9.5.23

L’OMICIDIO MORO E I POSSIBILI “COMPLOTTI”

Tra le righe di RecenTips consigliamo due video, disponibili gratuitamente online, che offrono due prospettive apparentemente opposte sul delitto Moro: quella proposta dal programma “Atlantide” lo scorso Marzo, condotto da Andrea Purgatori su La7, e quella illustrata dal noto divulgatore storico Alessandro Barbero al Festival della Mente di Sarzana nel 2017.


A sinistra il video di Alessandro Barbero pubblicato da uno dei numerosi canali dei suoi fan. A destra uno screenshot della puntata di Atlantide dove si vide il magistrato Donadio. In trasparenza l'immagine di Moro diffusa dalle BR.
A sinistra il video di Alessandro Barbero pubblicato da uno dei numerosi canali dei suoi fan. A destra uno screenshot della puntata di Atlantide dove si vide il magistrato Donadio. In trasparenza l'immagine di Moro diffusa dalle BR.


Quarantacinque anni fa le Brigate Rosse trucidavano Aldo Moro, facendo ritrovare il suo corpo nel portabagagli di una Renault 4 in via Caetani, a Roma: il luogo del ritrovo si trovava vicino le sedi sia del Partito Comunista Italiano che della Democrazia Cristiana, e non era un caso...

Il presidente della DC, che era anche il principale esponente della “sinistra” democristiana, opposta all’ala destra “andreottiana”, era favorevole a un accordo con il PCI noto come Compromesso Storico”, teorizzato dal suo omologo comunista, il segretario Enrico Berlinguer.

L’accordo avrebbe permesso la costituzione di un governo di “larghe intese” per attuare riforme e cambiamenti radicali, basati su un ampio consenso popolare e isolando le forze più reazionarie ed estremiste, oltre a mettere in secondo piano il Partito Socialista Italiano che portava avanti la strategia della “alternativa a sinistra”, mirante invece a salire al governo senza accordi con la DC.

 

Sono tanti i punti oscuri sulle dinamiche del sequestro ma, soprattutto, sulle ragioni di questo: l’ipotesi più “complottista” riguarda gli interessi convergenti delle Brigate Rosse (che miravano a un riconoscimento politico e a uno scambio di prigionieri, non solo delle BR ma di tutti gli schieramenti della lotta armata) con quelli delle agenzie di intelligence legate a soggetti politici sia “atlantisti” che sovietici, interessi che avevano come obiettivo quello di scongiurare il patto tra PCI e DC: l’azione dei terroristi comunisti sarebbe stata dunque avallata e sfruttata, se non addirittura manipolata e ideata, da entità e servizi segreti filo-americani, oppure da quelli filo-sovietici, o addirittura da entrambi i poli della guerra fredda. Questa narrazione, tendenzialmente “cospirazionista”, la ritroviamo in una lunga puntata di Atlantide andata in onda lo scorso 15 Marzo, in occasione dell’anniversario del rapimento.

 

ATLANTIDE: IL CASO MORO, 55 GIORNI E UNA NOTTE 





Oltre a inquadrare il contesto storico-sociale degli anni di piombo e della strategia della tensione, la puntata ricostruisce in maniera minuziosa gli eventi dei 55 giorni del sequestro, enfatizzando le versioni contrastanti, le straordinarie ed insolite coincidenze che si sono accumulate nelle giornate che vanno dal blitz e dalla strage di via Fani fino al ritrovamento del corpo in via Caetani, e che ancora oggi lasciano aperti diversi dubbi, dubbi che emergono nella lunghissima intervista a Gianfranco Donadio, magistrato e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta.

Tra questi punti oscuri c’è l’applicazione della cosiddetta “linea della fermezza”, che consiste nel “non trattare con i terroristi, ma che non è stata sempre mantenuta nella storia di quegli anni, come nel caso del sequestro Cirillo quando l’intermediazione della Camorra e dei servizi segreti ha permesso la liberazione dell’esponente campano della DC, anche se in quel caso era stato richiesto un riscatto in denaro e non la liberazione di prigionieri.

Ci sono poi le incertezze sulle “prigioni del popolo” e su un covo delle BR definito provocatoriamente da Sergio Flamigni un “covo di Stato”: alcuni pensano che la prima “cella” di Moro si sarebbe trovata in via Massimi 91, e non in via Montalcini, dove c’erano degli immobili di proprietà dello IOR, riconducibili a Paul Marcinkus, il capo della banca vaticana, oltre che altri legati a una società americana di logistica e servizi militari. 

