13.7.23

VERITÀ E GIUSTIZIA PER UGO RUSSO

INIZIA A SETTEMBRE IL PROCESSO PER OMICIDIO PLURIAGGRAVATO A CARICO DEL CARABINIERE

Parliamo di Ugo Russo, la giovane vita che, secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri, è stata spezzata da un militare addestrato all’uso di armi con vari colpi d’arma da fuoco, di cui uno fatale che sarebbe stato sparato alle sue spalle, tre anni fa a Napoli: riteniamo che la questione “burocratica” e mediatica del murales a lui dedicato sia salita alla ribalta delle cronache a discapito delle ricostruzioni sulla sua morte, delle sistemiche tragedie sociali alla base della diffusione di reati predatori, ma anche delle misure di “welfare” mafioso che compensano le mancanze statali, nonché del labile confine tra “buoni e cattivi”.

un disegno di Ugo Russo contenuto nel fumetto di Zerocalcare intitolato "Strati", ripreso nell'installazione degli attivisti di Liberi
Nell'immagine un disegno di Ugo Russo contenuto nel fumetto di Zerocalcare intitolato "Strati", ripreso nell'installazione degli attivisti di Liberi


Partiamo quindi dalla ricostruzione di quel funesto evento, per poi concludere con una serie di considerazioni e opinioni, e dopo aver dato nota di una nuova un’installazione-azione degli artisti-attivisti di “Liberi” e di “Free Assange Napoli”, fiduciosi che le verità relative alla tragica fine di un adolescente emergeranno completamente nel processo che partirà a breve, e sperando di aver contribuito nel nostro piccolo a far conoscere meglio la vicenda, dal punto di vista della mera cronaca ma soprattutto da quello sociale: abbiamo cercato di farlo nel modo più oggettivo possibile e chiariamo da subito che secondo noi in questa orrenda storia non ci sono né santi né mostri, ma esseri umani con cui condividiamo tanti problemi che dobbiamo risolvere insieme, per continuare un percorso di cambiamento sociale e perché fatti del genere non si ripetano più!

 

LA DINAMICA DEGLI EVENTI RICOSTRUITA DALL’ACCUSA

Ieri si sarebbe dovuto aprire il processo che vede imputato un carabiniere, Christian Brescia, all’epoca ventitreenne, accusato di omicidio pluriaggravato per la morte di un quindicenne, Ugo Russo. La prima udienza è stata rinviata al 27 Settembre per l’assenza dell’avvocato della famiglia Russo a causa di problemi di salute.

L’adolescente è morto nella notte del primo Marzo di tre anni fa all’ospedale Vecchio Pellegrini, dopo che alcuni colpi di pistola lo avevano attinto in via Generale Giordano Orsini, a Napoli, nella zona di Santa Lucia.

Insieme a un amico di 17 anni, Ferdinando De Crescenzo detto Nando (morto due mesi fa in un incidente con la moto e che all’epoca era stato trasferito in una comunità con l’accusa di tentata rapina aggravata), con il volto coperto da uno scaldacollo e armato di una pistola finta, aveva provato a rapinare il carabiniere fuori servizio (che stando alle cronache era in servizio a Bologna) per sottrargli un orologio costoso.

Le versioni sulla dinamica degli eventi sono state diverse, ma quella conclusiva dei pubblici ministeri Simone De Raxas e Claudio Siragusa, basata sulla ricostruzione della scena del crimine con delle sagome e studi balistici, riportata dalla stampa e che ovviamente dovrà essere vagliata nel processo di primo grado, è pressoché la seguente: il carabiniere si trovava all’interno della sua Mercedes insieme a una ragazza, e mentre stava parcheggiando i due giungono su uno scooter, con in sella il complice di Ugo vicino al marciapiede a pochi metri di distanza, pronto per la fuga. Ugo scende, si avvicina al finestrino con in mano la replica di una “Beretta” puntandola alle testa del militare fuori servizio che fa fuoco due volte con la pistola d’ordinanza: un colpo lo sfiora senza attingerlo e l’altro lo colpisce alla spalla (tra le tante versioni apparse negli ultimi mesi si è anche spiegato che avrebbe finto di cedere alla richiesta di consegna dell’orologio “Rolex” prima di estrarre la pistola, come avrebbe dichiarato anche il defunto De Crescenzo). A quel punto l’adolescente tenta la fuga provando a raggiungere lo scooter. Dopo il carabiniere, “uscito dalla posizione di parcheggio”, esplode altri due colpi: uno colpisce Ugo nella zona “sottosternale” mentre un altro, quello fatale, al cranio che viene trapassato. Sarebbero dunque 4 i colpi esplosi in totali, di cui 3 sono andati “a segno”.

