieme al mercato globalizzato delle droghe illegali sono parte integrante del capitalismo e della sua crescente finanziarizzazione, organizzato dalle cosiddette “menti raffinatissime” in ogni dettaglio, dalla logistica al marketing passando per l’attività di lobbying per elaborare leggi apposite sotto le insegne dei “crociati” contro le droghe.

 

 

il banchetto di Nautilus con volantini di informazioni sulle sostanza (legali e illegali), preservativi, "pippotti" sterili, caramelle per cali di zuccheri ecc.
Il banchetto di Nautilus,  con volantini di informazioni sulle sostanze (legali e illegali), preservativi, cannucce sterili con acqua fisiologica, caramelle per cali di zuccheri ecc.

il banchetto di Nautilus con volantini di informazioni sulle sostanza (legali e illegali), preservativi, "pippotti" sterili, caramelle per cali di zuccheri ecc.

il banchetto di Nautilus con volantini di informazioni sulle sostanza (legali e illegali), preservativi, "pippotti" sterili, caramelle per cali di zuccheri ecc.

il banchetto di Nautilus con volantini di informazioni sulle sostanza (legali e illegali), preservativi, "pippotti" sterili, caramelle per cali di zuccheri ecc.

 

Un documento che parla di "drug checking" relativo ai due cannabinoidi più noti e presenti nella cannabis
Un documento che parla di "drug checking" relativo ai due cannabinoidi più noti tra quelli presenti nella cannabis

il logo del collettivo antiproibizionista del forte, si legge: "FORTEmente ANTIPRO. Riduciamo il danno invece che il consumo"
Il logo del collettivo antiproibizionista del Forte. Personalmente penso che lo slogan "riduciamo il danno invece del consumo" è argutamente provocatorio, ma da non prendere alla lettera. Ci sono una serie di sostanze che probabilmente sarebbe meglio non usare del tutto, come il tabacco per esempio, fatta eccezione per l'utilizzo originario e rituale che ne facevano i nativi americani.

volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze
Vari volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze e delle politiche socio-sanitarie

volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze

volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze e altre questioni di politiche sanitarie

volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze e altre questioni di politiche sanitarie

volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze e altre questioni di politiche sanitarie

volantini che approfondiscono i diversi effetti delle sostanze e altre questioni di politiche sanitarie

manifesti dedicati a varie iniziative per legalizzare la cannabis

manifesti dedicati alla legalizzazione della cannabis e le stampe con i QR degli articoli di questo sito dedicati alle sostanze

volantino dedicato alla legalizzazione della cannabis e contro la Fini Giovanardi



LE PRESENTAZIONI NELLA CICLOUFOFFICINA

la locandina con l'elenco di presentazioni nella ciclo-ufo-officina


Sono state una decina le presentazioni di fanzine e volumi vari che si sono affastellate nella quattro giorni in una cornice suggestiva fatta di biciclette, attrezzature per riparare e costruire il mezzo di trasporto più ecologico della Terra, oltre a vari richiami di esistenze aliene: nella ciclo-ufo-officina abbiamo pure reincontrato Croma e uno dei principali esponenti dell’ufociclismo (se non sapete cos'è ne abbiamo parlato in questo post, dedicato a un libro che avevamo trovato nella scorsa edizione), Cobol Pongide


un robot giocattolo e due magliette con il simbolo dell'ufociclismo: un astronave con delle ruote di una bicicletta






Purtroppo non siamo riusciti a seguirle tutte, ma menzioneremo comunque quasi tutti i progetti presentati nelle prossime battute... Iniziamo dalla fanzine dell’ “Artistical Mass”: chi è familiare con l’espressione “Critical Mass”, ossia quelle sfilate-protesta in massa di biciclette per riappropriarsi delle città rivendicando una mobilità realmente sostenibile, avrà già capito che è stata fatta da artist*-ciclist*...

 

URBIKERZ DELL’ARTISTICALMASS: LA FANZINE SULLE DUE RUOTE PIÙ ECOLOGICHE ED EMANCIPATORIE DEL PIANETA

 

                                l'indice del numero 0,6 della fanzina

alcune immagini contenute nella fanzine

alcune immagini contenute nella fanzine

alcune immagini contenute nella fanzine

le copertine dei primi 3 numeri della fanzine

le relatrici e la moderatrice durante le presentaziona



La fanzine “Urbikerz” è per l’appunto collegata al succitato progetto collettivo di artist@ in sella alle due ruote, mezzo di locomozione che salvaguarda di più la salute del pianeta e che ci permette di osservare il paesaggio in una maniera unica, più rapida di una camminata ma che comunque permette l’osservazione di ciò che è intorno in modo meno fugace di una macchina o di un treno.

Il progetto è stato avviato circa un anno fa da Krayon  e Omino 71. Il numero “00” e il numero “0,5” li trovate anche online, mentre al festival è stato presentato l’ultimo numero, il “0,6”, che contiene una quindicina di “pezzi” tra storie illustrate, fumetti e articoli, con la copertina realizzata da Gio Pistone.

Tra queste ci sono le quattro tavole di Croma (che abbiamo conosciuto la prima volta allo "UE’ Fest" del 2022), una microstoria ambientata in Molise, e precisamente a Campobasso, intitolata “Metro dopo metro”: protagoniste sono 4 ragazze insieme alle loro bici, strumento di rivalsa e autodeterminazione tipico dell’adolescenza e che, senza patente e senza troppi problemi, ti permette di lanciarti in avventure incredibili, potenziando la facoltà di spostamento. La ciclo-artista ha anche confessato, durante il dibattito, che inizialmente non vedeva la bicicletta come un mezzo radicale per condurre la lotta femminista, e ha anche raccontato vari aneddoti dei suoi viaggi in Italia e all’estero: molte volte degli uomini che guidavano automobili le hanno rivolto dei commenti volgari. In quel frangente ha deciso di “inseguirli” per provare a parlargli o per chiedere delle informazioni, dando del lei all’interlocutore e parlando in maniera molto formale, e così facendo spiazzandoli: <<siamo noi che dobbiamo trovare delle strategie>> per distruggere le logiche patriarcali e sfruttare la bici come mezzo di emancipazione!

Insieme a Croma c’era Debora Malis a moderare il primo incontro della tre giorni, che è anche la curatrice del volume, oltre ad aver lavorato alla storia intitolata “Le pioniere”, vestendo i panni inusuali della fumettista per lei che ha un background da scultrice: nelle sei tavole del racconto “ecologico” la protagonista, Seltzie, trova una mappa del tesoro, uno schema narrativo che è pure <<un po’ lo scopo di ogni avventura>>. Seltzie è una bimba che non ha quasi nulla, non ha nemmeno i genitori essendo orfana, e i suoi pochi averi materiali e affettivi la rendono libera di lanciarsi in un’avventura dal tenore donchisciottesco con il suo triciclo-sidecar insieme a un <<gatto guercio>>.

Marcella Corsi, femminista e docente universitaria di economia ha scritto invece un articolo dal taglio storico, intitolato “Ma dove vai bellezza in bicicletta”. Nella presentazione si è soffermata sul concetto di “sorellanza”: <<ho sempre avuto una domanda in testa: se invece di parlare di “fratellanza>> durante e nel motto della rivoluzione francese, <<si fosse parlato di “sorellanza”, se si fosse dato il palco alle rivoluzionarie invece di mandarle alla ghigliottina>> il mondo sarebbe ancora così intriso di logiche “mascoline” e patriarcali? 

La sorellanza però, spiega l’autrice, <<non deve essere un ostacolo, non deve essere una barriera, altrimenti si finisce nello stesso errore di chi professa la fratellanza come un essere mascolino. Io definisco la sorellanza uno stato dell’anima, e non c’entra niente con il sesso biologico: ho tante sorelle maschi e tante nemiche femmine... Il problema non è assolutamente il sesso biologico ma il pensiero e la capacità di porsi nei panni degli altri e delle altre. Mi piace ricordare un pensatore che tutti pensano solo al maschile, Adamo Smith, uno dei fondatori della mia disciplina (sono un’economista), ma era un filosofo in realtà... La mia disciplina nasce dalla filosofia. In un bellissimo testo che si chiama “Teoria dei sentimenti morali” parla della morale della simpatia, ricongiungendosi all’illuminismo, a Hume, al consenso tacito e quant’altro. Senza andare troppo lontano, il discorso è molto semplice: se noi fossimo tutte e tutti più simpatiche e simpatici, che potrei tradurre in “più sorelle”, probabilmente si riuscirebbe effettivamente ad avere più cura delle persone intorno a noi, più cura dell’ambiente in cui viviamo e, da questo punto di vista, forse davvero il Mondo potrebbe essere migliore>>. Per chi volesse approfondire alcuni dei concetti espressi da Marcella Corsi, vi segnaliamo la sua "TED Talk".

