- UCCISI E SPARITI CIVILI RECATISI AI PUNTI DI DISTRIBUZIONE DI CIBO E AIUTI
- I CENTRI DI DISTRIBUZIONE SONO TUTTI VICINO AL SUD, CON L'INTENTO DI SFOLLARE IL NORD DI GAZA E SPINGERE LA POPOLAZIONE NEL DESERTO DEL SINAI
- ISRAELE E OSCURE ORGANIZZAZIONI PRIVATE DECIDONO CHI PRENDE DA MANGIARE E, DUNQUE, CHI VIVE E CHI MUORE
Dall'inizio di Marzo il governo israeliano ha intensificato oltre l'immaginabile l'embargo a cui è sottoposta Gaza da decenni, dopo aver scientemente studiato la media minima di calorie per tenere i gazawi appena sopra la soglia della malnutrizione ben prima del 7 Ottobre.
A decine stanno morendo letteralmente di fame o per mancanza di medicinali, come banali antisettici. Altri sono stati uccisi da cecchini, da fanti e da droni, oppure sottoposti a sparizione forzata mentre cercavano di ottenere cibo nell'ambito del nuovo piano di distribuzione degli aiuti, guidato da aziende private statunitensi (senza contare i bombardamenti sulle tendopoli).
Il piano, attivo da qualche giorno, è stato concepito dalle forze di occupazione israeliane fin dalle prime settimane della guerra di annichilimento contro Gaza.
Secondo le più importanti organizzazioni umanitarie internazionali potrebbe costituire un crimine contro l'umanità, che si sommerebbe agli svariati crimini di guerra e al “crimine dei crimini”, il genocidio.
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A sinistra una foto di una mensa a Gaza di Dicembre 2024 (immagine di Hosnysalah da Pixabay). A destra l'immagine di Zina Khaled Rashad Ismail Ahsour, bambina di Gaza. |
Estromettere le Nazioni Unite dalla distribuzione degli aiuti a Gaza per perseguire fini militari impiegando organizzazioni private (dai finanziatori oscuri e connesse con la CIA, lo spionaggio statunitense), al fine di negare un coinvolgimento diretto dei criminali di guerra al governo in Israele. Secondo varie ONG e l'ONU è questo lo scopo del piano di distribuzione di aiuti a Gaza ideato da mesi, e di cui ne avevamo dato conto tra queste pagine digitali. Il piano, che viola i principi di imparzialità, neutralità, umanità e indipendenza, si è materializzato con alcune modifiche rispetto a quanto si vociferava da mesi sulla stampa internazionale.
Per avere accesso al cibo bisogna percorrere decine di chilometri e recarsi materialmente da militari (quelli privati, i "mercenari" sarebbero all'incirca un migliaio). Poi, si devono passare una serie di controlli, incluso il riconoscimento facciale. Infine, si dovrebbe riuscire a tornare indietro trasportando decine di chili di provviste (sufficienti per circa una settimana), con il rischio di essere attaccati per strada. Attualmente sono quattro i punti di distribuzione principali, un sistema diverso da quello più capillare ed efficiente dell'ONU che ne contava centinaia. Inoltre, il piano è insufficiente: dovrebbe sfamare circa 1 milione di persone, poco più della metà dei gazawi. Al danno si aggiunge la beffa, dato che tonnellate di altri aiuti sono bloccati nei camion al valico di Rafah a marcire. Non sembra casuale nemmeno la scelta del posizionamento dei quattro centri, tra il centro e il sud della Striscia di Gaza, dei veri e propri fortini militari: altro obiettivo israeliano, è quello di sfollare quante più persone dal nord, per ammassarle a sud.
