31.12.22

LE VIOLAZIONI DI TURCHIA E ISIS IN ROJAVA

DALL'OPERAZIONE SPADA AD ARTIGLIO ALL'ATTENTATO DI PARIGI: L'ANNUS HORRIBILIS NEL ROJAVA

Finisce l’anno ma non si fermano gli attacchi all’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria da parte dell’esercito turco e dalle formazioni jihadiste, mentre continua la repressione dei curdi in Turchia dopo il vile attentato di Parigi, a distanza di 10 anni dalle altre tre esecuzioni nella capitale francese. Il bilancio di un 2022 di sofferenza nei dati diffusi dalle FDS.

 

Foto de "Lo Skietto" di una manifestazione a Napoli di alcuni giorni fa in solidarietà con le popolazioni del Rojava


 

L’OPERAZIONE SPADA AD ARTIGLIO ALLA FINE DEL 2022

Il 13 Novembre una bomba scoppiava nel centro di Istanbul: il sultano Erdogan puntava il dito contro le forze curde-turche del PKK e quelle siriane delle YPG/YPJ che hanno sempre negato ogni addebito: le Forze Democratiche Siriane (abbreviate in FDS, sono la formazione militare che difende l’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria) hanno anche segnalato che l’attentatrice, catturata con un’inchiesta “lampo” e sbattuta prontamente sulle prime pagine dei giornali di regime, sarebbe legata all’Esercito Libero Siriano, formazione che combatte il regime di Assad e spalleggiata dalla Turchia nella guerra civile iniziata nel 2011. Come da “copione” di una logica della “strategia della tensione la Turchia ha sfruttato l’occasione come pretesto per intensificare gli attacchi al Rojava, isolato da un embargo mediatico della stampa internazionalecon l’ultima operazione denominata “Spada ad Artiglio”, mentre il potenziale coinvolgimento di un politico del partito ultranazionalista dei “lupi grigi” (alleato dell’AKP di Erdogan) passava in sordina e non conquistava “gli onori delle cronache”, riservati invece alla presunta attentatrice.

Gli attacchi dello stato turco, dei miliziani dell’ISIS e della più vasta area jihadista (foraggiati dal regime della Sublime Porta secondo i vertici delle FDS) continuano in queste ore, ma potremmo dire che sono continuati negli ultimi anni, dopo che le milizie curde insieme ad altre popolazioni si sono “ritagliate” uno spazio nel Nord-Est della Siria grazie al sacrificio di tante e tanti martiri nella lotta contro il sedicente stato islamico, nella caotica cornice della guerra civile siriana: tre giorni fa le FDS, hanno diffuso un resoconto intitolato “Report annuale del risultato delle violazioni dell’occupazione turca e dei mercenari dell’ISIS contro il Nord e l’Est della Siria”.

 

2022: IL BILANCIO DI UN ANNO SANGUINOSO IN ROJAVA

L’anno che volge al termine, secondo il documento, è stato <<il più  sanguinoso e dannoso sia materialmente che fisicamente per la popolazione dall’invasione dell’Ottobre 2019 delle regioni di Tal Abyad e Serêkaniyê / Ras al-Ain>>, con attacchi deliberati alla popolazione e alle infrastrutture civili <<inclusi anziani, donne e bambini, costringendoli a lasciare le loro case, cosa che è considerata un crimine contro l’umanità e che è provata in maniera chiara ed esplicita da evidenze e documenti incontestabili>> tramite l'uso di aerei militari, droni, altri velivoli comandati a distanza, carri armati e colpi d’artiglieria.

Oltre a ciò si denuncia anche l’infiltrazione di <<agenti e spie per colpire la stabilità e la sicurezza seminando zizzania tra la popolazione. Le nostre forze hanno arrestato dozzine di agenti mercenari e smantellato reti criminali, incluse quelle dedite al traffico di stupefacenti>>.