Nella zina si trova anche un’intervista di Debora Malis a Valentina Battisoni, eclettica attivista transfeminnista, ricercatrice del corpo (ha lavorato anche nel campo del neuroimaging), danzatrice, performer e “bicisessuale”, in merito al progetto “Sororité Bike Ride”, un’azione trasfemminista letteralmente in movimento. Come si legge sul sito Ingenere.it, il progetto era aperto a tutt*, a <<donne cis, donne trans, uomini che si rendono conto che il patriarcato ingabbia pure loro, uomini che tentano di uscire dal modello di mascolinità tossica, uomini che incarnano già un altro tipo di mascolinità, persone che desiderano stare fuori dai binari e chi riconosce che ancora c’è molta strada da fare per costruire una società più equa>>.

In pratica la ciclo-attivista ha percorso 1970 chilometri lungo la via Francigena in Italia raggiungendo una quarantina di tappe in sella ad “Artemide” (il nome della sua bici), diffondendo sensibilizzazione sulle tematiche LGBTQ+ con attività laboratoriali sulla cura, sulla sorellanza, su come unire politica e spiritualità (intendendo quest’ultima come capacità di “guardarsi dentro”), discussioni “in cerchio” e pratiche artistiche come la “street poster art”.

Intento principale era quello di combattere stereotipi, pregiudizi e barriere patriarcali, per rispettare tutti i corpi, le identità di genere e diffondere amore e rispetto della natura: il viaggio <<nasce dalla rabbia>> per le donne e le altre identità di genere che subiscono violenza, canalizzando quella collera in pratiche di lungo termine e costruttive per una società realmente equa e inclusiva.

In 40 giorni è arrivata in Puglia, dove anticamente si imbarcavano pellegrini e crociati,  dopo la partenza dalla Valle d’Aosta nello scorso Luglio. Diverse le persone che l’hanno seguita negli spezzoni del percorso che era “tracciato” via social, e tramite un crowfunding è riuscita non solo a coprire le spese di vitto, alloggio e dei materiali per i workshop organizzati in collaborazione con Arcigay Rete Donne Transfemministe (un euro a km), ma anche a fare una cospicua donazione per il progetto “Lingua Abitata” di Armonie Associazione di Donne per le Donne di Bologna, che organizza diverse attività tra cui quella dedicata all’insegnamento dell’italiano per donne migranti.

La scelta della bici come mezzo di locomozione principale non è legata solo a questa sua iniziativa, ma anche ai giorni “regolari” della sua vita: ha spiegato di aver venduto casa e macchina, spogliandosi di beni e possedimenti eticamente ed economicamente ingombranti, intrisi di capitalismo: la bicicletta <<ha rappresentato e rappresenta ancora oggi più di tutti l’indipendenza e l’emancipazione della donna. Perché ancora in alcuni paesi è strano che una donna vada in bici, non è decoroso. Perché in altri è l’unico mezzo che permette alle donne di essere più libere. Perché oggi la bici è il mezzo di trasporto più sostenibile, in questo mondo, che a causa delle nostre scelte stiamo portando alla deriva. Perché permette di guardare gli altri esseri umani in faccia, di vedere la bellezza della natura e di borghi sperduti, e di godere del viaggio. Un viaggio lento, talvolta faticoso, che richiede un movimento continuo ritmico e costante se si vuole avanzare>>.

Nella conclusione ha raccontato un aneddoto: sono tanti i luoghi “religiosi” lungo una via “religiosa” in cui lei, come tutt* quelli che intraprendono questo viaggio che si articola per le “vie romee”, hanno trovato ospitalità. Ha raccontato che in una parrocchia ha ottenuto il consenso da un prete a esporre il suo cartellone utilizzato per sensibilizzare al rispetto delle diverse identità di genere e degli orientamenti sessuali: nonostante qualche reazione vagamente stranita ha riscontrato un certo grado di apertura, ma soprattutto tanto bisogno di parlare, un bisogno a cui ci stiamo pericolosamente disabituando…

 

DYLAN DOPE: L’INDAGATORE DEL TRIP

Cominciamo a parlare di una delle due opere presentate a questo Crack! dal prolifico autore <<ostinatamente underground che ha pubblicato fumetti per le peggiori fanzine e autoproduzioni del Mondo e per piccole case editrici indipendenti, che ha disegnato volantini e magliette per centri sociali e lotte sociali, copertine di dischi punk e techno>>, e cioè Andrea Malis, AKA Andromalis.

 

Andromalis e i tre numeri di Dylan Dope

La prima opera che recensiamo non è solo una parodia dello stra-famoso (e pure-troppo-famoso) Dylan del fumetto italiano... Stiamo parlando nientepopodimeno che dell’insondabile indagatore del trip (gira voce che sia lo stesso autore), Dylan Dope, che è anche uno strumento narrativo per <<raccontare l'apocalisse POP del capitale cannibale>>: da piccolo gli diagnosticarono <<una degenerazione lisergica del sangue, così, sin da fanciullino, imparò a convivere con le allucinazioni. Comprese, però che, leccandosi, mordendosi o succhiando il suo sangue, gli altri bambini potevano, a loro volta, procurarsi straordinari super trips!! Lo salvavano dal rischio di continue overdosi e lui contribuiva alla felicità del mondo!>>. Sono usciti fino ad adesso (e per sempre, pare) solo i numeri 1, 3 e 5: alla fine di ogni storia si spiega che ci sarà una continuazione, ma nel <<fumetto a frammentazione narrativa (...) tutte le trame e le sottotrame si riuniscono in un finale da incubo. Ma sarà veramente la fine di tutto?>> dato che  <<il tempo e lo spazio deragliano nella periferia del futuro! Neppure Dylan Dope può arrestare questa folle corsa, soprattutto perché ne è lui il motore mentale>>.

Ciò che ci colpisce di più della presentazione non è solo il fumetto allucinogeno e atipico in sé (ci siamo riusciti ad aggiudicare l’ultimo “primo numero” in vendita al fest, con un piccolo sconto popolare in cambio delle nostre autoproduzioni giornalistiche), ma la sacrosanta polemica con il fumetto “mainstream” in generale e nello specifico con <<l’altro Dylan, che non nominiamo per ovvi problemi di copyright>>, dice scherzosamente Simone Lucciola, che ha introdotto la prima storia e poi ci va giù durissimo anche sulla questione dei diritti d’autore. Ricorda che la “Sergio Bonelli Editore Spa” ha in un certo senso “rubato” il volto di Rupert Everett oltre al personaggio del terzo dei fratelli Marx, Groucho.

Dylan Dope oltre a essere una raffinata parodia caleidoscopica è anche una sorta di tributo “storico”, ma non intellettuale (fatta eccezione per gli “anni d’oro” del fumetto che ha visto anche la partecipazione di disegnatori storici e stimati dai relatori), allo stra-noto Dylan che tutt’oggi <<viene tenuto in vita con il defibrillatore>> producendo un fumetto <<per il gusto degli anni ‘80>> nel 2023, tramite artifici narrativi ed editoriali che oggi appaiono scontati, triti e ritriti, con “innovazioni” nella narrazione spicciole, come l’agognato arrivo alla pensione dell’ispettore Bloch o la morte temporanea di Groucho, mentre si investono milioni di euro. Tra le varie cose il geniale “fumettaro alternativo” ha perfino satireggiato i numeri “cross-over” di Dylan Dog  con Martin Mystere, ideando un “cross-inside” di Dylan DopedentroMartir Ministere, un numero “speciale” annunciato ma che non vedrà mai luce...

