1.4.23

CONTINUANO LE STRAGI NEL MEDITERRANEO

CONTINUANO GLI OSTACOLI ALLE ONG: DAL NAUFRAGIO DELL'11 MARZO A QUELLI DEL 25

 

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Pubblichiamo un lungo editoriale sulle stragi in mare, che purtroppo continuano anche se dopo Cutro si era detto “mai più”, sugli ostacoli alle navi delle ONG, sul blocco della nave Louise Michel, sugli spari dei sedicenti guardacoste libici alla Ocean Viking, sulla condanna della CEDU per l’hotspot di Lampedusa, sui cosiddetti “scafisti” (che non necessariamente sono anche “trafficanti”), sulle giustificazioni delle autorità governative italiane ed europee, sulle conclusioni di un’indagine dell’ONU che documenta le sistematiche torture che avvengono nei lager libici, e sulle domande che non sono state fatte in alcuni media mainstream...

A Cutro 92 persone sono morte (più di 20 erano sotto i 13 anni e si cercano ancora altri dispersi) a poche bracciate dalle nostre coste. Vedere l’angoscia così vicina, a pochi metri dalla nostra indifferenza e assuefazione, ha avuto un impatto emotivo e mediatico molto forte: quando però quello stesso tormento si verifica un po’ più in lontananza anche l’attenzione dei media mainstream cala, facendo spazio a nuove armi di distrazione di masse e facendoci assuefare ai “numeri” di vittime che in realtà sono numeri di storie, di sogni infranti tra i flutti di mare, di diritti affondati da politiche menefreghiste e miopi. Per questo torniamo a parlare delle altre stragi che si sono verificate in questi ultimi giorni, dopo che si era detto “mai più tragedie del genere”, “se partono con i figli è colpa loro” e così via… Per questo dobbiamo cercare di non far “sgonfiare” l’attenzione e attivarci quotidianamente per fermare le stragi!

 

 

IL NAUFRAGIO DELL’11 MARZO: RESPONSABILITÀ MORALI, POLITICHE E OPERATIVE: LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DALL’OPINIONE PUBBLICA

Intorno alle 2 e 30 dell’11 Marzo Alarm Phone -a due settimane dalla strage di Cutro- segnalava la presenza di una barca con 47 persone: a distanza di 30 ore da quel primo segnale di allarme, dopo che ne erano stati inviati altri incluso uno dall’aereo della Sea Watch, ne moriranno 30, mentre 17 verranno salvate da una nave mercantile. Nello specifico, alcune barche si sono schierate in maniera tale da ostacolare la violenza delle onde ma, nonostante ciò, la barca si è ribaltata e solo alcune vite sono state salvate. Nella ricostruzione delle ONG si spiega che, inizialmente, nelle immediate vicinanze c’erano un’altra imbarcazione mercantile e una petroliera che però <<hanno proseguito la rotta senza prestare soccorso>>. Le autorità libiche avevano detto di non avere mezzi a disposizione, chiedendo aiuto all’Italia, mentre quelle maltesi avrebbero addirittura agganciato il telefono...

 

Mediterranea Saving Humans e le due ONG succitate hanno diffuso un comunicato congiunto sulla vicenda, tre giorni dopo il naufragio, in cui si afferma che le autorità italiane e maltesi avrebbero potuto coordinare un’operazione di soccorso, e che il Centro di coordinamento marittimo (MRCC) con sede a Roma aveva <<già coordinato diverse operazione di questo tipo al di fuori della sua area SAR>> (acronimo che indica l’area dell’attività di Ricerca e Soccorso). Nel comunicato è presente anche una dettagliata cronologia degli eventi.

