Di seguito trovate la prima “puntata” di una tesi in storia contemporanea, lavoro conclusivo del mio percorso accademico in cui ho conseguito il titolo di Dottore magistrale in Editoria e Scrittura. Questo “lavoraccio”, pubblicato un anno fa e intitolato "L'editoria libertaria italiana: dalla frammentazione della galassia anarchica all'omologazione insurrezionale", si è rivelato cruciale anche per la definizione della mia coscienza politica... In questo primo capitolo troverete una breve storia del movimento anarchico italiano, fusa insieme a uno stringato schema di alcune tappe della storia editoriale italiana e a delle nozioni e considerazioni sul terrorismo e sull’uso della violenza come strumento politico… Ho deciso di dare una certa attenzione a quest’ultimo argomento per la peculiare rilevanza che assume nel contesto “anarchico” (no, anarchia non vuol dire semplicemente caos e violenza se ve lo state chiedendo… anche per questo vi consiglio di proseguire nella lettura e, se vorrete approfondire, di prendere nota dei testi che trovate nella bibliografia).
Buona lettura, grazie per l’attenzione(il testo integrale della tesi lo trovate tramite questo link)! Ps.:non vi risparmiate nei commenti, anche se siete “ravacholisti incalliti” o “tolstoiani fruttariani” e mi insultate, purché diciate qualcosa di costruttivo, grazie!!!
1) Introduzione
Partiamo da una costatazione ovvia: la
comunicazione è l’elemento fondamentale, insieme a concetti e ideologie, di
ogni movimento politico[1].
Meno ovvio, forse, è che a detta di chi scrive la comunicazione politica ha
nell’anarchismo una preminenza maggiore rispetto ad altri movimenti, poiché
l’anarchismo è articolato come <<pensiero non dogmatico e al dogmatismo
ostile[2]>>
e quindi è ontologicamente multiforme e magmatico. In proposito si può
affermare che non c’è <<un anarchismo puro>> quanto piuttosto
<<tanti anarchismi quanti i tempi, i luoghi, i contesti culturali in cui
si manifestano: differenze, difformità e contraddizioni che possono essere
ricondotte a molteplici origini e dunque varie radici>>.[3] Oltre alla “multiformità” intrinseca del
movimento, va tenuto in considerazione che senza poter contare su
<<sponde o appoggi istituzionali>> gli anarchici possono
<<contare esclusivamente sulle proprie forze, e di conseguenza>>
assume un ruolo cruciale rispetto ad altri movimenti più “ortodossi” <<lo
spazio affidato al lavoro di propaganda>>[4].
Sin dai tempi dei primi contrasti tra i cosiddetti organizzatori e antiorganizzatori, e poi passando per gli anni di piombo giungendo infine al “primitivismo[5]” di alcuni black bloc, la “propaganda col fatto”[6], per coloro che la ammettono eticamente, non è stato certo l’unico tipo di attività propagandistica, oltre a essere promossa, essa stessa, con i vari mezzi di comunicazione. E questa propaganda, unita alle teorizzazioni dei modelli di diverse società anarchiche e di metodi e pratiche per giungervi, insieme alla ricorrente esigenza pedagogica e formativa delle masse o delle “nicchie”, ha prodotto e continua a produrre una intricata mole di contenuti. In più bisogna considerare anche la produzione poetica, narrativa, iconografica, documentaristica, musicale e cinematografica che contribuisce alla creazione di un’identità libertaria (forse sarebbe meglio dire di una pluralità di identità accomunate dall’antiautoritarismo e dal preminente valore attribuito alla libertà).
Senza la pretesa di trattare in
maniera esaustiva l’argomento, questa tesi si focalizza principalmente sul web
e sulle case editrici oggi ancora attive, con un’attenzione specifica a quelle
di matrice anarco-insurrezionalista; ma è anche un tentativo di abbozzare una
sorta di mappatura dei media “libertarianeggianti”: una marea di contenuti al
tempo stesso frammentaria e organizzata[7]. Non si ha quindi la pretesa di disegnare una
“mappa” definitiva che permetterà l’uscita dal labirinto delle svariate
connessioni comunicative, mediatiche e storiche ma piuttosto di tracciare
alcune “direzioni” per tentare un primo orientamento: inizio di un lavoro
simile al poderoso censimento di un secolo di periodici anarchici iniziato da
Leonardo Bettini[8],
ma che pone al centro ciò che concerne il web e la presenza in esso
dell’anarco-insurrezionalismo.
Ritengo che la mole di prodotti
editoriali dell’universo libertario sia allo stesso tempo frammentaria e
organizzata, oltre che omologata in certi casi: frammentaria in quanto riflette
le spaccature del movimento, gli svariati orientamenti, gli obiettivi
politico-sociali e i mezzi da usare per raggiungerli. Ma è anche organizzata:
la frammentarietà dei diversi pensieri dell’universo libertario può essere
anche generata da teorie e sistemi definiti, precisi, e ciò può valere sia per
le correnti organizzatrici che reclamano l’esistenza di una struttura
pseudo-partitica, dotata di un programma, e con la principale funzione di
coordinamento, sia per quelle antiorganizzatrici[9],
di solito portatrici di istanze più orientate in senso spontaneista e
individualista. È ciò vale sia per i raggruppamenti “di sintesi” (che ricadono
sotto l’ombrello del cosiddetto “anarchismo senza aggettivi”), cioè quelli in
cui confluiscono militanti di diverse tendenze libertarie, sia per quelli che
si riuniscono intorno a un programma specifico, come nel caso del
“piattaformismo” (definibili come “federazioni di tendenza”). Paradossalmente
anche chi sceglie la disorganizzazione caotica dell’anarchia nel senso di
“anomia” (l’anarchia che non ammette regole di alcuna sorta, più ricorrente nel
lessico comune e in quello dei media che nel gergo storico-politico) sta in
realtà scegliendo di organizzarsi, anche se in una maniera casuale e caotica.
Si pensi agli anticivilizzatori che, nell’eterogeneo mondo dei black bloc,
mirano alla mera distruzione tot court della società “moderna” per instaurarne
una primigenia e pre-neolitica. Anche loro si organizzano, seppure in maniera
estemporanea e disordinata, per distruggere e danneggiare i simboli delle
istituzioni del potere e del biasimato progresso, come banche e fast food ...
Questi poi potranno produrre testi di rivendicazione o preparazione delle loro
azioni che, a loro volta, sono il risultato di teorie e tentativi ossimorici di
organizzare la disorganizzazione.
Inoltre la produzione di contenuti
libertari è organizzata perché, come provo a dimostrare, perfino le
pubblicazioni dei cosiddetti “antiorganizzatori” e insurrezionali-nichilisti
implicano un certo grado di coordinamento e anzi, molte di queste finiscono per
omologarsi a vicenda in merito a contenuti, registro linguistico e teoria
politica. In altre parole: le tendenze, frammentabili in svariati rivoli
ideologici, sigle e associazioni, richiedono almeno un grado minimo di
organizzazione per divulgare pensieri e strategie.
In questa introduzione si trovano
alcune premesse sul terrorismo, sulla genealogia dell’anarco-insurrezionalismo,
sul movimento anarchico in Italia e sulla storia dei media italiani. Il secondo
capitolo fa una panoramica delle case editrici tradizionali e delle sigle
editoriali informali. Il terzo è dedicato alle riviste, in particolare quelle
collegate alle realtà menzionate in quello precedente. Il quarto si occupa
dell’ambito web.
Nel capitolo conclusivo è contenuta
una breve rassegna di altri prodotti mediali, oltre alla menzione dei progetti
portati avanti dalla componente libertaria “non ortodossa” (rappresentata dai
cosiddetti “anarco-capitalisti” e dal Partito Radicale) e ad alcune
considerazioni finali.
1.1) I tre periodi del movimento, i tre
“anarchismi” e le tre fasi dei “media”
In questo paragrafo, in maniera estremamente sintetica, cercherò
di affrontare una serie di eventi e premesse fondamentali riguardanti le
trasformazioni del movimento anarchico e del panorama editoriale-mediatico in
Italia.
Una possibile suddivisione della storia del libertarismo in Italia
si articola in tre periodi: il primo dalla nascita alla grande guerra, il
secondo nel periodo dei totalitarismi e il terzo all’incirca dagli anni
sessanta in poi[10].
Ritengo che si possa abbozzare un’ulteriore periodizzazione che,
invece della fasi dei movimenti anarchici, tenga conto degli sviluppi
tecnologici nel campo della comunicazione, e che coinciderebbe parzialmente con
la precedente: una prima fase che va dalla nascita delle prime imprese
editoriali fino all’avvento della radio e della televisione. La seconda
coinciderebbe dunque con quella che alcuni chiamano la “terza rivoluzione
industriale”, ossia quel periodo che coincide grossomodo con la seconda metà
dello scorso secolo e che vede l’irrompere sulla scena comunicativa dei primi
personal computer e dei Bulletin Board
System. Infine il terzo periodo sarebbe quello della “quarta rivoluzione
industriale”, quella dei giorni nostri, dove il web, i big data e la comunicazione sui social network la fanno da padrone.
A ogni modo, per quanto riguarda questo lavoro, parlando dei diversi periodi,
mi riferirò alla prima suddivisione temporale.
Partiamo dal primo periodo:
nel corso della seconda metà dell’ottocento incomincia a delinearsi, anche
in Italia, la figura dell’editore, che sostituisce quella dello
“stampatore-libraio[11]. Sono due
i principali modelli editoriali nel panorama italiano del diciannovesimo
secolo: quello milanese in cui <<l’aspetto commerciale si intrecciava con
l’intento di diffondere la cultura e il sapere a un pubblico nuovo (più vasto)
sulla scorta di quei principi illuministici (…) conservati anche dai primi
scrittori romantici (…) importante per le sue esortazioni a un rinnovamento e
allargamento culturale cui l’editoria non poteva restare estranea>>[12]. Nel
capoluogo lombardo verso la fine del secolo si costruiva <<un modello di
editoria imprenditoriale rivolta al consumo - e quindi ai generi di maggiore
leggibilità -, sulla base del quale si determinava un’omogeneizzazione del
mercato librario in chiave giornalistico-letteraria>>, soddisfacendo le
esigenze di un mercato che <<si stava allargando numericamente a fasce
socialmente più basse, dalla piccola borghesia impiegatizia al proletariato
operaio>>[13].
L’altro punto di riferimento editoriale ottocentesco è quello fiorentino, nel
quale <<continuava la riflessione dei primi romantici, con gli scrittori
raccolti intorno alla rivista “Antologia”>> e in cui <<emergevano
invece, con maggiore evidenza, le potenzialità politiche, in chiave
risorgimentale, dell’impresa editoriale>>, e che vede come protagonista
Felice Le Monnier. Questi <<concepisce l’editoria come un’autonoma
attività imprenditoriale rivolta a un profitto, ma è altrettanto convinto della
necessità (…) di intervenire sul piano politico-culturale per diffondere, con
libri dal prezzo relativamente basso, gli ideali nazionali di un’Italia ancora
divisa>>[14].
Il carattere innovativo dell’editore di Verdun si ritrova anche nella scelta di
cominciare a pagare gli autori, in un’epoca in cui il diritto d’autore non è
ancora fissato per legge[15]. Il suo
modello imprenditoriale è quello dell’<<operatore politico-culturale,
piuttosto che quello di un editore commerciale tout court o di un animatore culturale sostenuto solo dai suoi
ideali>>. Ideali politici che venivano diffusi anche tramite la
letteratura[16]
e quindi, in questo caso, con la celebre collana “Biblioteca Nazionale[17]. Nello
stesso periodo si può collocare la nascita “ufficiale” dell’anarchismo con
Pierre-Joseph Proudhon, <<anello di congiunzione tra i pensatori
precedenti – intellettuali prevalentemente non militanti (…) e quelli
successivi: Bakunin e Kropotkin, infatti, furono insieme sia pensatori sia
militanti politici e organizzatori>>[18]. In questo
periodo è da segnalare la repressione, giuridica e “mediatica”, del movimento
anarchico che in Italia tocca l’apice con le leggi “antianarchiche”[19] del 1894
(del contesto in cui furono attuate si parlerà più avanti). Repressione che
riprenderà ovviamente nel “secondo” periodo, con l’avvento del fascismo.
