1.6.22

Report dal UE' UNDERGROUND ECCETERA: autoproduttori e autoconsumatori si incontrano (e si sovrappongono)

Questo post è un resoconto del festival di autoproduzioni indipendenti UE’ 2022: nella prima parte si fa un breve punto su questo tipo di festival in generale; nella seconda si recensiscono le presentazioni avvenute nella tre giorni con alcuni concetti pregni di implicazioni politiche, sociali e artistiche, che spaziano dalla lotta di classe alle sperimentazioni anarco-narrative; analoghe considerazioni si trovano nella parte conclusiva, in cui si fa un “tour” virtuale tra i banchetti con tante foto e alcune video interviste. Spero lo troviate utile oltre che un bel ricordo dello UE’ di quest’anno. Buona lettura, visione e ascolto!

I FESTIVAL DELLE AUTOPRODUZIONI: SPERIMENTARE E REALIZZARE UN’ALTERNATIVA AL MERCATO

La sperimentazione di pratiche autogestionarie e mutualistiche sganciate dalla logica del mercato selvaggio e dell’accumulazione finalizzata a sé stessa, il riuscire a “fare rete” tra “artivisti” e attivisti, la promozione di opere che non troverebbero spazio nei circuiti mainstream, il contatto senza intermediazione con l’artista di un’opera, i momenti di convivialità e confronto: sono gli intenti e gli obiettivi cruciali dei cosiddetti festival delle autoproduzioni, tra cui c’è il UE’ Underground Eccetera.


L’appuntamento di tre giorni del “festival mediterraneo del fumetto e delle autoproduzioni a stampa”, nato nel 2017, si è concluso domenica, ed è stato organizzato da quattro “soggetti collettivi”: il laboratorio di mutuo soccorso dello Scugnizzo Liberato, ex carcere minorile nel quartiere Avvocata; il collettivo partenopeo NaDir\NapoliDirezione Opposta, formato da attivisti e lavoratori dell’arte, dedito all’organizzazione di eventi e alle produzioni indipendenti; il CA.COfest barese, nato circa un lustro prima dello UE’ e dedicato a fumetti e animazioni (l’appuntamento del 2022 inizia oggi  fino al 5 Giugno); e infine lo storico CRACK!Fumetti Dirompenti, festival capitolino che ha fatto “scuola” per questo genere di eventi fin dal 2003.



La definizione di “festival indipendente” può apparire riduttiva dato che, a differenza dei “canonici” festival del fumetto, il “fare rete” assume una rilevanza cruciale rispetto al lato più commerciale e meramente economico, e quindi penso sia più corretto parlare di un “network” di festival underground costituito da militanti e artisti che li animano (oltre alla parola underground si potrebbero usare i termini “contro culturali” o “sub culturali”, se si preferisce…).

Valerio Bindi di Fortepressa ci ha spiegato che il fenomeno di questa pratica “autoproduttiva” è di nuovo in espansione, con svariati appuntamenti in programma in giro per l’Italia: prima dell’avvento della pandemia, in tutta Europa, se ne contavano un centinaio. Di questi circa 80 venivano organizzati periodicamente con regolarità, mentre un’altra ventina hanno avuto una durata effimera, e sono dunque “morti”... Altri invece nascono o continuano a rivitalizzarsi, come appunto è il caso dello UE’: si è fermato solo nel 2020 per l’emergenza sanitaria e quest’anno (sempre come ha spiegato Valerio) ha visto un incremento della partecipazione di artisti campani (con circa il 70 percento delle esposizioni) e con un’adesione di altri artisti italiani e internazionali rimasta stabile rispetto all’edizione dello scorso anno.

