LA “BORSA NERA” DI GUERRA SEMBRA ESSERE GESTITA DALLE GANG LOCALI CON IL SUPPORTO DELLE FORZE DI OCCUPAZIONE ISRAELIANE.
CI SAREBBE ANCHE UN PIANO PER AFFIDARE LA GESTIONE DEGLI AIUTI A COMPAGNIE DI SICUREZZA PRIVATE.
Foto di hosnysalah da Pixabay |
Pubblichiamo un aggiornamento sulle ultime due leggi israeliane che criminalizzano l'UNRWA e che aprono le porte a ulteriori disastri umanitari e speculazioni.
Parliamo anche delle implicazioni legali di questo provvedimento legislativo e della "borsa nera" che caratterizza le economie di guerra.
ISRAELE CRIMINALIZZA L'UNRWA
Lunedì 28 ottobre il parlamento del sedicente stato ebraico ha approvato due leggi, adottate con un larghissimo consenso dell’opposizione, da implementare nell’arco di tre mesi: l’UNRWA (“Agenzia ONU per il soccorso e il collocamento dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente”) viene identificata come un gruppo terroristico, non potrà operare <<nel territorio sovrano dello Stato di Israele>> e avere relazioni con istituzioni e funzionari pubblici, inclusi esercito e banche, perdendo la possibilità di ottenere visti, l’immunità diplomatica e le esenzioni fiscali. In concreto non potrà operare nemmeno a Gaza e in Cisgiordania oppure, nello scenario migliore, riuscirà solo a svolgere pochissimi compiti con grande difficoltà. Lunedì scorso è arrivata la comunicazione ufficiale del ministro degli esteri all’Agenzia: l’accordo di cooperazione in vigore dal ‘67, base legale del rapporto tra Israele e l'Agenzia, è cancellato. La motivazione addotta è un supposto legame con degli <<operativi di Hamas>>. Ma i benefici per l’etno-teocrazia israeliana sono ben altri che la presunta lotta al terrorismo. Non a caso alcuni terroristi ebraici uccisero colui che contribuì a far nascere l’UNRWA… Ma andiamo per ordine, e spieghiamo cosa fa in concreto l’UNRWA.
COS’È L'UNRWA E COME NASCE IL “DIRITTO AL RITORNO”
L’“Agenzia ONU per il soccorso e il collocamento dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente” assiste, difende e promuove i diritti di circa 5 milioni di rifugiati palestinesi nei territori occupati (Gerusalemme Est inclusa), in Siria, Libano e Giordania. Fondata dall’Assemblea Generale nel ’48 conta più di 30mila dipendenti. La maggioranza di questi sono rifugiati e operano insieme a circa 300 funzionari internazionali. Fornisce assistenza a tutte quelle persone che hanno perso mezzi di sostentamento e abitazioni a partire dalla cosiddetta guerra arabo-israeliana del ’48, la “guerra di indipendenza” per gli israeliani, la “Nakba” (la “Catastrofe”) per i palestinesi, l'inizio della pulizia etnica e del genocidio incrementale che continua fino a oggi.
Le attività dell’agenzia sono fondamentali per cercare di assicurare condizioni di vita che rispettino i requisiti minimi affinché alcuni diritti siano definibili come “umani”: fornisce sevizi basilari come aiuti alimentari e forniture di acqua potabile, servizi sociali, educativi, sanitari e interventi di emergenza, aiuta le persone a trovare un’occupazione tramite formazione e programmi di microcredito, costruisce e mantiene scuole, strutture sanitarie e campi profughi. Supporta un milione e mezzo dei rifugiati (il 30% di quelli registrati) che vivono in circa 60 campi profughi “ufficiali”.
Un frammento malconcio di un sacco utilizzato per la distribuzione di alimenti. |
Soltanto a Gaza, prima dell'ultima punizione collettiva israeliana, erano operativi circa 12mila dipendenti, mentre gli altri 18mila lavorano nel resto della Palestina e nei paesi vicini, dove i palestinesi hanno trovato rifugio da decenni. Queste cifre spoglie rendono l’idea che il lavoro dell’Agenzia è tanto complesso quanto cruciale. Un’organizzazione che conta migliaia di dipendenti potrebbe certamente avere al suo interno delle “mele marce”, così come ce ne sono tantissime nell’intera società israeliana.