Inoltre, al di là delle eventuali responsabilità specifiche (e quindi eventualmente anche penali) in quest’ultima tragedia come in moltissime che l’hanno preceduta -la strage di Steccato di Cutro era avvenuta solo due settimane prima- si fanno delle affermazioni riguardo a delle precise responsabilità morali e politiche: <<La responsabilità primaria della scomparsa di queste 30 persone, così come per tutti coloro che sono morti o dichiarati dispersi sui confini marittimi dell’Europa, è italiana, maltese, e di tutti gli Stati Membri dell’UE, così come delle istituzioni dell’Unione Europea (…) Molte domande rimangono senza risposta: perché le autorità italiane e maltesi e EUNAVFOR MED Irini -sigla che indica l’operazione navale e militare dell’Unione Europea NDR-  non sono intervenute direttamente per soccorrere le persone in pericolo? Perché nessuna risorsa EUNAVFOR MED ha risposto al Mayday di Seabird 2? Tutte queste autorità devono essere ritenute responsabili del loro ruolo in questo caso e del loro mancato intervento.

Chiediamo che l’Unione Europea e i suoi paesi membri assicurino rotte sicure e legali verso l’Europa e si impegnino in operazioni coordinate di ricerca e soccorso, invece di finanziare ed equipaggiare la cosiddetta Guardia costiera libica, avvallando operazioni di respingimento illegali secondo il diritto internazionale>>.





In più Mediterranea ha diffuso via social delle smentite alle parole di Peter Stano, portavoce della Commissione Europea (si potrebbe dire che hanno svolto un’attività di “debunking” o di “fact checking usando termini molto in voga che sostanzialmente denotano l’attività di verifica di affermazioni o notizie). Stano ha dichiarato che <<l’operazione navale europea “Irini” non poteva operare in acque libiche (…) le navi della Irini pattugliano un’area designata da un accordo firmato dagli Stati Membri e questa non è la principale rotta per i migranti>>, mentre il dovere principale della missione è <<monitorare l’applicazione dell’embargo europeo delle armi verso la Libia>>.  Questa la replica di Mediterranea: <<Il naufragio è avvenuto a 110 miglia da Bengazi, cioè in acque internazionali, e proprio all'interno dell’area di operazione di Eunavformed. Le navi militari erano lì, hanno ricevuto il messaggio di allarme diffuso dal centro di controllo di Roma, ma non si sono mosse, pur essendo questo un preciso obbligo per ogni nave presente, previsto dalla Convenzione di Amburgo>>.






 

L’ONG è ancora più dura (giustamente a detta di chi scrive) con Ana Prisonero, un’altra portavoce della Commissione, che auspica un maggiore sostegno alla Libia fornendo ai discussi guardiacoste <<altre imbarcazioni>>: <<Per le Nazioni Unite e UNHCR la Libia non è un paese sicuro>> ricorda tanto ovviamente quanto giustamente Mediterranea (ma forse le tragiche ovvietà vengono dimenticate in nome di un falso pragmatismo politico), che aggiunge: << La Libia non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui profughi e rifugiati; -e quindi non può considerarsi un “place of safety” per portare a termine un salvataggio, ma anzi ha tutto l’interesse a riportare i migranti-schiavizzati indietro NDR-

 

La Libia non opera soccorsi in mare, ma cattura le persone che fuggono dai lager, per deportarle nuovamente nei campi di detenzione, compiendo una gravissima violazione dell'art.33 della Convenzione di Ginevra.

 

Con queste dichiarazioni la Commissione ha dunque deciso di sancire ufficialmente la sua complicità con queste gravissime violazioni dei diritti umani, fornendo materiale per il Tribunale Penale Internazionale. Ne è consapevole il Parlamento Europeo?>>. Il richiamo alla corte penale dell’Aja si riferisce all’intenzione dell’ONU di presentare una specifica denuncia.

 



 

Lunedì 27 Marzo le Nazioni Unite hanno diffuso un comunicato che annuncia le conclusioni di una missione d’inchiesta indipendente, iniziata nel 2016, per investigare abusi e violazioni dei diritti umani: nel rapporto si documentano gli stupri, le torture, la riduzione in schiavitù, le detenzioni immotivate e inumane, gli omicidi e le sparizioni forzate con le responsabilità addebitabili a diversi organismi statali libici, come il Ministero degli interni (quello che fa capo ad Emad al-Trabulsi, che è anche vicedirettore dei servizi segreti libici, e che era stato fermato in un aeroporto francese con i bagagli colmi di denaro dopo la visita a Roma con l’omologo Piantedosi circa un mese fa), le diverse milizie che operano nell’area, il Direttorato che dovrebbe combattere l’immigrazione irregolare e ovviamente l’oscura Guardia costiera libica, organismi che i cittadini europei finanziano per far commettere crimini di guerra e contro l’umanità (e l’ONU invita a cessare ogni forma di sostegno diretto e indiretto)! Violazioni che in gran parte dei casi non vengono denunciate dai migranti per paura e sfiducia verso il sistema giudiziario!

