BREVE DEFINIZIONE, DIFFERENZE E ALTRI CONTENUTI DI APPROFONDIMENTO
Per le rubriche Define e RecenTips forniamo una breve definizione dei termini "neurodivergenza" (o "neuroatipicità"), "neurotipicità" e "neurodiversità" , consigliamo delle risorse online per approfondire il tema, e facciamo alcune considerazioni sul deleterio approccio "patologizzante" alla neurodivergenza (e in generale a tutte le disabilità, incluse quelle fisiche) in chiave intersezionale, con il fine ultimo di rivoluzionare una società malata.
NEURODIVERGENZA, NEUROTIPICITÀ E NEURODIVERSITÀ IN PAROLE POVERE
In estrema sintesi, il termine neurodivergenza indica un funzionamento del cervello diverso dalla più omogenea "norma statistica", quest'ultima indicata con il termine neurotipicità.
Nell'intera specie umana non esistono due persone esattamente uguali l'una all'altra e, per questo, sia le persone neurotipiche che quelle neuroatipiche rientrano nel concetto di "neurodiversità".
Le persone neurodivergenti però, come tutte le minoranze, tendono a essere discriminate e ad avere più difficoltà nell'interagire e adattarsi a un ambiente non inclusivo, dal punto di vista sia fisico che sociale. Ciò, come spiega lo psichiatra Valerio Rosso sul suo canale Youtube, può condurre a un <<disagio mentale da disadattamento>> causato proprio dal contesto socio-ambientale escludente. Lo psichiatra-Youtuber spiega che anche se <<alcune neurodivergenze, di gravità maggiore o estrema, possono avere dei connotati intrinseci di psicopatologia>>, questi connotati comunque non sono <<la regola (...) la patologia raramente risiede nella neuordivergenza in sé ma, piuttosto, coinciderà con il disadattamento che essa può generare in un contesto socio-ambientale strutturato per essere vissuto da soggetti neurotipici>>.
LE ORIGINI DEI TERMINI
Qualunque persona è diversa e "neurodiversa" da un'altra e tutti gli esseri umani hanno delle qualità e punti deboli, giudicati come tali secondo parametri dettati dai vigenti paradigmi culturali e socio-economici. Il termine "neurodiversità" (e l'analoga espressione "diversità neurologica") è stato usato nel 1998 dalla sociologa Judy Singer. Alcuni contestano il fatto che sia stata lei a coniarlo affermando che è stato usato online, almeno un paio d'anni prima, dalla comunità autistica. La studiosa lo ha modellato ricalcando il concetto di "biodiversità" e riferendosi soltanto alle persone che, come lei, rientravano nei criteri diagnostici della cosiddetta "sindrome di Asperger" o "autismo ad alto funzionamento".
Spesso il termine "neurodiversità" viene usato, in maniera errata (da un punto di vista semantico e secondo l'opinione di chi scrive), come sinonimo di "neurodivergente", altra parola inventata da Kassiane Asasumasu, che si definisce <<un'attivista neurodivergente radicale>>). Il verbo "divergere" indica qualcosa che si distanzia da un punto specifico, in questo caso da ciò che è più comune statisticamente, seguendo diverse direzioni. Discussione a parte riguarda il fatto che, nella nostra società, ciò che differisce dalla "norma statistica" tende a essere etichettato come qualcosa di "sbagliato", da "correggere" e socialmente non accettabile.
PATOLOGIA O CONDIZIONE? STIGMATIZZAZIONE O RICONOSCIMENTO DI SUPPORTO? MEDICALIZZAZIONE O AIUTO SOCIO-ECONOMICO?
Tenendo presente del fatto che entrambi i termini, neurodivergenza e neurodiversità, sono stati ideati e vengono usati per promuovere inclusione ed evitare di "appiccicare" etichette stigmatizzati e/o patologizzanti, in ambito medico-scientifico si discute molto di cosa possa rientrare nell'alveo della neurodivergenza.
Le discussioni sulla tassonomia di ciò che viene considerato "patologico" si incrociano e scontrano con le argomentazioni "anti-psichiatriche", che negano la stessa nozione di "malattia". Contrasti e sovrapposizioni di questi discorsi esistono anche tra i sostenitori della "psichiatria critica" (definibile anche come "psichiatria radicale" e "antistituzionale"), che non mette in discussione l'esistenza di condizioni patologiche, ma ridimensiona fortemente il ruolo delle diagnosi e critica l'istituzionalizzazione psichiatrica.
