23.7.22

Riflessioni post-AssembramentAH, un Pride “alternativo”.



Più che un resoconto sulla manifestazione "Pakkianata Pride" (che si è tenuta due settimane fa a Napoli), un Pride alternativo, in questo post si esprimono varie riflessioni e opinioni su storia e rivendicazioni della comunità LGBTQ+, discriminazione, sessualità e concetto di osceno, sparate omolesbobitransfobiche, 1312, sull’arma a doppio taglio chiamata rabbia, sull’amore e sul manifestare militante in generale (questo è il primo corteo cui partecipiamo come singoli/e/o/a di Fanrivista) generate dalla partecipazione a ess#, in accordo con la linea editoriale atipica di quest’autoproduzione giornalistica.

Inoltre si chiarisce che non siamo portavoce delle/degli organizzatrici/ori dell’evento e che abbiamo deciso liberamente di parteciparvi. L’eventAH è stato seguito e partecipato da un nostro auto-inviato più o meno speciale, Pruno, una parodia vivente di un’altra parodia teatrale-giornalistica, che però quando scrive è serissimo, anche quando è ironico e sperimentale… Lasciamogli la parola scritta, sperando che tra le sue improbabili e decontestualizzate citazioni POeLItiche, i riferimenti storici trattati con poco rigore, le atipiche teorie sociali e le stravaganti digressioni pseudo-filosofiche, troviate qualcosa di utile; e grazie anticipatamente per il vostro tempo, la vostra attenzione e, lo speriamo, per un vostro contributo a dibattere e riflettere su quanto esposto…





PAKKIANATA PRIDE: un Pride alternativo e non istituzionalizzato

Quest’anno non sono riuscito a recarmi al Pride napoletano, città in cui risiedo, il cui nome completo è “Mediterranean Pride of Naples (sottotitolo “e che burdello”), che si è tenuto il 2 Luglio.

Però avevo sentito che ce ne era un altro, a distanza di una settimana, “non istituzionalizzato”… Così ho colto l’occasione per partecipare a una sorta di “Contro-Pride” (si specifica fin da subito che il “contro” è ovviamente rivolto al Pride “ortodosso” e più longevo, non alla comunità LGBTQ+ e ad altre collettvità-individualità pesantemente discriminate e che “sfilano” per legittimare la loro identità).

Le Gay Pride parade (letteralmente “parate dell’orgoglio gay”, una “fierezza” contrapposta alla vergogna marginalizzante imposta o indotta da alcuni settori della società), note originariamente anche come “Marce di liberazione Gay” nella prima fase post-’68, o semplicemente Pride (definizione più inclusiva comprendente non solo un tipo di preferenza di genere e anche altre identità di genere dello “spettro arcobalenico”) sono delle manifestazioni, delle parate tendenzialmente molto colorate (anche in senso letterale) e tese a mettere in mostra aspetti della propria identità e sessualità normalmente repressi, e a rivendicare le istanze della comunità LGBTQ+ e non solo…





Oltre a queste specifiche discriminazioni e le corrispondenti battaglie infatti, a conferma che le diverse lotte e le rispettive stigmatizzazioni sono “intersezionate”, le/gli organizzatorici/ori della “Pakkianata Pride”, noti/e/o/a come “Assembramentah” si definisce/ono una <<collettiva di favolosità che rifiuta le imposizioni della ciseteronormatività e del patriarcato>> che lotta <<ogni giorno contro omolesbobitransfobia, razzismo, abilismo, ageismo, puttanofobia, misoginia e violenza di e del genere>>. Se ho ben capito l’appuntamento con la “frocessione di Querichette” è  arrivato alla terza edizione, e le assemblee preparatorie si sono tenute allo SKA. Una delle critiche che ritengo sia più importante fatte al pride “classico” è la sponsorizzazione da parte di diversi enti, aziende e multinazionali, tra cui spicca quella della Coca Cola.