Si tratta poi un argomento che, perlomeno “egoisticamente” parlando, e cioè in un’ottica “Occidentalecentrica”, dovrebbe ricevere più attenzione dalla nostra stampa, ossia quello della lotta all’ISIS e della minaccia jihadista globale: nel nostro piccolo abbiamo provato ad affrontare la vicenda in due articoli. Il primo ha lo stesso titolo del briefing online di Viyan Adar, comandante delle YPJ (formazione militare femminile parte delle FDS): “Il supporto ininterrotto della Turchia all’ISIS”; il secondo, intitolato “I Cuccioli del Califfato” è invece un breve approfondimento sulla gestione dei prigionieri “Daesh”, con famiglie al seguito, nell’area. A parte ovvi fenomeni di interdipendenza tra tutte le aree del globo, non è secondario il fatto che molti di quei miliziani siano cittadini delle democrazie liberali in cui viviamo e che queste stesse democrazie li abbiano lasciati al loro infausto destino, scaricando il problema sulle forze del Rojava (oltre a quelle del contingente internazionale a guida USA), un problema che un giorno potrebbe riemergere dato che quei bambini diventeranno la nuova generazione di combattenti fondamentalisti islamici.

 

I DATI DEL REPORT

Le "violazioni" registrate sono 17596: 17433 bombardamenti con artiglieria pesante, mortai e carri armati; 120 attacchi con veicoli comandati a distanza inclusi 5 “droni-kamikaze” (ossia dei droni progettati per esplodere su degli obiettivi, non quelli che colpiscono e poi “ritornano alla base”); 43 attacchi aerei: ci sono molte discussioni contrastanti sugli sconfinamenti degli arei turchi che, secondo alcuni, non potrebbero operare senza il consenso, almeno tacito (o per imperizia), di Russia e America, che controllerebbero i cieli. Non a caso molti chiedono una “No Fly Zone” per il Rojava. In uno degli ultimi attacchi sarebbero stati messi in pericolo anche soldati americani, cosa che ha provocato una reazione (comunque timida) del comando USA. Nel primo attacco aereo attuato con la tattica del "double-tap" (e cioè bombardare una prima volta per poi colpire nuovamente quando arrivano i soccorsi) sarebbero stati visti anche dei militari USA mentre lasciavano frettolosamente la zona. La Turchia sostiene di non attaccare basi russe e statunitensi ma solo i "terroristi" delle YPG/YPJ e del PYD (partito ideologicamente collegato al PKK) e che le forze del Rojava si proteggono sfruttando la presenza di quelle postazioni straniere, usandole come una sorta di "schermo protettivo".


L'immagine dei resti di un drone-kamikaze diffusa sul canale Telegram delle Ypj.

Le vittime civili (indicate con l’appellativo di “martiri”, concetto con cui si indica l’importanza di non rendere vano il sacrificio umano) sono state 59 di cui 12 bambini e 5 donne: di queste almeno 15 sono morte nell’ultima ondata di attacchi seguita all’ “attentato-pretesto” di Istanbul, e 3 vite sono spirate meno di due settimane fa, in un attacco con un drone. Altri 263 (di cui 59 minorenni e 44 donne) sono stati feriti.


Un breve dispaccio su Telegram in cui si annuncia la morte di un 16enne.

Si riporta poi il dato dei <<militari nemici uccisi in operazioni di rappresaglia legittime>>: 44 soldati turchi e 22 mercenari.

Il numero di militari e di forze speciali impiegate contro la lotta all’ISIS (e alla gestione delle strutture in cui sono detenuti miliziani e famiglie) deceduti sono 69, mentre 95 sono morti per <<la lotta contro l’occupazione turca e i suoi mercenari>> e altri 14 periti in incidenti stradali o per malattia, per un totale di 178 martiri.

Sappiamo inoltre, da dati diffusi precedentemente, che all’incirca 20 appartenenti alle forze dell’Amministrazione Autonoma sono morti nei primi giorni degli ultimi bombardamenti e almeno una decina tra quelle delle forze del regime di Assad (con cui esiste una sorta di “patto di non aggressione” e una cooperazione che diviene una “scelta obbligata” e pragmatica, ossia quella di cooperare con “il male minore”, e cioè con il governo siriano). Come avevamo già riportato in passato, secondo il governo turco i militari uccisi in quel frangete erano almeno 250 e tre civili turchi sono morti per un colpo di artiglieria che sarebbe partito da Kobane. Le stime del governo turco potrebbero essere “gonfiate” e “distorte” per ragioni di propaganda, così come quelle delle forze militari a maggioranza curda potrebbero essere sottostimate per ragioni strategiche (ossia non indicare al nemico le perdite effettive).