Ma passiamo alle “discolpe tricolori” con la presidente del Governo italiano Meloni che ha giustificato l’ennesima sciagura e il mancato coordinamento riprendendo le parole del comandante della Guardia Costiera Gianluca D’Agostino, che è anche comandante del Centro di soccorso dell’ente (che fa capo al Ministro Salvini) e che risponderebbe penalmente di eventuali incriminazioni penali: <<abbiamo la coscienza a posto>> ha detto la Meloni, riprendendo le parole di D’agostino specificatamente alla dinamica dei soccorsi (parole amplificate in una specifica intervista sulle televisioni di Berlusconi): <<da un punto di vista tecnico si può entrare>> nella zona SAR libica perché sono acque internazionali <<ma da un punto di vista normativo>> spetterebbe all’autorità competente, e cioè alla Libia che diceva di non poter intervenire, spingendo dunque il centro italiano ad assumere il coordinamento che, tecnicamente, sarebbe toccato a Malta,.

Quando si sono resi conto che la Guardia costiera libica non avrebbe inviato supporto alla Basilis L (il mercantile che ha prestato soccorso) allora si sono mossi, <<intorno alle 19. In quel momento abbiamo assunto il coordinamento anche se Malta si sarebbe dovuta interessare>>, ma lo stato più piccolo dell’UE usualmente non lo assume perché, chiarisce il capitano, ha mezzi oggettivamente molto più ristretti dello Stivale.

<<Il centro di soccorso ha degli obblighi, come quello di far convergere “forze” (come mezzi navali mercantili) (...) e di sincerarsi che l’autorità competente possa agire>>. La nave mercantile Basilis L, dice D’Agostino, aveva risposto all’allarme inviato dall’aereo Sea Bird perché già allertata dalla Guardia Costiera Italiana, anche se questo <<non è stato detto da Alarm Phone>>, ci tiene a precisare. Poi, flebilmente incalzato dalle domande del giornalista di Mediaset, specifica che delle 5 imbarcazioni italiane disponibili per le attività di soccorso, che si <<concentrano nell’area specifica>> della SAR italiana, alcune <<unità SAR non avevano l’autonomia>> di carburante <<per andare e tornare>> in quel punto, mentre altre navi che potevano arrivare lì in circa 24 ore di navigazione <<erano impiegate in un soccorso nello Ionio>> con lo sbarco avvenuto intorno alle 3 del 12 Marzo.

<<La guardia costiera ha applicato le norme internazionali e sempre le applicherà>> e quella libica fa parte di un <<governo riconosciuto>> che si è assunto un impegno...  Un governo “riconosciuto” solo da una parte del paese in cui è in corso una guerra civile, con degli apparati che hanno l’interesse a intercettare le persone in mare per riportarle nei lager libici per spillargli altri soldi schiavizzandoli e torturandoli e poi, nuovamente, per “trafficarli” in mare, dato che molti hanno ripetuto i viaggi della speranza più volte.