LE PRESENTAZIONI: DALLA SCRITTURA COLLABORATIVA AL CAMBIAMENTO DEI RAPPORTI DI CLASSE

Fanrivista ha seguito le presentazioni che si sono tenute nella tre giorni dei quello che mi piace definire (anche se in maniera riduttiva ma molto simpatica) un “rave-party editoriale”. Oltre ai “momenti musicali” piacevoli c’erano anche delle mostre allestite ma, non me ne vogliano gli artisti, non sono riuscito a seguire anche quelle: Fanrivista, per adesso, è sostanzialmente una “one-person zine” e non avendo il dono dell’ubiquità me le sono perse… (comunque, per chi fosse interessato a scoprire o a ricordare i nomi di tutti gli artisti "musicali" e delle mostre, si può consultare il programma completo dell’evento ).



ICONO: la scrittura collaborativa alternativa ai canoni dominanti del mercato dell’intrattenimento



Icono è una “Zina”[1] di racconti brevi, fumetti e illustrazioni nata nell’ambito di un progetto dell’ex Asilo Filangieri  (altro “bene comune” napoletano animato da una comunità di artisti e lavoratori dello spettacolo).

Prodotta con il contributo di circa sette autori che si incontravano “redazionalmente” più quello di altri inviato “da remoto”: l’intento è scardinare i meccanismi tipici della “macchina” di produzione dei contenuti, privilegiando la spontaneità a scapito di schemi narrativi che il “mercato” reputa più commerciabili, lineari e di conseguenza più omologati. In più il centro della narrazione non è il racconto ma la narrazione stessa, ossia il processo creativo che sta dietro, con almeno due conseguenze: una partecipazione più attiva e una linea narrativa duttile e potenzialmente infinita.

Durante il primo giorno gli autori di Icono si sono messi letteralmente in gioco, coinvolgendo anche un’altra artista che si è unita alla presentazione: tramite un gioco si sono estratte delle parole e, con queste, si è provato a tracciare una storia. Le stesse parole suscitavano emozioni diverse ma anche storie diverse, conciliabili e unibili solo fino a un certo punto. Quando non era più possibile tenerle insieme sono nate delle “trame” diverse: questo è un esempio narrativo della ricerca libertaria di un equilibrio tra la dimensione collettiva e individuale, oltre che della maniera in cui il loro progetto di scrittura collaborativa si distacca da quelli più tradizionali, come può essere la creazione di una sceneggiatura di un film convenzionale o l’editing di un bestseller di narrativa.

Un altro esempio era il racconto di un autore cominciato circa dieci anni fa e rimasto incompiuto: è stato usato come input ed è diventato qualcosa di “altro” rispetto a quanto concepito dallo scrittore originario, sia perché intanto è cambiata la sua stessa prospettiva di vedere le cose, sia per il contributo dei nuovi autori.

 

 

SMARGIASS: il primo numero di una Zine tematica ambiziosa ma non boriosa

Un prodotto ibrido tra una Zine e rivista d’arte è  la Zine tematica Smargiass: il nome fa riferimento all’umiltà dei fondatori che, pur ammettendo di non sapere di essere all’altezza del progetto, vi si cimentano comunque, facendo un po’ gli “smargiassi”… Alla presentazione ci sono due membri dell’omonimo collettivo napoletano, Michele e Nicola. Il gruppo è formato da circa sette persone, e si pubblicano lavori che vengono da altri parti d’Italia e del mondo. L’altro gruppo di artisti con cui l’hanno realizzata è AverageItalian Kid.

Autoprodotta e autofinanziata, l’obiettivo primario è creare uno spazio per far crescere e promuovere artisti che sarebbero scoraggiati o rifiutati dai circuiti mainstream, e quindi fungere da “raccoglitore”, conservando una precisa linea e identità estetica: questa è ispirata alla rivista in lingua francese Numerò.

Un’affermazione che noi/io di Fanrivista condividiamo in pieno, ed è un concetto perno di questa “fanza-rivista”, è quella fatta da una moderatrice dell’incontro: <<non è detto che una “Zina” siano semplicemente tre fogli di carta stampati con una fotocopiatrice rotta>>, dato che ci possono essere delle contaminazioni con vari tipi di pubblicazioni. Anche gli autori della rivista spiegano di <<non voler restare ancorati solo a un tipo di realtà>> come quella dei centri sociali e dei festival di autoproduzioni, ma c’è l’intenzione di aprirsi anche a spazi privati, pur restando lontani dalle tradizionali dinamiche dell’industria editoriale.

