25.3.23

DALLA CACCIA ALLO STERMINIO PIANIFICATO

CONSIDERAZIONI ANTISPECISTE SULLA PIANIFICAZIONE DELLA VIOLENZA E SUL RAPPORTO CON ALTRI ESSERI SENZIENTI


 

Collage de "Lo Skietto" con immagini tratte da Pixabay


Dopo lo scarsissimo successo del post “Perché e come si diventa “Veg” e del sequel “Come e perché si diventa vegan” a bassissima richiesta torniamo a parlare del nostro rapporto con altri esseri senzienti tra le righe di “Valvola”. Lo facciamo prendendo in prestito dei preziosissimi spunti dagli scritti di Abdullah Ocalan che, dal carcere di Imrali (dove è rinchiuso da quasi un quarto di secolo), ha teorizzato la “svolta” libertaria e bookchiniana che ha fatto virare le istanze nazionaliste di una parte della resistenza curda e dei popoli alleati verso il modello democratico-confederalista sperimentato in Rojava, basato sui principi della democrazia diretta, dell’ecologismo e del femminismo.

 

Le parti del testo in corsivo si trovano nel libro “La Civiltà Capatilista. L’era degli Dèi senza maschera e dei Re nudi. Manifesto della civiltà democratica Vol. 2” della collana “Scritti dal Carcere” edito da “Edizioni Punto Rosso” ed “Edizioni Iniziativa Internazionale”, uscito in italiano nel 2021 e tradotto dal tedesco da Simona Lavo (pag.39-43, paragrafo “Ragione e Società”).

 

 

NATURA "COSMICA" E NATURA SOCIALE
INTELLIGENZA EMOTIVA E INTELLIGENZA ANALITICA

L’istinto primigenio del primate umano è predatorio: le scimmie sono principalmente onnivore, ma non tutte, incluso alcun* appartenenti alla specie dell’homo sapiens.

Una delle differenze con altre specie del regno animale risiede nell’importanza della dimensione sociale: <<per un bambino l’infanzia termina solo dopo un periodo di 15 anni, durante i quali non può vivere senza società. Alla nascita il bambino è molto debole. Tutti i cuccioli di animale sono in grado di sopravvivere da soli in breve tempo, perlopiù in pochi giorni>>.

L’aspetto sociale di donne e uomini è collegato a un’altra capacità umana molto particolare: conservare e tramandare conoscenze di generazione in generazione, tramite dei sistemi di rappresentazione simbolici gestuali, ma soprattutto orali e scritti.

23.3.23

PERCEZIONI DALLA SANTA FEIRA

MOLTIPLICHIAMO MOMENTI COME QUESTI ED ESTENDIAMOLI AD ALTRI AMBITI DI VITA E CULTURA






La scorsa Domenica si è conclusa all’Ex Asilo Filangieri di Napoli la quinta edizione della “Santa Feira, la festa dell’illustrazione e dell’editoria indipendente”, una fiera organizzata orizzontalmente da una sorta di direzione artistica collettiva: come avvenuto per altri eventi e festival underground di arte ed editoria indipendenti, anche questa volta il nostro auto-inviato per nulla speciale, il Cronista Autoprodotto (nonché autogestito e poco gestibile, ma è meglio così!) è andato all’ Asilo per raccontarci in maniera atipica e poco professionale (ma molto spontanea) quello che ha visto, dilungandosi in digressioni che si spera troviate in qualche maniera utile (Cronista Autoprodotto è tendenzialmente logorroico e grafomane, abbiate pazienza…).

Abbiamo incontrato nuovamente tante/i compagni/e e amic# che avevamo visto agli altri “fest” e ne abbiamo conosciuto altr#: è stato bello avere l’opportunità di consolidare o avviare nuove relazioni di attivismo, militanza e in un certo senso anche professionali.





Con i nostri scarni mezzi non siamo riusciti a “coprire” tutte le iniziative, visitare tutti i banchetti e incontrar# tutt#, ma per chi volesse aggiungere (o rimuovere, fare delle precisazioni su) qualunque cosa da questo articolo-“ricordo” basterà semplicemente contattare la nostra pseudo-redazione che si attiverà immediatamente... Buona lettura!




 

IL POETA DEVE FARE IL POETA, DEVE RACCONTARE LE COSE… IL FILOSOFO O IL GIORNALISTA PURE! MA SERVONO “SPAZI” E “MOMENTI”, E NE SERVONO TANTI!

19.3.23

STRAGE NELLE CARCERI DURANTE IL LOCKDOWN (PARTE 2)

Pubblichiamo la continuazione del resoconto/inchiesta sulle fonti aperte relative alla strage nelle carceri avvenuta a partire dei primi giorni del lockdown nel 2020 (qui il link alla prima parte). Proseguiamo parlando dei frammenti di storia delle altre vittime (e delle 2 ulteriori perlopiù escluse da questa tragica conta) oltre che dei casi giudiziari archiviati e aperti.


a sinistra l'immagine stilizzata di un poliziotto che colpisce una persona a terra. Al centro la scritta "Noi non archiviamo!" e uno striscione con scritto: "verità e giustizia per i morti di Sant'anna". In alto a destra le immagini delle 9 vittime. In basso e a destra immagini dei medicinali "razziati", in particolare metadone.