Il comandante spiega poi che negli ultimi anni (e in particolare a partire dal 2020) non sarebbe cambiato nulla a livello normativo: <<le norme che c’erano prima ci sono oggi>> mentre dei cambiamenti ci sarebbero stati al  livello di <<attività di polizia>> che però non riguardano, almeno all’apparenza, le attività legate al soccorso (come abbiamo già scritto su queste pagine, il meccanismo giudiziario della repressione “tempestiva” dello “scafismo” potrebbe essere viziato da certe prassi: non è un caso che il cosiddetto “codice Minniti” prevedeva la presenza di polizia a bordo delle navi delle ONG per facilitare la pratica di identificare immediatamente chi materialmente guidava le imbarcazioni, e non è detto che chi impugna il timone è per forza un “trafficante”, ma potrebbe essere una vittima della tratta costretta con la forza o da pericoli contingenti, restando dunque esposto a un’ingiusta criminalizzazione. Anche le testimonianze che vengono raccolte a bordo “immediatamente” per procedere a questo tipo di identificazione potrebbero essere facilitate, se non addirittura “indotte”, con la promessa di agevolare le richieste di protezione dei testimoni, tutele che in realtà finiscono con il termine del procedimento giudiziario: per questo gli stessi esponenti delle ONG e gli equipaggi sarebbero visti come dei testimoni scomodi, delle sentinelle-civiche del mare che osservano potenziali abusi oltre alle omissioni di soccorso, e perciò si attuerebbero tentativi di repressione nelle aule dei tribunali e del parlamento, con delle operazioni di “criminalizzazione della solidarietà”).

Le affermazioni di D’Agostino stridono però con quanto affermato dall’Ufficiale in congedo Vittorio Alessandro: le logiche della repressione poliziesca sono state tragicamente anteposte a quelle dei salvataggi, addirittura fino a far sparire le immagini dei soccorsi dai calendari del corpo.  Il concetto della logica della repressione giudiziaria prevalente su quella umanitaria è stato giustamente ripetuto più volte, in maniera chiara, anche su molti dei media “mainstream” nei giorni successivi alla strage di Cutro, ed è giusto quando doveroso continuare a ripeterlo. E le parole di D’Agostino stridono anche con quelle di Giorgia Linardi, portavoce della Sea Watch, in un’intervista rilasciata quattro giorni fa a Daniela Fassini dell’Avvenire: <<mentre prima dell’accordo Italia-Libia>> (di cui abbiamo parlato più nel dettaglio in un altro post) <<la Guardia Costiera italiana coordinava ogni soccorso delle Ong, dal 2017 in poi -quando c’era il PD, ricordiamolo NDR- tutto è cambiato per lasciare spazio ai respingimenti libici>>, esternalizzando le frontiere con un accordo “travestito” da memorandum (l’accordo implicherebbe un dibattito in parlamento, mentre un “semplice” memorandum no).

Il capitano Alessandro ha spiegato ieri ai microfoni del programma di La7 Propaganda, condotto da Diego Bianchi, che il “cambio di rotta” politica è stato introdotto tramite <<una serie di passaggi all’apparenza quasi inoffensivi, con tavoli tecnici, incontri ministeriali e scelte terminologiche che hanno promosso l’attività di polizia a scapito di quella del soccorso. In pratica molte volte non si avvia un procedimento SAR (…) il caso di Cutro è esemplare: è stato trattato come un’attività di polizia che è stata fermata quando le condizioni del mare sono peggiorate (…) se ci si fosse attivati per tempo si sarebbero inviate delle imbarcazioni e quelle persone sarebbero state salvate>>.

A questo punto sorgerebbero spontanee delle domande... Nicola Porro (così si chiama il giornalista di Mediaset), che ha insistito nel sottolineare <<per il pubblico>> che D’Agostino risponderebbe davanti alla giustizia di eventuali mancanze o irregolarità nei soccorsi, sa che ci sono forti dubbi sulla legittimità del governo libico e su come questo gestisce il fenomeno della migrazione, fino al punto che le Nazioni Unite hanno annunciato di trasmettere le prove raccolte da un’inchiesta indipendente alla Corte penale internazionale?! O forse la pensa troppo semplicisticamente come D’agostino: per loro la Libia è un paese legittimo, punto.

Visto che il comandante ha spiegato che le navi in grado di salvare delle persone, delle nostre sorelle e fratelli, l'11 Marzo erano impegnate in un altro soccorso, la domanda più spontanea sarebbe la seguente: il nuovo decreto legge “ONG” restringe di fatto l’azione delle organizzazioni umanitarie che hanno salvato e continuano a salvare decine di migliaia di persone? Ci sono dunque meno unità per effettuare salvataggi e quindi un incremento del rischio per le persone in movimento?! 