Gli eventi che ruotano intorno alla zina servono anche per stabilire contatti anche con altri generi artistici: sarebbe più difficile per esempio coinvolgere in un progetto grafico chi fa musica… Il numero zero è dedicato al futuro e a chi dovrà modellarlo, cui si lega il tema del prossimo numero in uscita, quello della paura: troppo spesso <<le narrazioni non vengono fatte da chi il futuro lo deve affrontare (…) bisogna affrontarlo non avendo paura>>.

 

 

JEPI JORA: una via di fuga immaginaria, in bicicletta, per le migliaia di rimpatriati della nave Vlora, e una lotta contro la gabbia del patriarcato, dello sfruttamento e del razzismo


Al centro della prima graphic novel di Claudia Romagnoli, in arte Croma, edita da Il Galeone, c’è un avvenimento epocale nella storia italiana: cade il comunismo in Albania e circa ventimila migranti “occupano” la nave Vlora e sbarcano sull’altra spondadell’adriatico, a Bari. Si può affermare che quel giorno dell’agosto del 1991 l’Italia diventa, propriamente, un paese di immigrazione. La maggior parte dei viaggiatori verrà poi rimpatriata, dopo che erano stati stipati nel porto e nello stadio cittadino, e dopo aver “occupato” le pagine dei giornali e gli schermi dei telegiornali con le immagini dell’arrivo. L’autrice ricorda quelle immagini dalla sua adolescenza viste in tv, ricorda di quando nello stadio veniva lanciato loro cibo quasi fossero degli animali e si <<sperimentavano delle tecniche di reclusione>>, oltre a sottolineare che in quel momento anche dal punto di vista mediatico qualcosa di nuovo si stava sviluppando. E ricorda anche che pochi giorni prima era nato il primo sito web della storia, e un giorno dopo moriva il magistrato Antonio Scopelliti, precedendo di quasi un anno la morte degli altri due magistrati uccisi dalla mafia… Ma soprattutto non immaginava che trent’anni dopo ci saremmo assuefatti alle migliaia di morti in più piccoli, ma molto più diffusi, viaggi della speranza. La maggioranza di quei migranti fu rimpatriata: anche per questo, spiega l’autrice, <<ho immaginato una possibile di via di fuga>>. Croma ha anche viaggiato in bicicletta in Albania, riscontrando una calda accoglienza che non si sarebbe aspettata, dato che appartiene allo stesso paese e popolo che in tempi più recenti ha respinto e discriminato molti albanesi e, durante la seconda guerra mondiale, ha occupato la loro terra.

Anche la storia di Jora, la protagonista, si snoda tra i due paesi. Lei è imbrigliata dagli schemi dominanti socio-economici che assegnano, sia mentalmente ma a volte anche praticamente, un “ruolo” predefinito al migrante, ruolo che purtroppo troppo volte è una condanna alla marginalità, all’invisibilità, all’illegalità come unica via di uscita (e a volte anche di “entrata” in un paese): quello del “pakistano” con il minimarket, quello della donna dell’est-europeo che fa la badante “mangia-uomini” e che sconquassa le “povere” famiglie di “pii” uomini italiani, quello della prostituta nigeriana o dello spacciatore maghrebino e così via. Le prime discriminazioni le comincia a subire da adolescente, da quel fatidico giorno dell’Agosto del ’91, quando si trova schiacciata tra il pregiudizio razzista e quello patriarcale. Il suo percorso prende una svolta con l’incontro delle ciclo-officine popolari: un “mondo” che, similmente ad altri spazi come le cosiddette “palestre popolari”, fa da trait d’union tra chi ha una precisa identità politica e di militanza all’interno di uno spazio occupato o comunque “antagonista” (e a volte forse uno sguardo troppo “scettico” nei confronti dell’ “esterno”) e chi invece non ha ancora iniziato un vero è proprio processo di autodeterminazione della propria coscienza politica (e a volte è “scettico” o ha comunque dei pregiudizi verso i centri sociali). Comincia quindi un processo di rivalsa, di conoscenza degli equilibri meccanici della bicicletta e delle sue componenti che, metaforicamente, possono rappresentare i singoli elementi di un organismo individuale o collettivo. Non è un caso che i diversi pezzi della bici e dell’attrezzatura di un ciclista si ritrovano all’inizio dei vari capitoli…