Andro Malis ha spiegato che anche lui da piccolo era un vorace lettore di quel fumetto mainstream, prima che un suo amico gli ha aperto occhi e mente introducendolo a leggende del fumetto alternativo italiano come Andrea Pazienza. L’autore introduce anche l’editore della mini-collana, Pietro Theroux, spiegando che si è lanciato in questa avventura editoriale perché <<cerca il fallimento>>. L’editore indipendente ha raccontato che la genesi del progetto della “Yawn Comics” risale alla sua prima esperienza da “standista” allo stra-noto (forse troppo-noto) Comicon di Napoli, con un’altra casa editrice: <<non c’era il minimo interesse per gli autori che proponevamo, e allora mi sono detto “perché non buttarla in caciara”? Divertiamoci!>>. A proposito dell’ “indagatore dell’incubo” ha confidato: <<continuo a comprarli perché sono un collezionista, ma oramai non li leggo più da anni>>...


la copertina del primo numero di Dylan Dope, l'indagatore del trip



Concludiamo il resoconto di questa presentazione riportando altri brevi lanci-spoiler delle storie di Dylan Dope (incluse quelle che non usciranno mai), apparse sui profili social della promettente sigla editoriale:

<<Se i robots sessuali giocattolo invadono la Grecia, la Puglia e l’Albania, se il volo charter Disneyland-Pescara si inabissa in un mare di caramello, se gli smartphones parlano al contrario, le app tradiscono le promesse e i selfies restituiscono foto di giganteschi cazzi… rivolgiti a Dylan Dope, l’indagatore del trip!

Il cadavere di Hellvis Buonanotte è tornato e il suo telequiz apocalittico ha occupato il palinsesto del mondo. Se non sai rispondere alla estrema domanda finale, chiedi un aiutino a Dylan Dope, l’indagatore del trip, ma sei sicuro, sicuro, sicuro di voler conoscere la risposta?

L'ispettore Knock si stupisce che sulla città, improvvisamente, appaiano sospese delle terribili, magnifiche meduse giganti, ma è uno sbirro senza volto, come potrebbe capire?

Non tutto ciò che è rosa e soffice è allo stesso tempo privo di insidie, e questa cosa la sa bene Martir Ministere che insieme a Dylan Dope dovrà sopravvivere nel cuore della giungla più pericolosa dell'AndroVerse!

Son solo un surfista del flusso narrativo che, a cazzo di cane, racconta questa nostra apocalisse da tre soldi...

Una gigantesca stella cometa color caramella abbaglia il crepuscolo urbano con un inquietante presagio! Solo Dylan Dope, l'indagatore del trip, può decriptare la bestemmia di luce di Frankenstar e dei suoi sensuali tentacoli di polpo. Ma attenzione, tu non potrai ricordarlo>>.


i relatori durante la presentazione nella ciclo-ufo-officina



MASCHERINA: SUPEREOI GAY E MARXISTI NELL’ERA DEL PRESIDENTE BALOCKONI

                                       La copertina di "Mascherina". In una vignetta si legge <<come un notturno sol dell'avvenire>>

Passiamo adesso al fumetto strutturalmente inconsueto che contiene l’ultima storia tragicomica di Andromalis, pubblicata per “Barta edizioni” (per la stessa sigla editoriale l’autore aveva già pubblicato “Mariem Hassan: Io sono Saharaui nel 2016): “Mascherina: Il piano Nillapizzi” è una storia che risale al 2008, periodo in cui la parola “mascherina” non richiamava la pandemia. La frase “ti conosco mascherina” da decenni è usata per esprimere il concetto “non mi trai in inganno, ti conosco bene”, ed era stata usata in una campagna elettorale del ‘48 dalla Democrazia Cristiana in dei manifesti che raffiguravano la caricatura di Stalin (ed è anche il titolo di un film di Eduardo De Filippo del ‘43 oltre a trovarsi in una canzone dei Litfiba)

Mascherina è uno dei supereroi della storia ambientata nell’era del presidente Berlusconi... Scusate il lapsus, cribbio, volevo dire “Balokconi”. I supereroi marxisti della storia sono anche apertamente omosessuali, in rottura con l’omofobia diffusa nel PCI nel particolare, mentre più in generale si sono liberati dal <<golem sovietico>>  dopo il crollo dell’URSS: la sinistra della “prima Repubblica” aveva perso un’identità dogmatica e monolitica, e si era creata <<un’apertura libertaria che però non ha funzionato>>. Quella perdita di identità, quella maschera tirata giù poteva (e dovrebbe) rappresentare la creazione di una nuova identità, tramite la metaforica uccisione dei “genitori” per affermare una nuova prospettiva ideologica. L’inizio della storia non è casuale: la morte di Carlo Giuliani, poi l’11 Settembre e le guerre in Afghanistan e in Iraq, eventi che segnano la fine cronologica e ideologica di un’epoca. Una delle caratteristiche di questa nuova era è ramificata con le riflessioni vulcaniche e intrigantemente complesse che fuoriescono dalla mente dell’esuberante autore, sia nelle parole, nelle riflessioni e nelle metafore della presentazione, sia nelle immagini ammassate, ma mai confuse, della storia: oggi è molto più difficile rapportarsi con la complessità e “abbracciarla” sforzandosi intellettualmente, ed è ancora più arduo in un’epoca di “vuoto riflessivo”.

Il mondo interno dell’autore è colto e ricchissimo, e per questo può risultare difficile, ma al contempo stimolante, seguire le sue riflessioni e gli spunti che si traducono in elaborate personificazioni, come la “fatina dello sponsor”, l’ “uomo placebo” o il “ministro dell’ordine e del temporale”.

La struttura grafica del fumetto classico in questo volumetto anticapitalista e anticonvenzionale di 60 pagine è stravolta: non ci sono le tipiche vignette, ma una valanga di immagini e parole sapientemente incastonate nelle fitte pagine, da osservare con calma mentre si incastrano in mente, in modo da non perdersi nemmeno un pezzetto di un’opera che è underground sotto ogni aspetto.

 

La copertina di "Mascherina". In una vignetta si legge <<come un notturno sol dell'avvenire>>

immagine della presentazione nella ciclo-ufo-officina




LE PRESENTAZIONI CHE NON SIAMO RIUSCITI A SEGUIRE... MA NON TUTTO È PERDUTO!

Purtroppo le cose da fare al Crack! erano tantissime e non siamo riusciti a seguire tutte le presentazioni, ma abbiamo fatto comunque “i compiti a casa” e, da svogliati studenti-lavoratori di lettere, abbiamo comunque studiato da “non frequentanti” recuperandone alcune... Vediamo se riusciamo ad avere almeno un metaforico “18 politico” all’esame!

 

 

RESPIRO: QUANDO L’ORDINE DEL MONDO CI TOGLIE IL FIATO, UNA BOCCATA D’ARIA ARRIVA IN FORMA DI FUMETTO

Marco Bailone ha curato e presentato la rivista “Respiro”, giunta al quarto numero, che prende il nome dal principale bisogno fisico e metaforico della nostra esistenza, quello dell’aria.

Nasce durante la pandemia, proprio mentre scoppiano le rivolte nelle carceri di cui abbiamo ampiamente parlato, spiega il curatore in questa lunga intervista a Radio Black Out. Dai primi numeri i temi trattati spaziano dalla medicalizzazione forzata all’abuso di farmaci legali dentro e fuori le prigioni, dalle restrizioni pandemiche al preponderante tema della repressione, passando per l “subvertising”, la scena hardcore-punk e nichilista, l’ambiente stravolto dalla mano specista umana, con la natura che diventa solo uno “sfondo” per la vorace devastazione dell’uomo, mentre esseri animali a volte si ribellano e altre invece cooperano con i sapiens, in una tensione perenne tra amore e rabbia.

La “zina” viene spedita a detenut* che ne fanno richiesta e i proventi sostegono la Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali. Tra i contributi non ci sono solo artist* della scena underground come Croma, ma anche quelli di Anna Beniamino, la compagna di Alfredo Cospito: la zina, come molti progetti sviluppati “dietro le sbarre”, mira anche a unire “il fuori col dentro” e quindi, spiega Bailone, è aperta ai contributi di chi è ristrett*.

 

 

GUIDA TURISTICA AGLI ALDILÀ: IL NUOVO MONUMENTALE NUMERO DELLA RIVISTA APERIODICA ČAPEK

Sul sito della rivista “Čapek leggiamo che il progetto nasce <<da un’associazione editoriale a delinquere, da cinque realtà indipendenti, con storie diverse, che decidono di incontrarsi e fecondarsi>>, e cioè: “Strade Bianche” <<l’ultima reincarnazione della storica “Stampa Alternativa”, guidata dal mitologico Marcello Baraghini, ideatore dei libri “Millelire>>; le/i tipe di “AFA, Autoproduzioni Fichissime Anderground”; il collettivo di artisti visivi maceratesi “Uomini Nudi Che Corrono”; la casa editrice e rivista di reportage narrativo “CTRL Magazine” e “Puck Magazine” una rivista di fumetti indipendenti.