Sul versante dell’imprenditoria editoriale, un altro cambiamento
importante, avviene negli anni trenta del novecento con l’emergere dalla figura
dell’ “editore protagonista”, ossia quella figura <<capace di imprimere
una forte personalizzazione al suo progetto e all’intero processo che va dalla
scelta del testo alla veicolazione del prodotto>>[20]. Figura di
un arco di tempo che dura fino agli anni settanta e che segna il passaggio
dell’editoria italiana <<da una fase artigianale o pre/proto-industriale
a una fase industriale avanzata>>[21].
L’entusiasmo del dopoguerra <<con l’ansia di novità e
rinnovamento di molti scrittori e intellettuali>> e il <<comune
desiderio d’avventura e scoperta dopo anni di oppressione e grigiore>>[22] riguarda
anche la propaganda anarchica. Invece sul versante storiografico, nei primi
vent’anni del dopoguerra, l’interesse da parte dei libertari verso le proprie
radici è scarso: <<accanto al sostanziale
e progressivo declino della presenza anarchica nella vita sociale e politica
italiana di quegli anni>> si assiste a <<un altrettanto sostanziale
declino della capacità di riflessione del movimento sul proprio passato>>[23]. Fatta
eccezione per i lavori di Ugo Fedeli e Pier Carlo Masini[24], la storia
degli anarchici in questo lasso di tempo viene analizzata principalmente da
studiosi marxisti, e quindi da una prospettiva che tende a relegare il
movimento libertario in posizione secondaria, dipingendolo come un tipo di
<<socialismo primitivo e ascientifico>>[25]. Una
tendenza che si invertirà a partire dagli anni settanta, principalmente grazie
all’opera di “storici militanti”[26]. Nel
secondo dopoguerra il movimento inizia a perdere <<via via quasi tutti
gli originari caratteri popolari>>[27]
trasformandosi <<da movimento politico sociale con agganci classisti, a
movimento politico culturale con agganci a-classisti>>[28]. Inoltre,
dopo la costituzione della Federazione Anarchica Italiana nel 1945 e quindi del
tentativo di “sintesi” che precede nuove spaccature ideologiche[29], è segnato
da una frattura generazionale dovuta ai turbamenti e al dissesto creato dal
conflitto, da una <<mancata elaborazione teorica>> che tende a
indirizzarlo monodirezionalmente <<verso il legittimo e continuo richiamo
ai temi classici e al pensiero di Errico Malatesta>>, e dall’attitudine a
ripiegarsi su sé stesso[30]. Questi
fattori ne determinano l’impreparazione ad affrontare i due decenni successivi,
anni di profondi rivolgimenti e fermenti socio-culturali, del boom economico,
del “sessantottismo”, della lotta armata, di controculture politiche e
artistiche: <<Per dirla in poche parole [il movimento] si era gonfiato nel 1945-‘46 e poi
sgonfiato per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta>>[31]. Queste
componenti, insieme alle matrici del pensiero libertario che si ritrovano “all’esterno”
del movimento negli anni Sessanta e Settanta, e cioè principalmente le “pulsioni”
auto-gestionarie e le pratiche antigerarchiche, sanciscono <<l’insuccesso
storico e il successo teorico dell’anarchismo>>: l’emarginazione e il
ruolo di secondo piano nella scena politica si affianca all’utilizzo (a volte
inconsapevole e dovuto <<a ignoranza>>) o al “saccheggio” <<a
piene mani, e senza alcun pudore>> di <<molte teorie, intuizioni,
schemi di pensiero, e vere e proprie genialità, prodotti dal pensiero anarchico
e libertario>>[32]. Sul
versante mediatico la novità “autogestionaria” più rilevante di questo periodo
è quella del fenomeno delle “radio libere”[33], preceduta
da volantini e riviste ciclostilati come “Mondo Beat” e “Provo”[34].
A proposito dell’anarco-insurrezionalismo e del lottarmatismo,
tema caratterizzante gli “anni di piombo”, bisogna sottolineare il ruolo della
corrente riconducibile ad Alfredo Maria Bonanno[35], una
<<”frazione” importante del movimento che sviluppa un’impostazione
organizzativa basata sul concetto dei gruppi di affinità e che si dà quale
forma primaria l’attacco insurrezionale immediato alle strutture del
dominio>>. Questa corrente si basa <<sulla convinzione che il ruolo
degli anarchici sia quello di dare vita ad atti di rivolta contro il sistema di
dominio ogni qual volta sia possibile>>[36]. La FAI,
in un congresso del 1977, <<condanna la tattica esclusivamente militare
delle formazioni armate di stampo leninista>> adottata sia <<da
formazioni “miste”>> che da <<Azione rivoluzionaria (Ar), struttura
anarchica semiclandestina contigua al resto del movimento>>[37]. La repressione
che seguirà negli anni ottanta, insieme alla diffusione dell’eroina, porterà
<<alla morte molti militanti e alla scomparsa di intere situazioni di
movimento>>, determinando anche <<la fuga verso una dimensione
individuale>> e una riduzione drastica dell’attività di molti militanti[38].
In questo decennio (e negli ultimi anni di quello che lo precede)
un ruolo cruciale è giocato anche dai “figli” dei “figli dei fiori”: la cultura
punk <<influenza e cambia (…) linguaggi e contenuti
dell’anarchismo>> insieme all’<<affermarsi degli squat e dei centri sociali, che
riattualizzano il tema dell’autogestione e dell’autoproduzione e traghettano le
nuove generazioni di libertari fin dentro gli anni Novanta>>. La valenza
della cultura dell’autogestione e dell’autoproduzione si ritrova anche nel lato
“pubblicistico-informale”: in continuità con le riviste “underground”
ciclostilate, e grazie alle innovazioni tecnologiche che facilitano la
riproduzione di testi e immagini, continua l’espansione dei contenuti “DIY”,
acronimo dell’imperativo “Do It Yourself!”
(cioè “auto-produci!”). Le fanzine[39],
antesignane cartacee delle digitali webzine[40],
costituiscono dalla fine degli anni settanta uno strumento tanto rilevante
quanto “sfuggente” e spesso velleitario, nel panorama della comunicazione
“antagonista”. Di solito sono dei “fogli” dall’aspetto grafico semplice e con
un’impaginazione essenziale, e di cui spesso ne viene incitata la riproduzione
da terzi, seguendo una logica diversa da quella del copyright e più affine a quella
del copyleft. I contenuti sono i più
svariati[41]:
da quelli legati a una singola sede politica fino a quelli dedicati a un
particolare genere musicale, passando per i pamphlet “sovversivi-nichilisti” (a
questi ultimi in particolare si dedicano varie pagine di questo elaborato).
Dagli anni Ottanta e Novanta in poi le lotte e le riflessione
degli anarchici in Italia e all’estero, e di riflesso anche quelle delle frange
insurrezionali, si vanno legando sempre maggiormente a temi come quello della
pedagogia, dell’avversione al patriarcato e soprattutto all’ecologia. Ritengo
che ciò avvenga in una qualche misura da sempre, anche se seguendo dinamiche
specifiche e fasi storiche diverse: per esempio la lotta “specifica” contro il
nucleare appartiene, ovviamente, alla nostra epoca in particolare, così come
quella legata alla “Tav/Tac” in Val di Susa.
Non è un caso che una delle principali azioni criminali della
sezione italiana delle “Federazione anarchica informale – Fronte rivoluzionario
internazionale” (abbreviata in FAI-FRI) sia la gambizzazione
dell’amministratore delegato dell’Ansaldo Nucleare nel 2012, perpetrata
materialmente da Alfredo Cospito. Evento al centro del processo “Scripta
Manent” e ricorrente in questo scritto, in particolare per quanto riguarda
questioni “pubblicistiche” della coeva area insurrezionale.
Per quanto concerne il versante
mediatico, la fine del “terzo” periodo è caratterizzata da un’esplosione e
un’espansione delle possibilità comunicative ed editoriali, soprattutto quelle
in proprio, permesse dallo sviluppo delle tecnologie delle telecomunicazioni, e
dalle conseguenti possibilità <<inusitate di comunicazione
“orizzontale”>> che hanno stravolto le pratiche politiche del Novecento[42].
Siti web e progetti multimediali sbucano dietro ogni angolo del mondo virtuale,
in una maniera che forse non è troppo dissimile dalla proliferazione degli
innumerevoli periodici e fogli del periodo “classico” (cioè il “primo” qui
analizzato): probabilmente ciò è anche il risultato di esigenze basate sulle
diversità di visioni politiche, oltre che di fattori contingenti come quelli
legati alla censura e alla repressione, proprio come nel “primo” periodo, anche
se con dinamiche mutate. II web, con la sua struttura ipertestuale, e le
tecnologie informatiche più in generale, facilitano le connessioni relazionali
e la circolazione di pensieri, almeno per quanto riguarda l’abbattimento di
barriere spaziali e temporali, mentre possono giocare a sfavore nel livello di over-loading informativo e nell’aspetto
qualitativo dei contenuti. Anche la questione della diffusione virale di fake
news (le quali non sono certo un’invenzione odierna), come potenzialmente
quella di ogni altro prodotto mediatico, è legata al livello di complessità
delle comunicazioni oltre che agli aspetti cognitivi e culturali della
ricezione di queste[43].
Infine, ripropongo una schematizzazione tripartita del movimento
dello storico Giorgio Sacchetti, utile anche per enunciare alcune sigle
ricorrenti in questo elaborato: <<Nella
dizione “Movimento anarchico italiano” si comprendono, oltre ai gruppi autonomi
(cioè non-federati), le sigle delle organizzazioni costituite in ambito
nazionale: la Fai (Federazione anarchica italiana), fondata nel 1945; i Gia
(Gruppi di iniziativa anarchica), scissione anti-organizzatrice del 1965; e i
Gaf (Gruppi anarchici federati) attivi come tali nel 1970-1978 e poi presenti
come area culturale. Allo stesso tempo,
nel crogiolo di quei decenni [gli anni Settanta e Ottanta], si individuano i
tre anarchismi contemporanei, che grossomodo corrispondono alle aree politiche
e antropologiche differenziate del libertarismo: una “ufficiale” incarnata
dalla Fai; l'altra di riflessione teorica, caratterizzata da un dinamismo editoriale
e culturale notevole; la terza infine, inafferrabile e sulla bocca di tutti, quella
“anarco-insurrezionalista”>>[44].
Sempre secondo Sacchetti, e come spiego meglio nel prossimo paragrafo, la FAI
si situa in una posizione intermedia, sia nel “secondo” che nel “terzo” periodo
in esame in questo paragrafo: <<La posizione di medianità assunta
nell’ambito del più vasto movimento libertario italiano, fra “sinistra”
classista (“gaapista”[45] poi
piattaformista) e “destra”culturalista, evocata da Berti[46] e
riferibile al periodo che va dal dopoguerra agli anni Settanta, si confermerà
anche nelle epoche successive>>[47].
1.1.2)
I tre “poli ideologici” dell’anarchismo italiano e il tasso di rivoluzionarismo
inversamente proporzionale all’elaborazione teorico-culturale
Giorgio Sacchetti ha proposto una
schematizzazione del movimento italiano tripartita e con un collegamento
proporzionale tra il grado di <<elaborazione teorica e di acculturazione
politica>> connesso al <<tasso
di rivoluzionarismo>>: a un estremo la corrente insurrezionalista nota ai
più perché analizzata <<da media e veline poliziesche sempre più
all’unisono>>; al centro <<la storica e scalcinata Federazione
Anarchica Italiana fondata nel 1945, in odor di
inconcludente moderatismo socialdemocratico>>[48] e infine l’ultima entità,
quella degli “ex” Gruppi anarchici federati[49]. A un’estremità dunque ci
sono gli insurrezionalisti con il più alto tasso di componenti e istanze
“rivoluzionarie”, al centro la FAI dove si assiste a <<un calo
verticale>> di questo tasso che poi si azzera con i GAF più a destra.
Viceversa, considerando <<invece il livello di capacità di elaborazione
teorica e di acculturazione politica, questo, dalle quote medio basse che si
riscontrano nei primi due anarchismi, balza all’improvviso ad altezze
stratosferiche solo appropinquandosi all’area culturale, come è naturale che
sia>>[50].