 

 

E POI MUORI, UNA STORIA HORROR NEOMELODICA: la Napoli “grigia” in una visione che non è né quella delle cartoline né quella delle serie tv “gangsta”



La prima graphic novel di Federica Ferraro (edita dalla sigla editoriale legata allo SputnikFestival) nasce da un rapporto conflittuale con le visioni stereotipate di Napoli e dall’improvvisa e forse inaspettata mancanza della sua città natia, infatti ha spiegato: la presenza nel <<rione>> delle canzoni neomelodiche è molto invadente, a tratti asfissiante, ma <<paradossalmente quando mi sono trasferita a Bologna ho cominciato a sentire alcuni pezzi neomelodici, a parlare in dialetto più di prima e a sentire la mancanza del mare>>…

L’intenzione principale è quella di raccontare una storia ambientata a Napoli, una Napoli che non è quella che si vede nelle cartoline e che, dopo essere stata ammirata solo per le sue bellezza, poi ti fa proverbialmente morire (il richiamo nel sottotitolo è ovviamente al famoso detto: “vedi Napoli e poi muori”)… Ma non è nemmeno quella più “gangsta” disegnata dalle cronache, dalle serie televisive come Gomorra e forse, spingendoci più indietro nel tempo, potremmo dire anche dalle sceneggiate di Mario Merola… È per l’appunto una Napoli “grigia”, dove ci sono personaggi che potrebbero avere un background “criminale”, come potrebbero anche non averlo: non è questo quello che conta, come nemmeno lo è lo sfondo “storico” della narrazione, che è solo implicito e non esplicito, ossia quello del periodo della prima faida di Scampia e di un Napoli Calcio sull’orlo del fallimento. Un’opera che è stata citata è Malacqua, unico romanzo scritto dal giornalista Nicola Pugliese e principale fonte di ispirazione della storia.

 

 

CIP, STORIA DI UNA VOCE: l’arte-terapia e la “normo-instabilità”

Cip è un albo illustrato creato da Serenella Vezzi, edito dalle Edizioni Primavera : in linea con l’identità della casa editrice, è un albo illustrato che può avere come target i più piccoli ma anche gli adulti. Racconta la storia della voce del protagonista, un uccellino che cerca il suo spazio in un mondo rumoroso, seguendo un processo di presa di coscienza. Il libro nasce dall’esperienza di arte-terapeuta dell’autrice che, spiega, è un percorso molto lungo <<in cui si è pazienti prima che terapeuti>>, perché in qualche modo siamo tutti “normo-instabili”, abbiamo poche o nulle <<possibilità di entrare in contatto con noi stessi>> e abbiamo bisogno di un sostegno!

 



IL GIOCO DEI MORTI: il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante!



Maurizio Braucci di Napolimonitor ha presentato un articolo che si trova nell’ultimo numero della rivista Lo stato delle città dal titolo “Il Gioco dei Morti.

Concetto portante dell’articolo è la denuncia borghese dell’illegalità che convive con la poca attenzione sulle connessioni tra illegalità, potere e marginalità, sull’ingiustizia sociale che alimenta il crimine più o meno organizzato e riempie le galere di persone che si nutrono di welfare criminale, e sulla definizione stessa di camorra.

Per riflettere su queste visioni “borghesi” (anche se io preferisco dire “imborghesite” e, durante la presentazione, si è spiegato che a volte certe parole come borghesia e proletariato possono apparire riduttive e anacronistiche ma, fintanto che funzionano e non se ne inventano di nuove, continuiamo a usarle per semplicità) il pezzo prende spunto da alcuni eventi di cronaca uniti a considerazioni antropologiche.