A questo link sono disponibili i primi due numeri della “Rivista di fumetti, reportage, interviste, indagini, stranezze, amenità e vita campestre”, mentre al Crack! hanno presentato l’ultimo speciale e monumentale numero con una minuziosa “Guida turistica agli aldilà possibili”, a cui hanno contribuito un centinaio di artist* visionari* di ogni dimensione tra <<fumettisti, scrittori, pittori, ectoplasmi, architetti, psichiatri, spiritisti, indovini, resuscitati ed extraterrestri>>: <<se l’idea di un’altra vita vi spaventa, se i paradisi artificiali vi sembrano inflazionati e negli inferni più gettonati non si trova più neanche mezza bolgia disponibile, non temete: grazie a questo volume potrete consultare mappe dettagliate, preziose informazioni dagli autoctoni e persino accedere in largo anticipo alle beatitudini (o alle dannazioni) più vicine alle vostre esigenze!>>.

Ho provato anche a prenotare un viaggio in un aldilà possibile al loro stand, ma purtroppo i tour erano tutti già prenotati...

 

“EDEN AND EDNA” E “WANDERLUST” DI BAMBI KRAMER E SARA BIPEDE

Trovate le recensioni delle presentazioni dei due volumi, con al centro il rapporto con “altre specie”, aliene e indefinibili, nel “post-ricordo” di un altro festival underground “gemellizzizzato” con il Crack!, e cioè il UE Fest Underground Eccetera” 2023

 

 

BANCHETTI E STAND CON CUI ABBIAMO INTERAGITO (cliccate o schiacciate le immagini per vederle in maniera più nitida ;)

tutte le autoproduzioni, fanzines, illustrazioni, libri e biglietti da visita che ci siamo portati a casa
In foto il nostro "swag-bottino" dal Crack, con tutte le autoproduzioni, fanzines, illustrazioni, adesivi, libri e biglietti da visita che ci siamo portati a casa

Oltre a rincontrare tante facce belle e conosciute ne abbiamo viste di nuove e ci siamo divertiti tantissimo a scambiare le nostre autoproduzioni giornalistiche con illustrazioni e fanzines che trattavano argomenti collegati: probabilmente il baratto (oltre che il più generoso dono) è una forma molto meno primitiva, più evoluta ed etica del sistema monetario, finanziario e capitalista che abbiamo messo in piedi negli ultimi secoli...

 

INSOMNIA

il centro dell'esposizione di Insomnia: al centro si trova l'immagina di un canide (non sappiamo se una iena o uno sciacallo). Sotto un cumulo di terra, come se un corpo fosse seppellito lì


Nei meandri dei tunnel del Forte, e specificamente nella sezione chiamata “la cattedrale”, troviamo l’esposizione di Insomnia, <<un progetto sperimentale che fonde fotografia documentaristica e arte visuale per raccontare le storie di un mondo miserabile>>: uno schermo ripete in loop un documentario di circa 10 minuti intitolato “I soldati di Sinaloa: dentro una narco-milizia messicana” pubblicato su “Popular Front” un progetto di <<giornalismo popolare sui conflitti globali>>.




La tematica specifica della “geopolitica della droga”, un mercato che si adatta perfettamente alla fase della sempre crescente finanziarizzazione del capitalismo, viene mostrata dal punto di vista di un’unità di miliziani del cartello di Sinaloa, una delle più potenti associazioni messicane dedite alla produzione e all’esportazione di droga (in particolare cocaina ma non solo) che è anche uno dei pochi oligopolisti nel settore, un oligopolio rafforzato proprio dalle politiche repressive della fallimentare “guerra alla droga”. 

È possibile gettare uno <<sguardo senza filtri nelle vite dei giovani sicari>> tramite le scene girate dagli stessi “soldati” nel cortometraggio, firmato da Thiago Dezan (membro del duo del progetto Insomnia) e da Eduardo Girault Brun. Alcuni scatti dell'artista multimediale e fotografo si fondono con le illustrazioni di Infynite nella mostra che ibrida fotografia documentaria e arti visuali. 

La parte documentaristica <<esamina degli aspetti della nostra società attraverso una prospettiva politica; una società che troppo spesso non comprende come la cultura mainstream è, prima di tutto, uno strumento per giustificare oppressione>>, mentre le illustrazioni aiutano a vedere una <<verità invisibile>>, qualcosa che nel nostro profondo intuiamo come concreto e reale, ma che viene spacciato e percepito come un’invenzione <<perché il mondo materiale ha deciso così>>, qualcosa che <<non vedi mai ma che ti tiene sveglio di notte. Non è un sogno a occhi aperti, ma è insonnia>>. 

Il progetto quindi documenta anche le sensazioni istintive, ciò che manca nelle narrazioni mainstream e che viene rimosso dalle percezioni strettamente sensoriali, ma che si si può comunque sentire “di pancia” e con “il cuore”, ciò che è <<invisibile come l’amore e impercettibile al tatto come la rabbia>>.

 



 

alcune foto della mostra: le immagini di vita reale si fondono con quelle del mondo animale di Infinyte

alcune foto della mostra: le immagini di vita reale si fondono con quelle del mondo animale di Infinyte

alcune foto della mostra: le immagini di vita reale si fondono con quelle del mondo animale di Infinyte



La descrizione del progetto in inglese: i nostri virgolettati sono tratti da questa

La descrizione del progetto in inglese: i nostri virgolettati sono tratti da questa

 

TUNG NING CHEUNG 

le magliette e le illustrazioni dell'artista: qui una Sailor Moon e una donna in un'uniforme da scuola che vomita

le magliette e le illustrazioni dell'artista: una donna dai cui seni escono braccia con vari strumenti, mentre in qualche maniera "ipnotizza" degli uomini piccoli

le magliette e le illustrazioni dell'artista

le magliette e le illustrazioni dell'artista: una donna incatenata, con un oggetto che forse è una clava a forma di bimbo, o comunque un neonato di legno

una donna che si "sveste" del suo corpo mostrando uno scheletro. In faccia ha un codice QR e altri umani piccoli scattano foto, sul loro cellulare si trovano dei cuoricini che forse simboleggiano i "like"

quattro ragazze, con un vestito sportivo e un pallone da pallavolo tengono incatenato e torturano un uomo

una donna vomita un materiale marrone al cui interno ci sono teste di uomini


Lo stile dell’artista underground, per cui il Crack! ha rappresentato un punto di svolta nella sua carriera (su Repubblica si legge che è uscito per la prima volta dalla Cina proprio per partecipare al festival dieci anni fa), mescola quello delle illustrazioni cinesi classiche a quelle nettamente più pop dei manga giapponesi (e più nello specifico al genere erotico Shunga, un “antenato” dell’Hentai, ossia le versioni pornografiche di anime e manga con svariati sottogeneri che includono anche le parafilie), e con inequivocabili richiami ai manifesti propagandistici della Cina nell’epoca della rivoluzione culturale. Il tema preponderante nelle opere di “Tony Cheung” <<un uomo stanco degli stereotipi femminili abusati>>, è quello della riduzione a oggetto sessuale del corpo della donna che a volte si ribella attuando simbolicamente una sorta di “femminismo crudele” per rispondere specularmente alle crudeltà patriarcali, ma innumerevoli sono i riferimenti anche alla repressione politica, alla brutalità delle polizie, al fanatismo religioso (religione “materialista” inclusa), al consumismo globalizzato e propagandato da manipolazioni “pubblicitarie” feroci, ai paesi che si dicono socialisti ma che in realtà si sono trasformati in delle distopie reali... I suoi disegni si fanno guardare lasciandoci a bocca aperta e allo stesso tempo (nella maggioranza dei casi) creando una repulsione che non può non indurre a riflessioni profonde, spiattellando in faccia gli abomini della contemporaneità, violando ogni tabù legato alla sessualità e alla violenza (che non è solo quella fisica ma anche quella del sessismo, delle discriminazioni di classe e delle ingiustizie sociali), e causando inevitabilmente un “bad trip” anche se non si usano sostanze.

Quando arriviamo al suo stand ci dicono che l’artista non è potuto essere presente all’edizione di quest’anno per problemi con il visto.