In realtà, con una certa forzatura
ideologica si può andare ancora più a destra: dopo essere passati attraverso il
partito dei Radicali, si arriverebbe propriamente nell’alveo della destra, dove
si collocano altre correnti che vanno ad ampliare la frammentarietà intrinseca
della classificazione libertaria e anarchica, anche se per alcuni queste
ideologie sono intrinsecamente e teoreticamente non anarchiche e libertarie: mi
riferisco agli anarco-capitalisti, ultraliberisti anti-statalisti e
antidirigisti che professano la libertà e l’autoregolamentazione del “mercato”,
da sé, e delle correnti anarco-nazionaliste. Inoltre, se pure verranno citati
alcuni esempi di editoria di quest’area “libertariana” e di destra, ritengo che
il loro apporto quantitativo, se non anche quello ideologico e teorico, nel
panorama editoriale libertario italiano è decisamente modesto se non scarso … E
sempre escludendo dalla destra, propriamente detta i radicali che, soprattutto
con l’omonima radio, svolgono un servizio informativo degno di nota.
Due, delle tre entità individuate da
Sacchetti, possono essere sicuramente indicate anche come i “big” dell’editoria
“tradizionale” nell’area anarchica, oltre che maggiormente conosciute tra i
militanti libertari e non: le produzioni degli “ex Gaf” con “Elèuthera” e “A
rivista anarchica” che sono i loro prodotti editoriali più noti; e la
Federazione Anarchica Italiana con l’editrice “Zero in condotta” e il
settimanale “Umanità Nova”.
Ci sarebbero poi, avvicinandosi verso
il polo sinistro, le edizioni de “La Fiaccola” fondate dall’instancabile Franco
Leggio (di quelle esistenti è la più antica nel paesaggio anarchico) con il
periodico “Sicilia Libertaria” (oggi anche online), e le “Edizioni Anarchismo”
di Alfredo Maria Bonanno considerabili come un ibrido tra editoria tradizionale
cartacea militante (anche se con connotati insurrezionali) e l’autoproduzione
offerta gratuitamente tramite “l’online”. Infine, questo flusso ideologico,
culturale e mediatico, sbucherebbe all’ estremo del polo nelle autoproduzioni
meno tradizionali, di solito completamente gratuite, a sottoscrizione
volontaria o a prezzi quasi simbolici, e dominate dall’ambito insurrezionale.
1.2) Premessa sulle radici dell’anarco-insurrezionalismo
odierno e sul terrorismo
Pur non potendo affermarlo con il
rigore di uno studio statistico penso comunque che le pubblicazioni dell’ambito
insurrezionale sono numericamente più consistenti nella galassia
anarco-libertaria italiana, superando –almeno nel web- sia le altre
“autoproduzioni” che i prodotti delle “case editrici” più tradizionali. Questo
è il principale motivo per cui mi sono focalizzato sulle pubblicazioni on-line
dell’ala “dura” e intransigente del movimento. Occorre quindi inquadrare
preliminarmente, seppure in maniera estremamente sintetica e non esaustiva, i
termini “insurrezionalimo” e “terrorismo”, oltre ad alcuni concetti
politologici e sociologici connessi a questi. Fatto ciò cercherò di tracciare
la genesi dei movimenti insurrezionali italiani, soffermandomi sull’aspetto
mediatico di questa “geneaologia”.
1.2.1)
Terrorismo, insurrezione e i “pregiudizi” sulla violenza
Partendo da un punto di vista prettamente semantico il termine terrorismo
ha almeno tre significati principali. Il primo indica un <<metodo di
governo fondato sul terrore>> ed è connesso all’etimologia del termine,
cioè alla fase della rivoluzione francese nota come “Terrore”[51].
Il secondo, quello principale nel linguaggio comune corrente, è quello
indicante <<l’uso sistematico del terrore
al fine di ottenere un risultato politico, qualunque esso sia>>, una
definizione che <<in qualche modo si attaglia anche alla guerra e, più in
generale, anche agli Stati[52]>>.
Non è un caso quindi che la stessa etimologia del termine risalga a un sistema
impiegato da un governo[53],
mentre oggi si tende ad attribuirlo soprattutto a singoli o gruppi che tentano
di influire sulle decisioni di un’organizzazione statale. Infine c’è l’uso
figurato del termine che indica <<metodi di polemica culturale o di
pressione psicologica fondati sull’uso di argomenti semplicistici e
intimidatori[54]>>.
Dal punto di vista giuridico non
esiste una definizione univoca del termine[55]
anche se, a partire dagli anni ottanta, si è cominciato ad affermare il
principio secondo cui non era la legittimità dello scopo ultimo di un’azione
violenta a tracciare il confine tra un atto terroristico e uno legittimo (in
quanto finalizzato al diritto di autodeterminazione e indipendenza), bensì la
stessa strategia atta a infondere paura e che rifugge il combattimento vero e
proprio, oltre a colpire deliberatamente
e indistintamente vittime sia civili che militari[56].
Quindi, prima dell’affermarsi di questo nuovo punto di vista (che incentra la
nozione di terrorismo intorno alle tattiche seguite e non allo scopo ultimo
perseguito) l’aforisma che recita “one man’s terrorist is another man’s freedom
fighter” e che indica il sottile confine tra il giudicare dell’azioni come atti
di terrorismo o il combattere per la libertà, era sostanzialmente valido.
Diversamente, oggi, si può affermare: <<Non è vero che è impossibile
distinguere un terrorista da un combattente per la libertà: il punto è che col
dire che il terrorista di uno è il combattente per la libertà di un altro,
semplicemente si confonde l’obiettivo con l’attività. (…) Questa tattica può
essere utilizzata da individui o gruppi che perseguono qualsiasi tipo di
obiettivo finale, ivi inclusa la liberazione nazionale, ed in effetti nella
storia ciò è frequentemente avvenuto>>[57].
Per questo, ritornando nel campo linguistico, di solito l’aggettivo
“terrorista” ha una connotazione negativa, mentre parole come “guerriglia” e
“insurrezione”, insieme a “combattenti per la libertà” (freedom fighters in inglese) o “partigiani” sono associate a
individui e movimenti che, si ritiene, usano legittimamente la violenza[58].
Naturalmente non è detto che queste parole abbiano una connotazione positiva di
per sé.
La parola insurrezione infatti indica l’organizzazione
del dissenso verso governi e istituzioni, finalizzata al loro rovesciamento con
mezzi violenti ed extralegali, con il coinvolgimento delle masse popolari. A questo punto risulterà chiaro che il terrorismo
e la guerriglia sono delle tattiche, dei metodi che possono essere usate
all’interno di una strategia insurrezionale[59].
Spostandoci verso il contesto
sociologico (e più nello specifico nell’ambito mediatico-comunicativo,
maggiormente in considerazione in questo frangente) e prendendo in esame il
concetto più generico di “violenza”, si può definire un atto “fisicamente”
violento quello caratterizzato da tre elementi: la finalità del danneggiamento
“fisico” per l’appunto, la volontarietà dell’azione e il modo diretto o
indiretto tramite cui l’atto viene realizzato, ossia se si danneggia
immediatamente l’obiettivo dell’azione o se vengono minate le risorse materiali
a sua disposizione[60].
Dunque, tralasciando per il momento questioni come la violenza verbale atta ad
aizzare le “masse” o quella psicologica che può derivare da un’azione
“materialmente” aggressiva, l’approccio per una definizione della violenza nel
campo socio-politico in un’ottica “avalutativa-weberiana”[61],
deve tenere presente e allo stesso tempo scartare due concezioni della violenza,
che lo studioso Mario Stoppino aveva identificato con le espressioni
“pregiudizio del conservatore” e “pregiudizio del ribelle”, in quanto entrambi
parziali.
Secondo il primo tipo di preconcetto
<<la violenza incarna una specie di tabù sociale, che porta alla condanna
morale di qualsiasi atto fondato su risorse coercitive>> diverse da
quelle usate dallo Stato (e non è secondario il fatto che un governo si
caratterizza anche per il monopolio della “forza”). Nel caso del secondo
preconcetto invece si esalta la violenza <<come un fatto positivo, che
promuove la rigenerazione della società su basi rinnovate e
solidaristiche>>[62],
e il ricorso a mezzi estremi è giustificato, viceversa, come legittima risposta
agli abusi dello “Stato” o del “sistema”.
Inoltre una delle fondamentali
caratteristiche della violenza esercitata dagli Stati è la prevedibilità: di
norma le circostanze e le regole che determinano delle punizioni o degli atti
di guerra “vera e propria”, convenzionale, sono anticipatamente manifeste, mentre
i terroristi attaccano in maniera casuale, incalcolabile, generando così paura
e incertezza[63].
La strategia terrorista consegue almeno tre risultati in campo sociale: oltre
ad attirare l’attenzione e ad affermare, come si è detto, la legittimità del
proprio uso della forza, si mira anche all’ottenimento del sostegno all’interno
della comunità[64].
Quest’ultima conseguenza è la meno scontata, essendo la strategia terrorista
un’arma a doppio taglio che può finire con alienarsi il consenso delle
popolazione.
Da una prospettiva storiografica il
terrorismo moderno, come fenomeno internazionale, può essere diviso in quattro
“ondate”, secondo lo schema proposto dallo studioso americano e professore di
scienze politiche David Charles Rapoport[65]:
la prima ondata è identificata come quella “anarchica”, iniziata negli anni
ottanta dell’ottocento e durata per quarant’anni circa. In Italia potremmo
considerarla conclusa con il regicidio a opera di Bresci e, come si spiega
nelle prossime righe, gli italiani sono stati protagonisti di questi eventi. La
seconda, definita “anti-coloniale”, arriva agli anni sessanta del novecento. La
terza, indicata come quella della “New Left”, si sarebbe perlopiù esaurita
negli anni novanta e, infine, l’inizio di quella “religiosa” viene posto alla
fine degli anni settanta.
1.2.2)
“L’Idea” risorgimentale e quella internazionalista
Recentemente, anche a seguito delle politiche della memoria
portate avanti dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, si è riacceso il dibattito
sul cosiddetto “secondo Risorgimento”: l’espressione indica il periodo storico
della Resistenza interpretato come il pieno compimento, tramite l’esito
repubblicano e costituzionale, del “primo” che aveva portato all’unità[66].
Mentre la continuità ideologica e politica tra le lotte che hanno portato
all’unità d’Italia e la Resistenza è ancora oggetto di accese discussioni, non
c’è dubbio che <<il legame tra la tradizione risorgimentale, mazziniana e
garibaldina, con l’Internazionale, gli anarchici e i socialisti è cosa nota e verificabile
non solo sul piano della trasmissione delle emozioni e delle suggestioni, ma
anche nelle biografie di personaggi come>> molti “anarco-garibaldini”,[67]
tra i quali probabilmente il più noto è Amilcare Cipriani. Alla base di questa
continuità c’era il modo di pensare <<di derivazione risorgimentale in
cui libertà dei singoli e libertà dei popoli si intrecciavano e confondevano e
in cui la pianta dell’internazionalismo affondava le sue radici in un terreno
impregnato più del volontarismo mazziniano che del determinismo del socialismo
scientifico>>[68].
Proprio <<la pervicace tendenza a tenere insieme Marx, Mazzini e
Garibaldi rendeva i “maledetti italiani” le pecore nere
dell’internazionale>> agli occhi di Engles, e <<anche Bakunin
veniva preso in contropiede quando alla chiamata di Garibaldi, i suoi più
fidati collaboratori italiani lasciavano tutto e correvano ad
arruolarsi>>[69].
Questa continuità tra l’etica del dissenso e dell’azione, la voglia di libertà
e gli ideali rivoluzionari dei liberal-democratici e degli anarchici-socialisti
si manifestava anche nei legami personali di molti “sovversivi”, con influenze
di pensiero reciproche (e in alcuni casi anche di militanze condivise) tra la
generazione dei “garibaldini” e quella degli internazionalisti[70].
Infine non è di secondaria importanza
in questo contesto ricordare che Garibaldi aderì alla “prima internazionale”[71].
1.2.3)
Le radici sovversive ottocentesche dell’anarco-insurrezionalismo di oggi e i
primati “terroristici” italiani
Ci sono due attentati che precedono
quelli avvenuti durante l’ “ondata anarchica”, quella che Rapoport chiamata
anche l’ “età d’oro degli assassinii”[72],
e messi in atto per l’appunto da anarchici, quasi sempre italiani. Nel 1856
Agesilao Milano, figlio di un carbonaro, dopo aver prestato giuramento al re
Ferdinando II di Borbone tentò di ammazzarlo colpendolo con la baionetta,
riuscendo però solo a ferirlo. Due anni dopo Felice Orsini, che era stato
iscritto alla Giovine Italia ma poi si era allontanato da Mazzini, con il
supporto di altri tre “patrioti-terroristi” attentò alla vita di Napoleone III[73].
