14.2.24

CREDITI DI CARBONIO, COMPENSAZIONI E GREEN-WASHING

CARBON CREDIT E OFFSET: COSA SONO E PERCHÉ SONO CONTROPRODUCENTI 

 

In questo post per la rubrica "Define" parliamo di "Carbon Credit" e "Carbon Offset", dei sistemi che dovrebbero servire a rendere le aziende più "green", tramite lo scambio di permessi a inquinare e l'adozione di misure che dovrebbero ridurre l'impronta ambientale di un'azienda.

 
 

Un impianto che butta gas nell'atmosfera
Foto di Chris_LeBouttillier



Secondo l'opinione di chi scrive, l'essenza di questo sistema è per sua stessa natura inadeguata 
a ridurre l'impatto dei gas climalteranti. Si rischia di commercializzare la possibilità di inquinare, non diminuendola, e si aprono le porte a nuove possibilità di marketing scorretto e "greenwashing", ossia delle aziende che si spacciano come "green" continuando a inquinare, forse anche più di prima. 
 
Nella conclusione invece proponiamo uno dei peggiori scenari sociali e ambientali verso cui ci stiamo pericolosamente dirigendo, anticipando un altro progetto che prenderà forma tra queste righe digitali e che si chiamerà "Trame". Lo facciamo in accordo con la filosofia di giornalismo sperimentale e con la linea editoriale di questa fanzina/rivista, che si sforza di essere obiettiva e schierata al tempo stesso. 

 

COMPENSAZIONI E CREDITI DI CARBONIO 

 

Con l'espressione "carbon offset" (letteralmente "compensazione di carbonio") si intendono delle attività che un'azienda, un privato o un'istituzione pubblica, mettono in campo per compensare delle emissioni di anidride carbonica o di altri gas serra che hanno emesso.  

 

Detta in soldoni: le aziende, specialmente quelle che immettono tanta CO2 e dunque molto inquinanti, possono continuare a farlo comprando o generando dei crediti "verdi" da altre aziende, finanziando progetti e attività che dovrebbero ridurre l'impatto ambientale complessivo.  

 

Si può acquisire un credito di carbonio per ogni tonnellata di anidride carbonica che si riesce a compensare "assorbendola", per esempio piantando degli alberi, o non emettendola, vale a dire evitando sprechi su una linea di produzione con l'efficientamento energetico. Anche riducendo l'impiego o l'impatto di altri gas serra si possono avere dei "carbon credit", che vanno però calcolati sempre in rapporto all'impatto della CO2: il biossido di carbonio è infatti il gas climalterante che impatta di più in termini quantitativi, ma in termini qualitativi un gas come il metano inquina decine di volte di più della CO2. In altre parole: anche se la CO2 non è la più inquinante in assoluto, è quella maggiormente presente nella nostra atmosfera, e che quindi ha un impatto maggiore per l'effetto serra. 

 

Il fine ultimo dovrebbe essere bilanciare l'impronta ambientale o, addirittura, di compensare più emissioni di gas di quelle generate. I motivi che portano un'azienda o un ente pubblico a produrre o accumulare questi crediti sono diversi. Possono servire a rispettare delle leggi in materia ambientale, ottenendo dei permessi o evitando delle sanzioni. Potrebbero aiutare a comprendere quanto si incide sull'ambiente. Investendo in strategie del genere si potrebbe fare innovazione e ridurre dei costi, perlomeno sul lungo termine, ed essere più avanti rispetto ad altri concorrenti. Qualcuno magari ha veramente a cuore la salvaguardia dell'ambiente, mentre per altri si tratta solo di ripulire l'immagine di un'azienda tramite il "green washing", ossia lo spacciarsi come un'azienda "verde". Infine, questi crediti, concepiti come un incentivo economico per ridurre l'inquinamento, possono essere utilizzati per delle speculazioni finanziarie invece che per salvare il pianeta. 

 

 

I CARBON MARKET: OBBLIGATORI E VOLONTARI 

 

Esistono infatti dei veri e propri mercati dei crediti di carbonio, dei "carbon market" in cui chi ne ha in eccesso può venderli, metterli all'asta o scambiarli al pari di altri strumenti finanziari, dopo che sono stati certificati da enti appositi, che dovrebbero essere imparziali, e commerciati principalmente tramite degli intermediari specializzati, i cosiddetti "carbon brokers".  