 

DISEGI DI ELLE

Il piccolo banchetto dell'artista: l'appeso menzionato è ovviamente Mussolini a testa in giù


Dal banchetto dei Disegi di Elle spicca la rivisitazione antifascista della carta dei tarocchi “l’appeso”, insieme alla “Raccolta Sparsa Antifa Vol.1”, un volumetto di fumetti politici che ci fa rivivere eventi storici e della stretta attualità, oltre a conoscerne di nuovi. Le narrazioni di questi sono artisticamente e intrinsecamente connesse con le lotte anti-capitaliste, anti-fasciste, anti-sessiste, anti-abiliste, anti-razziste, ambientaliste e de-colonialiste, perché l’unica rivoluzione o cambiamento <<non potrà essere se non l’insieme>>, mettendo in discussione <<il quotidiano, i propri rapporti di forza e la propria intimità>> in <<un cammino dove non c’è spazio sicuro ma un profondo lavoro di autocoscienza e pratiche collettive>>.

 


PAPER SURGERY

la "macelleria cartacea" (dove l'ultima "a" è cerchiata) con esseri e pezzi di corpi cartacei appesi

Svariate zines e illustrazioni dell'artista: tra queste quella dedicata a Cospito e che menzioniamo, un'altra intitolata "Paper Bullet", un'altra "Ultraviolenta" e ancora un'altra "Cannibal Surgery"

Svariate zines e illustrazioni dell'artista: tra queste quella dedicata a Cospito e che menzioniamo, un'altra intitolata "Paper Bullet", un'altra "Ultraviolenta" e ancora un'altra "Cannibal Surgery"

diverse illustrazioni su una parete


Alla macelleria cartacea di Paper Surgery  incontriamo Vale (She, it), graphic designer, costumista, artista che realizza collage analogici (senza mai ricorrere al digitale per stampare o modificare un’immagine, e usando sempre materiali riciclati come regole etiche e tecniche) nonché cuoca free-lance, che si sente più <<un* chirurg* che un* designer>>.

Una delle sue ultime opere è una fanzine con la traduzione in inglese delle dichiarazioni rilasciate da Alfredo Cospito in corte lo scorso Marzo.

La sua vita e la sua arte sono improntate all’etica anarchica e permeate dalla cultura dei media indipendenti, è un modello di “D.I.Y.” (Do it Yourself, e quindi “autoproduci”) puro che ci piace sia esteticamente che concettualmente.

 

BESTIE FIERE  E SAM ARCANDA DI KULTURIVORA

svariate illustrazioni delle "Bestie Fiere"

svariate illustrazioni delle "Bestie Fiere"

svariate illustrazioni delle "Bestie Fiere"

svariate illustrazioni delle "Bestie Fiere"

svariate illustrazioni delle "Bestie Fiere": in una un po' vintage si vede una "magnaccia" indicare una delle stremate sex worker


diversi libri principalmente collegati all'anarchismo

i pacchetti di sigarette di cui parliamo, che in realtà sono dei "punketti di poesie": su uno si legge <<tacere causa impotenza>>, su un altro <<la vita uccide>>

i pacchetti di sigarette di cui parliamo, che in realtà sono dei "punketti di poesie": su uno si legge <<tacere causa impotenza>>, su un altro <<la vita uccide>>

illustrazioni transfemministe: una ragazza dice <<lotto tutti i giorni>>, un'altra <<obietta sta fregna>>

un'illustrazione e delle spillette

spillette, toppe e un adesivo, con una vagina a mo' di Madonna e la scritta <<fregna madonna>>


Le membre del nascente collettivo transfemminista erano anche le nostre vicine di tenda. Chiara, in arte Kira, oltre a prestarmi un utilissimo pentolino per farmi una camomilla e a offrirmi un gustoso caffè al mattino, mi ha regalato le prime sei tavole del fumetto “Selvaggia” (che trovate anche sul suo profilo Instagram).

A fianco al loro stand c'è quello di Sam Arcanda che fa parte di Kulturivora , <<una piccola editoriale indipendente venuta al mondo nel 2022, senza piangere e senza respirare, ingollando liquido amniotico e quel poco di malsana kultura che pervade i bassifondi in cui vive, destinata a un futuro di dipendenze e resistenze. Il progetto Kulturivora si compone di: raccolte poetiche illustrate autoeditate; libri selezionati di libera circolazione di tematica principalmente anarchica e/o transfemminista, il tutto composto, stampato e rilegato artigianalmente; zine, come ad esempio il PU(N)KETTO di poesie, che pure incita al dilagamento della cultura tabagista poetica (in ogni punketto fanzinato si troveranno dieci poesie da fumarsi o da offrire, favorendo il consumo)>>non possiamo che ammirare le dettagliate illustrazioni, sfogliare le zines e i volumetti antagonisti, oltre ai "punketti" di sigarette cartacee con etichette molto più significative di quelle a cui siamo abituat*.

 

 

RACCOLTA DELL’UMIDO

il banchetto con la fanzine e varie illustrazioni

il banchetto con la fanzine e varie illustrazioni

il banchetto con la fanzine e varie illustrazioni

un particolare della rubrica "Questioni eti LI che"

Particolare della rubrica "Aterisc*"


Dal banchetto di Ren Arman Cerantonio  risaltano i tre numeri della fanzine “La Raccolta dell’Umido”, <<una rivista-contenitore in cui confluiscono tutte quelle narrazioni normalmente bollate come spazzatura nel discorso-fumetto (...) Che cerchiate contenuti queer, trash o camp, siete nella discarica giusta!>>. Oltre alle storie a fumetti ci sono anche la rubrica “Questioni etiLIche” con interviste <<fatte da ubriach* ad altr* ubriach*, su questioni etiche, svarioni e altre cazzate>>, e quella di divulgazione “Asterisc*” per fare sensibilizzazione <<su tematiche queer, per spiegare a nonni e nipotini la natura di questǝ frociǝ di cui si parla tanto>>.

A lui doniamo il volantino con due articoli sulle rispettive facciate: uno dedicato a come gli ultimi tre sovrani teocratici (i Papi) si sono rapportati con la comunità LGBTQ+ e come hanno affrontato la questione della pedofilia nella chiesa; un altro invece tratta dell’origine dei “Pride”, sia quelli canonici che queer-alternativi, e un elenco di questi ultimi tra quelli “censiti” online.

 

 

ANTHEA E IL PROGETTO DI ARTE PARTECIPATIVA FEMMINISTA “EROIKA”

Volume di "Eroika"

Un testo che parla della storia del femminismo

il banchetto di Anthea


Procedendo nei labirintici tunnel giungo allo stand di Anthea e di altre artiste. Sul tavolo si trovano i fascicoli di “EroiKa”, un’opera e un progetto di arte partecipativa femminista avviato nel 2018 dal’’artista multimediale Giulia Spugnoli, con il fine principale di decostruire gli stereotipi sulle donne: <<Se la figura ipersessualizzata e reificata femminile si fonda sulla riduzione di significato degli oggetti ornamentali, che servono solo a enfatizzare il messaggio del corpo seduttivo, nel nostro percorso di autoritratto EroiKa vogliamo dare spazio ad un assemblaggio visivo che innesca un altro tipo di linguaggio e veicola quindi un altro tipo di messaggio. In questo caso gli ornamenti servono ad arricchire di espressività il ritratto a mezzo busto>> con delle autodescrizioni che accompagnano gli autoritratti facendo “parlare” le immagini.

 

 

MR. HOLY SHIT

l'immagine di Salvini descritta giù

alcune delle carte raffiguranti i volti di "indovina Chi-na"

il gioco "Merda" con Mussolini a testa in giu e le carte napoletana rivisitate


Appena uscito dal bagno chimico nella piazza d’armi vengo attirato da una stampa ispirata a un fatto di cronaca: scorgo un Salvini dagli occhi indemoniati e la scritta “lei spaccia?” (vi ricordate quando il ministro andò a bussare a un citofono, in stile “Riga La Notizia” o “Gli Sciacalli”, e chiese all’interlocutore se vendeva hashish? Poi quelle persone furono effettivamente arrestate con circa mezzo chilo di cannabis: mamma che colpaccio! La guerra alla droga adesso è stata vinta!).

Mi fermo allora a parlare con Segio Campolo, in arte “Mr Holyshit”e insieme alle sue fantastiche e crude illustrazioni trovo degli intriganti giochi da tavolo. Le sue opere sono volutamente “politicamente scorrette”, ma non “gratuitamente scorrette”, e che spronano al ragionamento.