Furono usate tre bombe a mano, progettate da lui stesso (e da cui presero il
nome) e innovative per l’epoca dato che si innescavano scontrandosi con una
superficie dura: il tentativo fallì, l’imperatore e la sua consorte rimasero
illesi mentre otto persone morirono e più di centocinquanta rimasero ferite.
Sempre prima dell’ondata
“terroristica” e dopo la nascita del Regno ci furono anche due tentativi di
scatenare un’insurrezione <<nella certezza che il tempo della rivoluzione
fosse imminente, o almeno che – mazzinianamente – l’azione avesse un alto
valore pedagogico, anche al di là dei suoi esiti>>[74].
Dei due tentativi velleitari, o al limite “dimostrativi”, il primo nel 1874
fallisce sul nascere, mentre il secondo nel 1877, identificato dai più come
l’impresa della “banda del Matese” (dal toponimo della zona tra la Campania e
il Molise) viene comunque bloccato, anche se con un dispiego di forze maggiore.
Inoltre l’obiettivo insurrezionale viene parzialmente realizzato dal punto di
vista “strategico” e, maggiormente, dal punto di vista propagandistico, dopo
una vicenda processuale intricata che vede per la prima volta Francesco Saverio
Merlino nelle vesti di avvocato difensore[75].
Tra i circa di duecento partecipanti alle sommosse (sommando entrambi i
tentativi) vi erano Andrea Costa, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta.
Nel 1878 Giovanni Passannante prova ad
accoltellare Umberto I di Savoia mentre sfila a Napoli a pochi mesi dal suo
insediamento, ferendolo lievemente, e gridando: <<morte al re! Viva la
repubblica universale, viva Orsini>>.
Undici anni dopo, sempre a Napoli,
Emilio Caporali, un <<simpatizzante repubblicano di idee anarchiche[76]>>
ferisce con una pietra un ex repubblicano eccellente passato alla monarchia, il
presidente Francesco Crispi.
Nel 1894 sempre Crispi è vittima di un
altro fallito attentato: Paolo Lega tenta di fare fuoco con una pistola che si
inceppa, ne ha un’altra con sé ma il secondo tentativo viene stroncato dal
cocchiere che guida la carrozza in via Gregoriana a Roma. Dopo l’evento saranno
approvate le “leggi antianarchiche”.
A distanza di una settimana, nel
Giugno dello stesso anno, Sante Caserio pugnala a morte il presidente della
Repubblica francese Carnot: voleva vendicare un altro anarchico francese,
Auguste Vaillant, reo di un attentato dinamitardo contro il parlamento francese
che aveva provocato molta paura ma nessun morto, e al quale non era stata
concessa la grazia.
Pochi giorni dopo Oreste Lucchesi,
istigato da altri compagni livornesi, mette fine alla vita di Giuseppe Bandi,
garibaldino che dalle colonne de “Il Telagrafo” attaccava Caserio e gli altri
<<professori di violenza>>[77].
Nel 1897 Michele Angiolillo uccide a
revolverate Antonio Cánovas del Castillo,
presidente del Consiglio spagnolo. Voleva vendicare torture e condanne subite
da centinaia di anarchici arrestati dopo che, l’anno prima, una “bomba alla
Orsini” aveva ammazzato una dozzina di persone e ferito altre trenta a
Barcellona durante una processione. Nello stesso anno il romano Pietro
Acciarito che <<frequenta qualche volta
ambienti socialisti e circoli anarchici, senza peraltro essere anarchico o
riconosciuto come tale[78]>> si avventa
con un coltello su Umberto I, durante i festeggiamenti per l’anniversario del
suo matrimonio, fallendo.
L’anno dopo a Ginevra Luigi Lucheni
colpisce a morte Elisabetta di Baviera con una lima, non potendo permettersi un
coltello.
Nel 1900 Gaetano Bresci a Monza
riuscirà a sparare e uccidere Umberto I, chiudendo tragicamente la prima parte
dell’ “ondata” di attentati con quello che ha avuto più eco nell’Italia
liberale, oltre a essere il secondo andato a segno sul suolo italiano (il primo
è quello di Lucchesi).
Come si noterà in questa sintetica
“cronologia” degli attentati italiani dell’ “ondata anarchica”, gli eventi
terroristici sono per lo più a opera di singoli e attuati con un impiego di
mezzi scarsi o addirittura rudimentali, come nel caso di Lucheni e di Caporali.
Due dati, quello degli episodi per mano di singoli e dei mezzi usati, che
cozzano con il timore infondato dei “potenti” dell’epoca, i quali avevano
ipotizzato un improbabile “complotto” internazionale[79].
Una spiegazione senz’altro più credibile è quella associata a un altro dato che
accomuna quasi tutti gli attentatori: quello socio-econonomico. La questione
della bassa estrazione sociale oppure, come nel caso del più modesto tipografo
Angiolillo della situazione economica comunque precaria, non è da ritenere
secondaria [80].
Il contesto di povertà e l’instabilità sociale, psicologica, finanziaria, ma
anche quella legale (per esempio la già travagliata esistenza di Luccheni era
stata aggravata dalla condanna per non aver ottemperato agli obblighi di leva,
mentre Angiolillo era stato condannato per propaganda sovversiva) di questi
“propagandisti col fatto” sono probabilmente le spiegazioni principali, insieme
al fervore politico e alla voglia di vendetta, della loro radicalizzazione e
del ricorso a mezzi estremi. L’ipotesi della connessione alle ingiustizie
sociali era contestata da Giuseppe Bandi[81]
(la vittima di Lucchesi) mentre Francesco Saverio Nitti, a proposito del
sinistro primato italiano e della sua origine, poneva l’enfasi sulla
“carbonara” <<passione per il pugnale[82]>>.
Una connessione rivendicata, strumentalmente, dagli stessi libertari come
Malatesta, che facevano risalire la strategia violenta al percorso democratico
e liberale[83].
Inoltre non è secondario notare, a
proposito dell’ “ondata” che vede protagonisti gli italiani, che prima della
strage del Diana a Milano nel 1921 (che avvenne in un contesto mutato rispetto
a quello di fine Ottocento) in Italia il “bombismo”, seppur presente insieme al
più “classico” tirannicidio, era mirato a obiettivi simbolici come gli edifici
delle istituzioni (il caso del danneggiamento di Montecitorio con un ordigno,
nel 1894, è stato quello più rilevante con due vittime e vari feriti, ed
escludendo un precedente attentato avvenuto a Firenze nel 1878 che aveva fatto
quattro morti e di cui non è certa la paternità), mentre in Francia e Spagna si
attaccavano bersagli indiscriminati in virtù di quella che veniva considerata
una responsabilità collettiva all’origine delle ingiustizie, degli sfruttamenti
e delle morti “per fame”. Responsabilità che, specularmente, era considerata
collettiva dalle repressioni indiscriminate verso gli anarchici.
Nella storia del terrorismo
internazionale gli italiani hanno dunque conquistato dei tristi primati: quello
della moderna versione di tirannicidio; quello dell’uso delle bombe negli
attentati con le “bombe alla Orsini” e (come si vedrà meglio più avanti) anche
con l’invenzione dell’autobomba (addebitabile quasi certamente a Mario Buda) e
in pratica anche dell’attacco con la “locomotiva-kamikaze” di Pietro Rigosi[84]
nel 1893, antenata anche degli “aerei-bomba”, da cui prende il nome la celebre
canzone di Guccini. Anche dopo la parabola terroristica e insurrezionale
ottocentesca, l’apporto di teorici insurrezionali dei nostri giorni, come
Alfredo Maria Bonanno e Costantino Cavalleri (di cui parlo più in dettaglio
nella prossima sezione di questa tesi), in particolare nell’area mediterranea e
nel contesto odierno, stabiliscono un altro primato nel campo insurrezionale e
terrorista.
1.2.4)
“Ravacholisti” contro “tolstoiani", “analfabeti” contro “dottrinari”,
“finimondisti” contro “cittadinisti”, “imbecilli esteti” contro “civilitici” e
“spaventapasseri” contro “caca-inchiostro”: lo scontro dialettico dalla carta
stampata all’epoca del web tra due anime dell’anarchismo
Ritengo che si possa individuare una
contrapposizione nell’anarchismo italiano, ovviamente facendo una forzatura che
non tiene conto di tutte le possibili sfumature nella declinazione teorica
anarchica e incentrata sul concetto dell’uso della violenza[85],
sull’annosa questione dei mezzi e dei fini, e sulle strategie di lotta
eticamente o progettualmente condivisibili: da un lato c’è l’ala dura
“intransigente” degli insurrezionalisti “classici”, di quelli “nichilisti”, di
alcuni “anti-organizzatori” e dei vari propagandisti del fatto con diversi
gradi di ardore rivoluzionario e fiducia nel “dogma illegalitario”; dall’altro
ci sono i settori più “gradualisti” della galassia anarco-libertaria
tendenzialmente o esclusivamente pacifisti e legalitari, alcuni dei quali sono
favorevoli a un uso moderato, contestualizzato e meno generalizzato della
violenza … In questo “scontro”
ideologico penso ci siano delle costanti nel tempo, ricorrenti nella dialettica
intercorrente tra queste due fazioni. Di questi tratti ricorrenti si hanno
ampie tracce nella pubblicistica, partendo dal <<pulviscolo di testate
dai nomi ardimentosi, a diffusione locale e periodicità incerta>>, che
<<servivano più a corroborare una fede già acquisita che a creare nuovi
fedeli>>[86],
fino alle omologhe “polveriere” dell’era di internet, passando per i
contrattacchi e le prese di distanze della “Federazione Anarchica Italiana”
dalla “Federazione Anarchica Informale” e le visioni “intermedie” come quella
di Malatesta.
Come prima cosa lo scontro teorico
(che sfocia nel mero e forse sterile insulto, nelle minacce e anche in quello
fisico) vede gli “insurrezionali” imputare il rifugio degli altri nelle lotte
legalitarie e il loro rifiuto dell’azione “coi fatti” alla loro vigliaccheria. Accusa
di codardia che spesso “organizzatori” e “pacifisti” rimandano agli attentatori
“anonimi” (insieme a quelle della spettacolarizzazione fanatica degli attentati
e della smania di protagonismo), i quali si difendono dichiarando di
nascondersi non per paura, ma per non vanificare i propri sforzi. L’impellente
bisogno di <<scannare il padrone>> sentito dagli estremisti del
gruppo de “Gli intransigenti” (animato da due italiani nel 1887 a Parigi, dei
quali Luigi Parmeggiani era sospettato di essere un infiltrato della polizia)[87]
potrebbe derivare dall’assenza di rimorso e della necessità, avvertita come
imperiosa, di colpire chiunque non si adegui a queste esigenze, inclusi altri
militanti[88]:
nell’articolo apparso sul numero unico parigino “Il Ciclone” (gratuito per
<<le masse>>), non a caso intitolato <<Codardi e farabutti
alla porta>>, si spiegava che era giunto <<il tempo che i buoni
compagni si sbarazzino dai pregiudizi che questi schifosi hanno loro inculcato
(…) e faccino pubbliche le gesta di questi camaleonti, acciò si possa porvi
radicale rimedio (…) Sbarazziamoci da costoro che ci mettono gl’intravi fra le
ruote>>[89].
Il gruppo passò poi ai fatti, fallendo nel tentativo di colpire Camillo
Prampolini e riuscendo a ferire a coltellate l’ “anarco-garibaldino” Celso
Ceretti, che aveva difeso Amilcare Cipriani dalle accuse del gruppo e li aveva
bollati come spie[90].
Oltre a questo sul foglio vengono pubblicate le ricette della “Cucina
anarchica” per preparare “polpette per la borghesia”: altro non erano che istruzioni
per il confezionamento di esplosivi che, insieme a “La salute è in voi” (di cui
parlo in maniera più estesa nella sezione dei periodici), precedeva l’odierno
“Manuale dell’anarchico esplosivista” della sedicente editrice “James Banf”.