Restando sia nell'ambito clinico "classico" che in quello "liberatorio-progressista", sono svariate le condizioni che possono essere racchiuse nella neurodivergenza. Alcuni non considerano neurodivergenze quelle non derivanti da specifiche condizioni neurologiche, mentre altri difendono il diritto di autodefinirsi in senso più ampio: autismo, ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività), dislessia, discalculia, disprassia, sindrome di Down, epilessia, disturbo bipolare, disturbo borderline, ansia, depressione e, aggiunge la sopraccitata Asasumasu, <<persone con SM -sclerosi multipla, ndr- il Parkinson, aprassia, persone con nessuna diagnosi specifica ma con qualche instabile lateralizzazione>>. Ciò perché, secondo l'attivista neurodivergente, l'uso del termine neurodivergenza <<non è un altro dannato strumento di esclusione, ma uno specifico strumento di inclusione>>, che dovrebbe servire a valorizzare le differenze di ogni gruppo o individuo.
In parole povere: il problema è che alcuni usano il termine neurodivergenza per categorizzare deterministicamente e "marchiare" delle persone in senso abilista (abilismo vuol dire rafforzare pregiudizi, discriminare e ritenere inferiori le persone disabili e neurodivergenti basandosi su dei parametri statistici che delineano la "norma" o "normalità"). Questi "marchi" vengono sfruttati per mantenere in piedi delle strutture di potere, basate a loro volta su meccanismi di oppressione che possono essere interiorizzati dalle stesse persone oppresse e marginalizzate in base al loro "allontanamento" fisico, neuronale o culturale da ciò che rientra nella media statistica, dalla normalità. Concetti di "normalità percepita" (se non imposta) che possono riferirsi all'identità di genere, alla condizione socio-economica, all'orientamento sessuale, alla provenienza geografica, ecc. Per questo, da una prospettiva di militanza politica (o attivismo politico), è importantissimo usare strumenti linguistici, come il termine neurodivergenza, per permettere alle persone di autodefinirsi e autodeterminarsi se e come credono, insieme a intrecciare le diverse istanze e lotte emancipatorie delle identità marginalizzate (in una parola, intersezionalità).
Tra i tipi di neurodivergenza di cui si parla di più c'è sicuramente l'autismo. Molte volte le rappresentazioni delle persone autistiche si limitano solo a "due poli" del cosiddetto spettro autistico. Da un lato si pensa che tutte le persone autistiche abbiano delle gravi disabilità intellettive, non siano in grado di comunicare verbalmente, manchino d'empatia, e così via. Dall'altro troviamo la rappresentazione dei "geni autistici", ossia di quegli autistici con alto potenziale cognitivo o plus-dotati (da non confondere con il cosiddetto "alto funzionamento"), e cioè con talenti e capacità intellettive sopra la norma statistica. Tutte e due le narrazioni "polarizzate" partono del presupposto che esista una definizione di intelligenza matematicamente definibile, oltre a prestarsi a generalizzazioni stigmatizzanti.
Prima di passare alle risorse che consigliamo per approfondire la tematica, concludiamo questa parte di post riportando alcune parole apparse lo scorso Ottobre sul sito "Neuropeculiar" in un articolo firmato da Fabrizio Acanfora, Alice Sodi, Roberto Mastropasqua, Tiziana Naimo e Marvin Visonà. Per una persona neurodivergente, ma anche per una con disabilità fisiche, la diagnosi di una determinata condizione potrebbe essere vista sia come una "condanna", in quanto le imprime uno stigma, sia come una "liberazione", per il fatto che le fa scoprire le ragioni per cui veniva identificata come "diversa", oltre a garantire, almeno sulla carta, una serie di tutele minime come delle prestazioni sanitarie. I firmatari dell'articolo, richiamando il "modello sociale della disabilità", argomentano che, al di là del fatto che una condizione specifica, psicologica o fisica, sia identificabile come "malattia" e richieda o meno una terapia sanitaria, bisogna <<fare in modo che persone con caratteristiche particolari, patologiche o meno, costituzionali o meno (è indifferente), non vengano ulteriormente disabilitate dalla società con la scusa che i loro bisogni sono troppo complessi, negando così diritti fondamentali, come la ricerca della realizzazione personale attraverso percorsi educativi, il lavoro, la socialità e l’affettività>>.