 

Ci sono anche diversi tipi di crediti con differenti prezzi. Negli ultimi venti anni sono oscillati da pochi centesimi per tonnellata a più di cento euro per credito, un settore molto appetibile per la finanza "climatica" e presunta verde...  

 

In Europa le tipologie di aziende ritenute più inquinanti e che ricadono entro certi parametri sono obbligate a partecipare a un tipo di questi mercati, detto per l'appunto "obbligatorio": nell' "EU ETS" (European Union Emissions Tradying System) viene stabilito un tetto massimo di emissioni per più di diecimila imprese. Se viene superato, oltre a incorrere in sanzioni, è necessario acquistare i "crediti" di compensazione a un prezzo prestabilito. Per essere precisi, in questo tipo di mercato non si parla formalmente di crediti ma di "permessi" per l'emissione ( "allowances" in inglese). I sistemi ETS sono definiti perciò anche "cap and trade" ("tetto-limite e scambio"). In alcuni casi, in particolare quando c'è il rischio che un'azienda si trasferisca dove vigono norme ambientali meno stringenti, è possibile riceverli anche titolo gratuito (un "regalo" forse troppo generoso). Oppure, ancora, si possono utilizzare i crediti in più accumulati negli anni precedenti.  

 

Secondo la mia modesta opinione questi strumenti decisi dalle varie autorità governative, insieme ad altri come la "carbon tax" per disincentivare le emissioni, possono servire nel breve termine solo se l'umanità comincia ad adottare nuovi paradigmi sociali, psicologici ed economici, come quello della cosiddetta "decrescita". 

 

Esistono poi anche i cosiddetti mercati "volontari", in cui si entra per libera adesione e quindi con degli obiettivi auto-imposti. A differenza dei primi, di solito, non sono regolati da enti pubblici. A farla da padrone sono gli enti certificatori, che nei mercati più importanti sono quasi tutti organizzazioni no-profit, e i privati. Scopo dichiarato, non essendoci obblighi per l'adesione, è quello di diventare più "green". Di fatto si può facilmente millantare di essere "verdi", comunicando ai consumatori più attenti per il clima che si sta aiutando l'ambiente, magari apponendo un'etichetta che dice perché quel prodotto è sostenibile, quale progetto si sta supportando per diminuire le emissioni di gas serra. Oppure per mettere delle foto di stupende foreste negli opuscoli di aziende che hanno storicamente contribuito al disboscamento e a vari tipi di distruzione ambientale. Oltre a influenzare i consumatori tramite pratiche di "green washing" (o "carbon washing"), queste certificazioni possono essere anche usate per presentarsi come un soggetto attento alle questioni ambientali (a torto o a ragione), condizionando le comunità di un determinato posto o invogliando la partecipazione di investitori. La mancanza di controlli rigorosi e di trasparenza è uno dei problemi più sentiti in questo settore, soprattutto tra le voci più critiche. Tra le implicazioni principali delle regole poco stringenti c'è il soprannominato "double counting", il contare due volte un singolo progetto di compensazione, e così facendo vanificandone l'effetto ambientale, ma non il costo del certificato.  

 

Chi invece li sostiene afferma che, in mancanza di obblighi specifici, rappresentano un contributo fondamentale per un pianeta più sostenibile e per raggiungere l'obiettivo della neutralità climatica, le "emissioni zero" (al netto di quelle assorbite), soprattutto per quei settori commerciali per cui non sono previsti adempimenti obbligatori. Le aziende adotterebbero volontariamente queste pratiche non tanto, o non solo, per questioni di marketing. Principalmente i privati si organizzano "da soli", in mancanza di requisiti che dovrebbero essere richiesti dalla politica e che possono rappresentare un'opportunità economica. Anche la pressione di azionisti, analisti finanziari e compagnie assicurative gioca un ruolo importante, insieme alla prevenzione di contenziosi legali. 

 

L'EU-ETS è stato tra i primi mercati ed è il più grande, ma in totale se ne contano decine in tutto il Mondo. Alcuni hanno modificato la loro natura, partendo con adesioni volontarie e arrivando a includere aziende che invece hanno l'obbligo di aderire.