Il militare sarebbe tuttora in servizio e quindi abilitato a usare armi: continua a dichiararsi innocente, e in un primo momento l’accusa vagliata dalla procura sarebbe stata quella di eccesso colposo di legittima difesa, ipotesi meno -ma comunque- grave, in particolar modo per una persona che avrebbe il compito di tutelare l’ordine pubblico e che è addestrata all’uso di armi da fuoco, e che quindi presumibilmente dovrebbe saper sparare anche in maniera da neutralizzare un aggressore senza ucciderlo, mirando a punti non vitali come le gambe.

Aggiungiamo che, di solito, quando chi tenta un furto viene sparato alle spalle, ciò è indice del fatto che in realtà non ci sarebbe stata una legittima difesa, dato che il ladro sarebbe oramai in fuga, e alcune fonti riportano che la distanza tra la macchina del carabiniere e il corpo irrimediabilmente in fin di vita di Ugo sarebbe stato di circa 8 metri.

Ovviamente anche il complice di Ugo fornì la sua versione dei fatti: <<guidavo un motorino che non era il mio. Mi sono fermato a circa tre metri dalla macchina del ragazzo. Ugo scende, gli chiede l’orologio e lui fa il gesto di sfilarlo, e poi ha sparato, non dichiarando di essere un carabiniere>> e quindi non identificandosi, altro punto che è stato al vaglio degli investigatori, dato che il carabiniere avrebbe invece dichiarato di essersi qualificato come tale prima di aprire il fuoco. <<Il primo colpo ha colpito Ugo al petto>> facendolo sbalzare all’indietro. Non ci è chiaro se a quel punto sia caduto a terra e avrebbe provato a rialzarsi (come riportano alcuni), fatto sta che, secondo il ragazzo, poi <<si è girato per tornare verso di me>> e in quel momento <<un secondo proiettile lo ha preso alla testa. Sono stati esplosi altri due colpi, credo verso di me e infatti sono scappato via, sapendo che oramai non c’era niente da fare per lui. Ho corso fino a casa di mia nonna>> dove i carabinieri lo arresteranno nelle ore successive.

A parte le versioni contrastanti i genitori, supportati dal “Comitato Verità e Giustizia per Ugo Russo”, hanno più volte dichiarato di essere fiduciosi nella giustizia e hanno atteso a lungo l’inizio del processo.


IL MURALE CANCELLATO E L’INSTALL-AZIONE DI “LIBERI”


la foto del murale con gli esponenti del comitato che reggono uno striscione, che recita: "potete censurare un murale ma non la verità. Giustizia per Ugo Russo"
La foto del murale è tratta dalla pagina FB del Comitato

Si è discusso molto, forse anche troppo, della realizzazione e della cancellazione del murale con il volto di Ugo ai Quartieri Spagnoli, il noto rione popolare in cui è cresciuto. Per i suoi detrattori l’opera di Leticia Mandragora avrebbe inneggiato al crimine, e ci pare un’accusa totalmente infondata dato che la scritta “Verità e Giustizia” era accompagnata da quella “Contro tutte le Mafie”, oltre che dal motto latino “Est Modus in Rebus” (e cioè “c’è una misura nelle cose”).

