OLTRE AL DANNO LA BEFFA: LA
NAVE BLOCCATA E MULTATA DOPO IL SOCCORSO
Nel
primo pomeriggio di Giovedì 4 Aprile la nave rimorchiatore "Mare
Jonio" di "Mediterranea Saving Humans" riceve una
segnalazione dalla rete di attivisti "Alarm Phone": c'è
una barca alla deriva da soccorrere.
Intanto sentono anche le
comunicazioni via radio dell'aviazione maltese: capiscono che le
barche in pericolo, sia per le condizioni di navigazione che per la
cattura e la deportazione nei lager libici, sono tre.
I soccorritori arrivano sul posto, in acque internazionali, salvando più di 50 persone.
Durante il salvataggio i miliziani-"guardacoste"
libici esplodono colpi a distanza ravvicinata scatenando il panico.
Alcunə migrantə, "recuperati" dai libici (con navi fornite dall'Italia e pagate con le nostre tasse) vengono picchiati a bordo,
mentre altri si gettano in acqua cercando la salvezza, ma non tuttə l'hanno trovata: alcune persone sono state ricatturate e deportate, altre
presumibilmente morte annegate o investite dall'imbarcazione italiana
in uso ai libici.
A soccorso concluso, con rientro nel porto di
Pozzallo, la beffa dopo il danno: la nave viene multata e bloccata
per aver obbedito alle leggi del mare e del buon senso, invece che
alla sedicente guardia costiera libica. I soccorritori vengono
accusati di aver messo in pericolo i migranti istigandoli a fuggire dai loro carcerieri.
In
questo editoriale e post di cronaca ricostruiamo sia la dinamica
degli eventi, riportata in un comunicato dell'associazione di
soccorritori, sia la cornice politica e legale all'interno della
quale si verificano gli abusi dei "criminali contro l'umanità".
Abusi che adesso vengono estesi anche in Tunisia, dove si sta
replicando "il modello libico".
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Una persona si getta dalla motovedetta italiana donata all'abusiva guardia costiera libica: il momento è immortalato in un filmato diffuso da Mediterranea, che stava soccorrendo un barchino in vetroresina alla deriva. La criminale guardia costiera libica aveva già catturato le persone su altre imbarcazioni |
PROMESSE DA MARINAIO
Subito dopo la strage di Cutro
si
era detto "mai più": l'orrore e l'indignazione si
manifestavano perché avevamo visto i segni lasciati dalla morte,
causata da politiche xenofobe, letteralmente a poche bracciate dalle
nostre coste. Ma quelle circa cento vite spezzate sono solo una
"goccia nel mare" di circa trentamila vittime nel
Mediterraneo dal 2014,
la più grande "fossa comune" al Mondo.
Quel "mai più"
era destinato a essere una "promessa da marinaio" per chi
fomenta discriminazioni etnico-geografiche, per chi crede nella
vulgata dell'"ognuno a casa sua", una retorica immorale dal
punto di vista etico e inconcludente perfino da quello meramente
socio-economico.
Quel "mai più",
per molte altre persone, significa invece impegno politico e di
militanza per un mondo senza barriere fisiche e mentali, qualcosa cui
dedicarsi costantemente affinché non si debba morire più nel
profondo mare, nel rovente deserto, o nei gelidi valichi di montagna.
Un diritto che dovrebbe essere garantito, a prescindere da considerazioni "utopiche", per tutte
quelle persone che legalmente potrebbero richiedere asilo, ma che non
hanno i soldi o la possibilità di farlo. Secondo chi scrive, però, lo
stesso diritto andrebbe garantito anche a chi soffre ed è
"ristretto" all'interno di categorie politiche e legali,
come i cosiddetti "migranti economici"... E più in generale andrebbe garantito a chiunque.
Nei fondali del "Mare
nostrum" non ci sono solo i resti di nostri simili, ma sono
seppelliti anche le basi dello stato di diritto, insieme a secoli di conquiste
per i diritti umani. Lì affondano quotidianamente le intenzioni,
buone solo sulla carta, delle presunte democrazie liberali.
Democrazie che, invece, sono solo liberiste, in cui la libertà
di movimento è assicurata alle merci , mentre le persone sono
"libere" di muoversi solo se considerate come merce, e
comunque secondo le norme dettate da traffici umani
anarco-capitalisti o da convenienze funzionali al sistema economico vigente.
Dopo Cutro, con una retorica
post-fascista, si era promesso di dare la caccia ai trafficanti
di umani "per tutto il globo terracqueo". Eppure si
continua a criminalizzare "poveri Cristi e Criste" colti
a caso alla guida di un barchino, incriminate in base a testimonianze
praticamente indotte, se non estorte, o costrette dai veri
trafficanti e dalle contingenze più svariate a essere estemporanei
"scafisti per
necessità".
Invece, con chi comanda i
veri trafficanti si fanno affari, gli forniamo mezzi e
addestramenti, li supportiamo con ricognizioni aeree e
segnalazioni al fine di riportarli e ri-deportarli
illegalmente in campi di detenzione, gestiti da varie mafie,
in cui lə migrantə vengono torturatə per estorcere alle loro
famiglie denaro, spremendo fino all'ultimo centesimo.
Se non hanno soldi vengono letteralmente usatə come schiavə,
anche sessuali. Posti da cui lə più fortunatə riescono a
scappare, pagando in denaro o in servitù i loro sfruttatori, per
tentare il "viaggio della speranza". Se va benissimo
al primo tentativo riusciranno a iniziare una vita da rifugiati
nella "fortezza Europa", se va male muoiono, se
va "così e così" verranno
ricatturate e dovranno ripetere il ciclo di torture e
schiavitù per ritentare un altro viaggio. Un business
fruttuoso, in cui da un essere umano si "estrae" quanto
più "valore" possibile. Ai veri trafficanti la
civilizzata Unione Europea fornisce anche una cornice legale in cui
operare. A loro regaliamo soldi delle nostre tasse che dovrebbero
servire a bloccare le partenze, ma che finiscono soltanto per
alimentare criminali circoli viziosi geopolitici.
Vicende e implicazioni che
emergono prepotentemente e chiaramente dall'evento di cronaca di cui
parliamo in questo articolo. E non è certo la prima volta che i guardacoste libici sparano e seminano il panico tra soccorsi e soccorritori, come purtroppo abbiamo già riportato tra queste pagine virtuali a proposito delle continue stragi nel Mediterraneo.
LA RICOSTRUZIONE DEL
SOCCORSO E IL CONTESTO POLITICO-LEGALE
L'imbarcazione
Mare Jonio,
rimorchiatore della ONG Mediterranea,
salpa
nella serata del 3 Aprile da Siracusa,
diretta verso la sedicente
"Zona
SAR"
libica
(
SAR è acronimo
di "Search and Rescue", quindi "Ricerca e Soccorso").