Nel testo del volantino di Assembramentah, mentre si afferma il non avere bisogno di <<sponsor e bandiere di aziende come la Coca Cola>> si legge che questa ha lanciato <<montagne di soldi alle campagne anti-abortiste>>. Come mi induce a fare la mia distorsione professionale da cronista e probabile fact-checker, ho fatto una breve ricerca online a proposito, scoprendo che: è vero che la Coca Cola ha finanziato almeno tre organizzazioni repubblicane statunitensi anti-abortiste (come si spiega sul sito PopularInformation); secondo Dani Abrams, che ha dato inizio a un’apposita petizione su Change per fermare questi finanziamenti, il colosso delle bevande analcoliche <<non è esplicitamente pro-life o anti-abortista. Finanzia questi politici per avere agevolazioni fiscali>>. La compagnia, che sul suo sito italiano ha anche una pagina dedicata ai pride e alle sue iniziative inneggianti <<all’amore senza confini>>, negli anni scorsi era anche tra i finanziatori di Planned Parenthood, organizzazione a favore di leggi che non criminalizzano l’aborto, che lotta contro l’obiezione di coscienza dei medici e per una maggiore diffusione dell’educazione sessuale, salvo poi sospendere i fondi a seguito di uno scandalo per un presunto commercio di tessuti ricavati dai feti, e continuando a costruire campagne marketing sulla bevanda “inclusiva” e raccogliendo donazioni tramite un menù “arcobaleno” insieme al gigante dei fast-food Burger King.




Di persone che non ci sono più e di lotte che ci sono ancora

Tanti sono stati i temi trattati durante gli interventi: dal sex-work e da come la pandemia ha dato un’ulteriore colpo a chi lavora in strada senza nessuna tutela, fino alle persone che ci hanno lasciato perché è sopraggiunta la morte o sono arrivate al punto di desiderarla. La persona scomparsa che è stata nominata più volte è Valeria, detta anche Giannina, figura storica della vita notturna napoletana che arrotondava vendendo sigarette e cartine a Piazza Bellini, scomparsa il mese scorso, e che avrebbe anche ispirato la nota canzone di Pino Daniele sulla transessualità.







Un altro evento e intervento che penso sia importante menzionare riguarda Massimiliano Di Caprio della Pizzeria del Presidente. Molti pensano che non ci sia bisogno di “ostentare” la propria identità e attrazione di genere perché la società avrebbe accettato completamente le istanze della comunità LGBTQ+. Purtroppo dichiarazioni come quelle rilasciate via social recentemente da di Di Caprio confermano il contrario…

Il testo del cartello tradotto recita: <<se sei stanco di sentire parlare di omofobia, immagina come si è stanchi di viverla sulla propria pelle>>

E pure c’è bisogno di manifestare, dove è consentito ed è più facile farlo, anche per ricordare che l’”immoralità” e l’”innaturalezza” dell’omosessualità è alla base delle leggi che puniscono la propria preferenza di genere in più di 60 paesi (per rapporti omosex tra uomini, mentre più di 40 prevedono pene per rapporti anche tra donne; ed escludendo casi come quello della Russia dove non è illegale l’atto sessuale in sé ma la “propaganda gay”, in una maniera affine alle argomentazioni sulla corruzione dei bambini del titolare della pizzeria), in alcuni casi anche con la pena di morte e il carcere a vita.





In una storia su Instagram, riferendosi a <<gay e lesbiche>> si era scagliato contro il <<degrado che voi umani state accettando (…) pervertiti infelici e volete far sentire gli altri sbagliati e torturare i bambini che vi guardano in tv e per strada destabilizzandoli ma nascondetevi che siete ridicoli per non dirvi altro>>, dopo aver ringraziato <<Dio che mi a creato uomo e uomo>> e specificando di non voler offendere <<la legge di gesucristo>>.







Dopo essere partito da Porta Capuana e aver attraversato diversi vicoli, si giunge davanti alla sua pizzeria, dove il post viene letto in italiano e in inglese. Sembrerebbe che due clienti se ne siano andati dopo averle sentite, e di sicuro qualcuno dello staff ha cominciato a inveire contro la folla (che a sua volta ribatteva oralmente prima di continuare la frocessione) e viene poi invitato alla calma da qualcuno, presumibilmente degli organi di polizia.