Gli estensori del decreto non dicono che il provvedimento ostacola i salvataggi in mare (come sostengono le ONG e come crede chi scrive) ma parlano di “regolamentazione” (implicando la fake-news infamante basata sulla teoria mai dimostrata dei “taxi del mare”, ideata dal Movimento 5 Stelle, e quindi sostanzialmente di connivenza con gli “scafisti”, o per meglio dire con i “trafficanti”) e anche se statisticamente salvano meno persone di quelle soccorse dalle istituzioni governative, il loro lavoro è preziosissimo... Dunque: se le ONG possono fare solo un salvataggio per volta e hanno l’obbligo di dirigersi verso un porto di destinazione loro assegnato invece che quello più vicino (in palese violazione del diritto internazionale grazie a quel decreto che ha bypassato un dibattito parlamentare) questo vuol dire che la Guardia costiera dovrà impiegare più risorse e potrà fare meno salvataggi, lasciando più persone in pericolo mezzo al mare?! È utile il lavoro delle organizzazioni non governative?! È, letteralmente, vitale?!

Secondo dati dell’ISPI tra Ottobre 2022 e Febbraio 2023 gli sbarchi erano circa 43.000, mentre nello stesso periodo, tra Ottobre 2021 e Febbraio 2022, erano circa 22.000 (e quindi sono più che raddoppiati). Inoltre nell’ultimo periodo le ONG hanno effettuato circa il 7% dei salvataggi totali, mentre prima dell’entrata in scena del nuovo governo e della linea dura (e miope) contro le ONG ne avevano effettuato circa il 20%: questi dati smentiscono dunque la teoria del “pull factor” (ossia che la presenza di navi umanitarie attrae le navi dei trafficanti) e sembrano suggerire che la Guardia costiera e le navi commerciali stanno facendo più salvataggi, oppure che non riescono a farne abbastanza, oppure ancora che più persone stanno morendo in mare  o vengono “rispedite” illegalmente nei centri di detenzione/lager.

 




Una risposta, tanto dura quanto chiara, alla domanda che non è stata fatta si trova anche in un post dell’organizzazione fondata da Gino Strada
, Emergency, pubblicato dopo il naufragio dell’11 Marzo: <<mentre le regole del Decreto Ong allontanano le navi umanitarie da dove ce n’é bisogno, in mare si continua a morire di indifferenza. Questa non è una fatalità, questa è omissione di soccorso>>.

Ma forse il problema più grande è che quel decreto è “sorretto” da un’opinione pubblica e da una parte dei media in cui, presumiamo, sia Porro che D’agostino si riconoscono almeno in parte, e per quello la domanda non è stata fatta, per quello le ONG vengono viste come i “taxi del mare”, magari guidati da pericolosi sovversivi in combutta con i trafficanti e che occultamente perseguono fantomatiche politiche di sostituzione etnica oppure, “semplicemente”, che rubano il lavoro agli italiani e così via… E per quello dobbiamo persuadere chi la pensa così che stanno contribuendo, moralmente, a delle politiche omicide.

E poi, dato che tra gli obiettivi di Fanrivista c’è quello di osservare le dinamiche dei media, si potrebbe fare un’altra domanda (che abbiamo sentito anche nella trasmissione Piazza Pulita di LA7 condotta da Corrado Formigli): si è atteso l’intervento della sedicente Guardia costiera libica (quella in combutta con i trafficanti che si vorrebbero combattere) che non è arrivato: ma se non fanno i salvataggi allora che gliele abbiamo date a fare le imbarcazioni italiane (oltre che agli svariati milioni per finanziare progetti sulla terraferma, di cui non è dato sapere come vengono spesi nel dettaglio dato che sono dati coperti da segreto)?!