L’Agenzia, oltre a essere custode della memoria e degli archivi storici palestinesi, è anche garante del “diritto al ritorno” riconosciuto dalla Risoluzione ONU 194.
Un monumento con la chiave che simboleggia il diritto al ritorno dei palestinesi, prerogativa connessa allo status di rifugiato che viene certificato dall'UNRWA. Foto di Reina91 da Wikimedia rilasciata con licenza Creative Commons
Alle centinaia di migliaia di vittime dello sfollamento e dei massacri, su cui si fonda la nascita di Israele, dovrebbe essere concesso di ritornare nelle terre occupate illegalmente o, in alternativa, di avere compensazioni per la perdita o il danneggiamento delle proprietà. Diritto mai garantito fino a oggi e strettamente legato proprio all'esistenza dell'UNRWA, che certifica lo status di rifugiato. La risoluzione, insieme alla stessa UNRWA, è nata grazie agli sforzi di Folke Bernadotte, inviato delle Nazioni Unite come mediatore in Palestina. Salvò migliaia di persone dai campi di concentramento durante gli “Olocausti” e fu ucciso da terroristi sionisti a Gerusalemme nel ‘48. Poco prima di morire dichiarò: <<sarebbe un offesa ai principi più basilari della giustizia se queste vittime innocenti del conflitto si vedessero negato il diritto a ritornare nelle loro case, mentre migranti ebrei continuano ad affluire in Palestina, minacciando di sostituire in maniera permanente i rifugiati arabi che hanno messo radici in quella terra da secoli>>.
Israele dice che altre agenzie ONU dovrebbero rimpiazzarla, ma le Nazioni Unite hanno affermato che ciò non è fattibile. Tutte le organizzazioni umanitarie che operano a Gaza, insieme alle Nazioni Unite (covi di pericolosi anti-semiti “pro-Hamas” secondo i fascisti sionisti messianici che guidano il sedicente stato ebraico) avvertono che gli effetti sono già e saranno ancora più catastrofici sulla popolazione civile affamata, assetata, senza cure, senza un posto dove andare a fare i propri bisogni in maniera igienica, senza un sistema per la raccolta dei rifiuti e delle acque reflue, senza case e senza rifugi, dato che nemmeno le scuole e gli ospedali vengono risparmiati dai bombardamenti. Saranno antisemite anche le autorità britanniche che parlano di sanzioni proprio in ragione della nuova legge, insieme alla amministrazione ancora in ufficio Statunitense che, poco prima delle elezioni, dopo aver permesso e fornito copertura per la furia vendicativa e genocida, aveva timidamente invitato Israele a ripensare quella legge. Amnesty International definisce il provvedimento israeliano una <<criminalizzazione dell’aiuto umanitario>>.
Ci sono anche delle implicazioni legali da considerare per lo stato di Israele e per tutti quei paesi che supportano le sue pratiche illegali: l’implementazione della nuova legge comporterebbe delle violazioni delle misure provvisorie stabilite dalla Corte di Giustizia Internazionale per prevenire il <<plausibile crimine di genocidio>>. Infatti, Israele dovrebbe facilitare l’entrata di aiuti umanitari e non potrebbe terminare le operazioni della principale organizzazione che fa ciò, anche se venissero accertate delle sue responsabilità nell’attacco del 7 Ottobre; ci sono poi delle responsabilità della potenza occupante (non la definiscono così dei “riottosi pro-Pal”, ma la legge!), che deve garantire una serie di servizi alla popolazione occupata, senza appropriarsi delle sue risorse, ovviamente. Infine, ci sono i regolamenti che garantiscono l’immunità diplomatica ai funzionari ONU, la possibilità di avere conti bancari e le esenzioni fiscali.