Secondo quanto dichiarato alla stampa lo scorso Febbraio da Alfonso De Vito, un attivista del comitato, si sarebbe trattato di <<una censura a un simbolo di una battaglia per la verità e la giustizia>>, prima della decisione di rimuoverlo autonomamente e di non aspettare l’intervento delle autorità anche per evitare <<la conseguente militarizzazione della piazza (…) si tratta di una sentenza inedita perché è il primo murales a Napoli verso cui si oppongono obiezioni del genere. L’assessore De Iesu non può dichiarare che è un murales nato senza rispettare le regole: dovrebbe sapere, e sicuramente sa, che -secondo la mia opinione per fortuna- il Comune di Napoli non ha un regolamento per i murales su condomini privati di palazzi non vincolati. È un’interpretazione formulata per la prima e unica volta in questo caso: è evidente che se una norma non è mai stata applicata prima, viene “scovata” in un solo caso e non si ha intenzione di applicarla mai dopo, forse bisognerebbe avere il coraggio e l’onestà intellettuale di chiamare le cose con il loro nome, e cioè “censura”. Ci sono stati oltre mille abitanti di questo quartiere che hanno firmato per preservare questa opera (…) e per cui la sovrintendenza si è espressa due volte dando il nulla osta, un caso più unico che raro>>.

Tra le tante personalità della società civile che si sono spese per la battaglia della ricerca della verità da menzionare è sicuramente il fumettista Zerocalcare, oltre ad Ascanio Celestini e Ilaria Cucchi: i disegni del primo (che ha realizzato una storia a fumetti intitolata “Strati” da cui è nato anche un omonimo podcast con il sottotitolo “era solo un ragazzo”) e le dichiarazioni degli altri due sono state incluse nel giornale murario degli attivisti di “Liberi” e di “Free Assange Napoli (un dazebao che è anche parodia di “Libero”), che due sere fa hanno rivalorizzato un’edicola abbandonata con un’installazione non invasiva, nei pressi della fermata della metro Cavour, affiggendo sopra le saracinesche una serie di scritti e immagini sulla vicenda di Ugo.


Queste le immagini scattate durante l'installazione-azione

l'edicola prima dell'installazione mentre viene pulita

l'edicola prima dell'installazione

l'edicola prima dell'installazione

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

gli attivisti-artisti all'opera

l'edicola "completata"

l'edicola "completata"

l'edicola "completata"


Seguono le immagini di alcuni dettagli del giornale murario (cliccate o fate "tap" sulle immagini per vederle in maniera più nitida)


Un "virgolettato" di Vincenzo Russo, padre di Ugo: <<per un ragazzo che sbaglia ci sono le leggi, invece Ugo è stato ammazzato, penso che non solo noi, ma la città di Napoli voglia sapere la verità. Avevo quattro figli e ora ne ho tre. Lui ha sbagliato, ripeto, ma non credo che doveva essere ammazzato>>
Il "virgolettato" di Vincenzo Russo, padre di Ugo: <<per un ragazzo che sbaglia ci sono le leggi, invece Ugo è stato ammazzato, penso che non solo noi, ma la città di Napoli voglia sapere la verità. Avevo quattro figli e ora ne ho tre. Lui ha sbagliato, ripeto, ma non credo che doveva essere ammazzato>>

una facciata dell'installazione

la vignetta del fumetto di Zerocalcare che rappresenta il momento in cui Ugo viene colpito
La vignetta del fumetto di Zerocalcare che rappresenta il momento in cui Ugo viene colpito

Un "virgolettato" di Ascanio Celestini: <<la morte di un quindicenne è una sconfitta per tutta quanta la nostra comunità: non doveva succedere... C'è sempre un problema di narrazione tossica: perché siamo focalizzati sui particolari che ci distinguono dai protagonisti di queste vicende tragiche...>>
Il "virgolettato" di Ascanio Celestini: <<la morte di un quindicenne è una sconfitta per tutta quanta la nostra comunità: non doveva succedere... C'è sempre un problema di narrazione tossica: perché siamo focalizzati sui particolari che ci distinguono dai protagonisti di queste vicende tragiche...>>

Il "virgolettato" di Ilaria Cucchi: Questa famiglia non va abbandonata: io so cosa vuol dire restare soli... abbiamo fiducia che questa persona che indossa una divisa ma che non rappresenta l'Arma venga chiamata a rispondere di un fatto gravissimo, dell'omicidio di un ragazzino. Voglio ricordarvi che Stefano Cucchi era stato arrestato per spaccio. Noi crediamo nella parte sana delle Istituzioni
Il "virgolettato" di Ilaria Cucchi: <<Questa famiglia non va abbandonata: io so cosa vuol dire restare soli... abbiamo fiducia che questa persona che indossa una divisa ma che non rappresenta l'Arma venga chiamata a rispondere di un fatto gravissimo, dell'omicidio di un ragazzino. Voglio ricordarvi che Stefano Cucchi era stato arrestato per spaccio. Noi crediamo nella parte sana delle Istituzioni>>


