10.2.24

PIÙ ARMI E MENO AIUTI!

LE ACCUSE ALL’UNRWA E L’IPOCRISIA DEL “DISORDINE INTERNAZIONALE”


I sospetti mossi dall’intelligence israeliana a mezzo stampa e da “UN Watch” su alcuni appartenenti all’“UNRWA”, l’Agenzia che supporta i servizi essenziali e i diritti umani dei palestinesi sfollati dal ’48, hanno comportato il congelamento dei fondi destinati a offrire un sollievo minimo a una popolazione militarmente oppressa e in ginocchio

Quando invece l’esercito e i coloni-paramilitari compiono le peggiori barbarie in un regime di apartheid, quasi nessuno nei potentati governativi e mediatici occidentali chiede di tagliare forniture di armi e fondi per finanziare la guerra del vassallo mediorientale della NATO

In questo post torniamo, perciò, a parlare dell’ipocrisia e dell’insufficienza dell’attuale “dis-ordine internazionale”, e del polverone mediatico che è stato alzato per delegittimare l’UNRWA. Una vera e propria "macchina del fango" che sta contribuendo a far morire di fame e di stenti i gazawi, dato che le bombe non sono sufficienti.



COS’È L’UNRWA

L’Agenzia ONU per il soccorso e il collocamento dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente si occupa di assistere, difendere e promuovere i diritti di circa 5 milioni di rifugiati palestinesi nei territori occupati (Gerusalemme est inclusa), in Siria, Libano e Giordania. Fondata dall’Assemblea Generale nel ’48 con più di 30mila dipendenti (la maggior parte dei quali sono anch’essi rifugiati, mentre circa 300 sono funzionari internazionali), fornisce assistenza a tutte quelle persone che hanno perso mezzi di sostentamento e abitazioni a partire dalla guerra arabo-israeliana del ’48, quella che gli israeliani definiscono “guerra di indipendenza”, e che per i palestinesi è invece la “Nakba”, ossia la “Catastrofe” consistita in una vera e propria pulizia etnica.

Le attività dell’agenzia sono fondamentali per cercare di assicurare condizioni di vita che rispettino i requisiti minimi affinché alcuni diritti siano definibili come “umani”: fornisce sevizi basilari come aiuti alimentari e forniture di acqua potabile, servizi sociali, sanitari e interventi di emergenza, aiuta le persone a trovare un’occupazione tramite formazione e programmi di microcredito, costruisce e mantiene scuole, strutture sanitarie e campi profughi. Si calcola infatti che circa un milione e mezzo dei rifugiati assistiti (il 30% di quelli registrati) vivono in circa 60 campi profughi “ufficiali”.

Queste cifre spoglie, da sole, rendono l’idea che il lavoro dell’Agenzia è tanto complesso quanto cruciale. Un’organizzazione che conta migliaia di dipendenti potrebbe certamente avere al suo interno delle “mele marce”, così come ce ne sono certamente tantissime nell’intera società israeliana, a partire dai vertici governativi per arrivare fino all’ultimo soldato di fanteria sul campo, e passando per una grande parte della società civile.

 

 

LE ACCUSE DEI FASCIO-SIONISTI DOPO L’UDIENZA ALL’AJA

Nell’udienza di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia dello scorso gennaio il tribunale ha ritenuto plausibile l’accusa di genocidio nella causa intentata dal Sudafrica. Tra le misure cautelari per prevenire il genocidio non c’è però l’imposizione del cessate il fuoco. Invece, è stato stabilito che l’entità statale sionista deve prendere ogni misura per prevenire “il crimine dei crimini”, controllando le azioni delle forze di offesa israeliane in questo senso, evitando e punendo l’incitazione a commettere atti genocidiari di governanti e ufficiali militari, conservando prove di eventuali violazioni della Convenzione sul genocidio, presentando un report alla Corte con i dettagli delle misure adottate entro un mese e, infine, permettendo l’entrata di aiuti umanitari e servizi basilari a Gaza. Sostanzialmente è come se la Corte avesse detto: non fermiamo le ostilità, potete continuare ad attaccare Hamas ma state attenti perché pare che stiate commettendo un genocidio.