La risposta ha a che vedere con una strategia delineata nel comunicato congiunto già menzionato: <<Ritardare i soccorsi e delegarli a navi mercantili non equipaggiate per il soccorso in mare, fa parte di una strategia politica che finisce per consegnare le persone nelle mani delle milizie libiche o per abbandonarle in mare (…) Le autorità italiane e maltesi devono cessare di affidare la responsabilità dei casi di soccorso nel Mediterraneo Centrale alla cosiddetta Guardia costiera libica, che ha un record spaventoso di violazioni dei diritti umani e ha, negli ultimi anni, rimpatriato con la forza in Libia oltre 100.000 persone in condizioni disumane. Inoltre, la contestata zona di ricerca e soccorso libica (SAR) non può essere considerata di esclusiva competenza delle autorità libiche. In conclusione, è necessario che le autorità italiane e maltesi smettano di affidarsi alle sole navi mercantili per adempiere al loro dovere di soccorso (…) Sommessamente vi ricordiamo che tuttɜ coloro che saranno riportatɜ indietro in questi paesi, se non vengono uccisɜ prima, tenteranno di nuovo, ingrassando le grandi mafie del traffico di esseri umani. Vi chiediamo dunque, come previsto peraltro dal Piano SAR Nazionale, di coordinare una grande azione che coinvolga i mezzi militari e civili per affrontare come farebbe un grande paese questa strage annunciata e continua.

 Prima si salva, poi si discute>>.

Abbiamo sentito dire spesso, in questi giorni, argomentazioni e frasi che suonano più o meno così: “ma Malta se ne frega”, “perché i migranti non vogliono andare in Grecia?”, “lo sapete cosa fanno in Grecia?” alludendo ai respingimenti o ai rimpatri illegali verso la Turchia (paese sorretto da un autocrate che abbiamo anche pagato profumatamente per respingere o trattenere ingiustamente i migranti, in particolare siriani ma non solo) che portarono alle dimissioni del direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, dopo delle investigazioni condotte da organismi di stampa indipendenti: Evidentemente, da esseri umani che dovrebbero essere solidali con altri appartenenti alla stessa specie, non dobbiamo seguire gli esempi ellenici e maltesi, mentre a livello “pragmatico” l’intera UE dovrebbe farsi carico del diritto di libertà di movimento di quegli esseri umani (che nella maggioranza dei casi non vogliono restare in Italia, anche perché pure molti nati in questo pezzo di pianeta se ne vogliono andare via).

 

GLI SPARI DEI SEDICENTI GUARDACOSTE LIBICI, IL BLOCCO DELLA LOUISE MICHEL, LA CONDANNA DELLA CEDU E I NAUFRAGI VICINO ALLE COSTE TUNISINE

A proposito delle navi italiane che abbiamo regalato alla Libia: Sabato 25 Marzo, mentre la nave Ocean Viking della ONG SOS Mediterranee tentava di soccorrere un gommone in difficoltà, da una motovedetta appartenuta alla Guardia di Finanza sono partiti degli spari, dopo che erano state effettuate delle manovre pericolose.

Alla fine, anche in questo caso, quegli esseri umani sono stati riportati illegalmente nell’inferno libico dove saranno ulteriormente schiavizzati, arricchendo l’economia dei lager (li ha definiti così anche quel “sovversivo” del monarca teocratico vaticano) nell’attesa di un nuovo viaggio della speranza che andrà ad arricchire i trafficanti. La capomissione Luisa Albera ha raccontato che avevano comunicato con la motovedetta 656 in inglese e in arabo senza ricevere alcuna risposta. Dopo gli spari la ONG viene contattata dalla motovedetta che comunica loro di essere in acque libiche <<pur essendo in acque internazionali>>, precisa Albera a La Repubblica. In un comunicato della Guardia Costiera italiana si legge invece che gli spari erano solo <<presunti>> (anche se nei video diffusi sull'accaduto si sentono e si vedono dei proiettili che impattano sull’acqua) e che bisognava rivolgersi a <<un altro centro di coordinamento nazionale>> (forse quello libico che fa capo a chi ha tutto l’interesse a trafficare i migranti? Forse a quello maltese che di solito non risponde perché non può o non vuole?) e non <<al centro di coordinamento italiano, in modo continuativo, finendo anche in questo caso col sovraccaricare l’IMRCC in momenti particolarmente intensivi di soccorsi in atto>>. 

Albera, intervistata quattro giorni fa da Alessia Candito de La Repubblica, fa notare che anche in quel frangente il paese di bandiera era <<sempre in copia nel rapporto sugli incidenti marittimi>> e ricorda che questo caso non è certo isolato, che oltre alle imbarcazioni forniamo loro addestramento e che anche per questo bisognerebbe condurre <<un’indagine internazionale ed europea sul comportamento della guardia costiera libica>>. In sintesi spiega, con un’efficace metafora, che il gravissimo gesto dei guardiacoste libici equivale a “sparare sulle ambulanze”...