Formalmente i due tipi di mercati non sono collegati, ma esistono comunque una serie di interazione tra i due. Per esempio, alcuni di quelli "volontari" possono essere sostenuti da enti pubblici e governi in diverse forme.

Oppure si pensi che l'adesione a un mercato volontario potrebbe rappresentare un'alternativa a una tassazione sulle emissioni.

Inoltre la stessa distinzione tra mercato "volontario" e "obbligatorio" può essere labile: delle disposizioni governative potrebbero non essere vincolanti, mentre dei mercati non organizzati da governi e istituzioni sovranazionali potrebbero avere criteri molto stringenti, configurando degli obblighi che non derivano da specifiche normative, ma piuttosto da accordi tra privati e dalla fiducia degli investitori da conquistare.

I mercati volontari possono essere utilizzati infatti per testare o consolidare delle pratiche che, in futuro, diventeranno leggi "obbligatorie". Viceversa, le leggi già approvate possono fissare consuetudini e standard che vengono adottati nei mercati volontari. Dunque, esistono diversi tipi di collegamenti tra i due settori, che si influenzano a vicenda sia sotto aspetti politici-normativi che tecnici. 

 

Ma, come in tutti i mercati nel sistema socio-economico capitalista c'è un piccolissimo problema: il fine principale non è certo la salvaguardia dell'ambiente, ma è l'accrescimento del profitto. In questo contesto la tutela ambientale, troppo spesso, non è nemmeno un fine "accessorio", ma viene vista come un ostacolo! 

 

 

COME FUNZIONA PRATICAMENTE LA COMPENSAZIONE? 

Il principale meccanismo per acquistare questi crediti consiste nel piantare nuove foreste o conservare quelle già esistenti, attuando cioè delle pratiche anti-deforestazione, di conservazione degli habitat e di agricoltura sostenibile (almeno in teoria). Questi tipi di interventi sono i più ambiti anche per il ritorno di immagine e marketing, ma anche tra i più costosi, e non solo per le aziende: alcuni tipi di piante potrebbero non favorire realmente la popolazione locale ed essere difficili da gestire nel corso dei decenni che impiegano per crescere. Un investimento del genere però, per un privato, potrebbe essere molto meno costoso di riconvertire il proprio sistema di produzione per renderlo meno inquinante. Va notato che in alcuni dei mercati ETS sono previste delle pene se l'imboschimento non è adeguatamente curato e, in alcuni casi, non è neanche permesso accumulare crediti tramite l'afforestazione.  

 

Per generare crediti e compensazioni si può anche investire in energie rinnovabili, creando dei parchi eolici, fotovoltaici, dighe, ecc. Si possono modificare i processi produttivi rendendoli più efficienti, oppure investire in attività che permettono non solo di non emettere CO2, ma anche di "catturarla" per stoccarla e riutilizzarla. Un altro esempio di come vengono generati questi crediti sono i programmi per aumentare l'accesso all'acqua potabile, in modo che non deve essere bollita, evitando di immettere altri gas. Similmente, esistono iniziative per migliorare l'efficienza di stufe e fornelli, soprattutto nei paesi più poveri. In generale gli interventi per evitare l'immissione di gas serra nell'atmosfera sono più semplici di quelli per "assorbirli". 

 

Il problema principale di questo mercato è che si potrebbe arrivare a inquinare addirittura di più... Soprattutto se i criteri che lo regolano sono falsati. 

 

 

I PERICOLI: DAI PROGETTI FASULLI ALLA MANCANZA DI UNA STRATEGIA PER RIDURRE CONSUMI E INQUINAMENTO 

 