Il perno di questo progetto è la “Gaza Humanitarian Foundation” (GHF). Ci sono due organizzazioni registrate con questo nome, hanno rivelato Shomrim e il New York Times: un'organizzazione benefica registrata in Svizzera (dove incontra problemi legali) e un'altra in Delaware negli ultimi mesi. La GHF non ha nemmeno un sito web ufficiale, ma si è detta pronta a ricevere fondi tramite transazioni gestite dal colosso finanziario della Goldman Sachs, una delle più grandi banche d'affari al mondo. A complicare ulteriormente le cose, riporta la BBC, ci sono state alcune campagne di disinformazione con profili falsi della ONG che fornivano informazioni errate sui luoghi di distribuzione scatenando il caos. La GHF, riporta la testata britannica, avrebbe attivato solo una pagina Facebook ufficiale.
Jake Wood, uomo chiave dell'oscura no-profit, veterano statunitense impegnato in altre operazioni umanitarie con il "Team Rubicon" dopo aver combattuto in Afghanistan e Iraq, aveva dichiarato che avrebbe operato in maniera indipendente da Israele e che non avrebbe <<mai partecipato ad alcun piano che in qualunque maniera possa essere un'estensione del governo o delle forze armate israeliane, e che possa essere atta a sfollare forzatamente persone ovunque all'interno di Gaza>>. Pochi giorni fa si è dimesso dichiarando di non essere in grado di <<rispettare i principi del diritto umanitario di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza, che non abbandonerò>>. Al momento non ha fornito ulteriori chiarimenti sulla decisione.
La GHF, incaricata della parte più logistica dell'operazione, è supportata da due società di sicurezza private a stelle e strisce: la “UG Solutions LLC” e la “Safe Reach Solutions”. Quest'ultima è guidata da Philip F. Reilly, ex agente della CIA che addestrò le milizie dei “Contras” in Nicaragua. L'altra da James Govoni, ex "berretto verde" e fondatore di "Alcohol Armor", azienda impegnata nel vendere integratori con la bizzarra missione di favorire il recupero dei soldati dalle sbornie. Secondo alcune fonti stampa, ci sarebbe anche una terza società egiziana dal nome ignoto.
Scopo ufficiale e principale del piano, secondo i governanti estremisti israeliani, sarebbe quello di evitare che le scorte di cibo e medicinali finiscano nelle mani dei militanti di Hamas, accusati di rubare gli aiuti. Accuse che non sono state ancora supportate da nessuna evidenza, proprio come non vengono fornite prove dell'impiego di “scudi umani” che giustificherebbero il bombardamento degli ospedali, secondo una distorta visione delle leggi di guerra.
Come abbiamo già scritto su “La Fanzina Generalista”, esiste, invece, un documento ONU riservato in cui si afferma che Israele sarebbe coinvolto nella “borsa nera” della Striscia di Gaza, il commercio clandestino di beni di prima necessità (oltre al lucro “legale” dei beni prodotti in Israele). Il piano è accompagnato dai coloni fanatici che assaltano i camion che trasportano gli aiuti, cercando di bloccare l'entrata di beni di prima necessità, e dalla campagna di delegittimazione delle Nazioni Unite e dell'UNRWA (“Agenzia ONU per il soccorso e il collocamento dei profughi palestinesi nel vicino oriente”), con centinaia di funzionari sterminati.
Come si è detto, questo piano non è certo nuovo. Secondo il New York Times affonda le sue radici nel “Mikveh Yisrael Forum”, una rete informale nata dopo il 7 Ottobre che mescolava personaggi e interessi sia militari che imprenditoriali. Scopo del gruppo è quello di distruggere le infrastrutture civili, fisiche e sociali di Gaza, consapevoli che non sarebbero riusciti a “eradicare” o sconfiggere Hamas e le altre fazioni della resistenza palestinese solo con le armi, oltre che per completare la pulizia etnica avviata nel 1947. Per questo vengono colpiti tutti, indistintamente, senza considerare lo status di civile o combattente, e viene usata la fame come arma di guerra, come denunciò mesi fa, tra i vari, Josep Borrell, precedente Alto Rappresentante dell'UE (noto per essere uno sfegatato supporter di Hamas, un incallito antisemita che non sostiene il diritto di una potenza occupante nucleare illegale a difendersi sterminando civili).