6) Ghazi Hadidi (il suo nome è trascritto o riportato anche così: Ghazì Hadidi). Aveva 35 anni, veniva dalla Tunisia ed era in carcere per una <<condanna definitiva per una violenza pesante>> (senza ulteriori specificazioni), riporta il sito Giustiziami. Tuttavia anche per lui si ritrova la dicitura “procedimento penale n. 1068/20 mod.44” (nel caso di Bakili e Iuzu il numero è invece “1069”).

Secondo una detenuta che era trasportata nello stesso blindato diretto a Verona (inizialmente pare che lui fosse destinato a raggiungere  Trento) era già morto o quasi: al momento dell’arrivo era sdraiato ed è stato sollevato di peso, probabilmente perché in coma, e addirittura avrebbe continuato a subire percosse durante il viaggio. Un altro testimone riporta che era già morto o comunque livido all’arrivo. Secondo la dottoressa che operava presso la tenda della Protezione civile posta in prossimità del carcere di Modena era stato visitato, ma non è stato redatto o non si trova il referto. Il medico di turno dell’altro carcere prova a rianimarlo mentre attende l’arrivo dell’ambulanza, invano: muore verso l’alba del 9 Marzo. In quel frangente pare che non fossero stati notati segni di violenza sul suo cadavere, ma successive rilevazioni affermano il contrario…

Stando a quanto si riporta su Carmilla, un agente ha dichiarato che barcollava ma che complessivamente sembrava stare bene, non pareva avesse segni compatibili con una rissa e che fumava tranquillamente. I segni di lesioni sul suo corpo (escoriazioni dovute a un corpo contundente, due denti mancanti e presenza di sangue in bocca) rilevati dal medico legale il 26 Marzo sarebbero legati ai disordini durante la rivolta. Il medico legale che ha constatato la sua morte parla di segni esterni di violenza non evidenti. La procura di Verona, dove era morto mentre era diretto a Trento, non ha disposto l’autopsia ma un esame esterno del corpo. 

La prima autopsia verrà fatta in Tunisia, due mesi dopo, e rileva anche due ematomi sul cuoio capelluto che però non sono collegati, esclusivamente (e quindi da sole) alla morte. Come accaduto per un’altra vittima (Artur Iuzu) in Italia non era stato ritenuto opportuno di procedere con la sezione del corpo e del capo.

Secondo l’anatomopatologa Cristina Cattaneo le conseguenze di un trauma al volto potrebbero essere confuse con quelle di un’intossicazione e dunque la causa del decesso non è appurata. La consulente ha svolto diverse indagini per identificare i morti in mare durante i "viaggi della speranza", sul caso di Yara Gambirasio e firmò la perizia in cui si affermava che Stefano Cucchi non era stato pestato, ma comunque scelta dal Garante die detenuti Mauro Palma per la sua professionalità e fama internazionale, oltre a lavorare al caso pro-bono, ossia gratuitamente) .

Il fratello ha dichiarato ai microfoni di Spotlight: <<se non è stato ammazzato con le botte è stato ammazzato con la mancanza di soccorso>>. Ha inoltre espresso dubbi sulle tempistiche del rimpatrio del salma: <<si sono presi tutto il loro tempo e ce lo hanno riconsegnato senza fare l’autopsia, perché?>>.

 

7) Rouan Ourrad (il suo nome è trascritto o riportato anche così: Rouan Abdellha; Rouan Abdellah; Ourrad Abdellah) veniva dal Marocco, aveva 34 anni e gli restavano da scontare meno di due anni per spaccio.

Avrebbe potuto richiedere le misure alternative se avesse avuto qualcuno fuori che potesse supportarlo. Aveva un fratello gemello che viveva nelle vicinanze di Modena (il libro "Morti in una città silente" parla anche di altri due parenti in Germani e Francia). La madre non riesce a darsi pace e crede che sia impossibile che abbia preso farmaci.

Muore ad Alessandria mentre era diretto ad Asti: il medico che operava a Modena gli aveva somministrato un antidoto contro gli effetti avversi degli oppiacei (il metadone rientra in questa classe come l’eroina), ma una seconda dose non gli sarebbe stata data a causa del trasferimento, che non ha consentito l’intervento dei medici che già conoscevano la sua situazione (descritta come stabile). Quali sono le persone che hanno disposto il suo trasferimento e chi aveva la responsabilità che questo avvenisse in sicurezza? Sapevano e dovevano comunicare che doveva prendere di nuovo l’antidoto, il Naloxone? Probabilmente non sarà un’unica persona però, in un articolo di “Alexik”, (linkato in calce a questo post) si afferma che <<il cinismo del caposcorta ha fatto il resto>>.