Lì vicino, in via Licinio Calvo, si sarebbe trovato quello che Mino Pecorelli (tra le cui fonti ci sarebbe stato anche il carabiniere Antonio Varisco ucciso, pochi mesi dopo del cronista di OP, ufficialmente dalle BR e vicino a Carlo Alberto Dalla Chiesa) definì il “garage compiacente”, osservabile dall’alto delle terrazze degli stabili di via Massimi, dove vennero lasciate le auto utilizzate per il sequestro. Gli appartamenti di via Massimi, che sarebbero stati dunque fondamentali dal punto di vista logistico per il sequestro, non furono perquisiti, così come avvenne con l’appartamento di via Gradoli, il covo delle BR (e negli anni successivi anche dei NAR) formalmente intestato a un alias dell’organizzatore ed esecutore del sequestro, Mario Moretti, dove c’erano diversi appartamenti riconducibili ai servizi segreti, dopo che sarebbe stato oggetto di una segnalazione alla polizia tramite un biglietto di Lucia Mokbel, sorella del noto faccendiere di estrema destra Gennaro, che viveva nell’appartamento a fianco.

Il coinvolgimento dei servizi segreti e di altre presenze esterne, come quelle di uno 'ndranghetista ed ex legionario, parrebbe emergere anche da due misteriose moto avvistate poco dopo l’agguato alla scorta di Moro, oltre che alla presenza, forse fortuita, di un’automobile Morris che avrebbe agevolato i brigatisti e che era di proprietà dell’immobiliare “Poggio delle Rose”, società a sua volta collegata alla Immobiliare Gradoli, proprietaria dell’appartamento appena citato in via Gradoli 96, il covo delle BR non perquisito. 

Bisogna pure ricordare che il nome “Gradoli” era emerso in una seduta spiritica cui aveva partecipato l’allora professore di economia Romano Prodi, un espediente per fornire una “soffiata” utile a trovare Moro senza rivelare la fonte della notizia, ma che fece scattare una perquisizione con un dispiegamento di forze dell'ordine tanto massiccio quanto inutile nel paese di Gradoli e non in via Gradoli. 

Nella puntata si riassumono tante altre vicende che negli ultimi anni sono salite alla ribalta delle cronache e al centro di “ricerche della verità” (secondo molti inutili), come il coinvolgimento del “falsario” Tony Chicchiarelli, la presenza di un misterioso elicottero bianco senza insegne che avrebbe supportato dall’alto il coordinamento del sequestro, e non ultime le delegittimazioni di Moro usando strategie di contro-guerriglia psicologica per criticare le lettere redatte durante la prigionia...

 

 

 

ALESSANDRO BARBERO: LE BRIGATE ROSSE E IL CASO MORO

 



Diametralmente opposta, almeno in apparenza e parzialmente, è la ricostruzione di Alessandro Barbero, che si concentra principalmente sull’organizzazione dell’attentato vista dalla prospettiva dei terroristi rossi: <<ricostruire questa vicenda, e quindi come le BR hanno progettato ed eseguito il rapimento di Moro, vuol dire anche scoprire tante cose inaspettate, tanti dettagli inattesi su cosa voleva dire essere una rete di clandestina di terroristi e preparare un attentato negli anni ‘70

Faccio una premessa: cercherò di raccontarvi dei fatti accertati, indiscussi, che permettono di ricostruire quasi tutta la dinamica del rapimento di Moro. Poi ci sono delle illazioni, dei teoremi, delle teorie tirate per i capelli, ci sono delle testimonianze contraddittorie su cui qualcuno ha costruito ipotesi alternative: io personalmente credo molto poco a quasi tutte le dietrologie che sono state pubblicate intorno all’azione delle Brigate Rosse. 

Oggi vi racconterò quello che viene fuori dalle testimonianze, dai processi, dai verbali, dai libri che i protagonisti hanno scritto. Rimangono molte piccole zone d’ombra, molti dettagli contraddittori, ma io non credo che nella sostanza che veramente ci importa rimangano molte cose che non si sanno, mentre c’è gente in Italia che pensa che ci siano grandi segreti ancora da scoprire. Io non ci credo tanto, comunque questa è la versione che si può mettere insieme mettendo in fila le cose di cui siamo abbastanza sicuri>>. 

La ricostruzione parte dal furgone di un fioraio che lavorava in via Fani: forare le ruote del mezzo del fioraio, secondo quanto dichiarato dai brigatisti, serviva a <<evitare di fare vittime inutili>> perché si sarebbero trovati nella linea di fuoco, ma in quel punto era anche posizionata la già citata Morris, intestata alla Poggio delle Rose, che facilitò i brigatisti rendendo più complessa la fuga di Moro e della sua scorta, proteggendoli al contempo dal fuoco di risposta, questione di cui Barbero non parla nel video mentre si concentra sulla logistica delle altre automobili utilizzate.