La società è <<ineducata alla convivenza>> e tende a considerare le persone che si distanziano dagli "standard normali" come <<un fardello che complica il bilancio e non esseri umani che hanno diritto a una vita dignitosa>> . Confondendo l'aspetto sanitario con quello socio-economico, si fa prevalere la sola ottica "medicalizzante-sanitaria": <<è fondamentale non confondere gli ambiti di competenza e tenere a mente che, al di là degli aspetti clinici che interessano una determinata condizione, la vita delle persone con disabilità non può essere ridotta a questo. Al di fuori degli ospedali, degli ambulatori e degli studi dove si fa terapia, la disabilità smette di essere di esclusiva competenza medica e diviene pertinenza di una pluralità di voci, competenze e professionalità, molte delle quali esulano dal campo clinico. Al di fuori degli spazi medicalizzati, dove, a buona ragione, ci si occupa degli aspetti sanitari che interessano una condizione, c’è la vita della persona. E se non c’è, bisogna chiedersi il perché e servono professionalità che abbiano gli strumenti per dare una risposta fondata a questa domanda. Studiare e capire come può evolvere la cultura e di conseguenza il sistema sociale affinché diventi più inclusivo, non si qualifica come “servizio sanitario” (...) La condizione di disabilità non dovrebbe essere considerata di esclusivo o prevalente interesse del Ministero della Salute (come è oggi), ma dovrebbe essere competenza e responsabilità di ogni Ministero: il diritto alla casa, al lavoro, al muoversi liberamente, etc. non sono diritti sanitari, per questo è fondamentale che i Ministeri del Lavoro, della Mobilità, della Scuola ecc. assumano la responsabilità e l’impegno di occuparsi di disabilità (...) La disabilità deve essere una questione inter-ministeriale>>.
E, aggiungiamo noi (in quanto Fanrivista è una testata militante che si schiera, sforzandosi di separare i fatti dalle opinioni), le istanze delle persone con disabilità e/o neurodivergenti devono essere una questione da intrecciare a quelle di tutte le lotte sociali e dei relativi movimenti.
Neuroalleato
ALCUNE RISORSE PER APPROFONDIRE
Iniziamo con due brevi video del blog "Bradipi in Antartide" di Tiziana Naimo: "Neurodiversità - Cosa è davvero?" e "Normali?".
Consigliamo poi la lettura di "5 cose da non dire a un autistico" dal blog di Fabrizio Acanfora, presidente dell'associazione "Neuropeculiar".
Oltre al video (linkato all'inizio) del canale Youtube dello psichiatra-divulgatore Valerio Rosso, consigliamo un altro "video-podcast" (o vodcast) dal suo canale. Si intitola "Autismo, alto potenziale cognitivo e disadattamento - insieme a Costanza Savaia", attivista climatica e per la neurodivergenza nonché curatrice del blog "Kakkabis".
Un altro interessante vodcast è quello sul canale di "Alessandro de Concini - ADC" (che ha scoperto da adulto di essere autistico) intitolato "Capire AUTISMO, ADHD e PLUSDOTAZIONE - con Eleonora Marocchini", una psico-linguista.
Infine, una breve intervista (in inglese) a Kassiane Asasumasu dal canale "Foundations for Divergent Minds".
Se non riuscite a visualizzare i video negli appositi riquadri (sotto) potete cliccare sui relativi link (sopra).
Invitiamo chiunque, specialmente tutte le persone che si definiscono o sono state definite come "neurodivergenti", di esprimere la loro qui sotto nei commenti, sui social asociali o sul "fediverso" (link sotto a questo post) dove siamo attualmente presenti con account Mastodon. Quali sono i termini che preferite (se li preferite)?! Cosa ne pensate dell'attuale paradigma socio-economico e delle definizioni patologizzanti?! Qualcosa di quanto scritto non è chiaro o errato secondo voi?!
Se i contenuti tra queste pagine digitali vi risultano in qualche maniera utili, supportateci leggendoci, criticandoci, condividendoli anche tramite passaparola e seguendoci sugli "a-social". Le dinamiche algoritmiche e di mercato tendono a penalizzare il modello di giornalismo indipendente e sperimentale che portiamo avanti: il vostro supporto è fondamentale!
Per qualunque richiesta o proposta potete anche contattarci via mail, via messaggio diretto sulle varie piattaforme a-sociali ma non tramite piccioni viaggiatori: siamo seriamente contro lo sfruttamento di qualunque essere senziente! Grazie 1000!
Nessun commento:
Posta un commento