Appena sceso dal bus, prima dell’alba, ha un malore nel cortile dell’istituto. La medico di turno tenta di rianimarlo, viene chiamata un’ambulanza con attrezzature specifiche che giunge dopo più di mezz’ora, ma non c’è più niente da fare. Nelle fonti aperte consultate non abbiamo trovato informazioni riguardo ad autopsie ed esami post-mortem svolti, e nemmeno in merito alla presenza di segni di lesioni sul suo corpo.

 

8) Artur Iuzu (il suo nome è trascritto anche così: Arthur Iuzu; Artur Isuzu; Artur Luzy. Nella trascrizione della testimonianza di un detenuto è chiamato anche Izu Arturo) classe ‘88 dalla Moldavia. 

Doveva essere processato dopo pochi giorni. Le cronache modenesi di un anno prima spiegano che avrebbe dovuto essere rimpatriato ed espulso dall’Italia per 5 anni dopo aver commesso una serie di furti, l’aggressione a una cassiera e la resistenza a un arresto, ed era stato condannato a un anno e 450 euro di multa: potrebbe trattarsi anche di un caso di omonimia o potrebbe non essere stato rimpatriato, oppure ancora potrebbe essere ritornato in Italia senza permesso. Si sa comunque che non era ancora condannato in via definitiva per rapina (il primo grado di giudizio non era ancora terminato e nel dossier di controinformazione citato in fondo è riportata la stessa dicitura che troviamo per Bakili, e cioè "procedimento penale n. 1069/20 mod.44 ).

Muore dopo il trasferimento a Parma il mattino seguente. Secondo la perito del Garante dei detenuti la causa del decesso non è appurata, però ci sono una serie di graffi e segni sul corpo che fanno pensare a possibili colpi ripetuti. A sua detta l’autopsia non è stata completa perché si sarebbe dovuto analizzare cranio e cervello, mancanza che sarebbe dovuta alle nuove precauzioni imposte dalla pandemia: non si potrà ripetere perché il suo corpo è stato cremato. Secondo chi ha invece svolto l’autopsia il quantitativo di metadone era talmente alto da non poter essere quantificato.

Si sa che a Modena era stato trasportato all’esterno del carcere su un lenzuolo, e quindi in condizioni precarie. Viene comunque disposto il trasferimento e dopo l’arrivo è stato visitato “a occhio” fuori dalla cella: mancava un operatore in più per effettuare la visita in sicurezza oltre a un’autorizzazione. C’era solo una dottoressa a occuparsi di quei detenuti (l’altro medico di turno operava in un’altra sezione del carcere), ed erano stati messi in coppie con quelli più lucidi che avrebbero dovuto “vigilare” su quelli in stato di torpore (un altro detenuto è stato salvato fortunatamente).

 

18.3.23

STRAGE NELLE CARCERI DURANTE IL LOCKDOWN (PARTE 1)

LE MORTI DOPO LE RIVOLTE DI MODENA, RIETI, BOLOGNA E S. MARIA CAPUA VETERE: UN RESOCONTO BASATO SULLE FONTI “APERTE”


 

a sinistra l'immagine stilizzata di un poliziotto che colpisce una persona a terra. Al centro la scritta "Noi non archiviamo!" e uno striscione con scritto: "verità e giustizia per i morti di Sant'anna". In alto a destra le immagini delle 9 vittime. In basso e a destra immagini dei medicinali "razziati", in particolare metadone.


L’OPINIONE PUBBLICA CHE “BUTTA VIA LA CHIAVE” E QUELLA CHE NON ARCHIVIA; LE DOMANDE SENZA RISPOSTA; L’USO E L’ABUSO DI DROGHE LEGALI E ILLEGALI; L’APPROCCIO REPRESSIVO A SCAPITO DEL SOCCORSO


Ricercare la verità, o forse è meglio dire “le verità” delle drammatiche giornate e rivolte, che hanno visto il più alto numero di morti “concentrate” in carcere nella storia repubblicana, è un compito tanto doveroso quanto complesso.

Data la vastità degli eventi, ricostruire quello che è accaduto e che è rilevante dal punto di vista storico, giornalistico e giudiziario (e siamo ancora molto lontani dal potere scrivere la parola “fine” così come l’espressione “siamo a metà strada” da queste prospettive) è difficile forse quanto ricostruire l’atmosfera grigia che si viveva (e si vive) nelle istituzioni totali chiamate “carceri”, delle condizioni precarie in cui lasciamo a marcire delle persone nelle discariche sociali note come “prigioni”, dopo che si è ipocritamente ed egoisticamente “buttata via la chiave”…

Per questo nelle righe che seguono abbiamo cercato di fare quello che questa umile “Zina/Rivista” ritiene di poter fare al meglio, e quindi in diversi mesi abbiamo analizzato, collazionato e fatto una sintesi delle svariate “fonti aperte” (articoli di giornale, inchieste video e scritte, dossier di “contro-informazione” o di informazione alternativa, carte giudiziarie pubbliche ecc.) riguardante quella che forse sarebbe corretto chiamare la “strage” nelle carceri ai tempi del Covid