La difficoltà principale è quella di stimare l'"impronta verde" effettiva di un progetto, nei migliori dei casi. Nei peggiori ci potrebbero essere delle vere e proprie truffe con certificazioni fasulle, o progetti fantoccio in cui, per esempio, il rischio di deforestazione viene gonfiato artificiosamente, in maniera da aumentare il valore dei crediti. Altro punto critico sui progetti anti-deforestazione riguarda l'impiego delle monoculture: al di là dell'effettiva capacità di "assorbire" CO2, la coltivazione di un singolo tipo di pianta minaccia la biodiversità e si presta a speculazioni nell'agrobusiness. Queste speculazioni, a loro volta, possono mettere in pericolo i diritti umani delle comunità native di un'area, a cominciare dal dispossessamento di zone "prescelte" per i progetti "green", in particolare quelle del sud del Mondo. Molte di queste aree cominciano infatti a essere invase da una nuova forma di "colonialismo verde". Pensate a quanto dovrebbe essere esteso lo spazio necessario da imboschire per permettere alle aziende che estraggono combustibili fossili di continuare a estrarre petrolio e gas! Agli attuali ritmi di consumo è tecnicamente impossibile disporre di così tanti ettari di foreste necessari per assorbire i vari gas... Per questo sarebbe meglio cominciare a ridurre drasticamente i consumi, il che non equivale a tornare indietro all'età della pietra, e a puntare seriamente sulle rinnovabili! Non è giunta forse l'ora di cominciare a modificare il nostro stile di vita e ridurre i consumi invece che aumentarli?! 

 

Alcuni di questi crediti e le relative certificazioni sono legati a progetti per nulla efficienti, e possono essere sfruttati sia per attrarre compagnie che vogliono davvero ridurre il proprio impatto sull'ambiente, sia per investitori che cercano facili guadagni nella "finanza verde". C'è un problema molto grande anche per i progetti che effettivamente possono avere un impatto positivo, sia a livello socio-economico che ambientale: se ad usarli sono aziende ad alta contaminazione ambientale come quelle petrolifere, la mancanza di una strategia radicale e di lungo termine per abbandonare completamente i combustibili fossili vanifica comunque gli effetti positivi pure del migliore dei progetti, e anche se quest'ultimo ha degli effetti permanenti (permanenza che per questo tipo di certificazioni dovrebbe essere comunque la norma). 

 

Inoltre abbiamo già detto che, come in ogni mercato, questi crediti possono prestarsi a speculazioni di vario tipo. La più banale si può concretizzare accumulando molti crediti e confidando in un aumento del loro valore, per poi rivenderli. Un esempio di schema più complesso può consistere nella semplice chiusura di un'azienda che inquina poco, che perciò ha maturato molti crediti da rivendere per realizzare profitti, e così facendo incentivando l'inquinamento di altre società e contemporaneamente lasciando per strada i lavoratori degli stabilimenti meno impattanti sull'ambiente. Similmente una fabbrica potrebbe fermare la produzione per un periodo limitato dell'anno. Inquinando meno maturerebbe dei crediti da rivendere, per poi spostare la produzione in un paese dove può reinvestire il capitale accumulato, preferibilmente con delle norme meno stringenti sulle emissioni.  

 

Come in altre attività commerciali e finanziarie, anche in questo settore si può insidiare il riciclaggio di danaro sporco, oppure potrebbe generare una "bolla" finanziaria, oppure ancora tende già alla concentrazione di capitale e al consolidamento di oligopoli, dei gruppi fatti di poche società che possiedono gran parte di questi crediti. Infine, non di secondaria importanza, chi compra o investe in questi crediti può fare delle scelte rischiose o avventate. 

 

Il rischio più denunciato è comunque quello del "green washing", che farebbe raggiungere l'obiettivo delle "zero emissioni" solo sulla carta! Insomma, il meccanismo dei crediti di carbonio potrebbe forse essere utile solo come strumento accessorio di strategie più radicali e drasticamente "green", mentre in concreto alcune aziende possono continuare a inquinare, delocalizzando la violenza contro l'ambiente in un altro luogo o delegandola a qualcun altro. Nel mentre, dei "pezzi di carta" affermano che stai facendo la tua parte per combattere il cambiamento climatico: ottima strategia di marketing per vendere e inquinare di più! Secondo chi scrive il commercio di crediti si traduce in commercio di inquinanti. Inoltre, lasciare gli interventi e e le politiche di tutela ambientale in mano ai privati, ad aziende e singoli che per loro stessa costituzione devono fare profitto, è un gravissimo errore. Un errore che pagheranno carissimo le generazioni future, se ci saranno generazioni future... 