Per tutta risposta Itamar Ben-Gvir, il ministro della sicurezza, ha accusato la Corte di perseguitare il popolo ebraico e di essere antisemita! Oramai le accuse di antisemitismo verso chiunque critichi, anche minimamente, le politiche di colonizzazione israeliane suonano come un disco rotto. Tra queste pagine abbiamo già spiegato, utilizzando le parole di diversi ebrei e israeliani (incluso un sopravvissuto all’Olocausto), che l’antisionismo è cosa ben diversa dall’antisemitismo. Abbiamo anche ricordato, in un post dedicato al linguaggio e agli intenti palesati a mezzo stampa di distruggere, perlomeno in parte, la popolazione gazawi, che il ministro Ben-Gvir è lo stesso ad aver dichiarato che <<Hamas e i civili sono responsabili in egual misura (…) sono tutti terroristi e vanno annientati>>.



Un bambino tra le macerie di Gaza
Foto da Pixabay


Certo, l’antisemitismo esiste così come esiste l’islamofobia, così come esistono svariate forme di discriminazioni, razzismi e incitamento ai più disparati tipi di odio. Certamente, quindi, tra migliaia di persone è possibile che alcune siano effettivamente antisemite o che abbiano accolto con gioia l’eccidio di Hamas, così come molti israeliani stanno gioendo delle sofferenze dei palestinesi. 

L’organizzazione ginevrina “UN Watch”, con status consultivo presso l’ONU e definita da molti come troppo sbilanciata in favore di Israele, da anni denuncia l’UNRWA raccogliendo in dei dossier le dichiarazioni di appartenenti all’agenzia e insegnanti, espresse perlopiù su social media, che rivelerebbero sentimenti antisemiti e sprechi di denaro per <<glorificare nazismo e incitare pubblicamente allo sterminio degli ebrei>>. 

La ONG dal 2015 dichiara di aver <<rivelato che le pagine Facebook di più di 150 membri dell’UNRWA contengono antisemitismo e incitamento al terrorismo jihadista, in completa violazione della neutralità delle Nazioni Unite>>. Un ultimo dossier riguarda una chat Telegram <<in cui ci sono 3000 membri dell’agenzia, con alcuni insegnanti che hanno celebrato il massacro di Hamas del 7 Ottobre>> e chiesto informazioni su possibili rilocazioni e salari. 

Su 3000 persone nella chat, dal dossier emergono solamente circa 30 messaggi e utenti apologetici dell’attacco. Da alcuni di questi messaggi emerge l’odio, che deriva da un colonialismo di matrice europea, per i <<nonni espulsi dalla nostra terra>>, oppure l’invito <<a diventare scudi umani>>. Secondo la modesta opinione di chi scrive, sicuramente non sono cose gradevoli da leggere, ma sembra un po’ poco per screditare l’intero lavoro dell’agenzia e per affermare che tutti gli insegnanti a Gaza sono dei terroristi filo-nazisti.  

L’UNRWA, già a Marzo del 2023, aveva risposto con un comunicato in cui ridimensionava la portata delle accuse, spiegando che quelle fondate erano già sotto la loro lente d’ingrandimento e con dei provvedimenti presi tempestivamente.  Inoltre, in un contesto così complesso e tragico, come è quello di un’occupazione militare perpetrata dalla destra sionista, e di un regime della destra islamica supportato in maniera più o meno occulta dagli stessi fascio-sionisti, e in una situazione umanitaria oramai al collasso, controllare le opinioni e le dichiarazioni (legittime o meno) di 30mila persone per poi prendere tempestivamente dei provvedimenti adeguati è oggettivamente complesso.