I colpevoli, presunti e innocenti dal punto di vista legale fino a prova contraria, non sono solo i potenziali perpetratori di torture, omissioni e abusi, per dolo o per negligenza: siamo anche noi quando non ci preoccupiamo abbastanza di trovare dei modi di risolvere, ma soprattutto prevenire certi conflitti, certi comportamenti. Siamo anche noi quando pensiamo che la giustizia coincida con il semplice e menefreghista disinteresse verso chi ha commesso degli errori perché più fragile, perché ritenuto inutile, o forse perché è più “malvagio”... e peggio ancora quando non siamo nemmeno sicuri che certi errori o malvagità siano stati commessi (e cioè di chi, per esempio, è in attesa di giudizio ma è comunque già condannato a vivere nella discarica sociale e forse, quando e se si scoprirà, avrà diritto a un risarcimento economico, ragione principalmente economica che dovrebbe essere presa in considerazione anche da chi è più insensibile).

Oltre al lavoro di ricerca ci siamo presi lo spazio per fare alcune digressioni sui temi della detenzione, della sanità, dell’abuso di psicofarmaci (indotto dal marketing e dall’adottare soluzioni più “economiche” e immediate senza tenere conto dei problemi di lungo termine), del “welfare mafioso” favorito dal proibizionismo e degli strumenti invasivi della nostra privacy che dovrebbero essere usati anche per “controllare i controllori”.

Parte delle fonti sono citate tramite i link, altre sono riportate in calce alla seconda parte di questa lunga e intricata inchiesta, che riteniamo rifletti una vicenda altrettanto “estesa” e ingarbugliata, una “matassa” che per essere sbrogliata ha bisogno dell’attenzione dell’opinione pubblica e della collettività in generale. Per contribuire alla ricerca della verità, oltre al vostro prezioso tempo, vi chiediamo di segnalarci (tramite mail, commenti, social, messaggi ecc.) eventuali inesattezze, precisazioni o qualunque cosa riteniate utile menzionare.

 

Nella notte tra il 7 e l’8 Marzo 2020 viene dichiarato il “primo” lockdown, non ancora esteso a tutto il territorio nazionale. Mentre ci preparavamo a sperimentare un “assaggio” di cosa vuol dire essere ristretti, tramite una sorta di “arresti domiciliari collettivi”, per chi era davvero ristretto nelle prigioni italiane scattavano ulteriori limitazioni, mentre all’estero (e solo successivamente anche in Italia) venivano scarcerati migliaia detenuti proprio per il rischio pandemico: alla paura di contrarre il virus nelle carceri, già drammaticamente e illegittimamente sovraffollate, e quindi con condizioni igieniche già precarie, con pochissimi educatori e medici, e con tutta una serie di complicazioni alle quali chi è “fuori” non sarà mai abituato abbastanza per comprenderle, si aggiungeva la sospensione delle visite di cari e familiari, dei permessi per uscire temporaneamente o per lavoro, della ricezione di pacchi con beni alimentari e di prima necessità, dei colloqui e delle già poche attività che dovrebbero essere finalizzate a “riabilitare” (e la mancanza o inadeguatezza di quelle attività finisce per trasformare le carceri in una scuola di criminalità): scattano delle rivolte nei penitenziari di tutta la penisola, a Foggia si verifica perfino un’evasione di massa. Secondo alcuni le proteste erano motivate esclusivamente dalle già precarie condizioni di vita e dall’annuncio della decisione dell’allora Ministro della giustizia Bonafede, su cui ricadrebbero le responsabilità perlomeno politiche (insieme agli altri esponenti del governo gialloverde e delle amministrazioni locali), della gestione non adeguata delle rivolte, e che non ha comunicato tempestivamente le notizie riguardanti le drammatiche dipartite.

Secondo altri sarebbero state invece coordinate da una “regia unica”, composta da esponenti dell’ “alta borghesia” criminale (e cioè mafiosa) che si avvaleva dei “proletari” detenuti di basso profilo oltre che dello “spettro” degli anarco-insurrezionalisti sempre in voga (“fantasma” su cui spesso nella storia si sono “scaricate” responsabilità di zone grigie e poteri tutt’altro che libertari, come avvenne per il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli).

Mentre la maggioranza dei “poveri cristi”, che aveva più di 18 mesi da scontare e il cui reato non era considerato di piccola entità, era condannata alle nuove aggravanti causate dalla pandemia, correva la voce (una voce largamente infondata, si può dire con il senno di poi) della possibilità che pure diversi mafiosi al 41 bis venissero scarcerati a breve (in realtà si trattava di misure previste dalla legge che i magistrati dovevano vagliare caso per caso, anche alla luce della nuova situazione sanitaria, e che forse poteva essere sfruttata anche dagli avvocati dell’alta borghesia mafiosa. Il caso di scarcerazione più controversa è stato probabilmente quella di Pasquale Zagaria, boss dei casalesi).