C’è poi, da parte del primo gruppo,
una tendenza alla semplificazione teorica che si concretizza nel puntare il
dito contro le “inutili” “ciarle”, “formole” e tattiche dei “dottrinari”. Uno
di questi riferimenti alla preminenza attribuita al “fatto” rispetto alle “idee”
risale al periodo della lotta per l’unificazione e si ritrova nel “Testamento
Politico” di Carlo Pisacane dove si dice: <<le idee nascono dai fatti e
non questi da quelle>>. Un altro si trova in una frase di Felice Orsini:
<<Non ascoltate né poeti né dottrinari: ascoltate gli uomini d’azione:
colle parole, coi progetti, coi dibattimenti non si liberano le nazioni, non si
cacciano i barbari>>; sempre di Orsini è il riferimento alle
<<ciarle>> e alle <<formole>> di cui si deve fare a
meno[91]. Fornendo un esempio analogo, a noi più
vicino, ne “La gioia armata” di Bonanno[92]
si lodano i “compagni” che durante paventate guerriglie urbane attaccano la
polizia, il potere e i suoi simboli <<senza fronzoli, senza lunghe
premesse analitiche, senza complesse teorie di sostegno>>; un altro
esempio lo troviamo nella pubblicazione anonima “La Miccia”[93],
dove si afferma riduttivamente e lapidariamente che la violenza è <<la
vera essenza dell’idea anarchica>> e che il movimento anarchico è
<<sovversivo in sé, perché il suo fine è quello dell’abbattimento dello
stato e del capitale, entrambi difesi e affermati grazie a leggi, eserciti e
lavaggio del cervello mediatico>>.
Viceversa i secondi dipingono i più violenti
come <<una massa tumultuaria di tipi fra loro disparatissimi che vanno
dal ribelle impulsivo al filosofo analfabeta, dal criminale all’esteta>>
determinando che <<chi non si atteggia a Ravachol redivivo non meritava
il nome di compagno>>[94].
Sempre contro i <<dottrinari scribacchini di castronerie
sociologiche>> si scaglia il benestante Paolo Schicchi che, invocando la
distruzione <<per intero>> della sua classe sociale (<<questa
razza di ladri e d’assassini che chiamasi borghesia>>) proclama:
<<Donne, vecchi, bambini, tutti devono essere affogati nel sangue>>[95].
L’anarchico siciliano attaccava anche le <<canaglie legalitarie>> e
il loro “bizantinismo”[96]
in una maniera che mi sembra affine alle accuse di “cittadinismo” odierne: con
questa inusuale parola infatti si accusa chi intraprende battaglie gradualiste
e nell’ambito della legalità, come spiegherò meglio più avanti. Dello stesso
tenore, tendente alla minimizzazione e “semplificazione” della violenza, sono
le parole dei compagni di Paolo Schicchi accorsi in sua difesa <<per le
quasi innocue esplosioni esplosioni di Genova, di Palermo, e le altrettanto
innocue revolverate contro un poliziotto>>[97].
In risposta il giornale socialista diretto da Camillo Prampolini (che, come si
è appena visto, subisce un attento dal gruppo “Gli intransigenti”), “Lotta di
classe”, in un articolo intitolato “I martiri inutili” li accusa di avere
<<la mente in quel continuo stato di esaltazione che distingue la più
gran parte degli anarchici>>[98].
Dopo aver canzonato Schicchi anche per lo stile di vita bohémien si conclude
spiegando che nel contesto del sistema costituzionale italiano <<le forze
e le tendenze popolari possono, se lo vogliono, modificare e creare un ambiente
favorevole alla propaganda socialista>> e che gesti come quello di
Schicchi potrebbero <<avere un valore diverso, col sistema del dispotismo
assoluto>>[99]
russo. Qualche mese dopo, una bomba uccide circa trenta persona a Barcellona in
un teatro, e nell’articolo intitolato con il nome della città catalana la
condanna è ovviamente ancora più decisa: <<è un attentato orribile ed
insensato; non v’ha socialista cosciente che non lo riprovi altamente.
Ammazzare per terrorizzare colpendo alla cieca (…) sta agli antipodi di tutto
ciò che noi crediamo e predichiamo. Noi non abbiamo nulla di comune con questo
sentimentalismo sanguinario>>[100].
Il macabro godimento sanguinario si ritrova anche nella “Gioia armata”[101]
di Alfredo Maria Bonanno, mentre si interroga sulla gambizzazione di
Montanelli, a opera dei suoi “compagni avanguardisti” delle BR: il teorico
siciliano afferma che <<sarebbe stato meglio>> sparargli in bocca,
<<ma sarebbe stato anche più pesante. Più vendicativo e più cupo.
Azzoppare una bestia come quella può anche avere un lato più profondo e
significativo, oltre quello della vendetta, della punizione per le
responsabilità di Montanelli, fascista e servo dei padroni. Azzopparlo
significa costringerlo a claudicare, farglielo ricordare. E poi, è un
divertimento più gradevole di sparargli in bocca, col cervello che gli schizza
fuori dagli occhi>>. L’estetica della violenza viene attaccata nel
comunicato del 2012 della Federazione Anarchica Italiana, quando venivano
confusi con l’altra “FAI informale” che aveva rivendicato la gambizzazione
dell’AD di Ansaldo nucleare Roberto Adinolfi a Genova, e mentre era ancora
aperta la pista eversiva dietro l’attentato alla scuola superiore di Brindisi[102].
Significativo è in proposito il passo che segue della nota, intitolata
<<Della lotta armata e di alcuni imbecilli>>: <<La pratica della libertà attraverso la libertà
può essere contagiosa ma non si può certo imporre. Gli estensori del comunicato rifuggono il
“consenso” e cercano “complicità”. Se ne infischiano del fine e pensano solo al
mezzo, di fatto rinunciando ad ogni prospettiva di rivoluzione sociale
anarchica. Il loro linguaggio e la loro pratica sono un cocktail di pratica
avanguardista e retorica estetizzante>>[103]. Anche su “A rivista
anarchica” appare un articolo di ferma disapprovazione, firmato da una
collaboratrice aderente alla FAI, e maggiormente incentrato sul concetto
dell’avanguardismo mascherato da strategia informale. Il titolo dell’articolo
sintetizza magistralmente il concetto: <<Leninisti in salsa
informale>>[104]. Diametralmente opposta
la visione di Alfredo Cospito, l’esecutore della gambizzazione, espressa nella
dichiarazione spontanea dell’udienza avvenuta a Settembre 2020. Dopo una presa
di distanza dallo “stragismo”, menzionato dal procuratore, e una disquisizione
sul termine “terrorismo” in ambito anarchico, (termine che a differenza del
primo dice di rivendicare, insieme ai suoi coimputati che avrebbero piazzato
bombe “dimostrative” e che non sarebbero state dirette a fare, per l’appunto,
una strage) afferma baldanzosamente: <<Un giorno un’internazionale nera sorgerà dalle ceneri delle tante
sconfitte che come anarchici-e abbiamo subito nella storia, e quel giorno verrà
alla luce uno stupendo ossimoro, un’organizzazione senza organizzazione>>[105].
Più intermedia è la posizione di
Malatesta che nel 1921, a processo dopo gli eventi del ”biennio rosso” e difeso
anche da Merlino, ricordava: <<Si costituì quel movimento terroristico
che è conosciuto sotto il nome di ravacholismo,
ed in quella circostanza io insieme col mio vecchio amico avvocato Merlino
facemmo una campagna contro quella tendenza, e con discorsi, conferenze e
stampati e mettendoci in urto con tanta gente ed esponendoci anche a pericoli
personali, riuscimmo a stroncare quella tendenza. È forse una delle più belle
memorie della mia vita l’aver contribuito alla distruzione del ravacholismo[106]>>.
Secondo Malatesta il ricorso a mezzi estremi doveva essere ponderato, sganciato
dalla logica vendicativa, circoscritto a una strategia rivoluzionaria definita
e non alimentato dall’odio che avrebbe portato <<ad una nuova
oppressione>>: doveva essere <<come il chirurgo che taglia quando è
necessario, ma evita di infliggere inutili sofferenze: in una parola, dobbiamo
essere ispirati dal sentimento dell’amore degli uomini, di tutti gli
uomini>>[107].
L’anarchico campano, distanziandosi anche dai “minimalisti” ricordava la
necessità del ricorso alla forza, dato che <<le istituzioni sociali
attuali sono tali che appare impossibile di trasformarle per via di riforme
graduali e pacifiche; e la necessità di una rivoluzione violenta che, violando,
distruggendo la legalità, fondi la società umana su basi novelle,
s’impone>>[108].
Non risparmiava critiche nemmeno per i “tolstoisti”, gli appartenenti al
<<partito della resistenza passiva, il quale ha per principio che bisogna
lasciare opprimere e vilipendere se stesso piuttosto che far male
all’aggressore. È quello che è stato chiamato l’anarchia passiva…>>[109].
Il “compagno di banda” di Malatesta, Carlo Cafiero, quando al processo per i
fatti del Matese si doveva difendere dall’accusa di aver ferito due carabinieri
e di averne ucciso uno (che tecnicamente sarebbe morto per un’infezione
successiva al ferimento) per “libidine di sangue” (cosa che avrebbe aggravato
anche la posizione processuale degli insorti), mostrò la sua indignazione:
<<se noi avessimo ucciso un’intera legione di carabinieri in
combattimento, noi non ce ne sentiremmo offesi, ma quando ci si dice che
abbiamo ucciso pur una mosca per lascivia di sangue la nostra coscienza si
ribella a questa accusa>>[110].
Nelle parole di Cafiero si ritrova anche la centralità risorgimentale
dell’azione rivoluzionaria: <<Le idee scaturiscono dai fatti, e non
viceversa, diceva Carlo Pisacane nel suo testamento politico, ed è vero. È
il popolo che fa il progresso, allo stesso modo che la rivoluzione: la parte
ricostruttiva e la parte distruttiva>>. Oltre a questo ne sottolineava
anche l’aspetto formativo: <<Con l'azione, si lavora al tempo stesso per
la teoria e per la pratica, perché è l'azione che genera le idee, ed è
l'azione, ancora, che si incarica di diffonderle per il mondo>>.
L’anarco-comunista pugliese, che era stato il primo a introdurre il Capitale di
Marx al pubblico italiano con il suo celebre “Compendio”, non lesinava critiche
ai moderati <<dottrinari-autoritari, pieni di gravità e saggezza>>
precisando di non avere <<niente a che fare con le manovre dei borghesi.
Non dobbiamo mischiarci al gioco dei nostri oppressori, se non vogliamo
partecipare alla loro oppressione (…) La nostra azione dev'essere la rivolta
permanente, attraverso la parola, attraverso gli scritti, col pugnale, col
fucile, con la dinamite, e persino, a volte, con la scheda elettorale quando si
tratta di votare per Blanqui o Trinquet che sono ineleggibili>>[111].
I contrasti ovviamente non riguardano
solo la questione della violenza: un altro leitmotiv è quello dell’accusa,
spesso “incrociata”, di delazione. Oltre all’accuse che si erano scambiati
Ceretti e “Il Ciclone”, più avanti in questa tesi se ne ritrovano altre due:
quello tra Galleani e Serrati [112]e
quello tra due siti web del movimento “no tav”, che definiscono dei “burabacio”
(parola dialettale che sta per spaventapasseri) gli autori del sito “Finimondo”[113].
C’è poi anche il caso di quella che (come spiega il principale teorico
dell’anaco-insurrezionalismo contemporaneo italiano, il già citato Bonanno),
negli ambienti carcerari è nota come “delazione alla francese”, ossia di chi
prendendo le distanze da certi atti, come un attentato per esempio, metterebbe
in risalto chi invece non dichiara esplicitamente la propria contrarietà a tali
azioni. Un comportamento che secondo Bonanno è addebitabile all’intera
redazione dei <<caca-inchiostro>> di “A rivista anarchica”.
Inoltre è degna di nota anche l’annosa
questione della partecipazione elettorale da parte di un anarchico in contesti
specifici. Partecipazione che non bisognava precludersi a priori secondo l’anarchico
Camillo Berneri[114],
evitando comunque di svolgere <<una propaganda che alimenti le illusioni
elettorali e parlamentariste>> e <<senza illudersi sui programmi e
sugli uomini dei partiti in lista>>[115].