Due vignette del fumetto "Strati" in cui il padre di Ugo dice: <<noi vogliamo solo la verità qualunque essa sia, vogliamo che si accerti cosa è successo. Io lo so quello che pensano tante persone, che mio figlio se l'è cercata, che è colpa della famiglia, anche se non ci conoscono. Ma è solo questo che hanno raccontato di noi>>
Due vignette del fumetto "Strati" in cui il padre di Ugo dice: <<noi vogliamo solo la verità qualunque essa sia, vogliamo che si accerti cosa è successo. Io lo so quello che pensano tante persone, che mio figlio se l'è cercata, che è colpa della famiglia, anche se non ci conoscono. Ma è solo questo che hanno raccontato di noi>>

la facciata dell'edicola con le dichiarazioni di Vincenzo Russo

Un'altra facciata del tazebao in cui si parla di esempi della brutalità della polizia e delle narrazioni mediatiche di eventi riguardanti il caso di Ugo e simili, un tema che affrontiamo nel dettaglio nelle prossime righe
Un'altra facciata del tazebao in cui si parla di esempi della brutalità della polizia e delle narrazioni mediatiche sugli eventi riguardanti il caso di Ugo e simili, un tema che affrontiamo nel dettaglio nelle prossime righe

Un frammento del tazebao in cui si sintetizza la vicenda di Ugo, uno dei tanti ragazzi "pre-giudicati" dalla società <<prima ancora che nei tribunali>>
Un frammento del tazebao in cui si sintetizza la vicenda di Ugo, uno dei tanti ragazzi "pre-giudicati" dalla società <<prima ancora che nei tribunali>>

La "prima pagina" del tazebao
La "prima pagina" del tazebao

La pagina del dazebao in cui si parla del fumetto "Strati" e dell'omonimo podcast
La pagina del dazebao in cui si parla del fumetto "Strati" e dell'omonimo podcast



LA SOCIETÀ MALATA CHE DOBBIAMO RIVOLUZIONARE INSIEME!

Come società dovremmo interrogarci sui motivi che spingono un adolescente a compiere un atto simile e agire di conseguenza, dovremmo chiederci se questa è la fine che deve fare un ragazzo che, oltre a degli errori, già giovanissimo aveva svolto lavori usuranti, malpagati e frustranti, che si apprestava a frequentare un corso per diventare pizzaiolo sognando di emigrare all’estero insieme alla sua fidanzata. Invece il suo amico di sventura avrebbe dovuto frequentare la prima superiore, ma ha lasciato la scuola per cercare lavoro, non trovandolo ovviamente.

Si parla tanto di “re-inserire” e “riabilitare” i detenuti per “rientrare” nella società malata, ma nel caso degli adolescenti “pre-giudicati” bisognerebbe parlare di una prima “educazione” che non viene fornita dalla collettività, mentre la corruzione dilaga, mentre il lavoro su cui è fondata la Repubblica è in realtà quello nero e precario, mentre le uniche concrete misure di welfare sono quelle offerte dalla criminalità organizzata (e non dimentichiamo mai che chi la organizza, per l’appunto, sfruttando la “bassa borghesia” e il “proletariato criminale” sono le “menti raffinatissime” in giacca e cravatta) alimentate principalmente dalle politiche proibizioniste sulle sostanze che diventano anche strumento di controllo bio-politico, mentre le scuole cadono letteralmente a pezzi e mentre ogni dimensione della socialità è pervasa dallo spirito del consumismo! Non è di secondaria importanza ricordare che Nando De Crescenzo, l’amico-complice di Ugo, dichiarò anche che quella sera gli <<servivano i soldi per andare a ballare>>: al di la di come avrebbero speso effettivamente i soldi guadagnati dal furto, il punto è che alla “naturale” avidità umana il nostro sistema sociale aggiunge una serie di bisogni futili indotti proprio per il funzionamento dello stesso, siamo bombardati di messaggi e pubblicità che ci inducono costantemente a spendere tutte le nostre risorse, inclusa quella più preziosa che è il tempo, seguendo il comandamento capitalista riassumibile nel motto “produci, consuma e crepa”.