Tra i giochi c’è la rivisitazione di “Indovina Chi” che diventa “Indovina CHI-NA”: no, ovviamente i cinesi non sono tutti uguali, ma per questo gioco le descrizioni da fare sono molto meno stereotipate e tortuose del canonico gioco da tavolo.

Le ore di sonno erano pochissime ma forse anche a mente lucida, per me, sarebbe comunque difficile capire il complesso meccanismo di “Alzheimer”, una versione molto più macchinosa del tipico “Memory”, così come quella del più classico “Merda”.

Tra i vari giochi c’è anche un “semplice” mazzo di carte napoletane, dove però le spade diventano maganelli, i bastoni dei dildo, le coppe delle tazze del water e i denari dei cumuli di cacca.

 


HAILYSMRT

le illustrazioni di Hailysmrt

lo stand di Hailysmrt

lo stand di Hailysmrt

lo stand di Hailysmrt

lo stand di Hailysmrt


Lo stand di Hailysmrt: ci pare che sia restata particolarmente colpita dall’illustrazione di un nostro post di filosofia spicciola sulla felicità, e mentre la scambiamo con una sua illustrazione mi racconta molte cose di storia dell’arte, un argomento per me ostico, prima che per errore ho rischiato di far cadere la sua lampada con le mie movenze da elefante in una cristalleria... Scusa, e grazie 1000!



SERIGRAFIA SOLIDALE 451

lo stand di 451, con molti contenuti sull'anarchismo


Lo stand della serigrafia solidale e antifascista “451”: con loro abbiamo scambiato un’autoproduzione giornalistica sull’anti-specismo per una cartolina con un logo ispirato all’Animal Liberation Front.

 


LA COLLANA DI GATTINO

Il piccolo angolo di una cella in cui si trovano le magliette con le illustrazioni, che usando i gatti prendono in giro diversi partiti e movimenti politici, in questo caso "Casapound" e "Potere al Popolo"

Il piccolo angolo di una cella in cui si trovano le magliette con le illustrazioni, che usando i gatti prendono in giro diversi partiti e movimenti politici, in questo caso "Casapound" e "Potere al Popolo"

Il piccolo angolo di una cella in cui si trovano le magliette con le illustrazioni, che usando i gatti prendono in giro diversi partiti e movimenti politici, in questo caso "Casapound" e "Potere al Popolo"

Il piccolo angolo di una cella in cui si trovano le magliette con le illustrazioni, che usando i gatti prendono in giro diversi partiti e movimenti politici, in questo caso "Casapound" e "Potere al Popolo"

Il piccolo angolo di una cella in cui si trovano le magliette con le illustrazioni, che usando i gatti prendono in giro diversi partiti e movimenti politici, in questo caso "Casapound" e "Potere al Popolo"


Le immagini satiriche delle magliette della Collana di Gattino non fanno sconti a nessun partito politico, da destra a sinistra. Anche i collage murari estemporanei che trovo sul suo profilo Instagram, ottenuti modificando la cartellonistica e le insegne più disparati (usando sia la tecnica del collage che quella del de-collage) fanno ridere amaro sulla politica partitica e sull’onnipresente pubblicità. Votate e fate votare Gattino!

 

 

ULTRABLU

il muro degli scarabocchi di Ultrablu: abbiamo dimenticato di fare le foto al banchetto, LOL

il muro degli scarabocchi di Ultrablu: abbiamo dimenticato di fare le foto al banchetto, LOL

il muro degli scarabocchi di Ultrablu: abbiamo dimenticato di fare le foto al banchetto, LOL


Con “Ultrablu” ci siamo talmente concentrati a parlare del loro progetto, portato avanti da persone neuro-divergenti e neuro-tipiche, che ci siamo dimenticati di fare foto alla loro esposizione... Abbiamo fotografato però il muro per sfoghi e scarabocchi!

 

 

ESSERE MARINO

L'album di "non" famiglia


Non sono riuscito a trovare lo stand di Andrea, ma l’ho conosciuto nella fresca aula di disegno dove abbiamo passato gran parte della giornata a conversare, leggere, riposarci e ricaricare il cellulare. Mi ha donato un album fotografico <<di non famiglia>> intitolato appunto “La mia non famiglia”: si tratta di fotografie di un’anonima famiglia torvate in un mercatino dell’usato di Tirana nel 2017. Gli scatti risalgono aglli anni ‘20-’30 e l’obiettivo ideale è quello di arrivare a dare un nome e una storia a quelle persone e di rintracciare potenziali discendenti o conoscienti di quella famiglia, se non addirittura qualcuno ritratto negli scatti che perrò oggi avrebbe all’incirca almeno cento anni di età.

 


GIOCHI PENOSI

un'immagine del picchiaduro "botte e bamba"

Immagini della rivisitazione umbra di Doom

un'immagine del picchiaduro "botte e bamba": il Gabibbo sfida Jerry Calà

un'immagine del picchiaduro "botte e bamba": Gerry Scotti con un'ascia in mano e sullo sfondo l'Isola dei Famosi. La linea della "forza", rappresentata da una striscia di "bamba" è ancora intatta

il logo di "giochi penosi" che fa il verso a quello di "giochi preziosi": la bimba si trova su uno sfondo rosso e si inietta due siringhe

la presentazione del loro progetto a Napoli


Eravamo troppo intenti a giocare con il famigerato picchiaduro “Super Botte e Bamba”, con sfondi e protagonisti della cultura trash-televisiva italiana e il capolavoro videoulico che consiste nella rivisitazione di Doom ambientata nel capoluogo Umbro, “Grezzo” e “Grezzo 2”, che ci siamo dimenticati di fare le foto... Abbiamo però degli scatti d’archivio di quando li abbiamo incontrati a Napoli (comunque ci sembra che il “power ranking” del Gabibbo, con il suo potere di sputare roba verde, sia molto più forte di tutti gli altri, scegliete quello!).

 

 

ALYSWELSH E TERRYTORIALPISSING

illustrazioni descritte giù

illustrazioni descritte giù

l'installazione con i Furbies


Alcuni scatti dell’esposizione nella cella di Alice Duranti (in arte Aliswelsh) e Lorenza Iacobini (terry_torialpissing su Instagram): sono illustrazioni tratte dalla fanzine “Amor – Tutto aPuttane” in cui <<sette regine di Roma>>, delle sexworkers gigantesche a mo' di Godzilla, interagiscono con monumenti e quartieri capitolini. Nel primo disegno si scaldano mentre Roma brucia, in un’altra illustrazione un condom viene applicato sul “cupolone” di San Pietro, in un’altra il Pantheon viene usato come un WC da “Tullia Ostile”, e infine un’ottava illustrazione, realizzata appositamente per il festival, ritrae <<la nuova mignotta CannibalHER che si chiama Tita TAZia, portatrice di caos e autofagocitazione>>, mentre sovrasta l’entrata del Forte. Si fa notare anche la simpatica installazione con dei “Furbies” anticonvenzionali!

 


ARIAFRITTA

il banchetto di Ariafritta

il banchetto di Ariafritta


Era la nostra vicina di banchetto: spero di non averla tediata troppo mentre strillavo <<Edizione straodinaria, giornalismo autoprodotto!>>... Alla fine ricevo in dono la stampa di un dente: penso che me l’abbia dato solo per farmi smettere di parlare di politica e congedarmi (e forse anche come metafora del dente che si è dovuta togliere per forza visto che le ho proposto da subito un baratto), e che andrà ad abbellire l’umile ma onesta “redazione” di Fanrivista, che sarebbe la mia stanza (al prossimo fest vediamo se riesco a scambiare il mio silenzio con altre illustrazioni che mi piacevano moltissimo, ma che non ho avuto il coraggio di chiedere perché sarebbe stato troppo impertinente).

 

 

ANTONIƏ: L’INSTALLAZIONE DI ALT-G  SULLA CARNE UMANA

l'installazione sulla carne umana


Nella seconda piazza d’armi svettava una gigantesca scatoletta di <<carne umana in gelatina al 100% non italiana. Questa carne è ideale per fare guerre e/o lavori usuranti ed è anche adatta come garanzia per ottenere un prestito in denaro: il nome ANTONIƏ è infatti ispirato al Mercante di Venezia di Shakespeare dove il protagonista Antonio impegna mezza libbra della sua carne per ottenere del denaro. L’azienda che la produce si chiama Crollanza srl dal nome siciliano della presunta madre di Shakespeare: in siciliano crolla la lanza significa agita la lancia che è la traduzione del nome  Shakespeare, shake (agita) speare (lancia). Il logo, in cui è rappresentato un soldato rivoluzionario che agita una baionetta/lancia, è ispirato alle poesie di Majakovskij e alla grafica della sua epoca>>.