A questo proposito parlava di <<cretinismo anarchico>>, e
ironizzava definendolo: <<la fobia del voto anche se si tratti di
approvare o disapprovare una decisione strettamente circoscritta (…) alle cose
del nostro movimento>>, oppure quella <<del presidente di assemblea
anche se sia reso necessario dal cattivo funzionamento dei freni inibitori
degli individui liberi che di quell'assemblea costituiscono l'urlante
maggioranza>>[116].
In conclusione, provando ad analizzare
e ricapitolare sommariamente alcuni punti critici nella comunicazione dell’ala
insurrezionale, vorrei sottolineare la fiducia (a volte incondizionata) nel
valore del “fatto”, nel “culto dell’azione” che è anche eredità del
Risorgimento. A ciò si lega pure l’affidamento assoluto, e più estremizzato, al
mito delle azioni “pantoclastiche” che, quasi magicamente, tramite la
distruzione diffusa e una “maxi-insurrezione” generalizzata dovrebbero condurre
a una nuova società, magari fatta di “super-individui” in grado di
autoregolarsi. Ovviamente ci sono anche le teorie dei “piccoli fuochi” da appiccare
in vista di un progetto insurrezionale di lungo termine, più classiche, che non
mirano alla distruzione in sé e si accompagnano a teorizzazioni di azioni più
strutturate. Sempre a proposito della retorica della violenza si verifica
l’esaltazione del sacrificio personale, del martirio e dei “compagni
incarcerati”, e anche in questi concetti potrebbero essere rintracciate delle
connessioni risorgimentali.
[1]Cfr. F. Chiapponi, Comunicazione politica Un approccio teorico,
Mondadori, Milano, 2020, p. IX; nello specifico si afferma che <<la
comunicazione designa un fenomeno strictu sensu sociale, che permea ogni ambito
dell’attività umana, non solo la politica>>, e considerando che il
linguaggio è <<un insieme di facoltà che solo l’uomo possiede>>,
oltre che “innato” in quanto <<risiede nel nostro corredo
genetico>>, ivi p.12, cit.
[2]G. Ragona, Anarchismo, le idee e il movimento, Laterza 2019 p. 8, cit.
[3]G. Berti, Contro la storia Cinquant’anni di anarchismo in Italia (1962-2012),
Biblion, Milano, 2016, cit. p. 289
[4]M. Antonioli, Editori e tipografi anarchici di lingua italiana tra otto e novecento,
Bfs, Pisa, 2007
[5]Cfr. Ragona, Anarchismo …, pp. 135-137; mi riferisco a un primitivismo meramente
distruttivo e “nichilista”, distinto da quello che può essere usato per
definire talune civiltà cronologicamente distanti o politicamente diverse dalla
nostra.
[6]Con l’espressione propaganda col fatto (a volte si usa
anche “propaganda del fatto”) si intende quella forma di lotta politica che si
concretizza in “fatti” fisicamente violenti, come attentati e tentativi
insurrezionali. Come si spiega in questa tesi nel movimento anarchico sono
sempre esistite diverse opinioni sulla legittimità dei vari tipi di “fatti” e
quindi sui contesti in cui ricorrere alla violenza.
[7]In G. Sacchetti, Con l’amore nel pugno. Federazione Anarchica Italiana (1945-2012)
Storia e documenti, Zero in Condotta, Milano, 2018, si fa una valutazione a
proposito: <<censendo le sigle di cui si ha notizia che abbiano
autoprodotto materiali si riscontrano, secondo una stima sicuramente al
ribasso, almeno 450 associativi anarchici, di varia consistenza e durata,
distribuiti nel territorio oltre che nell’asse temporale. Miriadi di gruppi e
associazioni locali che, spesso nel giro di poco tempo, nascono e muoiono in tourbillon incredibile>>, cit. p.
104
[8]Di cui parlo più nello specifico nella
sezione dedicata ai fogli e alle riviste.
[9]Bisogna precisare, a proposito delle
istanze antiorganizzatrici che in realtà <<ben pochi anarchici rifiutano
nei fatti il concetto di organizzazione. Infatti gli antiorganizzatori negano
la validità di qualsiasi struttura formale stabile e continua perché in essa
vedono i primi segni dell'elitismo e della burocrazia, ma ciò non toglie che
essi ritengano utile organizzarsi praticamente per migliorare la propria azione
rivoluzionaria>>, cit. in A. Senta, Luigi
Galleani e l’anarchismo antiorganizzatore, Edizioni Bruno Alpini, 2013
(2012) cit. p. 4.
[10]Cfr. G. Berti e C. De Maria (a cura
di), L’anarchismo italiano. Storia e
storiografia, Biblion, Milano, 2016, p. 6; e G. Sacchetti, Con l’amore nel pugno. Federazione Anarchica
Italiana (1945-2012) Storia e documenti, Zero in Condotta, Milano, 2018, pp. 10-11. Da notare che lo storico
Sacchetti illustra anche un’altra divisione fatta di <<cinque
ondate>> e individuata dalla <<storiografia internazionale, in
specifico quella di indirizzo comunista-libertario>>, cit. p11.
[11]Cfr. A. Cadioli e G. Vigini, Storia dell’editoria italiana dall’Unità a
oggi, Editrice bibliografica, Vignate, 2017, pp. 13-14. Sempre in
riferimento alla storia editoriale italiana e alle sue trasformazioni si veda
anche N. Tranfaglia, A. Vittoria, Storia
degli editori italiani, Laterza, Roma Bari, 2000.
[12]Ivi, cit. p. 18.
[13]Ivi, cfr. e cit. p. 25.
[14]Ivi, cit. pp. 18-19.
[15]Ivi, cfr. p. 14 e p. 19. A proposito
della questione del diritto d’autore bisogna ricordare che l’editore fiorentino
perse una causa intentata da Alessandro Manzoni, come spiegato nella voce del
“Dizionario Biografico degli Italiani”, redatta da C. Ceccuti, pubblicata nel
vol. 64, 2005: <<Per non chiedere l'autorizzazione all'autore, il L.
riprodusse l'edizione del 1827, stampata e ristampata più volte prima del 1840,
data in cui era entrata in vigore la convenzione fra gli Stati italiani sul
rispetto della proprietà letteraria. (…) Manzoni intraprese le vie legali
sostenendo che l'unica eccezione consentita dalla convenzione al principio del
rispetto della proprietà fosse la riproduzione iniziata prima dell'entrata in
vigore della normativa e non dopo: di tale avviso si mostrarono i giudici nelle
tre sentenze sul caso. L'intesa definitiva venne raggiunta solo vent'anni dopo,
(…) con il pagamento da parte del L. della rilevante cifra di 34.000 lire,
dovuta alle svariate edizioni comunque riprodotte in quel lasso di tempo.>>.
La voce è consultabile all’indirizzo
treccani.it/enciclopedia/felice-le-monnier_(Dizionario-Biografico) / (url
consultata il 01/03/2021).
[16] Sull’influenza letteraria nella
cultura dei “sovversivi” di fine secolo si segnala E. Papadia, La forza dei sentimenti. Anarchici e
socialisti in Italia, Il Mulino, Bologna, 2019, cap. terzo, Ragione, finzione, cuore.
[17] Sempre nella voce del Dizionario
Biografico degli Italiani dedicata a Le Monnier si spiega: << Il successo
che gli diede la notorietà arrivò nel 1843, con l'avventurosa e clandestina
pubblicazione dell'Arnaldo da Brescia di G.B. Niccolini. L'opera,
inneggiante alla libertà dalla tirannia straniera, fu stampata (in 3000 copie
presto esaurite) a Marsiglia, rilegata a Livorno e introdotta a Firenze regolarmente
attraverso la dogana, la quale fu indotta a trascurare il controllo perché
ingannata dalla dichiarazione "carta bianca" che comportava una tassa
maggiore. >>. Nella collana si ritrovano più di duecento titoli,
principalmente classici letterari italiani affiancati da opere di vari patrioti
(non è un caso che nel titolo della collana si richiamava il concetto di
nazione). In questo contesto è importante notare per esempio che la
pubblicazione delle opere di Foscolo era stata assegnata a Mazzini, che dal suo
esilio londinese avrebbe dovuto ricercare scritti inediti del poeta;
cfr. La Biblioteca Nazionale di Felice
Le Monnier in <<segnideltempo.it>>, reperibile all’indirizzo
segnideltempo.it/SiteImgs/66%20Biblioteca%20Nazionale%20di%20Felice%20Le%20Monnier.pdf
(url consultata il 01/03/2021).
[18]G. Ragona, Anarchismo …, cit. p.27
[19] Per una definizione e un approfondimento sulle
cosiddette leggi antianarchiche cfr. C. Tognoli 1894, Lo scioglimento del partito socialista italiano in <<Critica
Sociale>>, 2, 1998, reperibile all’url
criticasociale.net/index.php?&lng=ita&function=rivista&pid=page&id=0003216&top_nav=autori_1998&sintesi=1#.YE5oQUvdLIW
[20]La definizione di “editore-protagonista”
si trova in G.C. Ferretti, Storia
dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Einaudi, Torino, 2004, cit.
p. XI.
[21]Ivi, cit. p. 3.
[22]A. Cadioli e G. Vigini, Storia …, cit. p. 78.
[23]M. Ortalli, La bibliografia sugli anarchici italiani (1945-2013), in <<A
rivista anarchica>>, 391, estate 2014, cit. Il saggio è reperibile
all’indirizzo arivista.org/riviste/Arivista/391/224.htm (ultima consultazione
01/03/2021) e si ritrova ampliato e corredato da una dettagliata appendice
bibliografica in G. Berti e C. De Maria (a cura di), L’anarchismo italiano. Storia e storiografia, Biblion, Milano,
2016, con il titolo La storiografia del
movimento anarchico italiano: repertorio bibliografico e bilancio critico
(1945-2014).
[24] Per un profilo biografico di Fedeli e
Masini si rimanda alle relative voci di AA. VV, Dizionario biografico online degli anarchici Italiani, M.
Antonioli, G. Berti, P. Iuso, S. Fedele (a cura di), Biblioteca Franco
Serantini, da ora in poi abbreviato in DBAI ai seguenti indirizzi
bfscollezionidigitali.org/entita/13371-fedeli-ugo/;
bfscollezionidigitali.org/entita/14120-masini-pier-carlo (ultima consultazione
01/03/2021).
[25]Cfr. e cit. M. Ortalli, La bibliografia…
[26]Cfr. Ibidem.
[27]G. Berti e C. De Maria (a cura di), L’anarchismo italiano …, cit. p.6.
[28]Ivi, cit. p. 272. La citazione si
trova nel saggio di P. Iuso, Il problema
dell’organizzazione nei primi decenni della Repubblica, che riprende le
parole di Berti nella prefazione di Un
seme sotto la neve, Carteggi e scritti dall’antifascismo in esilio alla
sinistra eretica del dopoguerra (1937-1962), a cura di Carlo De Maria,
Archivio Famiglia Berneri, 2010, p. X.
[29]Riguardo al “frazionamento” del
movimento e alla nascita della FAI si veda la conclusione e le relative note di
questo paragrafo.
[30]Riguardo la questione generazionale
(riassumibile con la formula dell’<<anello mancante>>) e della
tendenza autoreferenziale cfr. il saggio di P. Iuso, Il secondo novecento: temi nuovi e tendenze di fondo per lo studio del
movimento anarchico italiano, che si trova nel libro Parlare d’anarchia, Le fonti orali per lo studio della militanza
libertaria in Italia nel secondo Novecento a cura di E. Acciai, L.
Balsamini e C. De Maria, pp. 82-83. Dalle stesse pagine sono riprese anche le
citazioni.
[31]E. Acciai, L. Balsamini e C. De Maria
(a cura di), Parlare d’anarchia …, cit.
a p. 191 di Paolo Finzi.
[32]G. Berti, Contro la storia. Cinquant’anni di anarchismo in Italia
(1962-2012), Biblion, Milano, 2016, cit. p. 6.
[33]Cfr. Storia delle radio in <<broadcastitalia.it>>
broadcastitalia.it/storia%20delle%20radio.htm (url consultata il 02/03/2021).
[34]Si noti che le due riviste (i cui
titoli richiamano i movimenti culturali e politici dei “Beatnik” anglofoni e
dei “Provo” olandesi) erano state stampate presso sedi anarchiche, e in particolare
la prima nella milanese “Sacco e Vanzetti” con il supporto di Giuseppe Pinelli.
