26.5.22

Lancio ANSA tradotto a metà sulla Cannabis in Tailandia: titoli “strillati”, articoli al limite del clickbait

#ChekkailFattone Puntata 2

In questa seconda puntata di factchecking sugli articoli della stampa dedicati alle leggi sulla cannabis nel mondo ci occupiamo di un dispaccio dell’ANSA pubblicato a Gennaio: l’agenzia stampa ha tradotto dall’inglese, quasi parola per parola, un altro dispaccio dell’Associated Press sulla depenalizzazione della cannabis in Tailandia. La traduzione però si interrompe in un punto cruciale: il giornalista dell’AP, proseguendo l’articolo in inglese, spiega che i cambiamenti legislativi annunciati riguarderebbero solo la cosiddetta cannabis light, con un contenuto di THC molto basso. Inoltre in questi giorni c’è stato un nuovo annuncio del governo in merito: un milione di piantine gratuite in dono a chi ha la licenza per coltivare… L’analisi di questa notizia è un’occasione per dare un’occhiata alla situazione della canapa indiana nel paese. Ma andiamo per ordine…

Il 26 Gennaio di quest’anno l’ANSA esce con una notizia, titolo: <<La Thailandia approva la depenalizzazione della marijuana>> , sottotitolo (scritto molto piccolo) <<Ma rimane un’area grigia sul suo uso ricreativo>>. L’agenzia di stampa spiega che il ministro della salute tailandese ha annunciato l’eliminazione della cannabis dalla lista di sostanze controllate e che l’uso ricreativo restava in un “limbo legislativo” a causa di un “groviglio normativo”. Si spiega poi che, come <<riporta il Time>>, secondo dei <<funzionari di polizia ed esperti legali contattati>> dall’Associated Press, <<non è ancora chiaro se il possesso di marijuana non sarà più soggetto all’arresto>>.

E qui iniziano altre cose “non chiare”: a Fanrivista risulta che sul Time l’ultimo articolo che parla di cannabis nel regno-dittatura indocinese risale al 2018, quando la Thailandia  si apprestava a essere il primo paese nel sudest asiatico a regolarizzarne l’uso medico. Invece, nello stesso giorno di Gennaio, veniva pubblicato un lancio (in inglese) sul sito dell’Associated Press, ripreso da tantissimi altri siti e agenzie di stampa internazionali, firmato Chalida Ekvitthayavechnukul (che, tra le varie testate, scrive anche per The Seattle Times dove è ripubblicato lo stesso identico dispaccio con la medesima foto). Il titolo, tradotto letteralmente, recita: <<La Thailandia è il primo in Asia a muoversi per decriminalizzare la marijuana>>. Un’affermazione meno perentoria di quella che si legge nel titolo dell’ANSA, che riflette maggiormente la complessità della situazione ed è meno clickbait (o, per dirla all’italiana, un titolo “acchiappa click”, studiato per attirare quanti più lettori possibili a scapito dell’accuratezza del contenuto effettivo dell’articolo).

Sarà stata l’ “ANSiA” derivante dall’esigenza pressante di scrivere in tempi rapidissimi, tipica dello specifico lavoro di un’agenzia stampa, o forse un limite di battute da rispettare, sta di fatto che la “traduzione” quasi letterale (come chiunque con basilari conoscenze di inglese può notare dalla foto “sinottica” che segue) fatta dall’Ansa si interrompe proprio in un punto cruciale: l’articolo dell’AP spiega, scorrendo più giù sotto un annuncio pubblicitario, che la misura adottata dal governo per riclassificare la cannabis <<conserva nella lista delle droghe controllate le parti della pianta contenenti più dello 0,2% di THC>>.

I due articoli affiancati
La foto "sinottica": sulla "colonna" sinistra l'articolo dell'Ansa che traduce (a metà) quello dell'Associated Press, visibile a destra. Anche se due articoli riportano contenuti uguali non è detto che ci si trovi di fronte a un caso di plagio: potrebbero esserci degli accordi editoriali tra diverse testate per ripubblicare interamente, o con degli adattamenti, dei testi, come si è spiegato nell'appendice di filologia applicata collegata alla prima puntata di "Chekka il Fattone". In più il traduttore di un' "opera" deterrebbe a sua volta i diritti d'autore sulla traduzione stessa.

L’autore dell’articolo originale, forse per attirare più l’interesse dei lettori e mantenerli più a lungo sulla pagina del suo pezzo, forse per altri motivi, non specificava dall’inizio questo particolare fondamentale. Inoltre, non specificando subito il particolare del basso tenore di THC, non chiarisce abbastanza se il buco legislativo riguarda tutti i tipi di cannabis, cosa che non risulta a noi di Fanrivista (dopo aver consultato svariate fonti aperte online e aver riletto più volte l'articolo in questione) e che potrebbe confondere i lettori (e allo stesso tempo li trattiene di più sulla pagina dell’articolo): anche in Italia la situazione della cosiddetta “canapa light” a uso “tecnico, ornamentale, collezionistico (eccetera eccetera) ma non per inalazione, combustione, ingestione (eccetera eccetera)”, pur avendo un bassissimo quantitativo del principio responsabile dello “sballo” ha ancora uno status legale non completamente definito… Ricordate quando Salvini, allora ministro dell’interno, voleva chiudere <<uno a uno>> i negozi che vendevano cannabis al CBD?! 