A proposito di “ambulanze del mare”: la nave Louise Michel (nave finanziata dall’artista Banksy e che secondo La Stampa sarebbe uno “spin off” della ONG tedesca Sea Watch) il 25 Marzo aveva soccorso 180 persone (178 secondo al Guardia costiera italiana) in 4 salvataggi diversi nelle aree SAR libica e maltese. Sabato mattina era giunta a Lampedusa <<rispondendo a diverse chiamate di Mayday da un velivolo di Frontex per soccorrere persone in immediato bisogno>> per poi ricevere la <<notifica che la nave è sequestrata per 20 giorni in base alla violazione del  nuovo decreto italiano>>, spiegano gli attivisti sui social: <<l’unico obiettivo di questo nuovo decreto è bloccare le navi di salvataggio, prendendo consapevolmente in considerazione le morti delle persone in movimento. Solidarietà e resistenza>>.

Diametralmente opposta la versione della Guardia costiera nel comunicato in cui si parlava dei “presunti” spari ai danni dell’altra imbarcazione: la Louise Michel <<dopo aver effettuato il primo intervento di soccorso in acque libiche, contravveniva all'impartita disposizione di raggiungere il porto di Trapani, dirigendo invece su altre 3 unità di migranti sulle quali, peraltro, sotto il coordinamento di IMRCC Roma, stavano già dirigendo in soccorso i mezzi della Guardia Costiera italiana. Le disposizioni impartite alla nave Ong, valutate le sue piccole dimensioni, erano altresì tese a evitare che la stessa prendesse a bordo un numero di persone tale da pregiudicare sia la sua sicurezza che quella delle imbarcazioni di migranti a cui avrebbe prestato soccorso. La non osservanza delle disposizioni, inoltre, ha rallentato il raggiungimento di un porto di sbarco per i migranti salvati nel primo intervento, inizialmente individuato in quello di Trapani dal Ministero dell'Interno, inducendo così a ridisegnare la decisione in modo da far convergere l'arrivo della Ong, per motivi di sicurezza e di urgenza, nel porto di Lampedusa, già peraltro sollecitato dai numerosi arrivi di migranti di questi ultimi giorni.

A tale comportamento che già di per sé complicava il delicato lavoro di coordinamento dei soccorsi, si sommavano le continue chiamate dei mezzi aerei ONG che hanno sovraccaricato i sistemi di comunicazione del centro nazionale di coordinamento dei soccorsi, sovrapponendosi e duplicando le segnalazioni dei già presenti assetti aerei dello Stato>>.

Al di là di potenziali errori della nave che porta il nome della femminista e anarchica francese (e sottolineiamo potenziali, perché loro dicono di aver agito su segnalazione dell’agenzia Frontex), errori che potrebbero essere risolti o evitati tramite un migliore coordinamento tra le navi umanitarie della società civile e quelle “statali” (come chiesto anche da Mediterranea in una lettera aperta al governo mentre invece secondo il parere di chi scrive con il nuovo decreto, così come le misure imposte dai tempi di Minniti, si vuole criminalizzare l’attività delle ONG e togliere di mezzo dei “testimoni scomodi”), ci sembra strano (se non addirittura pirandelliano) che un problema ulteriore venga individuato nelle diverse richieste di soccorsi: come purtroppo ha dimostrato la tragica strage dell’11 Marzo, quando le unità navali “governative” non sono riuscite a effettuare un soccorso perché erano impegnate in un altro, il problema è forse che ci sono poche “ambulanze”, e non che arrivano troppe “telefonate al 118”! Il problema è che bisogna prevenire i naufragi con politiche migratorie articolate e, intanto, potenziare i soccorsi il più possibile, perché non si possono lasciare le persone in balia del mare dato che “l’Europa se ne frega!”, e magari usarle come “leva” per chiedere nuovi provvedimenti europei mostrando i “muscoli” a Bruxelles (ma sarà poi così vero che l’Europa se ne frega?! Quanti profughi abbiamo, giustamente, accolto dall’Ucraina?! Si è parlato di “invasione di rifugiati ucraini” e di “sostituzione etnica”?! Se vengono da altri parti del Mondo sono considerati profughi di serie B?!).