Comunque in quel periodo, con i cosiddetti provvedimenti “svuota-carceri”, possono uscire all’incirca 8 mila persone dotate del braccialetto elettronico: almeno una parte di quegli esseri umani, considerati reietti della società, forse non ci dovevano nemmeno entrare in carcere… L’uscita di quelle persone dimostra, a detta di chi scrive, che forse già da prima si potevano attuare diverse strategie per prevenire quelli che potremmo definire “reati di sopravvivenza” e per convivere in sicurezza con chi ha fatto degli errori, in concreto espandendo le possibilità offerte da misure alternative alla detenzione.

Durante e dopo le rivolte nelle prigioni, iniziate il 7 Marzo a Salerno, moriranno 13 detenuti (14 se si include la dipartita avvenuta a circa un mese di distanza di una persona con uno stato di salute precario a Terni, 15 se si include il suicidio di un detenuto morto dopo settimane di isolamento a Santa Maria Capua Vetere), 9 erano ristretti a Modena, 3 a Rieti e uno a Bologna, alcuni sono spirati dopo i trasferimenti disposti.

 

LE MANCANZE E GLI ABUSI NELLA GESTIONE DELLE RIVOLTE: DALLA CUSTODIA DEGLI PSICOFORMACI ALLE DENUNCIE DI TORTURE

12.3.23

NUOVO NAUFRAGIO NEL MEDITERRANEO OGGI, A DUE SETTIMANE DALLA STRAGE DI CUTRO

ALARM PHONE AVEVA LANCIATO L'ALLERTA 24 ORE PRIMA


In foto il primo tweet in cui Alarm Phone dava l'allarme, e quello in cui si constata l'irreparabile e si denunciano le autorità italiane



Ieri,11 Marzo, Alarm Phone, rete di volontari e attivisti con l'obiettivo di amplificare la visibilità delle persone in pericolo durante i viaggi della speranza tramite contatti telefonici, aveva lanciato un'allerta diffusa anche via Twitter: <<siamo in contatto con 47 persone alla deriva che sono fuggite dalla Libia. Le condizioni meteo sono estremamente pericolose ed è necessario soccorso immediato!>>.

Due ore fa (sono le 18 mentre si scrive questo post), 24 ore dopo il primo di diversi allarmi con tanto di coordinate e indicazioni precise arriva un altro messaggio, che constata l'irreparabile: <<Siamo scioccati. Secondo diverse fonti decine di persone da quella barca in pericolo sono affogate>>, come troppo spesso avviene, anche se questa volta i corpi non verranno trasportati dalle onde e dalla mancanza di umanità sulle nostre spiagge: lontano dagli occhi e quindi anche dall'attenzione mediatica e dell'opinione pubblica che speriamo non cali, ma che diventi invece più decisa! (e faremo almeno il nostro piccolo come medium indipendente) 

<<Avevamo inizialmente allertato le autorità alle ore 2:28 CET dell'11 Marzo, sottolineando la situazione di pericolo. Le autorità italiane hanno consapevolmente ritardato i soccorsi lasciandole morire>> è l'accusa, con un'argomentazione opposta a quella ripetuta svariate volte dalla presidente del consiglio dei ministri Meloni e dal governo che non hanno ancora risposto davvero alla domanda centrale dell'altra strage: perché quel giorno è uscita la Guardia di Finanza e non la Guardia Costiera? Non ci interessa cosa ha detto Frontex, ci interessa conoscere le catene di comando e di responsabilità italiane, in particolare quelle che riguardano i ministeri guidati da Salvini e Piantedosi! 

Un'ora fa un altro tweet: <<dopo il naufragio con molti morti, ci preoccupiamo che i sopravvissuti -i quali hanno visto i loro amici morire prima di essere salvati da un'imbarcazione mercantile- saranno obbligati a ritornare in Libia o Tunisia, dove condizioni inumane li aspettano. Chiediamo che tutti i sopravvissuti vengano portati in un posto sicuro in Europa!>>. Questa richiesta ci pare tanto giusta quanto simbolica, sapendo che i governi italiani (ed europei), inclusi quelli del PD, hanno finanziato e continuano a finanziare organismi come la sedicente Guardia Costiera Libica collusa con i trafficanti, e hanno sfornato leggi che criminalizzano la solidarietà a partire da Minniti.

Due settimane fa il naufragio di Cutro: la strage si ripete!


TENDERE CONCRETAMENTE VERSO LE UTOPIE

 SE LE UTOPIE NON SONO RAGGIUNGIBILI SONO ALMENO AVVICINABILI!

Tra le righe telematiche della rubrica “Valvola” pubblichiamo, in una manciata di parole, un ragionamento legato a sogni e ideali da cui questa stessa Zina/Rivista scaturisce. Un concetto che è stato già sfiorato quando si è parlato di “eterotopia” (nello specifico nel post dedicato al festival underground "Crack!")

