PIÙ DI 200 DIPENDENTI DELL'AGENZIA ONU MASSACRATI, MA LA STAMPA MAINSTREAM PARLA SOLO DEI 9 SANZIONATI DA UN'INCHIESTA "AMMINISTRATIVA" (SU 3000 DIPENDENTI IN TOTALE) PER UNA PRESUNTA PARTECIPAZIONE AL 7 OTTOBRE
Da tempo l'UNRWA,
Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, è oggetto di attacchi e
getti di "fango" per tagliarne i finanziamenti e minare il
"diritto al ritorno" dei palestinesi, sancito dalla
risoluzione 194 del '48. Invece, in "Occidente", quasi
nessuno pensa di tagliare "fondi" e "ponti" con
uno stato che applica l'apartheid, forse anche peggiore di quello
sudafricano.
L'ultimo "polverone mediatico" si è alzato per 9 dipendenti dell'UNRWA (su
30mila in totale), sospettati di essere coinvolti nell'attacco del 7
Ottobre e licenziati dalla stessa Agenzia.
La stessa attenzione non viene dedicata agli innumerabili crimini compiuti da soldati e coloni-paramilitari israeliani.
In questo
articolo ricapitoliamo quello che è successo negli ultimi mesi.
Un frammento malconcio di un sacco utilizzato per la distribuzione di alimenti. |
L'UNRWA È "CATTIVA" E I FANATICI ISRAELIANI SONO TUTTI "ANGIOLETTI": L'ENNESIMO ESEMPIO DI "DUEPESISMO"
Mentre esponenti politici, della più barbara classe dirigente che Israele ha mai avuto, fanno pubblicamente affermazioni che incitano al genocidio, talvolta perfino "legittimate" dal Deuteronomio, mentre i soldati israeliani si vantano dei loro crimini di guerra sui social network, mentre una folla di fascio-messianici estremisti tenta di liberare dalla polizia militare un soldato accusato di stupro nei confronti di un prigioniero palestinese, mentre una grandissima parte della teocrazia ed etnocrazia israeliana sostiene il terrorismo di stato, spacciato come legittima difesa, tantissimi organi di stampa mainstream, nonché vari influencer estremisti pro-sionisti, si mettono a fare le pulci all'UNRWA e la definiscono "compromessa".
Digitando "UNRWA" sul più noto motore di ricerca il primo risultato è un articolo, sponsorizzato, del governo israeliano che la definisce "compromessa" in quanto a neutralità. |
Mentre si lanciano costosissime campagne stampa per delegittimare e tagliare i fondi all'UNRWA, vecchia quasi quanto la stessa "questione palestinese" (forse sarebbe meglio dire "questione coloniale israeliana"), la maggioranza dei governanti occidentali -inclusi quelli italiani- non concepiscono nemmeno la possibilità di tagliare gli armamenti, pagati di tasca nostra, forniti a uno stato che applica l'apartheid. Si parla, o addirittura si chiede di tagliare i fondi all'UNRWA, ma quasi nessuno chiede di troncare gli affari di tantissime aziende private con le colonie illegali, che giorno dopo giorno "rosicchiano" illegalmente territorio. Terre che spettano ai palestinesi legalmente (almeno a partire dal '67) e non solo moralmente. Lo fanno tramite l'azione di teppisti supportati dall'esercito "regolare". Parliamo dei cosiddetti coloni, suprematisti ebraici e fanatici-messianici che terrorizzano, uccidono, bruciano villaggi quotidianamente, perché secondo loro lo dice la Bibbia che quella terra gli appartiene. Seguendo i canoni culturali più diffusi in questa parte del pianeta è evidente che la parola "terrorista" può essere affiancata solo a persone che hanno un colore della pelle diverso, oppure che credono in una religione o in un fondamentalismo diverso da quelli che aggradano maggiormente la massa...
Ma partiamo dall'inizio: prima di capire cosa è successo e cosa si sa fino ad adesso, spieghiamo brevemente cos'è l'UNRWA.