Cfr. scheda Mondo Beat di G. Lo
Monaco in <<culturedeldissenso.com>> e G. Sacchetti Influenze libertarie nel movimento
studentesco italiano in <<Umanità Nova>> 20 Maggio 2018.
Reperibili alle url culturedeldissenso.com/mondo-beat/ e
umanitanova.org/?p=7583 (consultate il 02/03/2021).
[35]Di Bonanno si parlerà spesso in questa
tesi, e in particolare nella sezione dedicata alle case editrici, in cui
ripercorro anche la sua vicenda biografica.
[36]A. Senta, Una storia di storie. I molteplici piani del politico e del sociale: il
movimento anarchico italiano dal dopoguerra agli anni ottanta, in E.
Acciai, L. Balsamini e C. De Maria (a cura di), Parlare d’anarchia, cit. p. 30.
[37]Ivi, cfr. e cit. p. 31.
[38]Ivi, cfr. e cit. p 32.
[39]Cfr. Enciclopedia Treccani, Lessico del XXI Secolo, ad vocem,
treccani.it/enciclopedia/fanzine_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/ (url consultata
il 02/03/2021).
[40]Cfr. ivi,
treccani.it/enciclopedia/webzine_(Lessico-del-XXI-Secolo)/ (url consultata il
02/03/2021)
[41]Per esempio, un blog che riproduce
materiale degli anni Novanta <<che ha girato (…) Sui banchetti ai
concerti nei Centri Sociali Occupati o spesso per posta>> è il seguente: italicheautoproduzioni.blogspot.com.
Tra i contenuti ospitati c’è la fanzine, degli ambienti antagonisti torinesi,
che nel titolo fa il verso a “Tuttosport”, ossia “Tuttosquat”. Un sito che ne
digitalizzava il contenuto è disponibile sul “Web archive”:
web.archive.org/web/20021115141418fw_/http://tutto.squat.net/sitoa/pagine/biblio.htm
(url consultate il 02/03/2021).
[42]Cfr. G. Sacchetti, Con l’amore … e cit. p. 12.
[43]M. Vella, Da Pericle a Trump, passando per Dumas: alle origini delle fake news,
in <<vita.it>>, 10 Luglio 2019, articolo all’url
vita.it/it/article/2019/07/10/da-pericle-a-trump-passando-per-dumas-alle-origini-delle-fake-news/152185/
(url consultata il 02/03/2021).
[44]G. Sacchetti, Anarchici e lotta armata in Italia (1969-1989), in <<A
rivista anarchica>>, 439, Dicembre 2019/Gennaio 2020, cit. Reperibile
all’url arivista.org/?nr=439&pag=55.htm (ultima consultazione 11/03/2021).
[45]Come si capirà meglio nelle prossime
righe, mentre nel “secondo” periodo la “sinistra”, o comunque l’ala più
“rivoluzionaria” può essere identificata con i GAAP (Gruppi Anarchici di Azione
Proletaria), nel “terzo” sarà rappresentata dagli anarco-insurrezionalisti. Per
un approfondimento sulle varie componenti del movimento anarchico a partire dal
dopoguerra e alle sigle qui menzionate (oltre all’ AGL, alla FCL, alla FLI, i
GGAF e i GAF) si segnalano: A. Senta, Una
storia di storie … pp. 13-17 del volume Parlare
d’anarchia Le fonti orali…; P.
Iuso, Il problema dell’organizzazione
… pp. 269-283 del volume L’anarchismo
italiano. Storia e Storiografia …; e infine il saggio Eretici e libertari in G. Sacchetti, Con l’amore … pp.15-70 (riprodotto in forma ridotta in
<<Diacronie>> 9,1,2012 e reperibile all’url:
journals.openedition.org/diacronie/2991;
ultima consultazione 02/03/2021).
[46]Il riferimento a Berti indica l’area
dei GAF.
[47]G. Sacchetti, Con l’amore …, cit. p. 11.
[48]G. Sacchetti Un interessante libro sull’esperienza dei G.a.f., in
<<Umanità Nova>>, 11 Marzo 2017, reperibile all’indirizzo
umanitanova.org/?p=4583 cit.
[49]Lo scioglimento “provocatorio” e
“formale” del gruppo, ma non sostanziale, avviene in quanto la sua dimensione
ridotta non era ritenuta sufficiente per incidere nel contesto politico
sociale. Quindi non viene rinnegata l’attività passata della federazione “di
tendenza” (ossia articolata secondo un programma definito), ma si mira alla
creazione di un più vasto movimento libertario in grado di portare avanti un
progetto rivoluzionario. Cfr. G. Berti, Contro
la storia … pp. 107-108.
[50]G.
Sacchetti Un interessante… cit.. A
proposito della “tripartizione” dell’anarchismo italiano Sacchetti dice, in La resistenza sconosciuta, Zero in
condotta, Milano, 2005: <<Per quanto riguarda la FAI la sua «centralità»
rimane indiscussa. La posizione di medianità assunta nell’ambito del più vasto
movimento libertario italiano, fra «sinistra» classista («gaapista» poi
piattaformista) e «destra» culturalista, evocata da Berti e riferibile al
periodo che va dal dopoguerra agli anni Settanta, si confermerà anche nelle
epoche successive. Ai poli opposti questa volta, alle ali dell’anarchismo
«tradizionale», non scelte strategiche organizzative, ma opzioni estreme
riconducibili alla sfera individuale / collettiva, dettate il più delle volte
dalle esigenze della società dello spettacolo: o insurrezionalismo
«rivoluzionario» (stilizzazione della violenza) o impegno culturale esclusivo.
Tertium non datur?>> cit. p. 11.
[51]Vocabolario Treccani, ad vocem, cit. all’indirizzo
treccani.it/vocabolario/terrorismo/ (url consultata il 12/02/2021)
[52]R. Barberini, Terrorismo e guerra, in “Questione Giustizia”, reperibile
all’indirizzo:
questionegiustizia.it/speciale/articolo/terrorismo-e-guerra_7.php
(url consultata il 12/02/2021).
[53]Ibidem, cit. <<I bombardamenti
della Raf britannica su Dresda furono “bombardamenti terroristici” non solo
nella retorica del Ministero della propaganda di Goebbels: si trattò di
attacchi deliberati contro non combattenti. Anche i bombardamenti aerei in
Iraq, Afghanistan e Siria hanno provocato terrore e morte tra i civili.
>>. Questi sono altri due esempi di forme di terrorismo, in senso lato,
messe in atto da governi.
[54]Vocabolario Treccani, Ibidem; per approfondire la vastissima
questione linguistica, oltre che storica, del terrorismo si segnala F. Benigno,
Terrore e terrorismo, Saggio storico
sulla violenza politica, Einaudi, 2018.
[55]Secondo la definizione, aggiornata nel
2016, della NATO: <<l’uso illegale di forza o violenza contro singoli o
beni di proprietà, o anche la minaccia di questo uso, che infonde paura e
terrore nel tentativo di intimidire o coartare governi o società, oppure per
ottenere il controllo di una popolazione in modo da raggiungere obiettivi
politici, religiosi o ideologici >>. Trad. mia, dal documento NATO del 06
Gennaio 2016 qui reperibile:
nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/topics_pdf/20160905_160905-mc-concept-ct.pdf.
Il Comitato antiterrorismo delle Nazioni Unite invece, nel 1979, decise di non
definire giuridicamente il terrorismo (per approfondimenti si rimanda a R.
Barberini, La definizione di terrorismo e
gli strumenti giuridici per contrastarlo, in <<Gnosis Rivista
Italiana di Intelligence>>, 28, Gennaio-Aprile 2004, cfr. par. “La
definizione di terrorismo in ambito Nazioni Unite”). A oggi l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite non ha ancora definito con precisione cosa si
intende per terrorismo, pur prendendo una serie di provvedimenti per
<<specifiche forme di terrorismo>> e avendo come primo riferimento,
in ordine cronologico, la definizione formulata dalla Società delle Nazioni nel
1937: <<ogni atto criminale diretto contro uno Stato con l’intenzione o
la previsione di creare uno stato di terrore nelle menti di persone specifiche,
di un gruppo di persone o della popolazione in generale>> (trad. mie),
cit. dal documento ONU del 2006 all’indirizzo:
un.org/sc/ctc/wp-content/uploads/2017/01/2006_01_26_cted_lecture.pdf
(url consultate il 12/02/2021).
Per dare un’idea di quanto la
questione delle definizioni di terrorismo sia dibattuta in ambito
internazionale, si segnala che ne sono state censite più di duecentosessanta, a
partire da quella data da Robespierre nel 1794, in A.P. Schmid (a cura di), AA.VV,
Routledge Handbook of Terrorism and
Counterterrorism, Routledge, Londra e New York, 2011, pp 99-148.
[56]Cfr. Barberini, Terrorismo …
[57]Ibidem.
[58]Cfr. M.C. Ünal, Terrorism versus insurgency: a conceptual analysis, 2016, Springer,
Dordrecht, p.5.
[59]Cfr. S. Coccia, C. Pasqui, Terrorismo ed altri metodi dell’Insurrezione
nella Guerra Rivoluzionaria, in <<difesa.it>> (sito del
Ministero della difesa), 2010, reperibile all’indirizzo:
difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pubblicazioni/Documents/5411_Ric_Pasqui_Coccia.pdf
(ultima consultazione 13/02/2021).
[60]Cfr. F. Chiapponi, Comunicazione Politica …, pp. 370-371
[61]Per una definizione dell’avalutatività
in Weber si rimanda all’enciclopedia Treccani, ad vocem,
treccani.it/enciclopedia/avalutativita_%28Dizionario-di-filosofia%29/.
[62]Cfr. Chiapponi pp.370-371; sulla questione della
legittimità della violenza e della configurazione di essa come caratteristica
dello stato si veda pp. 373-374.
[63]Cfr. ivi. p. 374.
[64]Cfr.ivi pp. 375-376.
[65]Cfr. D.C. Rapoport, The Four Waves
of Rebel Terror and September 11, in Anthropoetics VIII, 1, 2002, Los
Angeles, reperibile all’inidirizzo anthropoetics.ucla.edu/ap0801/terror/
(ultima consultazione 14/02/2021).
[66]La fase della Resistenza seguente
l’armistizio di Cassibile, fu <<descritta in termini epici come un
“secondo Risorgimento”>>, con i suoi <<martiri caduti contro il
“bestiale oppressore” germanico (…) paragonati a quelli caduti contro il
dominio austriaco>>, cfr. F. Focardi, La
Guerra della memoria, Laterza, Bari Roma, edizione digitale 2020, e cit. p.
10. Nell’articolo di U. Magri, Mattarella
stoppa l’odio: “Liberazione, il nostro secondo Risorgimento”, in <<La
Stampa>>, 25 Aprile 2019, reperibile all’indirizzo
www.lastampa.it/politica/2019/04/25/news/mattarella-stoppa-l-odio-liberazione-il-nostro-secondo-risorgimento-1.33697732
(ultima consultazione 14/02/2021), si spiega che l’espressione era stata usata
anche dal partigiano e giornalista Carlo Casalegno, ucciso dalle BR nel 1977.
Per inquadrare la questione da una visuale politica e storiografica si segnala
U. Carpi, Dal primo al secondo
Risorgimento, in <<anpi.it>>, 7 Dicembre 2010, all’indirizzo
www.anpi.it/articoli/125/dal-primo-al-secondo-risorgimento (ultima
consultazione 14/02/2021).
[67]M. Antonioli, Sentinelle perdute, BFS Edizioni, 2009, Pisa, cit. pp. 16-17. Il
secondo capitolo del volume, intitolato <<LA COMPAGNIA DELLA MORTE. Gli anarchici garibaldini nella guerra
greco-turca del 1897>>, è dedicato al gruppo di volontari guidati da
Cipriani nella sua ultima impresa militare.
[68]Ivi, p.131.
[69]E. Papadia, La forza dei sentimenti, Il Mulino, edizione e-book 2019, Bologna,
cit. posizione 402.