Inoltre sui canali pubblici delle YPJ e delle SDF vengono spesso diffuse le foto di vittime militari tra le fila di combatte l’ISIS, le sue “cellule dormienti” e quelle che attaccano le strutture di prigionia: per alcuni giorni le operazioni congiunte con il comando internazionale guidato dagli Stati Uniti erano state sospese. Sono state poi riprese con diversi blitz in queste ultime giornate con arresti e sequestri di armi, materiale di propaganda, telefonini ecc. Nel report si parla di 113 operazioni in totale per scongiurare la minaccia jihadista, di 3500 detenuti Daesh arrestati mentre provavano a fuggire, di 267 nuovi arresti e di 387 militari del califfato uccisi in diversi scontri (molti dei quali miranti a liberare quelli già imprigionati e che sembrano essere "fomentati" da Ankara, in modo da far avere una "gatta da pelare" in più per tenerli "impegnati" su un fronte interno).

 





Diverse immagini diffuse su Telegram negli ultimi mesi riguardanti la lotta all'ISIS e la resistenza contro l'invasione turca.


Sono poi riportate dettagliatamente le diverse infrastrutture civili colpite: 7 infrastrutture per l’energia elettrica e le comunicazioni, 6 per carburante e gas, 5 tra scuole e centri educativi, 3 strutture ospedaliere, 3 strutture legate alla produzione di cibo e acqua, 2 fabbriche e 6 luoghi di culto (di cui 3 moschee, una chiesa e 2 cimiteri siriaci) oltre a diverse strade e fattorie.

Il documento si conclude con l’appello ai <<nostri partner della coalizione internazionale ad aumentare il supporto alle nostre forze>> (supporto che l’altro alleato NATO con il secondo esercito più numeroso, e cioè quello turco, non vede di buon occhio, per usare un eufemismo) <<e alla popolazione della regione, proporzionalmente alla grandezza dei pericoli e delle sfide poste dall’ISIS e dalle sue cellule terroriste, e all’ampiezza della distruzione causata nella regione come risultato della guerra al terrorismo>>.

 

 

L’ATTENTATO A PARIGI E LA REPRESSIONE INTERNA AI CONFINI DELLA DITTATURA TURCA

Intanto il 23 Dicembre, nella “fortezza Europa”, si consumava il vile attentato al centro curdo parigino “Ahmet Kaya”: tra le vittime c’è anche una donna che ha contribuito a liberare la Siria e il mondo intero dalla minaccia del califfato direttamente sul campo di battaglia. Per la comunità curda si è trattato, a distanza di 10 anni di un’altra esecuzione di tre militanti curde sempre nella stessa zona della capitale francese (su cui ancora non si è fatta piena luce dal punto di vista giuridico e storico), di un attentato orchestrato direttamente da Ankara o, quantomeno, fomentato dal clima d’odio contro i curdi. Per il governo francese e la procura si tratterebbe invece del gesto di un folle “cane sciolto” razzista.

Contestualmente in Turchia, a pochi mesi dalle elezioni, la repressione interna contro il Partito delle Regioni Democratiche (il DBP, da non confondere con il BDP, Partito della Pace e della Democrazia chiuso e bollato come “illegale” nel 2014, come avvenuto a un’altra ventina di partiti nella storia recente della Turchia, quasi tutti filo-curdi) affiliato al Partito Democratico dei Popoli (HDP) continua con gli arresti di diversi esponenti e del co-presidente. L’HDP è un partito della sinistra anticapitalista che rappresenta diverse minoranze, oltre a quella dei curdi, come quella degli aleviti e la comunità LGBTQ+. Nel 2018 l’allora co-presidente e leader Selahattin Demirtas, detto l’“Obama turco”, ha sfidato Erdogan alle urne direttamente dal carcere, riuscendo a superare la soglia di sbarramento (gli era stato concesso di inviare dei messaggi videoregistrati). Oggi è ancora detenuto come molt# altr# esponenti dello stesso partito. Il gruppo politico raccoglie dunque l’eredità di diversi partiti messi fuori legge ed è affiliato all’Internazionale Socialista come il Partito Popolare Repubblicano (CHP), di stampo kemalista, fondato proprio da Ataturk nel ‘23 e unico partito del paese fino al ‘72.