CAMPAGNE DI DENIGRAZIONE E DISINFORMAZIONE
Oltre a una serie di campagne denigratorie che vanno avanti da anni (e che nel corso dei mesi abbiamo approfondito tra queste pagine digitali) negli ultimi mesi ci sono stati anche attacchi incendiari di teppisti sionisti contro i camion che portavano aiuti umanitari e contro la sede UNRWA nella Gerusalemme occupata (nell’ambito di questi attacchi è stata aperta anche un’indagine, interna a Israele, per incitazione al terrorismo a carico del vice-sindaco di Gerusalemme per incitazione alla violenza).
I diffusori delle principali fake-news sull’UNRWA dicono che l’Agenzia costituirebbe un’anomalia nel panorama del diritto perché non ha risolto la crisi dei rifugiati palestinesi, perché impiega troppi abitanti “nativi”, quindi faziosi, perché i palestinesi ricevono un trattamento di favore rispetto ad altri rifugiati e troppe risorse. Inoltre, si sostiene che è superflua in quanto esistono altre agenzie come l’UNHCR ("Agenzia ONU per i rifugiati") e che per altri rifugiati non è previsto il diritto al ritorno. Smontiamo (o facciamo “debunking”, per dirla con un anglicismo) queste falsità. L’UNRWA è stata creata un anno prima dell’UNHCR perché la questione palestinese è stata una delle prime crisi che le neonate Nazioni Unite hanno dovuto affrontare. Il diritto alla libertà di movimento e quello al ritorno sono garantiti a tutti i rifugiati. I compiti delle agenzie sono diversi, separati e definiti dalle Nazioni Unite. L’UNRWA si focalizza sul fornire dei servizi ai rifugiati palestinesi in alcuni paesi specifici, mentre il compito principale dell’UNHCR è quello di proteggere i rifugiati, garantendo la richiesta del diritto di asilo e il supporto nel trovare accoglienza in uno stato diverso da quello da cui fuggono. Tutte le organizzazioni umanitarie internazionali si avvalgono di persone “native” per operare nei diversi teatri. Infine, l’ “anomalia” dell’UNRWA è dovuta alla natura peculiare e cronicizzata di un’occupazione sui generis. Il problema “politico” dei rifugiati palestinesi non riguarda il mandato specifico dell’UNRWA, e dovrebbe essere risolto a livello politico, per l'appunto. L'UNRWA ha solo il compito di fornire servizi in attesa che la comunità internazionale faccia qualcosa (e l’attesa è durata pure troppo!). Ci sono persone palestinesi che sono state espulse dalla loro terra diventando rifugiate, sia all’interno che all’esterno dei confini nativi, i cui discendenti a loro volta nascono e continuano a vivere come rifugiati. La fantomatica sopravvivenza e la favoletta vittimista della “minaccia esistenziale” dello stato israeliano, che a differenza di quello palestinese non è mai stato messo concretamente in pericolo o in dubbio, è in realtà una sfida demografica. Un problema, quello della differenza demografica in termini numerici, comune a tutte le potenze che praticano il colonialismo di insediamento, ossia quello finalizzato alla sostituzione etnica di un popolo con un altro (l’altro tipo di colonialismo didatticamente identificato dagli studiosi è quello di “sfruttamento”, e possono coesistere contemporaneamente elementi dell’uno e dell’altro tipo). In più Juliette Touma, Direttrice della Comunicazione dell’UNRWA, ha risposto a chi accusa l’agenzia di promuovere il terrorismo nel sistema scolastico palestinese, facendo notare che hanno subito attacchi da Hamas proprio perché educano i giovani al rispetto dei diritti umani e delle risoluzioni internazionali. Inoltre, quando negli scorsi anni i funzionari dell’UNRWA hanno trovato depositi di armi nelle loro strutture, lo hanno prontamente denunciato e condannato. Tra queste righe virtuali abbiamo anche approfondito la “scusante” dei cosiddetti “scudi umani”. In estrema sintesi ricordiamo che se un gruppo armato come Hamas usa strutture civili per compiere azioni militari, per esempio per nascondere armi, ciò ovviamente è illegale, ma non conferisce “carta bianca” a Israele. Lo stato israeliano, che giustifica bombardamenti di scuole, chiese, moschee e ospedali fornendo sempre simili giustificazioni (per esempio: “abbiamo bombardato lì perché c’era un centro di comando di Hamas”) dovrà dimostrare non solo che effettivamente c’erano degli obiettivi militari legittimi e una stringente necessità di colpirli, ma anche che è stato fatto tutto il possibile per minimizzare le perdite civili (per esempio evacuando un ospedale prima di bombardarlo). Altrimenti sono stati commessi crimini di guerra da una o da ambo le parti!