[70]In E. Papadia, La forza … il tema “emotivo” dell’eredità risorgimentale è
affrontato nel capitolo “Orizzonti condivisi”. Tra gli esempi illustrati ne
segnalo due: quello di Carlo Monticelli e di suo padre Martino, garibaldino,
approdato all’anarchismo e incarcerato insieme al figlio per l’attività
sovversiva (cfr. pos. 356-367). L’altro è quello di Paolo Schicchi e del padre
Simone, avvocato garibaldino sempre pronto a perdonare e supportare il figlio,
anche dopo che aveva lanciato una bomba davanti a una caserma di Palermo e una al
consolato spagnolo di Genova. In una lettera a Malatesta, che si era dissociato
dalla sua strategia terrorista, prese le difese di Paolo rivendicando la sua
buona fede e gli alti principi che lo animavano (cfr. pos. 437-470).
[71]È discusso il fatto che l’adesione di
Garibaldi sia stata pienamente consapevole da un punto di vista politico.
Tuttavia la questione del grado di consapevolezza non avrebbe precluso
l’adesione dei suoi fedeli agli ideali internazionalisti, cfr. E. Papadia, La forza… pos.382.
[72]A proposito dei collegamenti
<<al mondo delle sètte e delle cospirazioni>> si noterà come
<<la logica dell’azione terroristica era più ritorsiva che
rivoluzionaria: la concezione dell’attentato come scintilla in grado di
accendere la miccia del conflitto sociale non riuscì mai a prevalere davvero
sull’idea risalente al tirannicidio come risarcimento e come vendetta, secondo
la logica classica di colpa ed espiazione simboleggiata dal pugnale vendicatore
dei giuramenti carbonari>>, cit. in E. Papadia, La forza … , pos. 5413.
[73]Inoltre già nel 1855 il patriota
Giovanni Pianori cercò invano di sparargli, e due anni dopo tre italiani, tra
cui Paolo Tibaldi, furono arrestati con l’accusa di preparare un altro
attentato contro l’imperatore. Per questo anche Mazzini fu processato in
contumacia.
[74]E. Papadia, La forza …, cit. pos. 483.
[75]Per approfondimenti si rimanda a B.
Tomasiello, La Banda del Matese 1876-1878,
Galzerano Editore, Casalvelino Scalo, 2009, un libro scritto non da uno storico
che, comunque, ha il merito della sintesi e quello dell’esaustività, oltre
all’ampio spazio dedicato alla documentazione.
[76]M. Picconi, Emilio Caporali, il “mattoide infelice”, in
<<180gradi.org>>, 09 Giugno 2020, reperibile all’url
https://180gradi.org/cultura/matteo-picconi/emilio-caporali-il-mattoide-infelice
(consultata il 15/02/2021), cit.
[77]DBAI, Oreste Lucchesi, ad nomen, cit.
[78]DBAI, Pietro Acciarito, ad nomen, cit.
[79]Cfr. E. Papadia, La forza … pos. 5282.
[80]L’indigenza e i risentimenti da cui
generavano tali atti sono riassunti nei seguenti passi in E. Papadia, La forza … : <<Se Passannante era
un giovane cuoco lucano che per comprare giornali e pugnale aveva fatto la
fame, Emilio Caporali (…) era uno studente pugliese di origini popolari,
costretto dalla morte del padre e dalla rovina economica della sua famiglia ad
abbandonare gli studi e a elemosinare un aiuto per vivere ad amici e conoscenti
(…) “Crispi è parso a me che fosse l’uomo più felice della terra, mentre io
sono il più infelice, e perciò attentai alla sua vita”, dichiarò ancora
Caporali, inconsapevolmente riecheggiando Passannante, che “essendo troppo
infelice [aveva] voluto uccidere il re”. Da parte sua Paolo Lega (…) era un
giovane operaio romagnolo il quale – ammonito e più volte arrestato a causa
della sua militanza anarchica – si era trovato nell’impossibilità di procurarsi
un’occupazione stabile (…) l’assassinio di Giuseppe Bandi sarebbe avvenuto per
mano di un anarchico livornese disoccupato ed emarginato, al quale in cambio
era stato promesso un aiuto per raggiungere l’America (…) il venticinquenne
Luigi Luccheni, era un autentico paria della società: cresciuto in orfanotrofio
era presto emigrato all’estero, dove aveva condotto una vita tribolata tra
lavori malpagati e lunghi periodi di disoccupazione>>, cit. pos. 5462-5482.
[81]Cfr. Dizionario Italiano Olivetti, ad nomen, voce reperibile all’indirizzo:
www.dizionario-italiano.it/autori/giuseppe_bandi.php
(consultata il 15/02/2021).
[82]Cfr. E. Papadia, La forza …, pos. 5412.
[83]Ivi, pos. 5372.
[84]Per un approfondimento sull’atto di
Rigosi e sul terrorismo dell’epoca si segnala R. Corsa, P. Martucci, “La locomotiva”. Criminologi, psichiatri e
guerra al terrore nella fin de siècle, in <<Psichiatry on line
Italia>>, 3 Febbraio 2016, disponibile all’indirizzo
www.psychiatryonline.it/node/6033 (consultata il 17/02/2021).
[85]A proposito dell’uso della violenza
Luigi Fabbri affermava: <<Una teoria di anarchismo violento non c'è;
l'anarchia è un complesso di dottrine sociali che hanno per comune fondamento
l'eliminazione dell'autorità coattiva dell'individuo sull'individuo, e i suoi
seguaci si annoverano in maggioranza fra persone che ripudiano ogni forma di
violenza o non l'accettano che come mezzo di legittima difesa. Però poiché non
c'è una linea di separazione fra la difesa e l'offesa, e il concetto stesso di
difesa può essere inteso nei modi più diversi, ogni tanto avvengono atti di
violenza commessi da anarchici, in una forma di ribellione individuale, che
attenta alla vita dei capi di Stato o dei rappresentanti più tipici della
classe dominante. Queste manifestazioni di ribellione individuale le
raggruppiamo sotto il nome di anarchismo violento, più per modo d'intenderci
che perché il nome rispecchi esattamente la cosa.>> in Influenze borghesi sull’anarchismo,
Liberliber.it, edizione elettronica 2010, disponibile all’indirizzo:
bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/fabbri_influenze_borghesi.pdf
(consultata il 16/02/2021), cit. p. 4.
[86]E. Papadia, La forza …, cit. pos. 1769.
[87]Cfr. L. Bettini, voce “Il Ciclone”, in Bibliografia dell’anarchismo, vol. I tomo 2, Crescita politica
editrice, Firenze, 1976 (da questo punto in poi abbreviato semplicemente in
“Bettini”), digitalizzata all’indirizzo bettini.ficedl.info/article707.html
(url consultata il 17/02/2021); dalla voce è ripresa anche la citazione.
[88]Per un approfondimento sugli aspetti
sociologici e psicologici del terrorismo anarchico penso che siano comunque
valide, anche se riferite in particolare agli eventi a noi più vicini, le
considerazioni espresse in M. Boschi, Criminologia
del terrorismo anarco-insurrezionalista, Aracne, Roma, 2005, al cap. VI
(Criminologia del fenomeno) pp. 165-171
[89]Ibidem, cit.
[90]Cfr. A. Senta, L’altra rivoluzione, Ottocentoduemila, Bologna, 2016, pp. 110-111,
disponibile all’indirizzo:
bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/senta_altra_rivoluzione_no_images.pdf
(url consultata il 17/02/2021).
[91]Le citazioni sono riportate in E.
Papadia, La forza …, pos. 5346-5359.
[92]Testo di cui si parla nello specifico
nella parte di questa tesi dedicata agli editori “insurrezionali”.
[93]Num. 270, Febbraio 2018.
[94]Le citazioni originali, riportate in
E. Papadia, La forza …, pos. 5695
sono tratte dal numero unico del 31 Dicembre 1896 “L’uomo libero”, pubblicato a
Imola (e riportate a loro volta in Antonioli…).
[95]Le citazioni qui riportate si trovano
in P. Schicchi, Tattica rivoluzionaria,
in <<Pensiero e dinamite>>, 1, 18 Luglio 1891, riportate in
Bettini, La Croce di Savoia, ad vocem. È significativo notare che lo stesso
articolo viene riportato anche in una pubblicazione insurrezionale dei nostri
giorni, Beznachalie, archiviata all’indirizzo
archive.org/stream/beznachalie_08/beznachalie_08_djvu.txt (url consultata il
17/02/2021).
[96]Cfr. E. Papadia, La forza …, pos. 5554.
[97]I martiri inutili, in <<Lotta di Classe>>, 27, 8-9
Luglio 1893, reperibile all’indirizzo:
bibliotecadigitale.fondazionebasso.it/contenuti/lotta/1892-93/00052/00001.pdf
(url consultata il 16/02/2021), cit.
[98]Ibidem cit.
[99]Ibidem cit.
[100]Barcellona, in <<Lotta di Classe>>, 47, 25-26 Novembre 1893,
reperibile all’indirizzo:
www.bibliotecadigitale.fondazionebasso.it/contenuti/lotta/1892-93/00072/00001.pdf
(url consultata il 16/02/2021).
[101]Di questa pubblicazione delle edizioni
di Bonanno parlo più approfonditamente nella sezione dedicata alle case
editrici.
[102]Attentato in cui è morta una sedicenne
e altri cinque sono stati feriti. Successivamente si è stabilito che
l’attentatore era mosso da un risentimento contro lo Stato per una truffa
subita.
[103]Il comunicato della FAI è reperibile
all’indirizzo
federazione-anarchica-milanese-fai.noblogs.org/post/2012/06/04/della-lotta-armata-e-di-alcuni-imbecilli/
(ultima consultazione 17/02/2021).
[104]M. Matteo, Leninisti in salsa informale, in <<A rivista
anarchica>>, 373, estate 2012, reperibile all’indirizzo
arivista.org/riviste/Arivista/373/29.htm (ultima consultazione 17/02/2021).
[105]La dichiarazione si trova pubblicata
sul sito dell’area insurrezionale “ilrovescio.info” e pubblicata all’indirizzo
ilrovescio.info/2020/09/17/dichiarazione-di-alfredo-cospito-letta-in-aula-il-9-settembre-2020-per-lappello-del-processo-scripta-manent/
(ultima consultazione 17/02/2021).
[106]F. S. Merlino, A. Venturini (a cura
di), Il socialismo senza Marx,
Massimiliano Boni Editore, 1974, Bologna, cit. p. 10.
[107]E. Malatesta, Un po’ di teoria, in <<L’Endehors>>, 68, 21 Agosto
1892, Parigi, articolo digitalizzato e disponibile all’indirizzo
edizionianarchismo.net/library/emile-henry-colpo-su-colpo/ (consultato il
16/02/2021).
[108]E. Malatesta, Errori e rimedi, in <<L’Anarchia>>, numero unico, 1896,
Londra, articolo digitalizzato e disponibile all’indirizzo
www.classicistranieri.com/errico-malatesta-errori-e-rimedi.html (consultato il
16/02/2021), cit.
[109]Ibidem, cit.
[110]P.C. Masini, Gli internazionalisti. La banda del Matese 1876-1878, Edizioni
Avanti, Milano-Roma, 1958, pp. 124-125.
[111]Tutte le citazioni di Cafiero
provengono dallo scritto L’Action, in
<<Le Révolté>> di Ginevra, 25 Dicembre 1880, riportato in C.
Cafiero, G. Bosio (a cura di), Rivoluzione
per la rivoluzione, Samonà e Savelli, Roma, 1970, digitalizzato da “Liber
Liber”.
[112]Se ne parla nella sezione dedicata ai
periodici in questo scritto.
[113]Se ne parla nella sezione dedicata
alle case editrici, a proposito delle edizioni “Indesiderabili”, in questo
scritto e poi più nello specifico in quella dedicata ai siti web.
[114]Per un’esaustiva biografia di Camillo
Luigi Berneri si rimanda alla voce del DBAI di G. Carrozza e reperibile
all’indirizzo bfscollezionidigitali.org/entita/13043-berneri-camillo-luigi (url
consultata il 25/02/2021.).
[115]C. Berneri, Astensionismo e anarchismo, in <<L’Adunata dei
refrattari>>, 25 Aprile 1936, cit. Articolo digitalizzato all’indirizzo
colvieux.wordpress.com/2013/10/08/astensionismo-e-anarchismo-di-camillo-berneri/
(consultato il 17/02/2021).
[116]C. Berneri, (pseudonimo L’Orso), Il cretinismo anarchico, in
<<L’Adunata dei refrattari>>, 12 Ottobre 1935 cit. Articolo
digitalizzato all’indirizzo fdca.it/storico/magazzino/berneri-cretinismo.htm
(consultato il 17/02/2021).
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