Mohammed Shehada, giornalista di Gaza che ora vive in Europa, ha dichiarato ai microfoni di Middle East Eye: <<ogni singola persona di Gaza con cui ho parlato ha detto che bisogna essere completamente matti per mettere piede in queste zone militari fortificate. Devi passare attraverso svariati posti di blocco con soldati genocidi israeliani attorno, tutti insieme pronti a tendere imboscate a chiunque vogliano. Devi anche passare attraverso il sistema di riconoscimento facciale, impronte digitali e altri livelli di controllo di cui non sono chiari i criteri. Alla fine devi letteralmente camminare da Beit Hanoun per quarantuno chilometri fino a Rafah per prendere un pacco che pesa tra i venti e i quaranta chili. Poi devi farti altri quarantuno chilometri per tornare indietro sotto bombardamenti incessanti. Nessuno a Gaza pensa che se metti piede in questi fortini riuscirai a tornare vivo. O verrai ucciso per strada, rapito dai soldati israeliani, oppure ricattato per diventare un collaboratore di Israele, oppure il cibo che prendi verrà rubato per strada. Poi c'è un altro elemento di cui le persone hanno paura: l'espulsione forzata. Tre di tutti questi punti di distribuzione si trovano a Rafah, un altro lo installeranno a sud del corridoio Netzarim, dove Israele dirà alla popolazione che l'unica maniera per avere cibo sarà lasciare la propria casa e il nord di Gaza, per poi spostarsi verso il confine con l'Egitto per la fase finale del genocidio. Israele li spingerà qualche centinaio di metri più avanti in Egitto, nel deserto del Sinai. Poi c'è l'altro elemento, sostanzialmente usare ciò come strumento ultimo per decidere chi vive e chi muore, perché solo ill 60% della popolazione riceverà questi aiuti, stando a quanto dichiara la stessa organizzazione e Israele. Israele sceglierà chi riceverà gli aiuti e chi morirà. Tutto ciò è distopico. Si usa questo strumento per finalizzare il genocidio, per punire collettivamente tutti mentre si fa finta di far entrare cibo>>. Insomma, il piano che intrappola i gazawi usando gli aiuti umanitari come esche è uno strumento necro-politico.
Concludiamo ricordando che Israele, in quanto potenza occupante, ai sensi del diritto internazionale, non solo non dovrebbe ostacolare il flusso di aiuti alla popolazione civile, ma avrebbe l'obbligo di assicurarlo, così come dovrebbe garantire, tra le svariate cose, la possibilità di far praticare il proprio culto e il diritto all'istruzione, invece di colpire moschee e chiese insieme a scuole e ospedali.
Lo sdegno e l'incredulità di chi scrive questo articolo è enorme. Siamo stanchi di sottolineare concetti basilari di educazione civica, del comune sentire umano e del diritto internazionale, ma non ci fermeremo. Concetti che ricordiamo e per cui ci battiamo da tempi non sospetti. Non come certi organi di stampa mainstream e alcuni politici che sembrano svegliarsi solo ora, dopo che è stato provocato l'irreparabile in venti mesi di stermini, di nefandezze e di manipolazioni di massa. Le conseguenze saranno epocali e ce ne accorgeremo, ma non è mai troppo tardi per fare qualcosa, anche nel proprio piccolo, purché lo si faccia!
Paolo Lo Skietto
Possiamo cominciare a fare qualcosa di concreto contro il genocidio partendo da quello che mettiamo nel carrello della spesa: scaricate applicazioni come “No Thanks” e “Boycat” (le abbiamo testate entrambe e la prima sembra funzionare meglio), seguite le campagne del movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) e non acquistate prodotti di aziende che fanno affari con uno stato terrorista che applica l'apartheid e pratica il genocidio.
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ultima modifica 01/06/2025 14:55
Grandissimo sdegno per tutto ciò, noi siamo impotenti e dobbiamo sopportare pure l'ipocrisia dei politici.
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