Arriviamo al punto più attuale, quello dell’ipotetico coinvolgimento di alcuni dipendenti dell’Agenzia nell’attacco illegittimo e criminale del 7 Ottobre, a cui è seguito il ben più sanguinario terrorismo di stato israeliano: la "macchina del fango" è stata innescata perché 9 dipendenti dell'UNRWA, su 30mila in totale, sarebbero sospettati di essere coinvolti nell'attacco del 7 Ottobre. Dopo un’indagine interna all’ONU, ostacolata dalle autorità israeliane, i sospetti sono stati ritenuti plausibili e sono stati licenziati dalla stessa Agenzia, mentre in una serie di casi si sospetta che Israele abbia compiuto torture per estorcere confessioni utili a fabbricare incriminazioni false, come abbiamo già spiegato nel corso degli ultimi mesi. Mentre si puntano i fari dell’attenzione mediale su quei 9 dipendenti, si dimenticano almeno altri 239 uccisi (insieme a un addetto della sicurezza dell’ONU, agli operatori internazionali della World Central Kitchen e a tantissime altre vittime innocenti, inclusi medici, paramedici e operatori di protezione civile).
MODELLI DI BUSINESS CRIMINALI E DI GUERRA
Foto di hosnysalah da Pixabay |
In un articolo del quotidiano israeliano Haaretz (del 22 ottobre e firmato da Zvi Bar'el) si avverte del pericolo di lasciare il controllo della gestione a “uomini d’affari” palestinesi, che sarebbero in realtà esponenti di mafie locali colluse con lo stato israeliano.
Sospetto che getta ulteriori ombre su un ritornello, una scusa che sentiamo ripetere costantemente dalle forze di occupazione israeliane, e che sono state ripetute anche di fronte alla Corte di Giustizia Internazionale: “noi facciamo arrivare gli aiuti ma poi arriva Hamas che li ruba”. Ecco, il quotidiano liberale israeliano ipotizza che gli aiuti umanitari verrebbero rubati con il benestare e la protezione delle forze di occupazione: <<a Gaza si dice che le gang criminali non potrebbero esistere se non servissero gli interessi israeliani>>, scrive il giornalista israeliano.
Non sembra un caso che tra i banchi dei mercati di Gaza appaiono prodotti di industrie israeliane, come ha testimoniato alcuni mesi fa ai microfoni di "Democracy Now" James Smith, un medico che è stato a Gaza: <<ai camion commerciali provenienti da Israele veniva data la precedenza rispetto all'accesso di quelli con aiuti umanitari. A sud di Gaza abbiamo visto diversi mercati in cui c'erano frutta e verdure fresche con frasi promozionali di industrie israeliane, ma molto poco cibo proveniente dagli aiuti umanitari (...) mi è parso incredibile che lo stesso stato che sta riducendo la popolazione alla fame e commettendo violenze di questo genere a loro danno, stava facendo entrare del cibo che le persone non possono permettersi. Quelli che riuscivano a permetterselo dovevano contribuire all'economia di quello stesso stato, di quell'economia che sta soffocando i palestinesi>>.
