AGGIORNAMENTO SU COSA SUCCEDE IN SIRIA:
- CENTINAIA DI CIVILI UCCISI NEGLI ECCIDI SEGUITI AGLI SCONTRI TRA I LEALI AD ASSAD E IL NUOVO GOVERNO SIRIANO
- ISRAELE CONTINUA A ESPANDERSI OLTRE IL GOLAN E STRUMENTALIZZA LA PAURA DELLA MINORANZA DRUSA
- LE SDF STRINGONO UN ACCORDO CON IL GOVERNO DI TRANSIZIONE GUIDATO DA AL-JOLANI
Per chi non fosse familiare con il contesto siriano e con le principali formazioni della guerra civile in corso da quasi tre lustri, ma anche per chi volesse approfondirne vari aspetti (come la nascita delle SDF, le connessioni con la Palestina e il supporto dell’estrema destra italiana ad Assad), consigliamo come lettura preliminare un articolo pubblicato a Dicembre, intitolato “Che succede in Siria? Chi governa ora?”. In questo nuovo post parliamo dei più recenti aggiornamenti in merito.
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Mappa della suddivisione territoriale della Siria tra le varie fazioni aggiornata al 13/03/2025 di “Kaliper1” da Wikimedia rilasciata con licenza CC 4.0. In bianco le zone controllate dalle forze del nuovo governo siriano. A sud-ovest, in rosa, quelle controllate dalla SOR e in viola da Israele. A nord-ovest le zone sotto il controllo delle SDF nella DAANES, in giallo. Una parte di questo territorio al confine con la Turchia e “accerchiata” da altri territori della DAANES, insieme ad altri a nord-ovest, sono controllati dall’SNA e indicati in verde. Il semicerchio celeste al confine con Iraq e Giordania è una base USA, ed è racchiuso in un’area colorata dal celeste più scuro controllata dall’SFA. |
GLI SCONTRI CON I MILIZIANI LEGATI AL VECCHIO REGIME E LA STRAGE DI CIVILI
Il focolaio della guerra civile siriana si è riacceso: tra martedì 4 e giovedì 6 marzo si sono verificati scontri tra ciò che rimane delle milizie pro-Assad, presenti in varie aree a macchia di leopardo, e le nuove forze governative siriane, nel sud e sulla costa della Siria, più precisamente nei governatorati di Deraa, Homs, Tartus e Latakia.
Va ricordato che è stata promessa un'amnistia per i soldati di basso livello non completamente compromessi con il passato regime, a differenza dei suoi alti ufficiali. Nell’area di Der’a i primi scontri si sono verificati mentre i militari del nuovo governo siriano tentavano di entrare in un villaggio controllato dalle forze leali al dittatore baathista.
Mercoledì 5, invece, alcuni posti di blocco delle forze governative (che includono l’ufficialmente disciolto HTS, acronimo di Hay’at Tahrir al-Sham, ossia “Comitato di liberazione del Levante”) sono stati bersagliati nell’area di Latakia da lanci di granate. Feroce e sproporzionata è stata la risposta dei militari guidati dall’autoproclamato presidente Ahmed al-Sharaa (al secolo noto come Al Jolani): in totale sarebbero almeno un migliaio i morti negli scontri, di cui la stragrande maggioranza civili alawiti, lo stesso gruppo etnico-religioso a cui appartiene il deposto Assad. Per molti dei militari del nuovo governo siriano, non tutti autoctoni, è stata l’occasione per cercare vendetta, risvegliando i rancori della guerra civile, covati nei confronti della parte di popolazione più vicina ad Assad. Numerosi gli abusi documentati a carico delle forze guidate da Al Jolani, il quale ha promesso che giustizia verrà fatta, invocando la <<sacralità della vita>> e degli averi saccheggiati alle vittime innocenti. Sacralità della vita al quale non si è attenuto Shadi al-Waisi, attuale ministro della giustizia siriano, quando nel 2015 in qualità di giudice del Fronte al-Nusra faceva giustiziare in pubblico donne accusate e condannate per i “reati” di <<corruzione e prostituzione>>.
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In questa immagine uno dei due video in cui è stato immortalato l'attuale ministro della giustizia siriano poco prima di un'esecuzione, attuata con un colpo alla testa della vittima. |
All’epoca erano al potere nel governatorato di Idlib, dove si sono “formati” nell’arte di governare. Una maniera di fare politica che, evidentemente, non viene ricordata dai media che vanno per la maggiore, impegnati nel riabilitare l’immagine dell’estremista islamico che ora indossa giacca e cravatta e ha una barba più curata.
Dato il passato degli attuali governanti regna lo scetticismo sul fatto che giustizia verrà fatta. Per la stessa ragione le minoranze del paese, come i drusi, temono potenziali repressioni ed eccidi.
ISRAELE E I DRUSI
A trarre vantaggio da una Siria divisa e nel caos c’è sicuramente Israele, che inizialmente non aveva criticato apertamente i jihadisti dell’HTS. Adesso riserva toni infuocati per la formazione originata da al-Qaeda, annunciando che non tollererà la sua presenza a nord-est dei territori occupati. Al-Jolani, invece, avrebbe tutto l’interesse a non alzare la tensione con l’etno-teocrazia israeliana in quanto sarebbe un suicidio dal punto di vista militare. Motivo per cui la presunta "legittima difesa" israeliana si traduce in un'ulteriore espansione coloniale.
Al contempo Israele, in competizione con la Turchia per l’egemonia nell’area, starebbe facendo pressioni per far restare i russi in Siria e diminuire l’influenza turca. Allo stesso modo anche il governo di Erdogan starebbe “corteggiando” la Russia per evitare che Israele spadroneggi nell’area.
