13.11.22

SVEZIA E FINLANDIA NELLA NATO: COSA VUOLE DAVVERO LA TURCHIA?

AGGIORNAMENTO DEL 13/11/2022

Per la rubrica-format di Fanrivista #ComeVaAfinire” oggi pubblichiamo un aggiornamento sul veto posto dalla Turchia all’entrata nella NATO dei due paesi scandinavi, focalizzandoci su: i diktat della Turchia a Finlandia e –soprattutto- alla Svezia, la disponibilità del nuovo premier svedese, gli attacchi fisici e mediatici ai giornalisti turchi rifugiati nei confini europei, le estradizioni concesse e le possibili (ma velate) altre ragioni dietro l’insistenza turca sulla consegna di dissidenti e presunti “terroristi



 


Come promesso, torniamo quindi a occuparci della vicenda cercando di capire “Come andrà a finire”  e dandovi conto degli sviluppi più recenti (oltre a sintetizzare quanto avevamo già scritto in estate) riguardo le estradizioni e le espulsioni richieste dal “Sultano”. Inoltre, secondo un analista svedese, quello che veramente Erdogan vuole raggiungere potrebbe essere qualcosa di diverso dalla semplice consegna dei presunti “terroristi” e altri dissidenti… Il <<dittatore di cui però abbiamo bisogno>> (cit. di Mario Draghi) avrebbe addirittura messo in conto che queste estradizioni non avverranno mai (ipotesi che sembra confermata dal fatto che ci sono oggettivi limiti, giuridici e costituzionali, perché queste siano concesse –come lo status di cittadini o rifugiati- dato che non dipendono direttamente dai due Governi ma da altri enti e agenzie delle due nazioni…). Ma allora perché la Turchia insiste?!




 

ALL’APPELLO MANCANO SOLO TURCHIA E UNGHERIA

Con l’estensione all’intero territorio ucraino dell’aggressione russa, Svezia e Finlandia hanno richiesto di entrare a far parte della NATO, accelerando il processo di avvicinamento all’alleanza iniziato nel ’94 con il Partenariato per la Pace.

Condizione per l’entrata di nuovi membri nel patto atlantico è l’approvazione dei rispettivi governi. Mancano solo Ungheria e Turchia all’appello per la ratifica finale da parte delle nazioni già inserite nell’alleanza, che tra l’altro sta avvenendo in tempi “record” rispetto al passato.

Mentre pochi giorni fa l’Ungheria del reazionario e sovranista Orban diceva, tramite un membro del suo esecutivo, che i due paesi potevano <<contare su di loro>>, il premier-autocrate turco continua a fare leva sulla consegna di decine di dissidenti  e presunti terroristi, minacciando che continuerà a opporre il suo veto, dato che il memorandum siglato ad Agosto a Madrid non sarebbe stato rispettato.

In un articolo dello scorso Luglio, pubblicato dalla BBC, si riferiva che la Svezia avrebbe promesso a Erdogan (come da lui affermato) di estradare 73 terroristi e che 4 erano già stati inviati. Da quando, in estate, abbiamo cominciato a seguire la vicenda (analizzando comunicati stampa, articoli da tutto il mondo e altre fonti aperte) però, i casi di estradizione avviati e discussi in pubblico sono stati solo due. Di questi solo uno sarebbe effettivamente concluso.

Intanto “il Sultano” Erdogan ha però già ottenuto lo “sblocco” della vendita di armi al suo paese (conseguente agli attacchi turchi ai danni dello YPG/YPJ, formazione che è riuscita a “ritagliarsi uno spazio” nel nord-est della Siria lottando contro l’ISIS), mentre invece la consegna dei dissidenti si scontra (fortunatamente) con gli ostacoli costituzionali e giuridici che non permettono estradizioni ed espulsioni verso un paese in cui si rischiano abusi come la tortura.