Alcuni giorni dopo la “bufera” creata dalle sue esternazioni omofobe (e dalla seguente ondata di recensioni negative), Di Caprio ha ritrattato spiegando di avercela solo con “un” <<gay scostumato>>, a seguito di uno specifico episodio che gli ha causato una rabbia repressa e poi fuoriuscita sui suoi social con un’offesa che avrebbe voluto dirigere a quel singolo.




Nel video di cui sopra infatti sfoggia “pregiudizi positivi” nei confronti dei gay, molti dei quali sarebbero suoi amici (frase che spesso accompagna e nasconde dei pregiudizi verso una categoria di persone), perché <<oggi sono quelli che hanno una marcia in più>>. Un “pregiudizio positivo” in particolare mi colpisce: pensate che addirittura <<oggi ci sono gay laureati>>! Forse, giusto per citare il primo esempio che mi viene in mente, il signor Di Caprio non sa che un contributo fondamentale alla vittoria della Seconda Guerra Mondiale l’ha dato uno che non soltanto era laureato, ma anche dottore di ricerca in matematica: si tratta di un certo Alan Turing, esperto di crittografia (nonché precursore dell’informatica odierna) poi condannato alla scelta tra la carcerazione e la castrazione chimica (da una corte del Regno Unito nel 1952) perché gay! Pensate un po’: i gay oggi si laureano pure invece di essere incarcerati o considerati dei malati da ri-formare (si ricorda che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha tolto nel 1990 l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali).

Sarà, ma personalmente questo video di scuse, dopo aver affermato che essere gay è contro natura e contro la <<legge di gesucristo>> non mi convince… Le sue frasi mi sembrano quelle tipiche di chi è confusamente e tendenzialmente omofobo e la sua coscienza (o l’opportunistica convenienza) prova in qualche maniera a fornire delle giustificazioni e a ritrattare arrampicandosi sugli specchi… E magari usare qualche “h” in più quando si declina il verbo avere potrebbe rendere la sua scrittura più facilmente comprensibile…

Il titolare della pizzeria si è detto disponibile a incontrare membri della comunità LGBTQ+ e ha fatto ciò dialogando con Arcigay Napoli, che ha scritto: <<Premesso che le nostre associazioni condividono tutte un forte sentimento di responsabilità nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici della pizzeria – persone che assolutamente non possono e non devono pagare gli errori del titolare – teniamo a ribadire, ancora una volta, che la lotta all’omofobia, alla lesbofobia e alla transfobia non può prescindere dal dialogoanche nelle situazioni in apparenza più estreme e complesse, come nel caso in questione. Pertanto, se da parte continueremo a denunciare, con determinazione, ogni forma di violenza, discriminazione e prevaricazione, dall’altra percorreremo, con altrettanta convinzione, come anche in questo caso, la faticosa, ma necessaria strada del confronto civile e democratico>>.

Se legge cuesto articolo vorei fare una proposta semi-seria a Di Caprio, senza che se la prende sul personale e senza che offendo chi crede (io stesso sono considerabile come cristiano “primitivo” egalitario non cattolico-protestante): sul profilo Istagra’ dela Pizzeria o trovato una foto, in occasione della Santa Pascua, con un’attrice sdraiata su un tavolo. Così come questa donna, secondo la legge di gesucristo e di mariadiNàzaret, lo farà sentire un “uomo e uomo”, perché per para-condicio per le prossime sante feste non pubblica una foto con un@ drag-queen che farà sentire chiunque come gli pare?! Sempre se non offende la legge di suosignore (magari suasignora, io dio l’ho sempre immaginato Dea, personalmente) che ci a creato tutt’ ugual’ e anche ermafrodit’, per esempio?!





Tanti altri sono stati gli argomenti affrontati anche in maniera ironica o tragicomica, come quello dell’aborto: in Piazza Dante, quando il corteo era giunto al termine, c’è stata una breve performance teatrale con la rappresentazione rivisitata di una Presepa vivente: protagonista il Madonno alle prese con la difficilissima scelta di non mettere al mondo lo stranoto profeta ebreo: scelta difficilissima ma che, a mio dire, spetta sempre a lui/lei!