Continua poi riportando la testimonianza di Moretti che <<non dobbiamo pensare che sia candida, come non sono state candide le testimonianze di ministri dell’interno o di generali dei carabinieri>>: il comandante della colonna romana definisce le BR come <<un’avanguardia ristrettissima>> con un ampio consenso nelle fabbriche, e continua descrivendo la struttura militare compartimentata e la vita quotidiana dei “militari” terroristi di sinistra. 

In sostanza, senza “spoilerare” troppo del video, i brigatisti avrebbero scelto Moro e non Andreotti perché, studiando i percorsi che i due politici percorrevano, era semplicemente un obiettivo più facile: nei racconti del brigatista Valerio Morucci (menzionato anche sul finire della puntata di Atlantide da Donadio) si spiega che i brigatisti delle colonne milanesi si erano portati Roma un <<ritaglio di giornale, conservato quasi come una reliquia, in cui si raccontava che l’onorevole Moro, prima di andare a lavorare, si fermava a pregare alla chiesa di Santa Chiara. È molto difficile sapere se questa storia è vera, Morucci è uno che scrive bene, ha scritto tanti libri, gli piace romanzare, ma questo serve per darvi un’idea delle mille piccole cose su cui lo storico fa fatica a dire qual è la verità>>.

Continuando nel racconto aggiunge che <<saprete sicuramente che su quanta e quale gente ha partecipato all’agguato le dietrologie non si sono mai fermate: c’erano i tedeschi dell’est, il KGB, i palestinesi, i marziani, ogni sorta di cose (…) c’erano 11 brigatisti di sicuro, poi non si può escludere>> che qualcuno sia scampato dalla giustizia e non sia stato denunciato dai suoi compagni (e che magari era "infiltrato" nelle BR, mi verrebbe da aggiungere), e poi ricorda comunque che delle armi (peraltro malconce, come quelle in dotazione alla scorta del presidente della DC) venivano fornite dai palestinesi, con cui sono stati assodati dei contatti.

Nonostante lo scetticismo verso le “dietrologie”, lo storico spiega che c’è un’altra storia che lui non ha il tempo di raccontare nel frangente del festival. Una storia <<che non è facile da raccontare>>, una storia diversa da quella della <<meccanica degli avvenimenti che si può ricostruire>> (anche se la sua differisce da quella del programma di Purgatori, dato che per esempio secondo la ricostruzione di Barbero la “prigione del popolo” si trovava in via Montalcini), ed è <<la storia della prigionia di Moro, delle trattative segrete, della linea della fermezza, delle lettere di Moro: è un enorme storia italiana che va ancora studiata... È la storia delle ricerche che non approdano a niente, dei misteri non ancora risolti>>.

L’intervento si chiude con l’“aneddoto” già menzionato della seduta spiritica: <<nell’Università di Bologna l’Autonomia Operaia era molto forte, le voci circolavano, qualcuno dei professori avrà sentito il nome di Gradoli e, non volendo compromettersi, ha pensato alla seduta spiritica per trasmettere l’informazione senza che si sapesse da chi veniva. Io non so se è peggio “la pezza del buco”, come si dice: l’idea che la polizia va a fare i rastrellamenti perché gli hanno detto che in una seduta spiritica è venuto fuori un nome ci dice quale era la situazione in quel momento in Italia, e ci dice forse qualcosa su questo nostro paese dove anche la tragedia è sempre a un pelo dal finire in farsa>>.

 

INCENTIVIAMO LA RICERCA DELLA/E VERITÁ

Chi scrive pensa che in entrambe le versioni ci sono degli elementi plausibili e che, più in generale, non si escludono a vicenda, fornendo anche dei dettagli oltre che dei punti di vista diversi.

È passato quasi mezzo secolo, e cercare testimonianze e prove per fare luce su quegli eventi diventa sempre più complesso. D'altro canto con il passare del tempo potrebbero “decadere” certi interessi a "coprire" potenziali pezzi di storia oscuri, insieme al segreto di stato che copre certi documenti, favorendo la ricerca della e “delle” Verità: forse per tutti gli eventi dei “pesanti” anni di piombo, e non solo per il caso Moro, ci vorrebbero una sorta di “amnistia” e delle garanzie di protezione dell'incolumità di potenziali testimoni, similmente a quanto è avvenuto in Sud Africa con la “Commissione per la verità e la riconciliazione”, per spingere chi sa a parlare e gettare luce su quegli anni bui: senza verità non ci può essere giustizia, e senza giustizia è difficile, se non impossibile, costruire un futuro più giusto

 

Paolo Maria Addabbo

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