 

LA LISTA DI PROSCRIZIONE, L’UNICA ESTRADIZIONE CHE SEMBRA CONFERMATA FINORA (DELLE ULTIME RICHIESTE) E GLI ATTACCHI FISICI E MEDIATICI AI GIORNALISTI RESIDENTI IN EUROPA

Nei mesi scorsi la Turchia aveva presentato una sorta di “lista di proscrizione”: 

al suo interno decine di nomi di appartenenti –o presunti tali- al PKK (partito comunista curdo che dall’idea “separatista” di uno stato “a parte” si è in larga parte spostato verso una soluzione confederale e libertaria, teorizzata dal suo principale esponente, Ocalan, in carcere sull’isola turca di Imrali dal 1999), alle YPG/YPJ (le unità di protezione popolari del Rojava in Siria, collegate al PKK) e alla FETO (acronimo con cui le autorità turche identificano il movimento “demo-islamico” e nazionalista capitanato da Fethullah Gulen. In passato “l’Imam” era amico del “Sultano” Erodgan, oggi invece quest’ultimo lo ritiene responsabile del fallito golpe nel 2016. Alcuni ritengono, tra l’altro, che Gulen avrebbe contrastato i negoziati di pace con i curdi che Erdogan e l’ex capo dei servizi segreti, Fidan, stavano portando avanti nel 2012), oltre a personaggi come attivisti dei diritti umani e addirittura uno scrittore morto anni prima. È importante ricordare che solo il PKK è ancora considerato da diversi stati e dall’UE ufficialmente un’organizzazione terroristica, nonostante molti ne chiedono la cancellazione dalle apposite liste che la “contrassegnano” come tale.

L’attenzione  e i moniti di Erdogan si concentrano soprattutto sulla Svezia dato che, come ha recentemente dichiarato <<la Finlandia non è uno stato dove i terroristi sono liberi di andare in giro>> a differenza della Svezia che sarebbe <<una culla per i terroristi>>: ha espresso più volte infatti disappunto per le normali manifestazioni di piazza di quelli che lui bolla come terroristi (che a suo dire sono presenti anche in parlamento, riferendosi alla parlamentare ed ex guerrigliera Amineh Kakabaveh –che sarebbe anche inclusa nella “lista di proscrizione”-), e considera <<scuse>> le garanzie costituzionali e di libertà d’espressione.

Helsinki , stando a quanto riportano le cronache, negli ultimi tre anni ha approvato 11 richieste di estradizione e, nonostante le pressioni turche, ha rifiutato di ri-esaminare una manciata di casi perché c’era stata già una decisione definitiva degli organismi preposti. Ne avrebbe concesse invece altre due, per degli accusati di violenza sessuale (e non di terrorismo).

Altri due sono invece i casi saliti alla ribalta delle cronache, e di cui avevamo già parlato su queste pagine. Ad Agosto veniva infatti diffusa la notizia dell’imminente estradizione di O.K. da parte della Svezia, condannato in patria a 14 anni per una frode con delle carte di credito a danno di istituti di credito turchi (e quindi non di terrorismo). Pare quindi che sia stato effettivamente estradato: si era recato in Svezia nel 2014 dopo aver ottenuto lo status di rifugiato in Italia (inizialmente negato in Svezia), e si è difeso attribuendo il motivo delle condanne alle sue origini curde, al rifiuto di prestare il servizio militare e alla conversione al cristianesimo (ritenuta strumentale per non essere estradato da parte dei “media di regime” turchi, che enfatizzavano la differenza di 20 anni di età con la persona con cui si era sposata, come se fosse una colpa).


L'immagine di Zinar Bozkurt in un articolo dell'European Kurdish Democratic Societies Congress
L’altro richiedente asilo di cui avevamo parlato si chiama Zinar Bozkurt: da alcuni anni si era rifugiato in Svezia e, stando al suo racconto, nel 2018 i servizi svedesi lo avevano interrogato, chiedendogli: <<Pensi che YPG/YPJ siano terroristi? Perché partecipi alle manifestazioni dove sono esposte le bandiere del PKK?>>. Le sue risposte: <<In Svezia c’è la liberta di esporre qualunque bandiera si vuole, non ho nessun legame con il PKK, sono curdo e sono a favore dell’HDP –partito turco che unisce forze curde e di sinistra NDA>>. La sua richiesta d’asilo non venne accettata e per questo divenne formalmente “clandestino”. Avrebbe ricevuto anche degli insulti omofobi durante la detenzione nel centro per migranti dove era detenuto: va da sé che le discriminazioni per il suo orientamento sessuale in Turchia potrebbero essere molto peggiori. Alcune settimane fa il suo avvocato aveva spiegato che, dopo uno sciopero della fame, dopo una detenzione di quasi due mesi e dopo una grande mobilitazione mediatica in suo favore, la richiesta di estradizione era stata annullata. Non sappiamo se sia riuscito a ricongiungersi con il suo compagno e se sia stato effettivamente rilasciato (anche se dalle parole del suo legale sembrava che ciò sarebbe successo, mentre secondo un articolo di due settimana fa de Il Manifesto sarebbe ancora ristretto).