 




Di confine tra nudo, osceno e sessualità commercializzata e accettata

Un’altra questione, non dibattuta specificamente ma presente implicitamente, era quello del rapporto tra corpo e società: osservavo le persone che osservavano un# partecipante con un vestito completamente trasparente. Alcune si sentivano molto offese (una delle cosa che faceva partire un “coro di autodifesa”), la maggior-parte (anche con figli al seguito) invece ridevano, non so se per scherno o per sincera simpatia… Ho cercato di comprendere sia chi si sente offeso dalla nudità così come chi la difende “naturalizzandola”, evitando di focalizzarmi sugli aspetti prettamente legali (cosa che il mio istinto da improbabile cronista di “giudiziaria” indurrebbe a farmi fare, ricercando differenze dal punto di vista giuridico sul nudo femminile e quello maschile, questione di cui si dibatte tipicamente per quanto concerne l’esporsi in spiaggia)…







Fatto sta che ho cominciato anche a interrogarmi sulla sessualità mistificata, sbattuta in faccia e ridotta a surrogato sentimentale da commercializzare come un prodotto qualsiasi o per pubblicizzarne altri, e il contrasto di questa con lo scandalo o l’essere stupefatt’ di fronte a una cosa così semplice come alcune parti del corpo nude. Ho scoperto poi che anche nel pride di Potenza del 2017, mentre alcun# si spogliavano completamente, altri/e come Vladimir Luxuria invitavano a rivestirsi <<perché un Pride non è uno spogliarello>> (invito senza successo ma che, anzi, ha ottenuto l’effetto contrario e quindi lo spogliarsi di alcuni ballerini su un carro).

A tal proposito, per concludere brevemente questa parentesi sullo “scandalo” e sulla riappropriazione dei propri corpi e dei Pride, riporto alcune parole di Jonathan Bazzi in un articolo pubblicato su Gay.it dal titolo “Perché il Pride deve continuare ad essere osceno”, con cui concordo pienamente: 

<<Che i Pride poi siano pieni di oscenità e fatti scandalosi è più che altro un luogo comune. I cortei sono pieni di gente sorridente, ragazzi, coppie, bambini, eterosessuali friendly, famiglie, anziani, animali. Si balla tantissimo, ci si diverte davvero. Ma quello che conta è che il senso del Pride è quello di dar vita a modo diverso di stare insieme. (…) Al Pride si sperimenta la liberazione del corpo e della personalità, l’accettazione incondizionata dell’altro, il tutto all’insegna del divertimento e del gioco. Della caduta dei pregiudizi. Il Pride non è una “cosa seria”, non vuole essere semplicemente questo: vuole essere una “cosa vera”, fedele alla realtà di chi ci va, di chi scende in strada a manifestare. Il suo tratto principale è l’inclusività massima, la riduzione del giudizio al minimo. Il Pride dimostra, tra le altre cose, che l'”osceno” non è pericoloso, che è possibile essere amici e accettare persino gli “osceni”. Perché al Pride il fatto di essere persone viene prima del fatto di essere osceni o morigerati, coperti o scoperti, nudi o vestiti. (…).Come si può allora pensare di normarlo, normalizzarlo, di imporre canoni e limiti fatti per imporre “contegno”, “buongusto”, “decenza”? È un grande errore pensare al Pride come a un evento fatto per “ottenere diritti”. Il Pride stesso è un diritto. (…) Le sue (presunte) forme eccessive, oscene, ridicole – a seconda dei punti di vista – sono una delle cose per cui è ancora importante battersi>>.

Di 1312, di scontri fisici e psichici, di violenza verbale e materiale, di radicalizzazione funzionale alla militanza o all’anti-militanza traNSvestita