Ma dopo la strage di Cutro ci sono stati anche altri avvenimenti: la scorsa settimana si sono verificati diversi naufragi vicino alle coste tunisine, di cui gli ultimi due avvenuti la scorsa Domenica a poche ore di distanza. Quel giorno Alarm Phone, raccogliendo le testimonianze di alcuni parenti delle persone in movimento, ha parlato di più di venti imbarcazioni <<in fuga dalla Tunisia (…) stiamo cercando di stabilire quali sono state intercettate, arrivate oppure capovolte>>. La settimana precedente, secondo le cronache, l’obitorio della cittadina di Sfax è arrivato a contenere 70 cadaveri, mentre attualmente ce ne sarebbero più di 40, e il reparto di medicina legale sta andando in tilt a fronte di un capienza massima che può contenere 35 corpi senza vita.

Il 30 Marzo la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per aver sottoposto alcuni migranti a trattamenti inumani e degradanti nell’hotspot di Lampedusa (di cui si parla molto in queste ore essendo “al collasso) e per averli espulsi irregolarmente in maniera “collettiva”, e cioè senza valutare i singoli casi.

Inoltre si continua a parlare molto dei cosiddetti “scafisti”, che sarebbero gli unici responsabili dei naufragi e ipotizzando fantomatiche “spezzate di reni” in tutto “il globo terracqueo: in realtà chi guida materialmente le barche è di solito “l’ultimo anello” di una catena al cui apice si trova chi guadagna sulle vita delle persone (un po’ come avviene per altri “mercati” alimentati da meccaniche proibizioniste, come quello della droga), e spesso (se non quasi sempre) chi guida le barche è una vittima stessa della tratta ingiustamente criminalizzata, come si sostiene in un dettagliato report realizzato da Arci Porco Rosso, Alarm Phone e Borderline Sicilia, dal titolo “Dal mare al carcere. La criminalizzazione dei cosiddetti scafisti”.

Anche per quanto riguarda il naufragio di Cutro c’è un ragazzo pakistano di soli 17 anni che nelle cronache veniva identificato come uno dei presunti scafisti: pare che in realtà sia stato “usato” dagli altri conducenti della barca come interprete o come mozzo, e sostiene di avere le prove di aver pagato anche lui per il viaggio.

 

Fino a quando esisteranno delle fortissime disuguaglianze con altre aree del mondo, delle ingiustizie su cui si poggiano le nostre “ricchezze” (“ricchezze precarie” per la stragrande parte della popolazione nei paesi del “primo mondo”, e cioè quelli con un’economia di mercato), fino a quando esisteranno guerre e carestie ulteriormente aggravate dalle risorse limitate del pianeta e dalla crisi climatica, fino a quando in moltissimi paesi sarà più economico affidarsi a trafficanti senza scrupoli invece di avviare le pratiche per avere regolarmente un passaporto, ci saranno sempre persone disposte ad affrontare i viaggi della speranza, a tentare la via del mare “infame” perché più sicuro della terraferma di provenienza... Non giriamo la faccia dall’altra parte: ognuna di quelle vite spezzate potrebbe essere quella di nostra sorella, del nostro amico, della nostra madre, del nostro marito, potrebbe essere la nostra!

 

Prima si salva, poi si discute

No borders no nations, stop deportations

Quando l’ingiustizia diventa legge la resistenza diventa un dovere

 

Editorialista Travagliato

 



Come di consueto concludiamo con una citazione musicale: “Il cuore del mare” è una canzone del gruppo punk-rock Derozer in cui i migranti che scelgono di affrontare il mare vengono rappresentati come delle persone speranzose e coraggiose che fuggono da situazioni gravissime, e non come dei “clandestini” che ci vengono a rubare il lavoro e a compiere crimini (ma la mafia negli Stati Uniti chi l’ha portata?!)


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