Stando a quanto riporta la stampa internazionale, prima della discussione parlamentare che ha portato al divieto di operare per l’UNRWA in Israele, si pensava già a un piano per affidare la distribuzione degli aiuti a delle milizie private. Negli uffici governativi gira il nome della compagnia logistica GDC (Global Delivery Company) dell’israelo-statunitense Mordechai (Moti) Kahana. La distribuzione degli aiuti, insieme al compito di mantenere l’ordine nelle “zone umanitarie” (le stesse che non sono mai state risparmiate in più di un anno con la scusante dell’impiego di “scudi umani”), finirebbero a essere gestiti da veterani del Regno Unito. Gli aiuti entrerebbero dal Valico di Erez (sul confine israeliano) e verrebbero immagazzinati in unico posto a nord di Gaza. Sarebbero poi distribuiti in diversi punti da soldati con armi leggere, gas lacrimogeni e fucili con pallottole di gomma. A circa un chilometro di distanza sarebbero presenti altri contingenti con armi pesanti pronti a intervenire. I principali pericoli di questa strategia, già sperimentati dagli USA nelle guerre “al terrorismo” e per “esportare la democrazia”, sono almeno due: i militari verrebbero visti e considerati come dei combattenti, non come personale umanitario, e quindi verrebbero attaccati più frequentemente. Altri militari, impreparati o sotto stress, potrebbero essere troppo propensi ad aprire il fuoco anche se non ve ne fosse stringente necessità, compiendo ulteriori stragi di civili. A questi rischi potremmo aggiungerne un altro: militari corrotti e collusi con le forze di occupazione potrebbero contribuire a far aumentare fame e illegalità, insieme al rischio di maggiori scontri a fuoco. In un mondo in cui vige sempre di più “la legalità internazionale della giungla”, non sono più le Nazioni Unite a decidere quale è l’organismo più neutrale cui affidare compiti così delicati. Lo decidono delle forze di occupazione illegali ai sensi del bistrattato e distorto diritto internazionale.
Un altro piano pilota di cui si è discusso è quello delle “bolle umanitarie”. Consiste nell'affidare la distribuzione di aiuti e il mantenimento di forni a membri della società palestinese anziani e rispettati. Oltre al rischio che il “rispetto” derivi in realtà da dinamiche criminali, il piano sarebbe fallito perché Hamas avrebbe ucciso alcuni dei palestinesi a cui era stato affidato il compito.
Concludiamo con un aneddoto e alcune considerazioni di Norman Finkelstein, politologo statunitense, figlio di sopravvissuti ad Auschwitz, precedentemente noto per il libro “L’industria dell’Olocausto” e negli ultimi tempi conosciuto per le sue ricerche sulla Palestina. In una recente intervista racconta: <<mia madre non ha mai parlato veramente delle condizioni orribili dei campi di concentramento, ma parlava sempre della fame. C’era un gruppo di persone ricche nel ghetto di Varsavia. Era chiamato “il tredicesimo”>> (e anche “Gestapo ebraica”) <<perché si riunivano al numero 13 di Leszno Street. Erano trafficanti e collaboratori. Avevano una vita molto bella. Mi rendo conto che può suonare strano (...) erano odiati da tutti, insieme a un altro gruppo, il Consiglio ebraico, il “Judenrat”. Erano come l’Autorità Palestinese: venivano nominati dai nazisti per fare il lavoro sporco. Sapevano che stavano deportando ebrei per lo sterminio, lo sapevano! Ma lo fecero comunque.>>.
La storia non si ripete mai nella stessa identica maniera, ma si possono rintracciare tante analogie.
Proto-Redazione
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ultima modifica 25/11/2024 16:43
Ammiro il tuo impegno per ideali oggi negati con le armi...mentre solo con la pace si costruisce il bene che alimenta l'amore... grazie perché ci ricordi quanto vale più il volerci bene che il combattere
RispondiEliminaGentile commentatore/trice anonimo/a, sono AnarcoPacifista, della redazione. Purtroppo una soluzione diplomatica non sempre è sufficiente a raggiungere la pace. Il nazifascismo, per esempio, non è stato sconfitto regalando rose. Supportiamo ogni forma di resistenza palestinese, anche quella armata, nei limiti del diritto internazionale. La resistenza può essere portata avanti anche tramite diverse forme di conflitto, e i conflitti non armati vanno privilegiati. La invito a leggere due articoli in proposito: questa intervista a Francesca Albanese in cui si parla, tra le varie cose, dei limiti di una resistenza armata legittima, riconosciuta al popolo palestinese dal diritto internazionale https://www.fanrivista.it/2024/01/Francesca-Albanese-genocidio-resistenza-stampa-boicottaggio-cessate-il-fuoco.html . E questo in cui si parla, tra le varie cose, delle contraddizioni che si sono sviluppate nella resistenza italiana https://www.fanrivista.it/2023/04/uccisi-perche-antifasciti-ed-ebrei.html . Cordiali saluti.
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