Un altro tema, affrontato in un intervento e nel volantino, è quello del “1312”: si è menzionato il caso dell’esclusione di Polis Aperta (associazione LGBT di forze armate e polizia) dal pride bolognese, associazione che ha invece partecipato ad altri pride. Gli/le organizzatori/trici hanno chiarito <<che la nostra non è una presa di posizione contro Polis Aperta, ma di critica aperta alle forze dell'ordine come istituzione, e come luogo di riproduzione di violenza sessista, omolesbobitransfobica, abilista e razzista>>. Non è un caso che Il primo Pride fu una rivolta”, recita un noto slogan: nel ’69 a New York, in un clima più repressivo di quello attuale, un bar gay era sotto sgombero della polizia. La reazione fu la scintilla che accese i cosiddetti “moti di Stonewall” e fece deflagrare l’orgoglio LGBTQ+ dando origine anche ai pride. Non è nemmeno un caso che quello bolognese è denominato appunto “Rivolta Pride”. L’evento è ricordato anche dalle/dai tipe/i di Pakkianata: <<le forze dell’ordine non saranno mai alleate delle persone queer! Perché il primo pride fu rivolta contro la violenza della polizia, cioè sei proprio sicur* che siano lì a proteggerti? E DA COSA O DA CHI, POI?>>. Fatto sta che alla fine gli è stato impedito di partecipare con appositi striscioni, ma non come singoli e con altri loro simboli, anche dopo il sostegno di alcuni militanti.





Probabilmente quello che sto per scrivere, come è già capitato in passato, mi farà ritenere un “non compagno” e/o un servo del sistema, ma penso sia opportuno essere sinceramente in disaccordo e farsi affibbiare delle etichette per tentare di affrontare un dialogo e un percorso dialettico che non si limiti a dei meri slogan, e ancora più importante che sia onesto e aperto. Inizio quindi una digressione sul tema “1312” (numeri che corrispondono alle lettere dell’alfabeto ACAB, acronimo di All Coppers Are Bastards), ovvero della relazione dei movimenti antagonisti e “di sinistra” (e in realtà anche di Ultras e di tutt* quelli che per un motivo o un altro ce l’hanno) con polizie e militari.  

Come prima cosa ritengo che, chi indossa una divisa, anche se ha fatto una scelta che quasi sempre è intrinsecamente opposta o in contrasto con la mia militanza, è pur sempre una persona. Abbiamo sempre in comune il fatto di essere umani, anche se tendenzialmente “l’altro” si è “arruolato” presumibilmente per una sua visione del mondo “pre-ordinata” (piuttosto che ordinata o “dell’ordine”) e serva della religione dello Stato-nazione, e considerando anche che quella singola persona potrebbe non rispettare, in alcuna forma, il mio essere umano-dissidente.

Anche se si indossa la divisa di un fast food o di una fabbrica ci sono sicuramente delle differenze, così come almeno una comunanza, con chi indossa una divisa delle forze del sospirato ordine: la cosa in comune è una qualche forma di cooperazione con il “Sistema” (capitalista, liberista, liberale, patriarcale, “ecc”.), ma anche la potenziale critica, abiura e ribellione contro di esso. La differenza sostanziale sta nel fatto che chi indossa una “divisa non militare”, come una tuta da lavoro, lo fa tendenzialmente essendo contrario allo sfruttamento cui è sottoposto, e non detenendo e applicando la delega al monopolio della forza fisica (monopolio che non è certo di secondaria importanza)…

Ovviamente parlo genericamente di “divise” e quindi il discorso potrebbe complicarsi per quelli/e che le indossano come “freedom fighter”, e cioè sul dibattuto argomento (oggi di meno almeno dal punto di vista del diritto internazionale) del confine tra terrorista e partigiano: “il partigiano per alcuni è il terrorista secondo altri” recita un detto (della definizione di terrorista se ne parla in maniera più specifica e concisa in questo post-one sull’anarchismo in Italia, al paragrafo 1.2.1 che trovate nella rubrica “Esami Infiniti”)

Parlando di “forza lavoro” impiegata a difesa del ricercato ordine pubblico (o di chi prova gusto a “comandare” invece che a “mettere ordine”), oppure impiegata per il funzionamento del comandante-supremo “Mercato” (sto pensando di fare l’eremita, anche in un ambiente urbano, per provare a sfuggirgli), non posso non citare la poesia in versi liberi intitolata Il PCI ai giovani!” di Pier Paolo Pasolini. Dopo 54 anni dalla sua pubblicazione su L’Espresso le sue parole provocatorie si prestano ancora a molteplici polemiche e fraintendimenti… Infatti, in occasione degli scontri di piazza a Roma tra studenti e forze dell’agognato ordine del primo Marzo del ’68, affermava di simpatizzare con i celerini perché propriamente proletari/e o figli/e di tali, data la composizione “materialistica-sociale” dell’epoca. Dunque non giustificava certo, come alcuni pensarono, le manganellate, ma invitava i giovani a dirigere le loro critiche e la loro rabbia verso chi deteneva il potere decisionale piuttosto che intraprendere una sorta di “guerra di classe civile” nei confronti di chi eseguiva degli ordini, e che si trovava in quella condizione perché (a differenza della maggior parte degli studenti) non poteva permettersi il “lusso” di essere mantenuto dalla propria famiglia per intraprendere gli studi. 