Ci sono poi almeno altri due casi che hanno creato scalpore negli scorsi anni. Il primo riguarda Resul Ozdemir, estradato in Turchia due anni fa dopo che gli era stato negato il diritto d’asilo dalla Svezia, dove si trovava anche la sua famiglia. Sta scontando una pena di 15 anni in quanto ritenuto membro del PKK e responsabile di aver preso parte ad alcuni attacchi all’esercito turco tra il 2015 e il 2016. Al di là della responsabilità effettiva per le imputazioni che gli vengono attribuite (che se pure confermate potrebbero essere forse inquadrate in un conflitto armato tra due formazioni militari, e non come “terrorismo” -della definizione di “terrorismo” ne parliamo in questo post) resta il fatto che il giovane rischiava (e avrebbe poi effettivamente subito, come ha denunciato la sua famiglia e come è stato ricordato proprio in questo periodo dopo la detenzione di Bozkurt) di essere torturato, di morire e anche di subire un processo non equo e imparziale, e quindi in violazione sia delle leggi svedesi che del diritto internazionale.

Un altro caso simile, che creò ancora più scalpore ed è ancora più grave, è quello dell’estradizione di un’altra attivista curda, Guilzar Tasdemir, avvenuta nel 2018: la sua richiesta d’asilo, nonostante fosse anche in precarie condizioni di salute, in un primo momento fu rigettata dalla Norvegia perché si decise che non era supportata dalla concreta minaccia di subire una persecuzione politica e perché non sarebbe stata in pericolo. Poche settimane dopo, quando oramai era detenuta nelle galere turche, le autorità norvegesi stabilirono che il suo caso era stato valutato erroneamente, concedendole l’asilo… quando oramai era troppo tardi! La magra consolazione fu una condanna della Corte di Oslo emessa contro il Ministero della giustizia norvegese.

Ma il governo turco, anche tramite le agenzie di intelligence e l’operato dei media di regime, ricorrerebbe a mezzi molto meno “diplomatici” per attaccare giornalisti “non graditi” al di fuori dei suoi confini: a  Marzo il giornalista in esilio Ahmet Dommez ha subito un pestaggio, dopo che lo hanno fatto scendere dalla macchina in cui c’era anche suo figlio piccolo, a poca distanza da Stoccolma. Il giornale per cui lavorava, concentrandosi su casi di corruzione, era riconducibile alla FETO, secondo le autorità turche che lo hanno chiuso nel 2016 (l’anno del tentato golpe in Turchia, a detta di Erdogan orchestrato dai seguaci di Gulen).


Il presunto terrorista del PKK, Resul Ozdemir, "sbattuto in prima pagina" e mostrato come un "trofeo" dalla stampa "di regime" turca 

Un altro giornalista, Abdullah Bozkurt, ha subito un pestaggio nel 2020 e lo scorso mese la stampa turca ha diffuso delle sue foto (scattate dai servizi segreti turchi secondo lui) rivelando l’indirizzo dove abita in Svezia: sempre nel 2016 dei funzionari della <<propaganda di regime hanno detto dove vivevo e che mi dovevano piantare una pallottola in testa>> essendo ritenuto anche responsabile dell’assassinio di un ambasciatore russo, ha spiegato in un tweet.