A questo proposito riportiamo alcune parole di Don Gennaro Pagano, cappellano del carcere minorile di Nisida, espresse in una lettera simbolicamente diretta a Ugo e pubblicata su Vita.it: <<A te il futuro è stato tolto caro Ugo! Non solo dalla pistola che ti ha sparato. Ma anche da chi ti ha voluto tra la paranza degli invisibili. Voltandosi dall’altra parte. Evitando di sporcarsi le mani. Sfoderando soluzioni sociali per fini elettorali o di prestigio filantropico. Non gestendo con correttezza e intelligenza i fondi per le politiche educative. Non ripensando seriamente nuovi modalità di esercitare il controllo sociale in modo più efficace. Non studiando modi diversi di fare scuola, magari più adatti al nostro contesto difficile.

I tuoi assassini caro Ugo si nascondono nei salotti della Napoli bene, come nelle stanze della politica, tra i corridoi degli assessorati come sugli scranni del parlamento. Si celano dietro i muri sacri dei templi dello sport, della religione, dell’imprenditoria: ogni qualvolta i loro sacerdoti e i loro fedeli coltivano il proprio piccolo orto senza curarsi del giardino di tutti.

I tuoi assassini si mimetizzano tra i vicoli e nelle piazze, sotto la bandiera infame della camorra meschina. Il tuo assassino sono anche io Ugo>>.

Zerocalcare nel suo fumetto definisce la vicenda di Ugo come <<la storia di un paese in cui la criminalità cresce sulla povertà. Il disagio è un problema di ordine pubblico e di decoro. E i ragazzini di quindici anni muoiono sparati in mezzo alla strada. Ma questa storia non la vuole sentire nessuno, perché bisognerebbe rimettere in discussione i buoni e i cattivi>>.

Vincenzo Russo, padre di Ugo, in una recente intervista a Fanpage ha detto: <<i ragazzi di Napoli devono essere “presi” oggi e non domani, non bisogna arrivare quando commettono qualche atto grave, magari togliendo la vita a qualcuno o perdendola loro stessi: devono essere presi e messi sul banco per fargli capire qual è la strada, ma se la strada non gliela facciamo vedere loro restano nel fango, dove sono nati>>. 

Più che parlare della fedina penale di parenti e vicini di Ugo forse, noi giornalisti, dovremmo mettere in risalto soprattutto parole come quelle del Sig. Russo, e come cittadini dovremmo tutti farci un esame di coscienza e chiederci qual è il prezzo da pagare per mandare avanti il modello di società capitalista, che secondo chi scrive è un modello lontano anni luce da una società ideale.

È vero che in occasione delle morti di Ugo (e in molte, troppe occasioni simili) si sono verificati gravi eventi, come i danneggiamenti e i disordini al pronto soccorso dove era stato ricoverato il 15enne, mettendo a rischio la salute di altre persone che necessitavano di soccorso, con il personale dedito a salvare vite nel panico. La vicenda di Ugo si è infatti intrecciata con quella di un presunto femminicidio: quella notte al Pellegrini era ricoverata anche Irina Maliarenko, con gli organi interni spappolati in quanto possibile vittima di violenza di genere: suo marito era stato accusato di omicidio preterintenzionale ma è stato poi assolto (almeno in primo grado, come si evince dalle cronache), ma nonostante questo la madre della donna, Nina Tyahala, ha continuato a denunciare suo genero dichiarando che alzò le mani sulla figlia perfino quando era incinta. Quando Irina fu ricoverata all’ospedale, in un primo momento l’uomo giustificò il gonfiore all’addome della donna con l’interruzione del ciclo mestruale, salvo poi parlare di una caduta accidentale mentre sedeva sul banco degli imputati, ipotesi non del tutto esclusa dai periti della procura insieme a quella delle percosse: anche Irina quindi, stando alle parole di sua madre, è in attesa di verità e giustizia, mentre i suoi figli hanno negato le responsabilità del padre, forse perché davvero la donna è semplicemente caduta davvero o forse perché, nonostante le potenziali violenze, non volevano essere allontanati dal padre che li avrebbe anche messi contro la nonna. Insomma: un dramma che si è sommato a un altro dramma per una spiacevole coincidenza del destino...