Alcuni screenshot di chat usate da "UN Watch" per screditare l'agenzia nella sua interezza. Dalle chat emerge l’odio, come conseguenza dell’occupazione: un sentimento che purtroppo va contestualizzato, il che non equivale a giustificare un atto illegittimo e orribile commesso durante la resistenza armata a danno di civili, atto che però va contestualizzato e che non può nemmeno rendere illegittima la resistenza in armi, riconosciuta dal diritto internazionale per un popolo sotto occupazione straniera. Per la ONG ginevrina non si tratterebbe di poche "mele marce", ma di un organismo profondamente marcio. Purtroppo lo stesso si può affermare per una parte consistente della società israeliana.
Alcuni screenshot di chat usate da "UN Watch" per screditare l'agenzia nella sua interezza. Dalle chat emerge l’odio, conseguenza dell’occupazione decennale. Un sentimento che purtroppo va contestualizzato, il che non equivale a giustificare un atto illegittimo e orribile commesso durante la resistenza armata a danno di civili, atto che va messo nel contesto storico e politico di riferimento, e che non può nemmeno rendere illegittima tutta la resistenza armata, riconosciuta dal diritto internazionale per un popolo sotto occupazione straniera. Per la ONG ginevrina non si tratterebbe di poche "mele marce", ma di un organismo marcio fino al midollo. Purtroppo lo stesso si può affermare per una parte consistente della società israeliana.


Nelle ore successive all’udienza è stato diffuso un altro dossier “riservato” dell’intelligence israeliana: dopo essere arrivato negli USA, in diversi paesi e all’ONU, è giunto anche nelle redazioni del New York Times e del The Wall Street Journal. Le “veline” governative-giornalistiche israeliane con queste accuse hanno poi fatto il giro del Mondo: si sostiene che almeno 12 dipendenti dell’agenzia (di cui 2 morti) avrebbero supportato i miliziani in diverse maniere il 7 Ottobre, nello specifico trasportando armi e trattenendo alcuni ostaggi. Dei più di 30mila dipendenti 12mila sono a Gaza. Di questi 12mila, secondo il dossier dei servizi, 1.200 (quindi 10 su 100) sarebbero collegati in varie maniere ai militanti e di questi 190 avrebbero un ruolo operativo. La metà, quindi circa 6mila, avrebbero legami di parentela con i militanti (come se l’essere parenti di qualcuno fosse una colpa). I dipendenti che sarebbero coinvolti direttamente nell’eccidio di Hamas, e ancora vivi, sono stati licenziati anche se non c’è stato nessun regolare processo. Il vertice dell’agenzia, Philippe Lazzarini, ha dichiarato che la decisione è stata presa in via eccezionale e che eventualmente i dipendenti verranno compensati.

Verrebbe da sé che la presunta complicità di alcuni, ancora da appurare, non può giustificare il massacro di tutti. Espen Barth Eide, ministro degli esteri norvegesi in un testo pubblicato tra le colonne del New York Times fa un paragone esemplare a riguardo: <<se alcuni membri di un ufficio di polizia commettono un crimine, bisognerebbe fare assumere loro le responsabilità di quanto hanno fatto, e non sciogliere l’intero dipartimento>>.

Purtroppo però tantissimi media, inclusi quelli italiani, hanno innescato la “macchina del fango” per tacciare l’UNRWA di essere un’organizzazione terroristica ed eterodiretta dai miliziani islamici.

Chi si occupa di comunicazione sa benissimo che quando si veicola un messaggio, anche se falso, rimane impresso quello che viene detto subito e non le smentite e gli approfondimenti successivi. Diversi organi stampa internazionali, inclusi l’emittente pubblica britannica Channel 4 e Sky News del magnate Murdoch, hanno analizzato la velina-dossier dei servizi israeliani, dichiarando che non c’è <<nessuna prova>> dell’appartenenza dei membri dello staff dell’UNRWA ai gruppi jihadisti, e che il documento contiene solo delle affermazioni a riguardo. Altro che dossier, è più un comunicato stampa… O forse anche alcuni dei principali organi di stampa internazionali sono terroristi, antisemiti e filo-Hamas!

Le accuse pretestuose e, al momento, completamente infondate, sembrano usate dal governo fascio-sionista ed estremista-messianico non solo per screditare l’UNRWA, ma per mandare un messaggio di sfida al supremo organo delle Nazioni Unite e all’ONU stessa: se ne fregano abbastanza del diritto internazionale e faranno il possibile per continuare la loro guerra di conquista spacciata come legittima difesa.