L’HDP ha rilasciato un comunicato, diffuso in italiano dalla Rete Kurdistan, in cui si afferma: <<L’obiettivo principale dell’attacco al DBP è quello di spezzare la volontà e il potere organizzativo del popolo curdo nel periodo che precede le elezioni. Ricorrendo a tali metodi antidemocratici prima delle elezioni, il regime AKP/MHP -e cioè il partito di Erdogan e gli alleati “lupi grigi” NDR- vuole intimidire la volontà del popolo curdo, il suo oppositore più dinamico e più forte attraverso complotti di guerra, operazioni legali e colpi di stato politici. L’assoluto isolamento a Imralı, la tortura dei politici da parte delle forze di sicurezza in mezzo alla strada, gli attacchi alle madri che lottano per la giustizia e le operazioni di sterminio politico contro il DBP dimostrano ancora una volta che la strategia elettorale del governo AKP/MHP si basa sull’intensificarsi della guerra, liquidare l’opposizione, soffocare i media dell’opposizione e diffondere la violenza nella società. Nessuno dovrebbe dubitare che il popolo curdo e la sua forza organizzata sconfiggeranno il governo AKP/MHP come i governi precedenti. Il segno di vittoria fatto dal co-presidente del DBP Keskin Bayındır durante la sua detenzione è la bussola per la vittoria del popolo curdo e il segno che il governo AKP/MHP non sfuggirà alla sconfitta. In questo contesto, chiediamo all’opinione pubblica democratica di essere solidale con il popolo curdo e la sua forza organizzata e facciamo appello all’opposizione affinché si opponga alle tattiche politiche portate avanti dal governo AKP/MHP con tamburi di guerra e sterminio politico. Dovrebbe essere noto che mentre l’obiettivo principale e immediato del governo AKP/MHP è spezzare la volontà del popolo curdo, è anche soggiogare i popoli della Turchia nel loro insieme>>.

In conclusione vogliamo ricordare un’altra vicenda di cui abbiamo nel format di Fanrivista intitolato (e contrassegnato sui social dallo specifico hashtag) “Come Va A Finire?”: quella relativa alle estradizioni richieste dalla Turchia a Finlandia e Svezia per entrare nella Nato, vicenda che sembra essere arrivata al suo epilogo -per il segretario della NATO Jens Stoltenberg- o almeno all’inizio di questo -per il ministro degli esteri turco Cavusoglu che dice <<non siamo ancora a metà strada>>- con un “prezzo” (apparentemente “più basso” di quello richiesto inizialmente) pagato sulla pelle dei curdi e delle altre popolazioni che insieme a loro sperimentano un modello di democrazia diretta, dal basso, ecologista e femminista in Siria, conseguenza della svolta teorica del leader imprigionato del PKK Abdullah Ocalan negli anni della sua detenzione: le richieste di estradizioni sono molte di più delle due concesse, tuttavia la Turchia è riuscita a ottenere lo sblocco dell’embargo “non ufficiale” di armi scandinave, imposto circa tre anni fa proprio per gli attacchi alle popolazioni del Rojava.

 



Foto di repertorio scattate da "Lo Skietto" lo scorso anno, quando una delegazione di attivist# arrivava in barca dalla Grecia a Napoli per manifestare in favore della liberazione di Ocalan


Mentre ci apprestiamo a “festeggiare” la fine di un altro anno segnato dall’esplosione di una nuova guerra e dalla continuazione di svariati conflitti radicati nell’ingiustizia, mentre si esplodono pericolosi, costosi e inutili petardi in segno di festa e ad altre latitudini scoppiano ordigni veri e propri ancora più costosi e dannosi, dovremmo perlomeno prestare attenzione a ciò che avviene ad altri popoli sulle superfici del pianeta in cui viviamo, e renderci più “attiv#” (e “attivist#”) anche per comprendere e combattere i meccanismi che ci consentono di mantenere questo stile di vita tanto opulento (e comunque precario, nel caso di chi scrive, ma sono convinto anche nel caso di molt# che leggono) quanto ipocrita: promettiamoci questo, pensiamo a questo “buon proposito” per il 2023, facciamo di tutto perché sia migliore di quello passato e, se così non sarà, per lo meno ci abbiamo provato, abbiamo fatto tutto quello che potevamo e qualche frutto, forse fra migliaia di anni ma anche nell’immediato, verrà raccolto...

Buona fine, buon principio e buon impegno sociale!

 

Fanzinaro Politico


ultimo aggiornameto alle ore 14:11 del 31/12/2022

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