Nonostante la composizione delle classi sociali e la situazione socio-politica dei giorni nostri sia profondamente mutata, ritengo che alcuni versi calzino ancora a pennello per quanto sto provando ad argomentare, e ne riporto alcuni:

Avete facce di figli di papà.

Vi odio come odio i vostri papà.

Buona razza non mente.

Avete lo stesso occhio cattivo.

Siete pavidi, incerti, disperati

(benissimo!) ma sapete anche come essere

prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:

prerogative piccolo-borghesi, cari.

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte

coi poliziotti,

io simpatizzavo coi poliziotti.

Perché i poliziotti sono figli di poveri.

Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano.

(…)

E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,

con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio

furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,

è lo stato psicologico cui sono ridotti

(per una quarantina di mille lire al mese):

senza più sorriso,

senza più amicizia col mondo,

separati,

esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali);

umiliati dalla perdita della qualità di uomini

per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).

(…)

Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.

Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!

I ragazzi poliziotti

che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione

risorgimentale)

di figli di papà, avete bastonato,

appartengono all’altra classe sociale.

A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento

di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte

della ragione) eravate i ricchi,

mentre i poliziotti (che erano dalla parte

del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,

la vostra! In questi casi,

ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News- week e Monde

vi leccano il culo. Siete i loro figli,

la loro speranza, il loro futuro: se vi rimproverano

non si preparano certo a una lotta di classe

contro di voi! Se mai,

si tratta di una lotta intestina.

(…)

una sola cosa gli studenti realmente conoscono:

il moralismo del padre magistrato o professionista,

il teppismo conformista del fratello maggiore

(naturalmente avviato per la strada del padre),

l’odio per la cultura che ha la loro madre, di origini

contadine anche se già lontane.

 



In realtà, come penso sia intuibile, la narrazione che potrebbe sembrare “a senso unico” del poeta criticava piuttosto la maggioranza degli studenti perché giudicava quegli scontri come frutto di una lotta intestina tra borghesi, invitandoli ad “appropriarsi” dell’ideale e del partito comunista, anziché delle facoltà universitarie. Non è di secondaria importanza in questo frangente notare che l’intellettuale friulano trovò “rifugio” a Roma dopo essere stato “scacciato” dal Friuli e dal PCI sostanzialmente perché era gay (“devianza ideologica” era la motivazione del partito che poi lo riaccoglierà tra le sua fila) per un atto vagamente orgiastico consenziente con dei maschi minorenni in un prato privato e appartato, durante l’ebbrezza di una festa. È importante specificare che era accusato (ma che poi è stato assolto) di atti osceni in luogo pubblico e di corruzione di minorenne perché si era fatto masturbare da un 16enne alla vista di un altro 16enne e di un 15enne, e la presenza di quest’ultimo fece scattare la seconda imputazione. Inoltre si ricorda che oggi la cosiddetta “età del consenso” in Italia è di 14 anni, e che è ingiusto parlare dell’autore dell’incompiuto Petrolio come di un pedofilo, parafilia ingiustamente associata all’omosessualità maschile (tristemente celebre resta il collegamento di questo tenore che fece Andreotti ), e che forse potrebbe essere più adatta per un ex presidente del consiglio che è andato con una prostituta “minorenne a sua insaputa” o con un direttore di giornale e militare fascista che legittimato dalla barbara pratica del madamato aveva sposato una 12enne perché <<in Africa era un’altra cosa>>