 

Sullo sfondo c'è il mare e un'imbarcazione portacontainer. Un tubo scarica liquami e rifiuti a mare, sul fondo si notano dei barili con il simbolo della radioattività e del pericolo.
Illustrazione di Rilsonav da Pixabay




La malattia di cui sono vittime le nostre esistenze, e il nostro pianeta, è la stessa natura del "mercato" -in senso lato. Per questo gli stessi meccanismi commerciali e malati del "mercato" non vanno spacciati come la cura! L'unica vera "medicina" risiede nel cambiare la struttura stessa della nostra società, cominciando a incidere su un sistema socio-economico vetusto e inadeguato, un sistema chiamato capitalismo, che ci rende meri consumatori invece che soggetti pensanti, e che ci spinge a consumare sempre più. L'unico sviluppo veramente "sostenibile" deve essere sganciato dalle logiche della "crescita" sproporzionata, altrimenti servirà soltanto a prolungare e rendere più accettabile la malattia liberista del mercato.  

 

 

I VERI "ECO-TERRORISTI" E GLI SCENARI POCO DISTOPICI 

 

Per questo servono strategie più urgenti e drastiche, e per questo tantissime multinazionali, specialmente quelle legate alla produzione di combustibili fossili, dovrebbero completamente riconvertirsi o sparire! Qualcuno obietterà che così si perderanno tantissimi posti di lavoro. La risposta è che, in realtà, quei posti di lavoro dovrebbero essere riassorbiti da attività veramente "green", organizzate in maniera condivisa, calcolando gli interessi della maggioranza della popolazione e non della minoranza più ricca e potente, iniziando a invertire la tendenza inquinante da subito, visto che già siamo sull'orlo di una catastrofe. Altrimenti il genere umano, e tutte le specie viventi della terra, si estingueranno presto, e non sarà una fine indolore.  

 

Uno scenario possibile, che non è nemmeno il peggiore e più remoto, tutt'altro che distopico, è così sintetizzabile: le terre vicino alle coste verranno inondate, di conseguenza le popolazioni che vivono lì si trasferiranno nelle aeree più interne e, probabilmente, la popolazione globale in termini numerici non diminuirà di molto, nonostante gli stenti che affronterebbe. Le risorse, incluse acqua e aria, diventeranno sempre di meno, il che farà aumentare sempre di più i conflitti in un ecosistema sempre meno abitabile, e in un sistema socio-politico sempre più caotico e "anarchico"(intendo con questo termine la concezione di "anarchia" prevalente nel senso comune, non certo quella più utopica e socialista che forse potrebbe salvarci dall'ecatombe): la migrazione climatica è già un fatto, anche se non ce ne curiamo troppo lasciando morire i migranti climatici nei deserti e nei mari!

 

Andando più nel distopico/fantascientifico, ed escludendo una lunga fine dell'umanità dilaniata da guerre e carestie, o un più breve epilogo del pianeta Terra distrutto da una catastrofe nucleare in seguito alla malagestione dell'energia atomica o al suo impiego in guerra: potrebbe succedere che qualcuno (pochi) riesca salvarsi "emigrando" nello spazio, oppure (sempre pochi) costruendo delle "roccaforti" sulla terra con dei sistemi di depurazione dell'aria e di controllo della temperatura molto sofisticati, mentre altri perirebbero in un ambiente che sarebbe eufemistico definire ostile... 

 

Tralasciando gli scenari più tetri, che potrebbero risultare fantasiosi e contro-utopici, e accogliendo le tesi dei "negazionisti climatici" che raccontano che tutto va bene, che le temperature sempre più roventi sono normali e che ci permetteranno perfino di andare al mare in inverno, e constatando che già adesso il Mondo è un posto poco o per nulla vivibile per la stragrande maggioranza delle persone, sia dal punto di vista della sopravvivenza materiale, sia da quello della dimensione sociale e di qualità di una vita monopolizzata dalla religione del profitto, concludo con due domande retoriche: gli "ecoterroristi" sono quelli che protestano pacificamente per farci rendere conto che le cose già vanno molto male, o quelli che più o meno "legalmente" stanno anteponendo i loro sporchi interessi alla sopravvivenza del pianeta, i conservatori che sono in grado di offrire un "progresso" che in realtà è barbarie tecnocratica, basato sull'accumulazione e sulla crescita del volume di affari infinite, in un pianeta con risorse finite, a cominciare dalle nostre energie fisiche e dal nostro tempo?! Dobbiamo rendere un sistema malato e consumistico più "sostenibile", o forse la vera sostenibilità risiede nel cambiarlo radicalmente? 

 

Callista Di Tramabene 

 


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