 

Immagine dell'artista KELLEPICS da Pixabay



Chi è militante politico, attivista sociale, o chi semplicemente sogna un Mondo diverso, ispirato/a da ideali tanto alti quanto difficilmente realizzabili (almeno a prima vista), avrà sentito o dovrà sentire spesso frasi come: “ma quello che dici tu è un’utopia”; “non accadrà mai”, “sono castelli in aria, la natura umana è diversa, la storia insegna che…” eccetera eccetera.

Forse è vero che certe cose, come la violenza insita nella natura e funzionale alla sopravvivenza di certi viventi, non si possono cambiare, non si può fare in modo che cessino del tutto...

Forse è vero che nella “storia” (perlomeno quella più vicina a noi che riusciamo a comprendere meglio) è sempre esistita la sopraffazione, l’ingiustizia, l’ineguaglianza, la guerra…

Ma sono convint#, e penso sia anche “più vero”, che se un qualcosa non potrà mai essere completamente raggiunto o realizzato possiamo, perlomeno, tendere verso quel  qualcosa, verso quella idea di società, di mondo, di vita individuale o collettiva...

11.3.23

DARWINIAN TRAFFICKER DILEMMA E BALLOON EFFECT

GLI SFORZI VANI DEL PROIBIZIONISMO E IL FALLIMENTO SISTEMICO DELLA GUERRA ALLA DROGA

 



Tra le righe digitali della rubrica “Define” parliamo della definizione di due espressioni legate alle politiche sugli stupefacenti illegali, da una prospettiva principalmente “materialista” e basata largamente sulle dichiarazioni di un ex poliziotto infiltrato e sull’ultimo documento delle Nazioni Unite che sancisce, anche per i più conservatori e benpensanti, il fallimento della cosiddetta “guerra alla droga”.



 



 

 

 

LA TEORIA DI DARWIN APPLICATA AL MERCATO DELLA DROGA


Avete presente quando sui Tg, sui giornali e sui media in generale vengono strillati titoli e notizie che suonano più o meno così: <<super-mega operazione porta al maxi sequestro di quintali di droga>>. Analoga enfasi, di solito ripresa pedissequamente dalle veline poliziesche, viene usata anche quando i quantitativi di stupefacenti sequestrati sono più irrisori: <<arrestato spacciatore che nascondeva un etto di droga tra marijuana, cocaina ed eroina>>.

 

Quello che di solito i media mainstream non dicono è che, al di là di come la pensiate, quei sequestri e quegli arresti favoriscono trafficanti e spacciatori più forti (e in questo caso parliamo della legge “darwiniana” del più forte applicata al mercato della droga) oppure stanno semplicemente spostando o “delocalizzando” il problema (in questo caso si può parlare di effetto palloncino).


Quando si parla di “Darwinian Trafficker Dilemma” (“il dilemma darwiniano del trafficante”) ci si riferisce a un fenomeno amplificato o facilitato dalla repressione del traffico degli stupefacenti illegali: le operazioni di polizia, soprattutto quelle che tendono a reprimere i “pesci piccoli” (ma non solo), non fanno altro che spazzare via una parte della concorrenza, favorendo l’ascesa di “pesci più grossi” e culminando nel consolidamento di oligopoli e monopoli nel mercato della droga.


In parole povere si tratta della “legge del più forte”, del “più adatto” che, riduttivamente e materialisticamente, è anche “legge” economica di mercato (legale o illegale che sia).

5.3.23

STRAGE DI CUTRO: SI DOVEVA (E SI DEVE) FARE MOLTO DI PIÙ!

LA CARENZA (SE NON OMISSIONE) DI SOCCORSI E UMANITÀ, IL FOCUS SULLE OPERAZIONI DI POLIZIA A SCAPITO DELL’ATTENZIONE PER I SALVATAGGI, LA REPRESSIONE “VIZIATA” DEL FENOMENO DELLO "SCAFISMO"

 


Alcuni titoli di giornale relativi allo strampalato appello di Piantedosi (a sinistra) e alle dichiarazioni di Orlando Amodeo (a destra), tra i primi a dire pubblicamente che quelle persone potevano essere soccorse. Sullo sfondo l'immagine di Myriams-Fotos di Pixabay. In calce all'articolo l'immagine originale dei titoli nei risultati di ricerca.


A sinistra un tweet di Mediterranea Saving Humans in cui si elogia la Guardia Costiera per un soccorso e si afferma che <<i politici che li "comandano" non valgono un'unghia dell'ultimo marinaio a bordo di quelle vedette>>. A destra alcuni titoli di articoli che riprendono le dichiarazioni di Vittorio Alessandro, ufficiale in congedo della Guardia Costiera che ha affermato: <<salvare vite era il nostro vanto, poi la politica ha fermato tutto>>. Sullo sfondo l'immagine di un gommone tratta dalla sezione "Press" di Mediterranea. In calce al post gli screenshot originali del tweet e dei titoli nei risultati di ricerca.