Il primo fatto di cronaca riguarda quello di alcuni parenti che festeggiavano il compleanno di una defunta con torta, musica, palloncini e candeline al cimitero di Poggioreale, cosa da molti considerata inopportuna e da altri invece un appropriato ricordo di qualcuno scomparso: l’evento, denunciato da un noto consigliere regionale tramite social (noto proprio per questo tipo di “denuncie”), viene comparato con l’associazione dell’uso del cibo alle ricorrenze funebri in diverse culture, e connesso poi in maniera più ampia ai simboli e ai temi-tabù della morte e del sesso.

Gli altri eventi di cronaca riguardano i murales raffiguranti giovani come Luigi Caiafa (la cui morte durante una rapina ha preceduto di pochi mesi quella del padre freddato a colpi di pistola), Emanuele Sibillo (di cui esiste anche un busto, sequestrato e ora esposto nel museo criminologico romano) e Ugo Russo. Per quanto riguarda la morte di quest’ultimo, nell’articolo di Braucci si afferma che <<la ricostruzione dei fatti è stata soppiantata dalla querelle mediatica sul murale che commemora>> il suo volto. Volto dipinto che fa <<più notizia del suo corpo travolto da un’autodifesa eccessiva>>: sono diverse infatti le ricostruzioni sul tentativo di rapina di un Rolex a un carabiniere fuori servizio, finito con la morte dell’adolescente. A oggi, dopo due anni, il processo che lo vedrebbe indagato non è ancora iniziato. Stando a quanto riportato dalla stampa l’accusa mossa dalla procura sarebbe quella di omicidio volontario, mentre in un primo momento si era parlato di eccesso colposo di legittima difesa, ipotesi meno -ma comunque- grave. Sembra infatti che Ugo sia stato sparato alle spalle da una persona che, tra l’altro, è addestrata a usare le armi per mestiere, ma comunque l’esatta dinamica non è chiara: non si capisce se il giovane sia stato sparato prima al petto (frontalmente) e poi alla nuca (da dietro mentre si allontanava) ed esistono versioni contrastanti su quanti colpi siano stati effettivamente esplosi... L’unica cosa certa per adesso è che un orologio costoso non vale la vita di un essere umano!

C’è infine un altro caso di cronaca collegato ai murales appena menzionati, ed esemplificativo dell’ <<isteria>> borghese-collettiva che offusca i tentativi di un ragionamento più profondo sulla connessione tra marginalità e crimine, oltre che sulla camorra dei “colletti bianchi”: quello di Salvatore D’Aniello, napoletano alla soglia dei quarant’anni morto durante un trattamento sanitario obbligatorio  e non durante una rapina finita male o per un regolamento di conti tra gang rivali. Si indaga anche sulla sua morte perché potrebbe essere collegata a un trattamento farmacologico eccessivo sbagliato: omicidio colposo è l’accusa. Anche per lui era stato fatto un murales, finché qualcuno non ha deciso di imbrattarlo con la scritta <<vaffanculo camorra>>: peccato che, come ha spiegato suo fratello, con la camorra Salvatore non c’entrava niente (o al limite c’entrava come potrebbe essere per qualunque cittadino napoletano che, anche se non ha legami diretti con la malavita organizzata, è comunque connesso a un reticolo di attività comprendenti anche quelle “legali” in cui si ricicla danaro e da cui magari ci rechiamo a fare spesa ogni giorno) anche se aveva fatto <<tanti errori>>, e il graffito era stato realizzato con l’accordo dei condomini e comunicato alle autorità.

Tanti poi sono i concetti emersi durante questa presentazione densa di riferimenti filosofici, storici, artistici e spunti di riflessione… Forse l’hanno resa forse più difficile da seguire ma anche più stimolante: proviamo a riassumerne alcuni.