COS'È L'UNRWA
L’Agenzia ONU per il soccorso e il collocamento dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente assiste, difende e promuove i diritti di circa 5 milioni di rifugiati palestinesi nei territori occupati (Gerusalemme est inclusa), in Siria, Libano e Giordania. Fondata dall’Assemblea Generale nel ’48, conta più di 30mila dipendenti (la maggior parte dei quali sono anch’essi rifugiati, mentre circa 300 sono funzionari internazionali). Fornisce assistenza a tutte quelle persone che hanno perso mezzi di sostentamento e abitazioni a partire dalla cosiddetta guerra arabo-israeliana del ’48, la “guerra di indipendenza” per gli israeliani, la “Nakba” (la “Catastrofe”) per i palestinesi, l'inizio della pulizia etnica e del genocidio incrementale che continua fino a oggi. Quella del '48 era una guerra che, secondo chi scrive e a differenza da quanto si afferma comunemente, è stata iniziata dai colonizzatori con la dichiarazione unilaterale della nascita dello stato israeliano, una vera e propria dichiarazione di guerra.
Le attività dell’agenzia sono fondamentali per cercare di assicurare condizioni di vita che rispettino i requisiti minimi affinché alcuni diritti siano definibili come “umani”: fornisce sevizi basilari come aiuti alimentari e forniture di acqua potabile, servizi sociali, educativi, sanitari e interventi di emergenza, aiuta le persone a trovare un’occupazione tramite formazione e programmi di microcredito, costruisce e mantiene scuole, strutture sanitarie e campi profughi. Si calcola che circa un milione e mezzo dei rifugiati assistiti (il 30% di quelli registrati) vivono in circa 60 campi profughi “ufficiali”.
Soltanto a Gaza ci sono circa 12mila dipendenti, mentre gli altri 18mila lavorano nel resto della Palestina e nei paesi vicini, dove i palestinesi si sono rifugiati per decenni. Queste cifre spoglie, da sole, rendono l’idea che il lavoro dell’Agenzia è tanto complesso quanto cruciale. Un’organizzazione che conta migliaia di dipendenti potrebbe certamente avere al suo interno delle “mele marce”, così come ce ne sono certamente tantissime nell’intera società israeliana...
I PRECEDENTI
A inizio anno, mentre la Corte di Giustizia Internazionale vagliava la denuncia sudafricana per il crimine di genocidio, l’intelligence israeliana diffondeva a mezzo stampa un dossier "riservato", ripreso in forma di "velina" giornalistica dalla catena di montaggio mediatica: secondo le accuse 12 dipendenti dell'Agenzia -di cui 2 ritenuti morti- avrebbero supportato i miliziani nell'eccidio 7 Ottobre trasportando armi e trattenendo ostaggi.
Tra i 12mila dipendenti dell'UNRWA a Gaza, secondo le forze di occupazione israeliane, 1.200 -quindi 10 su 100- sarebbero collegati in varie maniere ai militanti e, di questi, tra i 200 e 450 avrebbero un ruolo operativo. La metà, quindi circa 6mila, avrebbero legami di parentela con i militanti (ovviamente l’essere parenti di qualcuno non è una colpa). I dipendenti che sarebbero coinvolti direttamente nell’eccidio di Hamas, e ancora vivi, sono stati subito licenziati in via cautelativa ed eccezionale.
Diversi organi stampa internazionali, inclusi l’emittente pubblica britannica Channel 4 e Sky News del magnate Murdoch, avevano analizzato la "velina-dossier" dei servizi israeliani, dichiarando di non aver trovato <<nessuna prova>> dell’appartenenza dei membri dello staff dell’UNRWA ai gruppi jihadisti: il documento conteneva solo affermazioni in questo senso. Nonostante questo, dopo le "rivelazioni," una ventina di paesi donatori e organizzazioni avevano sospeso i finanziamenti, compromettendo ulteriormente l'afflusso di cibo e aiuti.
Circa un mese dopo l'UNRWA rispondeva ridimensionando la portata delle accuse, e spiegava che quelle fondate erano già sotto la loro lente d’ingrandimento. Inoltre accusava la potenza occupante, tramite un report riservato e condiviso solo con alcune ONG, di aver estorto confessioni da dipendenti dell'UNRWA con la tortura, al fine di "fabbricare" accuse di collegamenti con Hamas. I tipi di tortura impiegati coincidono con le svariate testimonianze di prigionieri palestinesi rilasciati: pestaggi, minacce ai familiari, attacchi con i cani, negazioni di cure che avrebbero portato alla morte di detenuti, waterboarding (ingerimento forzato di acqua) e violenze sessuali (ricordiamo il caso, recentemente emerso, dei soldati sotto accusa da una corte israeliana per aver infilato un bastone elettrico nel corpo di un prigioniero).