Una settimana fa, proprio mentre in redazione si chiudevano due articoli sul decreto ONG e sul tema delle migrazioni (forse sarebbe meglio parlare di “persone in movimento”) è arrivata la notizia dell’ennesimo naufragio a Cutro, in provincia di Crotone.

Di fronte ad almeno 70 vite spezzate (sarebbero almeno una trentina i dispersi), infanti inclusi, alcune distinte da un codice perché senza nemmeno un nome e con una storia di cui si conosce solo il finale in una bara, appare ipocritamente ovvio che si doveva fare di più: la magistratura, la stampa e la collettività in generale stanno provando a fare chiarezza su eventuali responsabilità penali e morali riguardanti le carenze (salvo vere e proprie colpose omissioni) nei soccorsi. Fin da adesso sta sempre alla collettività in generale attivarsi perché ciò non accada più, oltre che per ricercare le verità di questa e altre tragedie, anche se per qualcuno sarebbe più corretto parlare di stragi –sempre a proposito di ricerca della verità... Come possiamo fare? Intanto riflettendo, immaginando un nuovo tipo di società sul lungo termine, mentre sul breve termine le iniziative come manifestazioni, petizioni, dibattiti e tutti i mezzi di protesta e pressione a nostra disposizione sono il minimo, forse “sindacabile” in quanto insufficiente…

 

PRIMA SI SALVA, POI SI DISCUTE O SI INDAGA: LA LOGICA POLIZIESCA PREVALE SU QUELLA UMANITARIA

La procura di Crotone ha aperto almeno due fascicoli, stando a quanto riporta la stampa: uno sull’organizzazione del viaggio, con le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, lesioni e omicidio colposo a carico di quattro presunti scafisti e organizzatori, due pakistani e due turchi tra i 17 e i 50 anni. Tre sono in stato di arresto mentre uno è fuggitivo. Pare che abbiano tentato la fuga dopo aver gonfiato un gommone e abbandonato la nave.

L’altra inchiesta dovrebbe chiarire le responsabilità istituzionali della sciagura: si dovranno ricostruire le comunicazioni tra i diversi corpi e istituzioni (ministeri, Capitanerie di Porto - Guardia Costiera, Guardia di Finanza e l’agenzia europea Frontex) e le intricate catene di comando e responsabilità che evidentemente non hanno funzionato.

La dinamica delle comunicazioni, degli ordini e degli eventi, ricostruita solo parzialmente dalla stampa e dalle dichiarazioni dei diversi soggetti coinvolti, è pressoché questa: nella tarda serata dello scorso Sabato un velivolo di Frontex avvista un’imbarcazione distante circa 40 miglia dalla costa. Attraverso dei macchinari che rivelano fonti di calore si capisce che all’interno della barca ci sono delle persone, anche se non si può stabilire con precisione quante, ma si scoprirà poi che erano circa 200. La Guardia costiera ha precisato che oltre alle buone condizioni di navigazione, nella segnalazione di Frontex si specificava che una sola persona era visibile, ma l’agenzia europea ha smentito questa ricostruzione specificando di aver segnalato <<un’imbarcazione pesantemente sovraffollata>> (chiarendo inoltre che sono i singoli stati a decidere se un'operazione deve essere considerata di salvataggio o di polizia. La Meloni e il governo si difendono con l'argomentazione che l'agenzia europea non ha segnalato situazioni di pericolo). L’aereo rientra per mancanza di carburante e, stando a quanto dichiarato dai portavoce dell’agenzia, comunicano la notizia arriva alle autorità italiane specificando che non c’erano particolari pericoli: partono due imbarcazioni della Guardia di finanza (che fa capo principalmente al ministero dell’Economia, ma che dipende anche da quello della Difesa e dell’Interno, e quindi in questo caso da Piantedosi), cui competerebbe svolgere operazioni di polizia, ma non la Guardia costiera (che dipende dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, e quindi da Salvini) che sarebbe dotata di imbarcazioni specifiche per i salvataggi, a differenza delle prime due che sono costrette a ritirarsi per lo stato del mare dopo un secondo tentativo. Secondo il quotidiano Il Domani (articolo del 28 Febbraio siglato da Nello Trocchia e intitolato "Naufragio in Calabria, Salvini e la Guardia costiera hanno lasciato morire i migranti") viene sollecitato allora un intervento congiunto dei due corpi, sollecitazione che non si compie. Sono circa le tre di notte e, dopo quasi tre ore, un pescatore riceve la segnalazione di una barca in pericolo dalla Guardia Costiera. Altre telefonate sarebbero arrivate dai Carabinieri e da alcuni astanti che dalla spiaggia avvistano la barca, oltre che dall'imbarcazione stessa…

Ma è troppo tardi: la Guardia Costiera interviene a naufragio avvenuto, quando il “caicco” (così si chiama quel tipo di imbarcazione turca) si è spezzato in due su una secca, dopo che il motore era andato in aviaria sputando fumo e liquido bollenti: alcuni si aggrappano ai resti che galleggiano, aiutando chi non sa o non riesce a nuotare. Altri non ce la fanno. Si conclude così il viaggio iniziato su dei camion il 21 Febbraio nel distretto turco di Smirne. Inizialmente sarebbero stati imbarcati su un altro natante che però è andato in avaria: vengono trasferiti sulla “Summer Love” e dopo altri tre giorni di viaggio il sogno di una vita decente si infrange a pochi metri dalla costa.

