28.1.23

LE DICHIARAZIONI DEI MEDICI DI MESSINA DENARO E DI COSPITO

DUE PESI E DUE MISURE


A sinistra i primi risultati su Google delle notizie che riportano le dichiarazioni di Matteo Messina Denaro riferite alla stampa dai medici. A destra il post in cui Radio Onda d'Urto rende noto che alla dottoressa di Alfredo Cospito è stato intimato di non rilasciare dichiarazioni alla radio.

Cinque giorni fa è stata diffusa una notizia e un documento del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria sul sito di Radio Onda d'Urto, una radio militante e indipendente registrata come testata al Tribunale di Brescia: nel documento si legge che la dottoressa Angelica Milia, che cura la salute di Alfredo Cospito<<viene diffidata a rilasciare a seguito delle visite dichiarazioni alla emittente radio "Onda d'Urto" al fine di non vanificare le finalità di cui all'ex art. 41 bis O.P.. Ulteriori dichiarazioni rese in tal senso, potranno indurre questa A.D. a valutare la revoca dell'autorizzazione all'accesso in Istituto>>.

La medico di fiducia dell'anarchico insurrezionalista, intervistata dalla radio in questione, si diceva perplessa: non doveva parlare di quello che si diceva con Cospito perché, “complottisticamente” parlando, poteva mandare dei messaggi in codice? Oppure si limitava fortemente la sacrosanta libertà di parola nel riportare le condizioni di salute di una persona che sta rischiando la vita?

La notizia ha fatto molto scalpore: la misura del 41 Bis sembra sproporzionata o comunque non adatta al caso di Cospito. Anche ammettendo che i suoi scritti da dietro le sbarre, che sono stati pubblicati e pubblici per anni, potrebbero contribuire a incitare alla lotta armata, sarebbe stato comunque sufficiente una “stretta” alla sua corrispondenza, come sostiene il suo avvocato.

Tralasciando tutta una serie di considerazioni di diritto e politiche (che abbiamo affrontato in due post dal titolo “Perché sto con Cospito e perché non sto con Cospito) la spiegazione più sensata che ipotizziamo è principalmente una: impedire che si sappia che lo Stato italiano sta lasciando morire una persona che, nonostante non condividiamo i suoi metodi e i suoi atti, rimane un essere umano che andrebbe rispettato in quanto tale. 

Poche ore fa inoltre la dottoressa ha spiegato alla stampa che le sue condizioni, già molto gravi, si sono aggravate dopo una caduta mentre si faceva la doccia: si è ferito al naso e ha perso molto sangue. Sempre nelle scorse ore il Garante nazionale dei detenuti ha richiesto che Cospito venga trasferito in una struttura sanitaria adatta alle sue condizioni critiche.

Ma il divieto imposto di non parlare delle condizioni di salute dell’anarchico insurrezionalista stride con un’analoga notizia riguardante Matteo Messina Denaro diffusa nelle scorse ore:

i medici che lo hanno visitato hanno riportato alcune sue dichiarazioni che suonerebbero più o meno così: <<non ho ricevuto un’educazione culturale, ho letto molto (…) so che in Israele hanno le terapie migliori>>.

Ma se la legge è uguale per tutti, perché il condannato per il concorso nella strage di Capaci (ritenuto colpevole della cosiddetta “strage comune” -art. 422 CP- inizialmente l’accusa era "solo" quella di omicidio plurimo) può far conoscere le notizie sulla sua salute ed eventualmente mandare messaggi cifrati?

Perché invece alla dottoressa di un fallito "bombarolo" anarchico (è stato ritenuto colpevole di "strage politica" -art. 285 CP- anche se fortunatamente non ci sono state vittime nell’attentato che non ha mai rivendicato e che ha definito come dimostrativo) viene vietato –se questa è l’intenzione- di parlare delle condizioni di salute di un detenuto non mafioso al “carcere duro”, che potrebbe morire per lo sciopero della fame che ha intrapreso?

Anarco-pacifista




Come di consueto alleghiamo una citazione musicale: il remake di Willy Peyote de "Il Bombarolo" di Fabrizio De André. Come ho spiegato negli scorsi post, pur non condividendo i metodi della violenza minoritaria sono solidale per la sofferenza "ulteriore" che sta patendo Cospito. La canzone tocca diversi punti nevralgici della questione della violenza politica, inclusa quella che nel gergo militare viene definita con l'espressione "danni collaterali"

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