Iniziamo da quelli connessi alla società della spettacolarizzazione in cui viviamo e alla relativa critica situazionista, alla mancanza di dibattiti concreti su questioni politiche che si configurano secondo un modello di tifo da stadio, e alla mancanza di <<pietas>> per le immagini di morte. Ci sono state poi delle considerazioni legate alle prassi rivolte per il <<bene comune>>, sia artistiche che non, potenzialmente riutilizzabili dal “sistema-mercato” dopo essere state depurate di elementi caratterizzanti poco adatti al mero sfruttamento economico (come per esempio è avvenuto con alcune tecniche cinematografiche delle avanguardie artistiche): il concetto di istituzione viene concepito dallo scrittore, in una chiave più “anarchica” e sganciata dall’accezione legata agli organismi di governo o religiosi: può essere un singolo, un gruppo, ma anche una prassi di sperimentazione e autogestione, come per l’appunto è lo stesso UE’ Fest.

Si è parlato poi anche dell’introiezione delle classi meno abbienti dell’umiliazione, in maniera simile a quella del colonizzato “stereotipicamente nero” che, dopo secoli di dominazioni, comincia a vedere nell’uomo “bianco” qualcosa di “superiore”, qualcosa verso cui provare timore e riverenza. Per riportare questo concetto nell’ambito napoletano fa un esempio di due ragazzi alla fermata di un autobus in un’estenuante attesa: vedendo il loro scoramento per il mezzo pubblico che non passa, riconosce quello stesso meccanismo di interiorizzazione “coloniale”, e propone un possibile studio sulla relazione tra disservizi e sentimenti.

Infine viene trattato anche il tema dell’azione politica: secondo l’autore tutte le battaglie (e quindi quella femminista, quella ecologista, quella LGBTQ+, quella per le migrazioni ecc.) per così dire, “antagoniste”, e la loro intersezione sono di capillare importanza, ma ce ne è una che pensa sia più “performante”, ossia quella di classe. Non è un caso che nell’incontro ricorre più volte una citazione pasoliniana sull’Italia, il paese con <<il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante>>: in sostanza si afferma (anche nell’articolo) che anche se la fase storica “sottoproletaria” descritta nelle opere del regista e poeta romano è passata, resta comunque un analfabetismo di ritorno, ossia permane la dimensione di un popolo <<alfabetizzato solo per quanto gli serve a consumare>>. I discorsi “intellettuali” (a mio dire anche questa presentazione in un certo senso vi rientra) possono essere un utile esercizio dialettico, ma bisogna evitare l’autocompiacimento e capire come <<fare in modo che il pensiero diventi azione>>, bisogna capire come riuscire a coinvolgere qualcuno che magari non ha gli strumenti conoscitivi per comprendere a fondo quello che si riporta nel genere di rivista per cui l’autore stesso scrive, ma che probabilmente vive una condizione ancora più precaria di chi, almeno, ha il privilegio di essere più “alfabetizzato” e “borghese”!

 

 

UN TOUR VIRTUALE TRA I BANCHETTI

Svariati i banchetti in esposizione: tra i tantissimi stand ne ho selezionati sette per questo post (e fotografati molti altri), in base ad alcuni particolari che mi hanno colpito nello specifico. Ci tengo a precisare, come si noterà anche dall’aspetto di questo sito, che di grafiche arti illustrative non capisco un granché (per usare un eufemismo), per questo posso principalmente limitarmi ad “ammirare”!

In questo video Federico Fabbri fornisce un esempio concreto del perché certe autoproduzioni non sono canoniche, e del vantaggio di avere un contatto diretto con i “fruitori” dei contenuti. Nel primo post de La Fanzina Generalista, ho citato un suo “manualetto” sulle autoproduzioni per cui gli sarò eternamente grato: il post, oltre a spiegare gli intenti programmatici di questa fanzina (o rivista se vi pare), cerca di fornire anche delle definizioni dei concetti di autoproduzioni e media alternativi, oltre a parlare di altre questioni mediatiche come il “confine” tra consumatori e fruitori di contenuti (che in realtà penserei di abbattere verso un’ideale convergenza delle due figure).