In quel frangente i finanziamenti venivano ripristinati da tutti i donatori eccetto uno, il principale: gli Stati Uniti, i quali hanno approvato una legge che li sospende fino al 2025.
L’UNRWA è anche nel mirino di “UN Watch”, organizzazione ginevrina con status consultivo presso l’ONU. Da anni producono dossier con le dichiarazioni di appartenenti all’agenzia e insegnanti, espresse perlopiù su social media. Sostanzialmente l'associazione afferma che le scuole gestite dall'UNRWA sarebbero delle scuole di "terrorismo", e che i libri usati sarebbero colmi di incitazioni all'antisemitismo. Sempre secondo loro, dichiarazioni rinvenute dai social media rivelerebbero sentimenti antisemiti e sprechi di denaro per <<glorificare nazismo e incitare pubblicamente allo sterminio degli ebrei>>. La ONG dal 2015 dichiara di aver <<rivelato che le pagine Facebook di più di 150 membri dell’UNRWA contengono antisemitismo e incitamento al terrorismo jihadista, in completa violazione della neutralità delle Nazioni Unite>>. Uno degli ultimi dossier da loro presentato riguarda una chat Telegram <<in cui ci sono 3000 membri dell’agenzia, con alcuni insegnanti che hanno celebrato il massacro di Hamas del 7 Ottobre>>. Su 3000 persone nella chat "incriminata", emergerebbero solamente circa 30 messaggi e utenti apologetici dell’attacco: quei messaggi, alcuni dei quali connotati da una retorica nazionalista, non sono gradevoli da leggere, ma a confronto delle opinioni espresse pubblicamente dalla controparte israeliana risultano "moderati". Inoltre, sembrano molto poco per screditare l’intero lavoro dell’Agenzia (secondo la quale solo 9 persone su 30, tra quelle menzionate da UN Watch, sembrerebbero essere effettivamente suoi dipendenti) e per affermare che tutti gli insegnanti a Gaza sono dei terroristi filo-nazisti... Infine i toni dei messaggi sono completamente decontestualizzati, come lo è stato lo stesso attacco del 7/10 nella narrativa "occidentale" dominante: non si ricorda che Israele è la potenza occupante, che ha attaccato la striscia di Gaza più volte a partire dagli anni duemila e che da quasi venti anni Gaza è sotto assedio, dato che le forze di occupazione controllano tutti i confini della Striscia e perfino le calorie medie che spettano a ogni singolo abitante.
Il 20 Aprile viene presentato un rapporto da un organismo dell'ONU, il "Gruppo di revisione" guidato da Catherine Colonna, con il compito di <<assicurare l'aderenza dell'UNRWA al Principio Umanitario della Neutralità>>. Questo principio si affianca a quelli di umanità, imparzialità e indipendenza, e consiste nel <<non prendere parte alle ostilità o essere coinvolti in controversie di natura politica, razziale, religiosa o ideologica>>. Nel documento si specificava che Israele non aveva fornito prove sulle <<dichiarazioni pubbliche secondo cui un numero significativo di dipendenti dell'UNRWA sono parte dell'organizzazione terroristica>>. Tra le varie cose lo stato occupante aveva dichiarato di aver fornito all'UNRWA una lista con nominativi "sospetti" nel 2012. Il vertice dell'agenzia, Philippe Lazzarini, aveva risposto che dal 2020, anno in cui ha iniziato a guidare l'UNRWA, non aveva mai ricevuto alcuna comunicazione in merito. Nel documento si trovano varie indicazioni per contrastare diverse violazioni del principio di neutralità e, in particolare, indica la necessità di maggiori controlli sulla selezione e formazione del personale UNRWA. Le criticità maggiori, oltre allo stesso contesto fatto di <<conflitti ricorrenti, violenza, mancanza di progressi politici, cattive condizioni socio-economiche e il proliferare di gruppi armati>>, riguardano: l'espressione di idee politiche di membri