Nel riquadro sopra (o a questo link se non lo vedete nella pagina) il video in cui l’emittente britannica mostra il documento-velina israeliano



LA COMPLICITÀ INTERNAZIONALE NEL “CRIMINE DEI CRIMINI”

Circa 20 paesi e organismi internazionali, tutti principali finanziatori dell’agenzia, hanno quindi sospeso i fondi all’UNRWA: agli USA sono seguiti Italia, Australia, Germania, Canada, Finlandia, Svezia, Scozia, Regno Unito, Svezia, Olanda e altri. Gli unici tra quelli che già contribuivano e che stanno continuando a offrire supporto sono  norvegesi, spagnoli, belgi e irlandesi ma non è sufficiente ed era già troppo poco anche prima: l’agenzia potrebbe chiudere i battenti già alla fine di questo mese. A rischio c’è l’esistenza stessa di una popolazione sempre più in pericolo per ogni attimo che passa. Una popolazione che sta patendo non solo bombardamenti e distruzione, ma anche epidemie, mancanza di cure basilari e fame.

Inoltre, siccome la Corte ha stabilito che gli aiuti umanitari devono entrare per scongiurare il “crimine dei crimini”, tutti i paesi che hanno sospeso i finanziamenti in base ad accuse pretestuose sono, quantomeno, complici morali di questo, se non anche dal punto di vista penale.

Oramai chi non ha subito il lavaggio mediatico del cervello lo ha capito dall’inizio di questi 130 giorni di guerra: il fine ultimo non può essere “eradicare Hamas”, perché l’effetto di questa invasione brutale e sproporzionata non farà altro che seminare sempre più odio e rafforzare i fondamentalismi con l’alleato di comodo, che è l’oramai inutile Autorità Nazionale Palestinese, ed il nemico di comodo, che è Hamas. Il vero obiettivo è quello di sterminare e cacciare via quanti più palestinesi possibile, accaparrandosi e occupando altri territori in maniera illegale e immorale.

 

 

DUE PESI E DUE MISURE MEDIALI

Anche ammettendo che 12 funzionari dell’Agenzia siano effettivamente coinvolti nell’orribile eccidio compiuto il 7 Ottobre e che il 10% dei dipendenti gazawi siano in qualche maniera collegati ad Hamas o alla Jihad Islamica Palestinese, ciò non giustifica comunque il congelamento dei fondi destinati a una popolazione in ginocchio, letteralmente affamata e assetata, senza cure a sufficienza, con feriti che vengono operati e amputati senza anestesia, costretti a dormire in tenda o in strada, con la prospettiva tetra di riuscire forse a ricostruire un’intera città in decenni o di venire deportati nel deserto

Se pure i sospetti sull’UNRWA fossero legittimi, sospetti che a questo stadio sono solo tali e che sono “di parte”, in quanto mossi da parte di una potenza nucleare occupante senza fornire prova alcuna, e se fosse vero che i fondi destinati all'agenzia sono, almeno in parte, "dirottati" per finanziare le milizie, bisognerebbe comunque trovare una maniera urgente di fornire quanti più aiuti possibili alla popolazione. Una maniera che sicuramente non dovrebbe essere sfruttata da Israele per re-insediarsi a Gaza. Invece, il “disordine internazionale” si muove solo quando si devono proteggere le merci che passano per il Mar Rosso e non per proteggere i civili.

Prima e dopo il settimo giorno di Ottobre del 2023, i governanti israeliani hanno costituito uno stato teocratico ed etnocratico, hanno portato avanti una colonizzazione instaurando un regime di apartheid, hanno attuato una strategia definibile come “genocidio incrementale” che ha appena raggiunto il suo apice, hanno usato l’esercito e attratto da tutto il mondo “coloni”, delle vere e proprie milizie paramilitari, per continuare a espandere insediamenti illegali, espropriando e distruggendo i possedimenti della popolazione soggiogata militarmente, commettendo crimini contro l’umanità e di guerra in territori che il diritto internazionale ha riconosciuto al popolo palestinese. 

Hanno potuto fare tutto questo grazie all’aiuto e all’avallo dei vari potentati occidentali, inclusa la "scorta mediatica". Per più di 75 anni un popolo ha subito le angherie di una potenza coloniale occupante, mentre a un altro popolo è stato fatto un "militaristico" lavaggio nel cervello per convincerlo di combattere contro degli esseri subumani, le cui vite sono meno importanti delle loro.