 

Carlo della Rete di Solidarietà Popolare  racconta come è nato il fumetto sul carcere dal titolo La Voce degli Invisibili: all'interno del carcere napoletano di Poggioreale, è stato realizzato da alcuni volontari della rete, dei fumettisti e da alcuni ristretti:  sono quattro storie che denunciano le condizioni indecenti stranote, e purtroppo censurate anche dai regolamenti internazionali, che si trovano nelle carceri. Alla fine di ogni storia si trova un contenuto più “analitico” scritto da alcune associazioni che si occupano di detenzione, collegato al tema specifico delle diverse narrazioni. 



 

Bambi Kramer ci spiega come funziona la politica economico-editoriale di Fortepressa: tutti i testi della casa editrice "fantasma" hanno dei prezzi consigliati ma, a seconda delle proprie possibilità, possono essere acquistati per una donazione di supporto inferiore, anche se la maggioranza di persone sceglie di supportare le loro autoproduzioni donando qualcosa in più. I due testi pubblicati insieme a un editore ("vero e proprio" e semi-indipendente), in libreria si trovano a un prezzo specifico, ma sul loro banchetto quel prezzo è "oscurato" dal nastro adesivo: la scelta di “coprire” il prezzo serve a restare coerenti con la politica di lasciare l'ultima parola sul prezzo al contributo spontaneo di chi acquista. 




Barbara ci parla dei diari di viaggio, o meglio, delle fanzines di viaggio del collettivo politico Llaika : un percorso articolato in sei scritti che attraversa l’Italia, da Venezia a Catania, durante la prima “riapertura” post-lockdown nel 2020. Scopo del viaggio era visitare delle realtà culturali inserite nei territori che non si occupavano solo di “arte” e intrattenimento in senso stretto, ma che anzi erano parte integrante di tutta una serie di attività che sopperiscono a delle mancanze, il cui onere dovrebbe essere sostenuto dal governo.



Rolih ci mostra il formato di un fumetto sulla paura che si legge come si apre e che, similmente a quanto visto nel video di Fortepressa, diventa un poster: è il primo numero di un futuro almanacco. A colpirmi è anche la trama: un ambientazione distopica in cui ognuno ha una paura che è manifesta a tutte le altre persone…



In quest’altra intervista l’artista Loup mostra i suoi disegni a mano e spiega l’importanza e il valore dell’ “analogico”. La cosa mi ha fatto riflettere perché più volte mi sono recato da altri banchetti “analogici” facendo una domanda stupida: a un bellissimo banchetto di collage con ritagli di giornale (che, ahimè, non ho fatto in tempo a fotografare) sfiorando la carta e percependo il fatto che era una stampa ho fatto una domanda “stupida”: <<ma questo non è l’originale, non sento la colla e i ritagli?!>>… Ovviamente l’autrice mi ha spiegato che si trattava di una stampa del collage, e che gli originali si trovavano a casa... Stesso copione a un altro banchetto di illustrazioni a mano, molto dettagliate e con un allestimento particolare, dato che c’erano delle lenti d’ingrandimento per percepire meglio i particolari, ma riprodotte a stampa. Ancora una volta, anche se per pochi attimi, ho avuto la stessa illusione a un terzo banchetto: mentre un artigiano mi spiegava che le figure davanti a me erano incise nel legno, per un secondo le ho sfiorate cercando (stupidamente) di percepirlo… Anche quelle erano delle stampe delle incisioni. Invece, quando mi sono recato da Loup sono partito prevenuto dicendo: <<ma quindi queste le fai a mano… ma poi sono stampate>> e lei mi risponde, come si nota nel video, che in realtà sono tutte originali: anche se a un primo sguardo possono sembrare uguali in realtà ci sono delle piccole e non casuali differenze.