dello staff, anche sui social media, minacce di alcuni sindacalisti <<politicizzati>> nei confronti di altri dipendenti dell'amministrazione che causano disagi operativi e, infine, il contenuto di alcuni testi scolastici. Riguardo alle <<continue critiche>> di alcune ONG (si specificava che <<più del 90% di queste accuse sono sollevate dall'organizzazione Impact-SE>>) sul fatto che l'UNRWA diffonderebbe informazioni antisemite nel sistema scolastico e sulla <<presunta presenza di discorsi d'odio>> il rapporto affermava, basandosi su alcuni studi, che: sono stati trovati <<due contenuti faziosi e non conformi, ma nessuna evidenza di riferimenti antisemiti. Il 3,85% di tutti i i libri di testo>> presentavano contenuti ritenuti inappropriati o non in linea con gli standard dell'UNESCO e le posizioni dell'ONU. <<Anche se marginali>>, continua il documento, <<questi argomenti costituiscono una seria violazione di neutralità. Tra le diverse questioni, quelle ricorrenti riguardano l'uso di mappe storiche in contesti non storici, per esempio senza indicare Israele; chiamare Gerusalemme la capitale della Palestina; nominare città in Israele come palestinesi; l'uso della parola sionista (per esempio riferirsi a Israele come "occupazione sionista)>>. Negare l'esistenza e la storia della Palestina, oppure rinominare in ebraico toponimi arabi sono problematiche che si riscontrano anche nel sistema scolastico e politico israeliano (come illustra ampiamente anche un documentario intitolato "This is my land" dedicato all'insegnamento della storia in Palestina). Nonostante diverse criticità, in relazione al solo principio di neutralità, il rapporto confermava comunque che l'Agenzia ha già in piedi <<politiche, meccanismi e procedure per assicurare l'aderenza al principio di neutralità>>. L'UNRWA aveva pertanto avviato diverse indagini al fine di contrastare cattive condotte professionali.
Un'altra indagine era stata intrapresa dall'Ufficio dei Servizi di Supervisione Interni (acronimo inglese "OIS "che sta per "Office Of Internal Oversight Services"), organo investigativo "interno" dell'ONU. Di pochi giorni fa è la notizia che alla fine, su 19 casi di presunta partecipazione al 7/10, per uno non c'è nessuna evidenza di alcun tipo di coinvolgimento, per altri 9 le prove sono state ritenute insufficienti e per i restanti 9 sono state ritenute sufficienti a determinare un tipo di coinvolgimento sanzionabile con il licenziamento.
LE INDAGINI DELL'OIS E LA POSIZIONE DELL'ONU
Il 5 agosto è stata indetta una conferenza stampa alla quale ha preso parte Farhan Haq, vice-portavoce del Segretario Generale ONU, per parlare della conclusione delle indagini dell'OIS (è utile notare che i cronisti presenti sembravano molto poco interessati a quanto succedeva in Bangladesh, altro oggetto dell'incontro).
Bisogna specificare, come premessa, che le "indagini amministrative" dell'OIS non accertano fatti penali, ma sono incentrate su questioni pertinenti le regole "interne" alle Nazioni Unite relative a personale, fondi e attività dell'organizzazione. L'esito può essere quindi una sanzione disciplinare, mentre eventuali fatti di rilevanza penale devono essere accertati e puniti dagli stati o da altri organismi. Si è spiegato che, inizialmente, i casi indagati erano 7. A questi se ne sono aggiunti altri 12 <<dopo che abbiamo ricevuto informazioni a partire da Marzo>>, chiarisce Haq. Tra i 9 licenziati ci sono anche alcuni che erano stati accusati da subito, prima di Marzo (inizialmente però ad essere stati licenziati erano in 12: bisognerà vedere se nei confronti degli altri 3 verranno presi comunque provvedimenti o se verranno nuovamente assunti, oppure compensati).