Mentre Israele continua a occupare nuovi villaggi oltre le alture del Golan, la comunità drusa è preoccupata sia per i nuovi padroni siriani che per quelli storici israeliani. In Israele vivono circa 150mila drusi, mentre nei territori del Golan occupato 20mila. I primi sono integrati nella società israeliana, dove ricoprono cariche militari di spicco sfruttando anche l’abilità di parlare arabo, mentre i secondi si identificano in larghissima parte come siriani e rifiutano l’occupazione israeliana. Va anche ricordato che i primi gruppi ribelli a entrare materialmente a Damasco lo scorso Dicembre erano drusi, riuniti sotto la sigla di “SOR” (acronimo che indica la “Centrale Operativa del Sud” o “Sala Operativa del Sud”) e in coordinazione con l’HTS. Tuttavia altri gruppi drusi sono stati e sono considerati ancora alleati di Assad. A questi il governo degli estremisti e dei fanatici messianici guidato da Netanyahu ha promesso “protezione”, una difesa che si tradurrebbe in nuovi insediamenti e un’ulteriore espansione illegale della zona cuscinetto che dovrebbe essere gestita dalle Nazioni Unite.
Israele da un lato si prepara a costruire nuovi insediamenti e vieta ad alcuni drusi di coltivare le proprie terre, dall’altro cerca di conquistare -o per meglio dire, comprare- la fiducia di questa comunità offrendo lavoro nelle colonie, e annunciando un piano di investimenti milionario a favore anche della locale comunità circassa.
Nelle ultime settimane decine di gruppi armati drusi hanno dato vita al “Consiglio Militare di Suweida”, guidato da Tariq al-Shoufi, un ex ufficiale dell’esercito di Assad. La formazione dichiara di voler sviluppare un modello federalista simile a quello della DAANES, oltre a usare una simbologia che rassomiglia a quella dell’entità autonoma a guida curda.
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Emblema del Consiglio Militare di Sweida |
Alcuni pensano che la formazione avrebbe degli intenti separatisti e che potrebbe prestarsi a un piano di una Siria divisa, con un sud demilitarizzato, che avvantaggerebbe Israele. Intenti ufficialmente smentiti dal suo leader.
L’ACCORDO TRA SDF E IL NUOVO GOVERNO SIRIANO
Intanto, tre giorni fa, le forze armate della DAANES (nota ai più con la sineddoche “Rojava”) hanno stretto un accordo con Al-Jolani. Accordo supportato -se non addirittura imposto- dagli USA, dei quali da tempo si discute il ritiro dall’area e dalla coalizione internazionale contro l’ISIS.
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Ahmed al-Sharaa e Mazloum Abdi, comandante delle SDF, mentre siglano l’accordo a Damasco. |
Il patto consiste in otto punti: diritti uguali per tutti i siriani a prescindere da religione ed etnia, curdi inclusi; cessate il fuoco per tutta la Siria; diritto al ritorno per tutti gli sfollati; rifiuto di divisioni e discorsi d’odio; cooperazione militare contro ciò che resta del regime di Assad; integrazione nel governo di transizione delle istituzioni militari e civili della DAANES, incluse infrastrutture come aeroporti, frontiere e giacimenti di idrocarburi.
L’accordo dovrà essere implementato entro un anno ed è in linea con le decisione dell’Amministrazione Autonoma che, dai primi giorni della caduta “morbida” di Assad, aveva mostrato interesse a essere integrata nella Siria e a porre fine agli spargimenti di sangue. Per questo la DAANES aveva adottato simbolicamente la nuova bandiera della Siria (quella con tre stelle) e aveva abolito i dazi doganali in vigore col precedente regime. Motivi per cui l’accordo può sicuramente destare perplessità ma non certo sorprendere.
Resta da vedere se e come l’accordo verrà implementato. Ma, soprattutto, bisognerà vedere come si comporteranno i “proxy” della Turchia, ossia le bande armate riunite sotto la sigla dell’SNA (“Syrian National Army”): sono le forze militari del governo ad interim siriano (da non confondere con il governo di transizione siriano di Al-Julani), stato fantoccio guidato dalla Turchia che controlla il nord-ovest della Siria e che, lo scorso mese, si è messo a disposizione dei nuovi governanti di Damasco. Le stesse forze che continuano ad attaccare la DAANES in palese violazione delle leggi di guerra e che inizialmente avevano rifiutato l’invito a essere integrate nel nuovo esercito. Va detto anche che l’invito, sempre inizialmente, non era stato esteso alle SDF. Infine ricordiamo che la Turchia, tra l’altro, ha sponsorizzato e supportato le forze di Al-Julani.
L’accordo può essere letto anche come un compromesso obbligato, una delle tante contraddizioni presenti nei contesti rivoluzionari. Il “Rojava”, come abbiamo spiegato in maniera approfondita tra queste pagine, ha avuto rapporti con diverse parti nel conflitto (dagli USA allo stesso regime di Assad passando per la Russia) per permettere la sua precaria sopravvivenza. Tuttavia questa strategia, a detta di chi scrive, non è in contrasto con i principi del Confederalismo Democratico: bisogna aumentare il conflitto sul terreno diplomatico e cercare di di evitare il confronto militare, al fine di indurre un cambiamento politico e dimostrare l’inadeguatezza del sistema socio-economico capitalista e del paradigma dello stato-nazione. Senza rinunciare all’autodifesa e senza proclamare rese incondizionate bisogna sperimentare e proporre modelli di democrazia radicale, dimostrando che modi alternativi di organizzare le nostre vite sono possibili. In parole povere: bisogna resistere sul terreno e difendere i propri diritti con le armi vere, ma bisogna fare quanta più pressione possibile con quelle della diplomazia.
Paolo Maria Addabbo
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ultima modifica 14/03/2025 15:17
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