 

WASTED TALENT UNITED

L'installazione con i Pingu ubriachi, drogati, mentre vomitano e devastano tutto in un paesaggio artico


Sul banchetto di Wasted Talent United troviamo i personaggi di Pingu in un <<giorno libero>>, <<un vero incontro di talenti sprecati>> e strafatti.

 

ARTE ALCHEMICA

Non riusciamo a trovare il profilo social o il sito web di questo progetto (ricordo che mi hai parlato nel dettaglio anche della tecnica di stampa, ma non saprei dire altro al momento): se ci leggi segnalalo e aggiorneremo il post, scusaci per l'inconveniente...

 


 

INFOSHOP-BIBLIOTECA DEL FORTE 

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca. Qui si vede anche un gioco da tavolo dedicato all'autonomia Zapatista

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca. Qui si vede anche un gioco da tavolo dedicato all'autonomia Zapatista

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca.

Lo stand con tantissimi libri dell'Infoshop-Biblioteca.

La parte dello stand con volantini e altro materiale gratuito, tra cui quelli di Fanrivista


Tantissime sono le produzioni librarie indipendenti sullo stand dell’Infoshop-Biblioteca del Forte (e c'è anche un gioco da tavolo sull'Autonomia Zapatista): qualcuna è già nella mia libreria mentre avrei voluto comprare quasi tutte le altre... Piano piano le cercherò in prestito o le ordinerò dalla mia libreria indipendente di fiducia! Grazie per aver accolto i nostri volantini-articoli e per il sostegno alla stampa indipendente!

 

FANRIVISTA

Il nostro banchetto scarno nella prima esposizione come standisti a una fiera, e il fatto che fosse una fiera underground non è certo casuale... Dopo i primi due giorni abbiamo preferito chiuderlo trasformandolo in una specie di “banchetto itinerante”, facendo conoscere le nostre autoproduzioni giornalistiche e scambiandole con pregievoli e anticonformiste fanzines, illustrazioni, pubblicazioni e soprattutto conoscenze antagoniste.

Il nostro scarno banchetto


 

LA MUSICA

Eravamo troppo impegnati a godercela per riuscire a recensire anche questa, ma comunque sul sito del Crack! trovate l'elenco di tutt' le artist' musicali e visuali!





 

LA LOCATION: LA FORTEZZA DELL’AUTOGESTIONE E IL CAMPEGGIO URBANO

                                  un'immagine di un banner gigante con il simbolo della saetta che rompe il cerchio, simbolo di autogestione

una delle due piazze d'armi gremita durante il fest

locandine della festa del non lavoro del primo maggio



l'esterno del Forte

banner gigante della festa del non lavoro

L'altra piazza d'armi semivuota durante il giorno e vista dall'alto

l'esterno del Forte


                                                 
                                        un forno a forma di bocca di uno strano essere, forse in disuso

Il Forte Prenestino (detto anche Forte Prenestina) è un luogo storico in tanti sensi: è un forte militare costruito originariamente dieci anni dopo la breccia di Portapia, inizialmente con funzioni difensive e poi con quelle di alloggio, di addestramento dei soldati e di deposito di armi. Durante la Resistenza le formazione partigiane, con il contributo di alcuni “militari-infiltrati” delle fiamme gialle, l’allora regia “guardia di finanza”  riuscirono a sottrarre quintali di armi ai nazi-fascisti con il favore del buio, dato che le luci dovevano essere spente per non esporre il forte a possibili attacchi) e delle dimensioni della struttura (in questo post parliamo anche dei vari “colori” degli schieramenti nella guerra contro il nazi-fascismo, partendo da un recente fatto di cronaca politica)

Dei 15 forti che circondano la parte più centrale di Roma è l’unico visitabile proprio perché è stato occupato e restituito alla collettività. Dopo decenni di abbandono venne infatti occupato nel 1986 su iniziativa del Cordinamento Anarchico, insieme al comitato di quartiere, usando anche il giornale locale “Centocelle Dal quartiere per il quartiere”: era il primo maggio 1986 e, alla fine della quarta Festa del Non Lavoro del primo maggio, nata tre anni prima da “Vuoto a Perdere” <<che sembrava un mix tra una rivista e una fanzine>>, scadeva l’autorizzazione per il concerto, ma la festa continuava con l’appropriazione popolare di un luogo abbandonato, un pezzo di circa 40000 metri quadri di prezioso e vitale verde isolato dalla giungla asfaltata capitolina, uno dei tanti scarti del capitalismo urbano almeno fin quando qualcuno non lo “ricicla” occupandolo per sperimentare alternative di vita o per avviare nuove speculazioni edilizie, aumentare le cubature e mangiarsi un altro pezzo di natura e di aggregazione sociale… È quindi un “pietrone” miliare anche per la storia dell’autogestione e della “sottocultura” o “controcultura” antagonista, oltre che eterotopico: <<un luogo che una volta passato il ponte e superato il cancello è reale, presente e pulsante, con le sue regole che sono vere qui e non altrove. Un luogo dove il possibile si espande nel potenziale senza allontanarsi dal reale, divenendo concreto e praticabile>>, come si spiega nel libro Fortopìa.

 


IL CAMPEGGIO DELLA SCIMMIA URBANA

Andare al Crack! per noi non significa solo “lavorare” (o auto-sfruttarsi) per le nostre autoproduzioni giornalistiche, ma anche svagarsi a contatto con un pezzetto di natura circondato dalla giungla di cemento urbana, una specie di “slow-travel” in cui incontrare i “locals” della comunnità del Forte (che è anche lo squat/centro sociale più grande d’Europa) e autoproduttrici di mezzo mondo mentre si fa “campeggio urbano” (è la terza volta nella mia vita che dormo in tenda, e la seconda era stata alla scorsa edizione). 

Di giorno ci si ripara dal caldo nei tunnel oppure nell'aula di disegno e in serigrafia, che sono molto fresche e dove si può ricaricare il cellulare, leggere, scrivere, disegnare, stampare autoproduzioni e incontrare altre persone.

A pranzo si mangia alla spicciola, ma la sera il ristorante vegano del Forte e la “Pizzeria-Circo” soddisfano il nostro palato meglio di qualunque locale “chiccoso”... Insomma, in un periodo in cui non posso permettermi vacanze, andare al Crack! è anche una breve ma intensa villeggiataura alternativa! Qualcosa che difficilmente si può dimenticare per il resto dell’anno...

 

le immagini della vita di giorno al Crack!

le immagini della vita di giorno al Crack! Qui si vede il cartello sul frigo che dice di non mettere carne e pesce

le immagini della vita di giorno al Crack! Qui la vista sugli alberi dalla mia tenda

le immagini della vita di giorno al Crack! qui un mio selfie

La "Pizzeria-Circo"

le immagini della vita di giorno al Crack! Qui un mio selfie dentro l'aula di disegno

le immagini della vita di giorno al Crack!

le immagini della vita di giorno al Crack!

le immagini della vita di giorno al Crack! Qui un selfie vicino all'installazione della carne umana

le immagini della vita di giorno al Crack! Un altro selfie

La cosa più difficile di ogni edizione, però, è sicuramente smontare la tenda “2 seconds”, che si chiama così perché la monti in due secondi, ma per smontarla servono 2 giorni e un corso di formazione a pagamento dal Decatlone, il maxi-negozio che la vende: fortunatamente ho incontrato Antonello di RiffRaff , che non mi ha solo aiutato a chiudere la tenda celermente ma mi ha fatto conoscere il loro progetto.

I banchetti e gli stand sono così tanti che è praticamente impossibile conoscere tutt*, e con molt* ci siamo incontrati durante i brevi ma intensi momenti di vita condivisa: colgo quindi l’occasione per salutare Mango Disidradato, lo Spazio Muffa, NostrHomo, Alle Basi, Ccocoshark, Il Gummy,  e chiedo scusa se in questo momento non riesco a ricordare le altre magnifiche persone incontrate.