Quando l’esercito o i coloni-paramilitari commettono barbarie e crimini si parla, al massimo raramente, di “mele marce”, di elementi “devianti” che hanno commesso degli errori. Nessuno però si azzarda a proporre di tagliare i fondi e di tagliare tutti i ponti con una criminale guerra di colonizzazione spacciata come legittima difesa. Nessuno deve parlare di boicottaggio economico e militare, anzi dobbiamo mandare più armi! Se invece c’è il sospetto che 12 su più di 30.000 dipendenti dell’agenzia abbiano preso parte a un singolo ed efferato massacro, allora è giusto lasciare una popolazione morire di fame e senza supporto umanitario!

Quando viene fatto il lavaggio nel cervello “militaresco” nella società israeliana, insegnando che i palestinesi sono tutti supporter dei nazisti ed eredi del Gran Mufti, e che il popolo eletto deve regnare “dal fiume al mare”, nessuno si indigna. Invece tutti si indignano per le accuse (ancora da appurare) di antisemitismo addebitabili a una parte della società palestinese. Accuse che se pure venissero confermate non giustificherebbero la “civile” punizione collettiva.

Va certamente condannato chiunque inciti al terrorismo o inciti al genocidio, va biasimato chiunque inciti alla guerra santa islamica o a quella del “popolo eletto”. Vanno criticate tutte le destre, sia quelle estremiste islamiche che sioniste, e proprio per questo un cessate il fuoco è fondamentale: non solo per fermare i massacri e frenare i cicli di violenza che ne deriveranno, ma anche per avviare indagini indipendenti sui crimini “culturali” e di guerra di ambo le parti, ricordando che la violenza e la veemenza guerrafondaia di una parte è comunque sproporzionata rispetto all’altra.

Chi ha a cuore la stabilità dell’ordine internazionale dovrebbe saltare dalla sedia soltanto contando i più di 150 morti tra le fila dell’agenzia ONU. Vittime che si sommano a quelle di circa 30,000 civili, più di 100 giornalisti, centinaia di operatori sanitari e di protezione civile. E invece no: tutti a parlare del fantomatico sostegno palestinese di proporzioni “bulgare” al movimento nazionalista islamico. Sostegno che in realtà è molto più ristretto e “condizionato” di quanto ci si aspetti (come abbiamo spiegato in un post dedicato ad Hamas e al variegato fronte della resistenza palestinese). Per quei 12 dipendenti non esiste la presunzione di innocenza. Fino a prova contraria, non sarebbero dunque delle mele marce... 

Sono invece il simbolo del fatto che tutta la popolazione di Gaza e degli interi territori occupati è “terrorista”. Anche gli infanti nelle incubatrici sono degli <<animali umani>> (espressione usata dal ministro della difesa Gallant) da sterminare o al più da deportare verso altri paesi con culture barbariche affini, figuriamoci gli adulti.

Invece, i fanatici messianici-sionisti al governo in Israele e la popolazione -locale e globale- che li appoggia non sono “terroristi di stato”. Anche se bombardano e uccidono senza ritegno alcuno e in totale spregio delle norme internazionali, portandoci indietro di secoli a livello di conquiste giuridiche, a cominciare dalla convenzione sul genocidio che nasce dalle ceneri degli Olocausti (il plurale non è un refuso)

Alla “civiltà” cristiana, giudaica e occidentale tutto è permesso, mentre i “barbari” arretrati islamici devono crepare, punto (e in realtà non sono di certo tutti islamici, così come in tutto il Mondo non ci sono solo religioni abramitiche). In realtà, la “civiltà” occidentale, insieme all’unica sedicente democrazia del Medio Oriente, sta riscrivendo le leggi di guerra, creando dei pericolosissimi precedenti per altri conflitti: se tutto è permesso a Israele anche altre potenze potranno permettersi di fare i loro porci e criminali comodi! Dobbiamo agire ora, facendo tutto quello che è nelle nostre capacità, anche con i gesti apparentemente più piccoli... Altrimenti le guerre continueranno a espandersi e il nostro pianeta diverrà sempre meno sicuro e più ingiusto.

 

Paolo Maria Addabbo

 

Bambino rovista tra le macerie di Gaza
Foto da Pixabay


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ultima modifica 15/02/2024 08:38

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