Orlando Amodeo, ex medico della polizia di Stato, soccorritore ed esponente di Sinistra-Verdi ha dichiarato nella serata di domenica, in televisione, che <<se su quella barca ci fosse stata la figlia di un politico si sarebbe andati a fare il salvataggio anche con il mare a forza 20 (…) gli scafisti li inventiamo noi, se l’Europa fosse più umana non esisterebbero>> dice a proposito di quello che è definibile come il “proibizionismo delle migrazioni”. Specifica poi che anni prima lui stesso aveva partecipato a un soccorso con un livello di forza del mare tra il 6 e il 7: tra l’altro pare che il mare in realtà fosse a forza 4 e che comunque c’erano i mezzi per navigare anche con forza 8, come affermato dallo stesso comandante della Capitaneria di porto locale, mentre le veline governative inviate immediatamente alla trasmissione televisiva e ripetute per giorni parlavano da subito dell’impossibilità di effettuare i soccorsi a causa del mare forza 8). Resta da capire perché allora la Guardia costiera non è intervenuta o perché non è stata fatta intervenire.

Le dichiarazioni di Amodeo, amplificate mediaticamente dall’importante televisione commerciale, per quanto importanti e dirompenti sembrano meno strutturate e precise di quelle rilasciate da Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo della Guardia costiera, dichiarazioni ci pare siano passate più in sordina…

Il Manifesto ha spiegato (in un'intervista fatta da Giansandro Merli e intitolato con il suo virgolettato "C'è una distorsione del soccorso in mare. Possibili altre tragedie"), che <<in un lungo arco di tempo si possono rafforzare procedure e prassi che inquinano le vicende dei soccorsi di grandi numeri di persone, come i migranti, e le trascinano verso logiche e prassi di polizia. Prima gli interventi erano esclusivamente ispirati al salvataggio. La polizia veniva ovviamente chiamata in causa, ma per aspetti logistici e di ordine pubblico allo sbarco>>, e quindi inquadrando il problema della gestione delle migrazioni e dei soccorsi da una prospettiva più ampia.

 


QUANDO C’È UN INCENDIO SI CHIAMANO PRIMA I POMPIERI E POI LA POLIZIA; QUANDO C’È UN’IMBARCAZIONE IN PERICOLO SI CHIAMANO PRIMA I SOCCORSI E POI LA POLIZIA

4.3.23

TERREMOTO IN TURCHIA E SIRIA: TRA EROISMO E VILTÀ

LA CONTINUAZIONE DELLE OSTILITÀ NONOSTANTE L’EMERGENZA;
IL RITIRO DEI SOCCORRITORI SPAGNOLI PER LA DISTRUZIONE DI EDIFICI NONOSTANTE LA POSSIBILITÀ DI SALVARE ALTRE VITE





Torniamo a parlare degli eventi sismici che continuano a colpire Turchia e Siria: a distanza di un mese dalla prima scossa, mentre la mesta conta delle vittime sfiora l’orribile cifra di 50 mila esistenze spezzate, parliamo degli esempi di viltà che offuscano, ma non cancellano, quelli di eroismo in risposta ai pericoli che la potenza della natura pone, ostacoli che possiamo e dobbiamo superare insieme!


Quasi un mese fa pubblicavamo un post sulla “macchina” della solidarietà che si attivava, naturalmente e istintivamente, in risposta alla catastrofe naturale ed “artificiale” del terremoto: la catastrofe è stata anche “artificiale” per la mancanza di prevenzione nell’attuare sistemi di sicurezza antisismici (come i materiali di costruzione da usare, il rinforzo degli edifici già esistenti ecc.), mancanza alimentata dalla corruzione, dall’edificazione urbana selvaggia e dalla devastazione ambientale connessa. 

Sopravvivere in un ambiente che pretendiamo di dominare e che forse è molto più ostile di quanto noi “scimmie urbane” siamo abituate a pensare dovrebbe spingere gli appartenenti alla nostra specie a cooperare e ad essere solidali, una solidarietà che però deve essere generalizzata e non diretta solo al supporto del proprio “maxi-branco” o “maxi-clan”... Oltre ai meccanismi di solidarietà sono continuati, purtroppo, anche quelli che regolano le ostilità e che non si fermano nemmeno di fronte a una sciagura di tale portata.