Lo staff dell'OIS si è recato sia in Israele che in Giordania per raccogliere elementi dalle autorità israeliane e dagli uffici dell'UNRWA. Sono state analizzate mail, dati sui veicoli dell'Agenzia, dati da "fonti aperte" (come social media, organi stampa) ed elementi forniti da altri governi. Siccome il materiale investigativo fornito dalle autorità israeliane resta da loro custodito <<l'OIS non è stato in grado di autenticare in maniera indipendente la maggiorparte delle informazioni>>, nonostante ripetute richieste di ottenerlo. Solo quando quelle informazioni saranno <<verificate e confermate>> ci potrà essere la certezza che quei 9 dipendenti abbiano <<intrapreso dei comportamenti passibili di sanzione secondo i regolamenti dell'UNRWA>>, anche se <<le informazioni finora ottenute sono state sufficienti a determinare il loro licenziamento>>. Invece la posizione degli altri 10 dovrà essere rivalutata caso per caso.
Inoltre, rispondendo alle domande dei giornalisti, Haq ha dichiarato: <<credo che uno dei 19 sia morto (...) Penso sia importante ricordare che un enorme numero di membri dell'UNRWA si sono sobbarcati di rischi enormi per mesi, assicurando la sopravvivenza di centinaia di migliaia di persone e fornendo loro cibo e alloggio. Vogliamo assicurarci che la reputazione dello staff dell'UNRWA, inclusi i circa 200 morti dal 7/10, sia pienamente considerata (...) ogni tipo di partecipazione agli attacchi è un tradimento immane del lavoro che svolgiamo per il popolo palestinese>>. Per questo si è dichiarato che le indagini andranno fino in fondo.
Non sono stati forniti dettagli sul tipo di coinvolgimento, anche per ragioni legali, ma i particolari contenuti in documenti confidenziali sono stati condivisi con i donatori.
Ricordiamo che in quelle frenetiche ore molti civili gazawi (perlomeno alcuni presunti tali, in quanto non in uniforme) hanno superato la barriera del "campo di concentramento più grande del mondo" (definito così, tra i moltissimi, anche da Gabor Maté, sopravvissuto all'Olocasuto) e si sono dati al saccheggio. Secondo la versione di Hamas sarebbero stati dei civili a prendere in ostaggio diversi israeliani. Restando nel campo delle mere ipotesi i tipi di "coinvolgimento" potrebbero essere svariati: dalla semplice incitazione a commettere determinati atti (magari anche via social-media, facilmente provabile) alla partecipazione all'attacco vero e proprio fornendo un veicolo, per esempio, passando per il saccheggio. Questa è una ragione in più per continuare a esigere, dopo 10 messi di furia genocida, un cessate il fuoco: servono indagini indipendenti su qualunque crimine commesso da chiunque. Infatti gli investigatori dell'OIS <<a causa di problemi di sicurezza non hanno potuto incontrare né soggetti coinvolti né testimoni. Tuttavia, in alcuni casi, l'OIS ha ottenuto delle testimonianze video dai soggetti coinvolti. In un altro caso un soggetto ha fornito un video in cui negava le accuse nei suoi confronti.>>
CANCELLARE L'UNRWA PER CANCELLARE IL DIRITTO AL RITORNO E SPECULARE SUGLI AIUTI UMANITARI
Un monumento con la chiave che simboleggia il diritto al ritorno dei palestinesi. Foto di Reina91 da Wikimedia rilasciata con licenza Creative Commons |
Quando si parla di "diritto al ritorno" si intende quello riconosciuto dalla Risoluzione 194 dell'ONU ai profughi palestinesi e ai loro successori, stabilito sul finire della "prima guerra arabo-israeliana": a loro dovrebbe essere concesso di ritornare nelle terre occupate illegalmente da Israele o di ottenere compensazioni per la perdita o il danneggiamento delle proprietà. Un diritto mai garantito fino a oggi e che è strettamente legato proprio all'esistenza dell'UNRWA, che certifica lo status di rifugiato.
Oltre al diritto al ritorno ci sono vari interessi economici in ballo. Per prima cosa quelli legati alla possibile ricostruzione di Gaza, che dovrebbe essere a carico di chi l'ha distrutta. Tuttavia, ci sono svariate dichiarazioni di tantissimi esponenti della società "civile" e politici israeliani: secondo loro l'ultima offensiva contro Gaza della "democratura" teocratica ed etnocratica israeliana dovrebbe concludersi con una completa occupazione da parte di altri coloni e l'espulsione dei gazawi, e cioè con il completamento della pulizia etnica.