 

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno
Le immagini della fresca serigrafia, che è anche uno spazio dove dormivano alcun@ artist@

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

Immagini della serigrafia e dell'aula di disegno

 

L’ASSEMBLEA FINALE: ARRIVI COME OSPITE E POI RITORNI COME ORGANIZZATRICE/ORGANIZZATORE

Nell’assemblea finale si era tutt* un po’ stanch*, ma nonostante questo e le voci abbassate (potenziate da un pratico megafono) sono comunque emersi una serie di spunti di riflessioni fondamentali.

 

l'assemblea finale

l'assemblea finale

Come ha detto Valerio Bindi, una delle principali anime del fest, al Crack! si arriva da ospite e si diventa organizzatric*, cooperando materialmente all’organizzazione (o forse sarebbe meglio dire alla “de-organizzazione”, nel senso di organizzazione libertaria, autonoma e autogestita) dell’evento, e non solo esponendo.

L’anno scorso erano circa 400 gli stand, tra singol* e colletivi, e quest’anno si è sfiorato quota 550. Il “team” che pseudo-organizza l’evento non fa una selezione “qualitativa” del materiale proposto e gli/le artist* si autoconvocano senza nessun invito, ma si riserva solo di non accogliere realtà meramente commerciali e lontane dalle logiche ideali e dalle spinte politiche che ispirano il fest.

Ospitare tantissime persone ha un indubbio vantaggio, e cioè quello di fornire uno spazio per presentare le proprie autoproduzioni a chiunque, incrementando anche la possibilità di instaurare relazioni tra autoproduttric*.

Di converso c’è anche lo svantaggio della “dispersività”, del non riuscire ad ammirare appieno e a conoscere approfonditamente le svariate opere presentate, uno svantaggio che va a scapito soprattutto delle autoproduzioni più piccole e “artigianali”, mentre quelle che magari possono permettersi costosi spazi in fiere “canoniche” hanno già una certa visibilità e possibilità di crearsi “auto-reddito”.

Alle questioni materiali di vivibilità dello spazio si aggiungono dunque quelle di coerenza editoriale-politica, e per questo nell’assemblea finale si discuteva della possibilità e dei criteri per fare una selezione più ristretta nelle prossime edizioni. Un criterio potrebbe essere quello di tracciare un confine, anche se labile e non rigido, tra ciò che è “autonomous publishing” e “self-publishing”, i due poli estremi del campo delle “autoproduzioni” (se questi due concetti non vi sono familiari, ne parliamo in questo saggio breve e informale spieghiamo la differenza, partendo proprio da un opuscoletto che per noi ha rappresentato una svolta nella nostra autodefinizione editoriale e politica, che si intitola “Autonomous Publishing To Fight Capitalism” e che fa il verso ai vari manuali della collana “for dummies”. Comunque, detta in soldoni: è “autonomus publishing” se autoproduci per rompere con il mercato capitalista, è “self-publishing” se autoproduci per entrarci dentro a pieno titolo, rincorrendo soltanto il “successo economico”).

 

La copertina di "Autonomous publishing to fight capitalism"

Altro spunto di riflessione fondamentale è quello emerso dall’intervento dell’ “artivista” palestinese Michael Jabareen: le fiere di arte indipendente e momenti del genere vanno organizzati e diffusi capillarmente  per “tutto il globo terracqueo”, anche su scala locale! 

A proposito: nella sezione “autoproduzioni” ne trovate di simili, e per qualunque contenuto del genere le porte di questa fanza sono sempre aperte (qui spieghiamo come cooperare/collaborare con il progetto). 

Invece all’inizio di questo post abbiamo intervistato Valerio che ci ha spiegato un po’ di robe sui festival indipendenti in Europa (circa 80 erano regolarmente organizzati prima della pandemia, stando agli ultimi dati disponibili).

Tra le varie proposte una potrebbe riguardare quella di pensare a uno spazio “detox” dove rilassarsi per persone neurodivergent* (ma non solo), dato che a volte la musica e gli stimoli sensoriali-sociali potrebbero risultare troppo intensi per alcun*, così come durante la giornata esiste già uno spazio per i/le più piccole/i. Analogamente a quanto già fatto con delle brochure di sensibilizzazione per rendere lo spazio più sicuro, per evitare che durante i balli qualcuno assuma comportamenti razzisti, sessisti, omolesbobitransfobici e in generale molesti, si potrebbe pensare a degli opuscoli sulla neurodivergenza, sia per neurotipic* che per neuroatipic*.

Un’altra istanza emersa a gran voce è quella di avere <<più femminismo>>: nonostante gli sforzi per rendere lo spazio il più sicuro possibile, a festival concluso e mentre molt* (incluso il sottoscritto) facevano i bagagli, si è verificato uno spiacevolissimo e gravissimo episodio con un atto violento ai danni di una ragazza-espositrice da parte del suo partner... Quest’ultimo è stato prontamente allontanato, poi dava in escandescenza mentre dei bambini che svolgono attività estive al Forte stavano entrando, e poi ha cominciato a danneggiare delle cose anche al di fuori del centro sociale attirando l’attenzione degli astanti e della polizia che è giunta a prenderselo.

L’episodio ci fa capire che abbiamo tantissimo su cui lavorare in tal senso, anche in ambienti di militanza e in cui ogni tipo di violenza che non sia autodifesa dovrebbe essere escluso “di default”...  Credo che i centri sociali, le “eterotopie”, gli spazi occupati e così via, purtroppo non possono essere delle “isole felici”, e forse non avrebbe nemmeno tanto senso costruire delle “isole” dimenticandosi dell’interdipendenza di questi luoghi e di chi li abita con “l’esterno”, perché sono immersi in un universo di problemi: per questo, oltre a “depurarci” dalle meccaniche patriarcali e capitaliste che pervadono la nostra esistenza, dobbiamo anche prenderci cura di noi stess* e "tenerci d’occhio" a vicenda!

 

CI VEDIAMO AL PROSSIMO FEST!

Prima di avviarmi alla conclusione devo ringraziare tutt* quelli/e che ci hanno sostenuto materialmente (per la manutenzione del sito, per i contributi scritti, per le donazioni di tempo e denaro) e per il supporto umano, un supporto che potremmo definire un “lavoro di cura” che sostengono la fanza e il suo Direttore-Tuttofare: in questo frangente un grazie speciale va al mio carissimo “brodemo” (fusione delle parole “brother” e “fratemo”, che sarebbe “fratello” in napoletano) Davide Gargiulo Autos Ergo Sum che mi ha accompagnato in questa dirompente edizione (e il cui supporto si tradurrà presto in una rubrica sulla neuro-divergenza: Stay Tuned!), nonché alla mitica “sìstema” (sister + sorema) Esmy che con immensa pazienza ha impaginato il nostro “catalogo” di articoli e stampato le immagini con QR a sue spese.

Se sei arrivat* fin qui: intanto grazie per il tempo che ci hai dedicato e speriamo di non averti annoiato/a troppo, ma il giornalismo con la sua scrittura noiosa e “chirurgica” funziona un po’ così, anche se autoprodotto e indipendente! 

Se vuoi correggere, rimuovere o aggiungere qualcosa a questo post-ricordo (come la foto di un banchetto, oppure qualcosa da precisare) basta che ce lo segnali nei commenti qui sotto, via social asociali, via mail, di persona, ma non tramite piccioni viaggiatori (siamo seriamente contrari allo sfruttamento di qualunque essere senziente, includendo la nostra stessa specie e quindi contrari allo sfruttamento di un umano su un altro umano, mentre non conosciamo di per certo l’esistenza di esseri provenienti da altri pianeti ma siamo comunque contro ogni sfruttamento!).

Adesso il Crack! Cannibale finisce anche per noi: abbiamo unito l’utile al dilettevole, e ci attiviamo da subito perché occasioni del genere vengano replicate, perché le pratiche auto-gestionarie, partecipative e orizzontali vengano estese a tutti gli ambiti della nostra vita, cercando di illuminare i tempi bui in cui viviamo, in cui regnano gli imperativi del mercato, dell’individualismo, della competizione esasperata, dell’egoismo, dei fascismi, del colonialismo materiale e culturale, del qualunquismo... Per questo contrastiamo la “malinconia” di fine-fest con tanto impegno sociale, prolungando indefinitamente l’atmosfera di festa e di lotta!

 

Grazie a tutt* e al tutt*

 

PEACE AND LOVE!

 

Cronista Autoprodotto


ultima modifica 26/07/2023 16:51

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