La stessa “macchina del fango” mediatica si è abbattuta anche su Cevheri Guven, con foto che rivelano l’indirizzo di casa sua in Germania: è stato condannato in Turchia a 22 anni di carcere e ritenuto anche lui esponente della FETO.

C’è poi il “diktat” che riguarda un altro giornalista che ha chiesto asilo, sempre in Svezia: in queste ore il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha ribadito chiaramente che chi fa informazione non deve essere usato come merce di scambio, difendendo a spada tratta Bulent Kenes (anche lui ritenuto esponente di FETO e direttore editoriale di Zaman, la stessa testata per cui lavorava Ahmet Dommez).

Il nuovo primo ministro svedese e leader del “Partito Moderato” di centrodestra, Ulf Kristersson, ha dichiarato che il suo governo (con l’appoggio dell’estrema destra) <<metterà il rispetto della legge e dell’ordine al primo posto, includendo la lotta al terrorismo e delle organizzazioni terroristiche come il PKK in Svezia>>, e tagliando i contatti anche con YPG/YPJ (che, ribadiamo, a differenza dell’altra organizzazione curda non è inclusa nella lista dei movimenti terroristi in UE).

Le elezioni della Turchia a Giugno sono un altro fattore che potrebbero posticipare l’adesione almeno alla prossima estate, a un anno di distanza dalla richiesta formale di Helsinki e Stoccolma, ma comunque in tempi “record” nella storia del patto atlantico. Inoltre le elezioni sono una variabile decisiva nel comportamento di Erdogan, che può sfruttare le trattative per guadagnare voti…

 

 

LE ALTRE RAGIONI PER CUI ERDOGAN SEMBRA “ANDARE PER LE LUNGHE”


Un F-16



In un articolo pubblicato ieri sul sito di notizie svedesi in inglese, "TheLocal.Se"(dal titolo "Forse Erdogan vuole solo tirare per la lunghe la decisione sulla candidatura della Svezia per la Nato), l’esperto di questioni turche Paul Levin ha spiegato che la strategia di Erdogan di richiedere degli agnelli “terroristici” da immolare, potrebbe servire per ottenere dei risultati tra i suoi confini e all’estero.

In Turchia ci sono le elezioni a breve e le immagini di bandiere del PKK che sventolano nelle capitali europee sono un qualcosa di inaccettabile per molti cittadini turchi. “Sacrificare” qualche “terrorista-dissidente” potrebbe dunque essere un vantaggio elettorale. Tuttavia ciò non sarebbe sufficiente a spiegare perché la sua posizione sembra più morbida nei confronti della Finlandia, paese che rappresenta una <<pedina di scambio>> di maggiore importanza nello scacchiere della NATO, dato che confina con la Russia.

Oltre quindi all’ipotesi “meno complottista”, ossia quella che il premier-dittatore voglia effettivamente riuscire a far estradare quanti più “terroristiè possibile, ce ne sono altre due (di cui comunque non si può escludere la loro complementarità con la prima): la prima, quella “più complottista”, riguardarebbe un accordo “sottobanco” con Putin per impedire effettivamente che i due paesi entrino nel patto atlantico (in questo caso però la Turchia sarebbe maggiormente esposta alle pressione degli altri membri della NATO); infine la terza possibilità è che Erdogan vuole rimuovere o ridurre altri <<embarghi informali>> sulle armi, acquisendo nuovi armamenti, e in particolare ottenendo la possibilità di comprare F-16 americani (in caso ciò non fosse possibile il “piano B” potrebbe essere quello di acquistare altri velivoli da combattimento dalla Russia).

Come andrà a finire? Svezia e Finlandia entreranno nella NATO? Altri dissidenti curdi verranno consegnati alla Turchia? “Il Sultano”, che dispone del secondo esercito più numeroso della NATO, vuole solo il “sacrificio” dei “terroristi” oppure punta all’isolamento di Svezia e Finlandia (d’accordo con Putin)? Oppure vuole ottenere nuove armi dagli alleati della NATO, nuovi strumenti di morte con cui cancellare la resistenza curda e imporsi maggiormente come attore politico nel Medio Oriente?!

Paolo Maria Addabbo


ultima modifica 9/11/23 16:10

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