Un altro business riguarda la gestione degli aiuti umanitari. Oltre alla "borsa nera" gestita da criminali locali, incrementata dalla scarsità di aiuti che Israele lascia entrare, ci sono le stesse aziende israeliane a sfruttarne i vantaggi economici. James Smith, un medico che è stato a Gaza, ha dichiarato due mesi fa ai microfoni di "Democracy Now": <<ai camion commerciali provenienti da Israele veniva data la precedenza rispetto all'accesso di quelli con aiuti umanitari. A sud di Gaza abbiamo visto diversi mercati in cui c'erano frutta e verdure fresche con frasi promozionali di industrie israeliane, ma molto poco cibo proveniente dagli aiuti umanitari (...) mi è parso incredibile che lo stesso stato che sta riducendo la popolazione alla fame e commettendo violenze di questo genere a loro danno, stava facendo entrare del cibo che le persone non possono permettersi. Quelli che riuscivano a permetterselo dovevano contribuire all'economia di quello stesso stato, di quell'economia che sta soffocando i palestinesi>>.
Inoltre l'UNRWA è anche custode della memoria dei palestinesi: nei suoi archivi sono conservati frammenti delle storie dei rifugiati e degli abusi che hanno subito. Anche la narrazione storica è oggetto di una lunghissima "guerra psicologica": scopo principale è diffondere la bugia colonial-sionista che i palestinesi non esistono. In altre parole, serve a raccontare la fiaba che la Palestina, prima dell'arrivo del "faro" coloniale israeliano, era solo deserto (uno dei miti fondativi di Israele è quello di essere una "luce" che attrae i "gentili", ossia i non ebrei). Per questo molti definiscono genericamente "arabi" i palestinesi, per cancellarne esistenza e resistenza in nome di una storia basata sulla Bibbia e non su dati concreti, evidenti, inconfutabili... Sostanzialmente negare l'esistenza dei palestinesi, chiamandoli "arabi", equivale a definire gli irlandesi o i canadesi "angli" per cancellarne l'identità.
Per tutti questi motivi l'UNRWA è sotto attacco. Oltre alle accuse e a delle petizioni online per chiederene la chiusura lanciate da "UN Watch" (il cui presidente, Hillel Neuer, è stato ospitato anche in Italia dall'"Associazione 7 Ottobre"), l'Agenzia per i rifugiati palestinesi è stata oggetto di un'altra campagna di disinformazione online (come ha svelato il gruppo israeliano di "Fake Reporter"), oltre a diversi attacchi incendiari alla sua sede di Gerusalemme.
Screenshot delle petizioni per sciogliere l'UNRWA, accusata di essere collusa con il terrorismo. |
Anche se ammettessimo, per assurdo, che tutti i 30000 dipendenti dell'UNRWA fossero dei terroristi assatanati, perché non si parla quasi mai della "controparte"? Perché non si parla dei terroristi coloni? Perché non si parla dei "terroristi di stato" israeliani? Perché non si parla del pericolo sulle speculazioni sulla distribuzione di alimenti da parte israeliana?
Perché non si riesce ad ammettere che la causa originaria del terrore diffuso il 7/10 è l'occupazione illegale israeliana e il suo terrore di stato!
Per questo abbiamo il dovere morale di essere non tanto dei "pro-Pal", "etichetta" sbrigativa e riduttiva, ma di essere pro-verità e giustizia. E per questo dobbiamo impegnarci affinché aziende e governi non facciano affari con un regime di apartheid, come successe in Sudafrica.
Anarco-pacifista
Se hai trovato utili i contenuti tra queste pagine virtuali ti chiediamo un grandissimo favore: aiutaci a condividerli e seguici sui "social asociali" (link sotto) oppure boicottali e connettiti con noi tramite il "Fediverso" (dove attualmente siamo presenti con un profilo Mastodon).
Il modello di giornalismo indipendente e sperimentale che portiamo avanti tende a essere penalizzato dagli algoritmi, da chi li programma e dalle logiche di mercato, specialmente quando parliamo dell'apice del genocidio incrementale in Palestina...
Per questo il tuo supporto è fondamentale. Grazie per essere arrivat* fin qui.
ultima modifica 04/09/2024 15:20
Nessun commento:
Posta un commento