Un video di Maggio 2019 dell'agenzia Vista in cui Salvini dichiara che chiuderà <<uno a uno>> tutti i cannabis club

Un video dell'Aprile 2019 dell'agenzia Vista in cui Salvini dichiara di essere contrario a "Canapa Shop" e "Coffee Shop" perché la metà di essi sarebbero dei centri dello spaccio

È necessario tenere a mente che il mercato del CBD potrebbe fare da apripista per quello del THC, con moltissimi investimenti già in atto per occuparli, ma comunque possiamo affermare a proposito del caso tailandese: non è vero che, come si sostiene nella notizia (o come alcuni hanno erroneamente evinto da essa) diffusa dall’AP e ripresa da moltissimi, il vuoto della <<giungla legislativa>> corrisponde a una <<decriminalizzazione de facto>> della cannabis thailandese “in assoluto”, ma solo quella a basso contenuto di THC, con una serie di prodotti già presenti sul mercato. Invece l’uso e la produzione di quella per scopi medici e di ricerca sono stati regolarizzati “completamente”, quindi de iure e non de facto, a partire dal 2018, e hanno scatenato una serie di polemiche riguardo al ruolo delle compagnie estere: queste potrebbero invadere il mercato rendendo meno accessibili i prezzi della cannabis per la popolazione locale, ostacolare la ricerca e l’industria con i paletti imposti dai brevetti e accaparrarsi anche una fetta del turismo “medico” e del benessere, settore trainante dell’economia locale. A questo proposito bisogna considerare che le medicine ricavabili dalla pianta rappresentano anche una soluzione competitiva con i prezzi di molti farmaci di sintesi che sarebbero importati o prodotti con costi elevati.

Nell'immagine si vede lo screenshot del sito web di una clinica tailendese per uomini: oltre a una serie di trattamenti per diversi problemi, che vanno dalla disfunzione erettile alla perdita di capelli, si pubblicizzano prodotti al THC (con l'apposito marchio governativo). Molte cliniche, sfruttando l'affinità tra il mercato del CBD e quello dell'altro principio attivo che si trova principalmente nella cannabis, hanno promosso (in maniera poco o per nulla legittima) prodotti e trattamenti basati sul CBD a persone e pazienti che invece cercavano il THC.

Per il possesso di quella ricreativa invece le pene sono molto severe e arrivano fino a 15 anni di carcere, anche se si comincia a parlare della depenalizzazione del consumo di tutti gli stupefacenti, in un’area del globo dove le leggi sulle sostanze d’abuso sono tra le più severe: si stima che più dell’80% di detenuti si trova nelle carceri tailandesi per possesso di droga, in larga parte metamfetamina 

Nonostante questo l’articolo originale menziona altri fatti degni di nota (sempre nella seconda parte, quella non tradotta dall’Ansa): i cambiamenti normativi degli ultimi anni, inizialmente, non includevano le infiorescenze e i semi. Inoltre si fa cenno al fatto che il ministro della salute Anutin Charnvirakul, nonché leader del partito populista Bhumjaithai e viceministro del premier e generale Prayut Chan-o-cha (al potere dal 2014 dopo un colpo di stato), aveva incluso nella sua agenda elettorale del 2019 una normalizzazione della cannabis medica e industriale. In questi ultimi giorni è giunto un suo nuovo annuncio che occupa i titoli di molti giornali: verranno regalate 1 milione di piante di cannabis “legale” per chi ha una regolare licenza. La dichiarazione per molti italiani ricorderà quella di Berlusconi che prometteva un eguale numero di posti di lavoro.

L’entusiasmo per la presunta “legalizzazione di fatto” si scontra con la dura realtà repressiva-normativa: tra le cronache di due mesi fa si trova il caso di una settantenne arrestata, insieme a una sua parente di vent’anni più giovane, perché avevano fatto germogliare due piantine senza avere la licenza, pur dichiarando di farne uso medico: il suo arresto è stato contestato perché per 24 ore non le è stata concessa la possibilità di uscire su cauzione e per il mancato mandato di perquisizione 

Anche il sito dell’agenzia LaPresse, “rivela” o per meglio dire, rileva il particolare della percentuale di THC solo alla fine di un fulmineo dispaccio diffuso nello stesso giorno, ma almeno lo menziona… Tuttavia pure qui ritroviamo un titolone quantomeno “strillato” e incompleto, se non un altro vero e proprio clickbait, che si discosta da quello più “sincero” e accurato dell’AP, e riporta: <<Thailandia: primo Paese asiatico ad approvare depenalizzazione marijuana>>.

Oltre allo sforzo di capire cosa accade in un dittatura de facto su una legalizzazione de facto della cannabis light, l’analisi di queste notizie è importante per comprendere i processi mediali che vi sono dietro: nella stragrande maggioranza dei casi un lancio di agenzia viene ripreso da altre testate e altre agenzie in maniera più o meno pedissequa o, magari, seguendo delle logiche di content syndication (della differenza tra questa pratica e i contenuti propriamente “copiati”, dunque plagiati, se ne parla nell’appendice di filologia applicata collegata alla prima puntata di #chekkailfattone sulle leggi delle cannabis). 

Di solito giornali e riviste hanno più tempo, rispetto a un’agenzia di stampa, di verificare una notizia e di approfondirla. In altri casi invece viene ripresa facendo un semplice copia e incolla o, al più, una mera parafrasi, a volte persino distorcendola o senza sforzarsi di fare il minimo approfondimento. Ai giornalisti, così come ai “fruitori” di contenuti, l’arduo compito di risalire alla fonte originaria e cercare di ricostruire come sono andate le cose (e ai “filologi del web” quello di capire come si sono “trasmesse”)... Un’interessante e ingarbugliata dinamica di “disintermediazione” nel mondo delle news

Non da sottovalutare poi è il ruolo che svolgono i titoli che campeggiano in alto ai nostri schermi o sulle pagine dei giornali: troppo spesso ci si sforza di renderli quanto più accattivanti possibile, a scapito dell’accuratezza del contenuto che, molte volte, non viene nemmeno sufficientemente trattato nel resto dello scritto.

Itala Pud

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