Altro evento critico fu quello degli spari “di protesta” (le famose “stese”, come vengono chiamate nel gergo criminale e giornalistico) contro una caserma dei carabinieri quando il corpo di Ugo lasciò il suo quartiere. Tra l’altro, sempre stando a quanto riportano le cronache, sarebbe stato lo stesso padre di Ugo a spingere alcuni degli autori di questi atti a consegnarsi alla giustizia (e ci sono stati anche dei processi con delle condanne a seconda dei diversi gradi di responsabilità, ma anche di dolorosa rabbia per la morte di una persona), e l’evento non sarebbe stato gradito nemmeno alle presunte “alte” gerarchie della manovalanza dei criminali in giacca e cravatta (ossia ai sospettati “boss” del quartiere che in effetti hanno un potere di comando su un pezzo di territorio, ma chi comanda davvero ha frequentato le migliori università, e non certo quelle della “strada” e dell’accademia di criminalità che è il carcere, insieme ai salotti bene) perché si erano attirate troppe attenzioni delle forze dell’ordine, e gli affari nel capitalismo “criminale” (e cioè lo stesso capitalismo nella sua essenza, di cui quello “criminale in base alle leggi” è un’articolazione) non si devono mai interrompere...

Dobbiamo raccontare questi eventi, però dovremmo fare anche un’altra cosa per non rischiare di tramutarci in pennivendoli al soldo del magnate di turno o in insensibili giornalisti-ficcanaso: dovremmo sforzarci di ascoltare quel “grido” metaforico che purtroppo si trasforma anche in violenza fisica e che deriva a sua volta da altre frustrazioni e violenze di diverso genere, dovremmo aprire dei dibattiti sulla rabbia sociale più o meno giustificata e giustificabile e sforzarci di capirne i “perché” per poi canalizzarla verso un cambiamento sociale, dovremmo comunicare tra noi e cominciare a immaginare e costruire un mondo più equo, senza lasciare che quella rabbia diventi solo un tipo di “odio dal basso” che ne contrasta un altro, imposto dall’alto da chi detiene il tirannico potere di decidere cosa accade nelle nostre economie, istituzioni formali, organizzazioni informali e in ultima istanza delle nostre vite come singoli.

Dovremmo cominciare ad autorganizzarci, e invece che rivoltarci o stigmatizzare chi è “più in basso” o vicino al nostro livello di “classe sociale”, bisognerebbe chiedere a chi sta “sopra” di fare il suo dovere, che sarebbe quello di servire la comunità con umiltà, rispetto, serietà, e non agire per tornaconto elettorale, personale e di sodali, o in alternativa invitarli a farsi gentilmente da parte. E invece chi sta “sopra” continua a provocarci, mettendoci gli uni contro gli altri, applicando con sapienti tattiche massmediali (o con ingenua e semplicistica buonafede, nel migliore dei casi) l’antica strategia del “dividi e comanda”.

È troppo facile (e vende anche più copie in edicola e spazi pubblicitari sul web e in tv) puntare il “dito mediatico” contro chi nasce e vive nella marginalità, additandogli ogni male, dipingendolo come il mostro da sbattere in prima pagina e auto-includendosi nel novero delle “persone per bene”. Mentre è molto più difficile parlare delle magagne di potenti e potentati, raccontare delle condanne definitive per corruzione e mafia di chi ci governa e che spesso controlla, più o meno direttamente, i media, i mezzi di comunicazione che dovrebbero rappresentare lo sviluppo più articolato della capacità che ci distingue dagli altri animali, ossia la comunicazione, e che invece ci fa capire quanto il nostro supposto grado di evoluzione sia in realtà espressione del fatto che siamo la peggiore specie del pianeta, almeno allo stato di cose attuale.