In un banchetto (che credo sia legato a un negozio “per writers di writers” dal nome Hard2Buff) mi sono imbattuto in un magazine intitolato Egowar: mi è stato spiegato che contiene solo foto di graffiti su treni e metropolitane. Questo perché esprime una concezione quasi “puramente vandalica” del writing in cui la competizione con gli altri è quella che fomenta, per l’appunto, l’ego: sostanzialmente si fa a gara a chi riesce a dipingere su più treni possibili, nel minor tempo possibile e con un maggiore livello di difficoltà che aumenta quanto più alta è l’inaccessibilità dell’“obbiettivo”. Una prospettiva sul writing che, anche se personalmente non condivido, la ritengo in qualche maniera affascinante.







Infine ho rincontrato Diego: non ho avuto molto tempo per parlare con lui (e con tanti altri purtroppo), ma ho delle foto “d’archivio” scattate alla sua (e di tìteres Elwaky) famosa scatola magica: in pratica un teatro di burattini che può essere osservato, tramite un buco, da uno spettatore per volta, fornendo un’esperienza immersiva. Mi sono seduto qualche minuto al suo banchetto per riposarmi, e osservavo l’abile burattinaio manovrare i suoi personaggi mentre con disinvoltura illustrava le altre autoproduzioni del suo banchetto: tra queste c’erano delle fanzine trans-gender e una maglietta con un cuore e, al centro, un criptico (ma in realtà nemmeno tanto) “1312”: un simbolo di amore e uno di odio messi insieme...


Queste sono le immagini di altri stand. Purtroppo non riesco a citare tutti gli espositori in maniera adeguata perché non riesco a ricordare o a risalire a tutti i nomi: se gradite essere citati adeguatamente o che la foto sia rimossa da questo post, vi chiedo gentilmente di scrivermi via social, via mail o qui sotto nei commenti, scusandomi eventualmente.

Il banchetto di Salvatore Riccio 


Il banchetto di Luca Poce e i suoi pulcini attivisti


Il banchetto dove ho rincontrato Federico





Il banchetto di Napoli Monitor




Il banchetto con le storie dei Voccapierto's (quelli che hanno sempre da ridire)

Il banchetto della Critica Università della Strada

Il banchetto di Croma



Il banchetto di Icsco

Il banchetto di syntropychaos.art: qui ho acquistato la settimana astigmatica (anche la foto che ho fatto è sfocata...) e sulla destra si intravedono dei cd e delle cassette a nastro.

Il banchetto di Ivana Sadgirl

Il banchetto di Luna Nera

Il banchetto di Lucangelo Bracci


Il banchetto di Salvatore Liberti

Il banchetto di Gianluca Testaverde, Kiarafier e Zen Collettivo


Il banchetto di Cosimo Panico

Il banchetto degli illustratori di 404


Il banchetto di Loup



Il banchetto di SentientLaura

Il banchetto di Arte a morte

Il banchetto di Mandria




Il banchetto di Anemone

Il banchetto di Viva Illustrator


Il banchetto di Jenny Sibio

Il bancheto di Mrs Riot

Il banchetto di Santacremina




Il banchetto di Giuliana Roviello

Il banchetto di Tommaso Buonuomo


Il banchetto di Fortepressa

Il banchetto de "La Voce degli Invisibili"


Se siete arrivati fin qui probabilmente vi interessa il mondo delle autoproduzioni e avete partecipato (o avreste voluto partecipare) al UE’. Con la fine di questo post si conclude anche per me questa intensa tre giorni… Oltre a rifarmi gli occhi e ad ascoltare buona musica è stata un’occasione importante: conoscersi, fare rete, fare fronte comune, imparare cose nuove e scambiarsi idee, in un contesto di autogestione è fondamentale per immaginare, sperimentare e costruire nuove alternative di vita… sia nel campo artistico che in quello più ampio della produzione di contenuti e, ancora più in generale, nella vita! Grazie a chi ha organizzato e ha animato l’evento! Ci rivediamo ai prossimi appuntamenti in giro per l’Italia (magari anche per l’Europa e, perché no, per tutto l’universo)!

Love!

 

                    Cronista Precario




[1] Se non sapete cosa è una “Zina” si tratta dell’abbreviazione della parola Fanzina. All’inizio di quest’articolo se ne trova una definizione https://www.fanrivista.it/2022/02/fanzinageneralista.html

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