Ma per chi si occupa di comunicazione c’è una cosa ancora più semplice, e allo stesso tempo più grave, di “fare il debole con i forti e il forte con i deboli”: fregarsene del tutto, propagandare trivialità come il gossip, lo sport-show-business, i contenuti sensazionalistici e “leggeri” che non stimolano la riflessione ma un passivo assorbimento di informazioni-spazzatura, educandoci a essere “pecore” (con rispetto degli ovini), fomentando il menefreghismo, l’individualismo, l’accettazione sottomessa del disordine costituito perché “tanto non cambia niente”, perché è meglio “coltivare il proprio orto” mentre il pianeta è al collasso, mentre i territori afflitti da guerre endemiche si espandono, mentre una parte del mondo fonda il suo agio su quella di un’altra che “deve stare a casa propria” (dopo che per secoli quella “casa” l’abbiamo saccheggiata) o morire in mare o nel deserto criminalizzando la solidarietà, mentre servirebbe unirsi e cominciare a fare quella cosa che ci rende una specie unica, e cioè parlare, comunicare e riflettere su come risolvere i problemi, rivoluzionando prima il nostro modo di pensare e di agire, e poi le nostre istituzioni, cominciando proprio dalle fallite democrazie liberali-liberiste...

Ma questo richiede tanto tempo, tante risorse, tanti sforzi fisici e intellettuali, richiede mettere da parte tendenze escludenti, perché è vero che l’uomo è un animale “sociale”, ma è anche un animale che tende a elaborare la socialità solo nell’ambito di un “clan”, di una “tribù” a danno di altre, e invece il passo successivo consiste nel concepire la comunità in senso globale e interdipendente. E ovviamente per intraprendere questo sforzo “rivoluzionario” abbiamo bisogno anche del soddisfacimento dei nostri bisogni primari, partendo da quello di avere un “rifugio”, un tetto sopra la testa che possibilmente non ci cada sopra.

Non è un caso che altri recenti esempi di brutalità e di un uso spropositato della forza delle polizie, insieme alle narrazioni mediatiche sulla marginalità, emergono dalle parole diffuse in un comunicato sui social del Comitato: <<La rivolta seguita all'omicidio del giovanissimo Nahel M. in Francia come quella dopo l'assassinio di George Floyd negli Usa testimoniano non solo la rabbia sociale, ma la consapevolezza che non è accettabile una licenza di uccidere a maggior ragione se nella vita si indossa una divisa. Perchè altrimenti nessun* può sentirsi al sicuro. Mentre troppo spesso in Italia ci si concentra sulla colpevolizzazione della vittima e sulla criminalizzazione del suo "ambiente", per stendere un velo di omertà e di legittimazione sull'omicida. Ma sono sempre gli stessi, come ha scritto persino il portiere del Milan M. Maignan dopo l'assassinio di Nahel, "quelli per i quali uno sbaglio significa la morte"...

Sono quelli con la pelle di un altro colore o i marginali, gli immigrati o i ragazzini proletari della città di sotto, i figli dei quartieri popolari, quei dei quali troppo spesso le Istituzioni non sanno che farsene e di cui i media si occupano solo come "problema di ordine pubblico"....

Se quella notte per Ugo Russo, con tutta una vita da vivere, è stata esercitata una pena di morte senza processo è perciò fondamentale che sia riconosciuto fino in fondo. E continueremo a informare, a gridare e a lottare per questo!>>.

In attesa che ci sia un verdetto definitivo che stabilisca se Ugo <<poteva essere arrestato e avere la possibilità di fare i conti con il suo errore, oppure se non c’era altra soluzione che ucciderlo>>, come ha dichiarato tempo fa suo padre, l’unica cosa certa per adesso è che un orologio dal valore di plurimi mesi di stipendio di “comuni mortali” non vale la vita di un essere umano. Con ogni probabilità il militare avrebbe potuto semplicemente cederlo, affidandosi alla giustizia per la rapina subita, senza agire da repentino “giustiziere”, come crediamo che verrà appurato nel processo -tenendo presente che una persona è da considerarsi innocente fino a sentenza definitiva. Perciò ci uniamo alla richiesta di verità e giustizia per Ugo Russo.

 

 

Paolo Maria Addabbo

 

Come di consueto alleghiamo una citazione musicale in sintonia con quanto scritto: si tratta di “Ciro” del rapper “Enzo Dong” (Dong è acronimo di “Dove Ognuno Nasce Giudicato”, in riferimento alla sua Napoli): è uscita cinque anni fa e racconta di un fittizio ma verosimile “Ciro”, un ragazzo o bambino di strada con un destino segnato, che lotta per riscattarsi ed emanciparsi dalla sua condizione di marginalità.



ultima modifica 01/03/2024 18:46

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