Interessante poi è notare le prospettive dello scontro di classe e degli stessi scontri di piazza di due partecipanti alle proteste dagli opposti lati delle barricate, e cioè quelle offerte dalla canzone di Paolo Pietrangeli "Valle Giulia"



e dal film “Il grande sogno” di Michele Placido, che prima di studiare recitazione faceva il poliziotto per sbarcare il lunario. Ma queste sono altre storie…




Ritornando al caso specifico su menzionato, quello di Polis Aperta, mi vengono in mente anche le immaginidi alcuni/e poliziotti/e che si inginocchiano alle proteste per la morte dell’ennesimo assassinio brutale della polizia negli USA, quello di George Floyd: questi gesti non riporteranno in vita le vittime della comunità afro-americana o di altre comunità marginalizzate e abusate, ma forse (se sinceri), sono un piccolo passo verso una società più equa e inclusiva, dove tutti i poteri sono diffusi, incluso quello di difendersi dalle prepotenze.




Un altro esempio storico, più vicino a noi geograficamente ma più lontano temporalmente, è sicuramente la cosiddetta “Rivolta dei Bersaglieri” del 1920, evento che fa parte del più ampio biennio rosso. Un gruppo di bersaglieri, di stanza ad Ancona, si rifiutò di partire per il primo tentativo di conquista dell’Albania. La rivolta fu appoggiata dalla popolazione civile e nel reparto militare erano penetrate le idee socialiste e anarchiche, similmente a quanto successo con gli Arditi del Popolo, ossia gli Arditi di sinistra. Non è un caso che Monaldo Casagrande, il bersagliere che ha dato grande impulso al sollevamento, era detto “Malatesta”. Circa trenta morirono durante quei giorni, un prezzo di vite umane che riuscì però a scongiurare quel tentativo colonialista del regno italiano. Esiste anche una canzone dal titolo che parla da sé: “Soldato Proletario”.




E infine non possono non essere richiamate alla mia mente alcune parole proprio di Enrico Malatesta.

Riguardo al diritto a un’autodifesa che non sia delegata e alla prospettiva realista di essere difesi dagli stessi gendarmi e dal sistema giudiziario che vengono criticati, nel 1925 in un articolo dal titolo “Gli anarchici e la legge” scriveva: <<Noi deploriamo l’esistenza della polizia e dei gendarmi di tutte le specie. Vorremmo che gli interessati, cioè i cittadini tutti, si sforzassero di eliminare il delitto sopprimendone le cause, e che in tutti i casi provvedessero da loro stessi alla necessaria difesa contro la residua delinquenza. Ma poiché il governo ci vieta di associarci e di portar armi, poiché ci leva in nome della legge ogni possibilità di difesa e dà alle forze di polizia il monopolio della difesa dell’ordine, noi, illegalitari fino a che si vuole, abbiamo il diritto di pretendere che la polizia faccia il suo dovere con tutti; e troviamo... strano che, quando dei facinorosi, inquadrati in un partito e bene armati, molestano, attaccano, bastonano e peggio dei cittadini pacifici ed inermi, i carabinieri restino spettatori indifferenti, e magari, a cose fatte, intervengano per arrestare i bastonati>>.

<<Ad un compagno detenuto per reato politico, il quale reclamava per la mancata applicazione dell’amnistia (che poi finalmente gli è stata applicata col ritardo di un mese) un magistrato diceva, ironico: «Come mai voi che siete anarchico e quindi non riconoscete la legge, venite poi a reclamare l’applicazione di una legge?!». A me pare – e sia detto col rispetto che educazione e... prefetto c’impongono – che quel magistrato di anarchismo non ha capito nulla, a meno che non faccia apposta a non voler capire. Il che sarebbe poco male, se poi non capitasse proprio a lui di dover giudicare gli anarchici. Gli anarchici, i quali vogliono una società fondata sul libero accordo, che soddisfi i bisogni e le opinioni di tutti e di ciascuno, ripudiano la legge, che è costrizione e tende a perpetuare usi e costumi condannati dall’evoluzione morale e non più corrispondenti ai nuovi bisogni. Ma essi sono obbligati a subirla, e quindi debbono cercare di trarre dalle circostanze, che a loro sono fatte, il maggior profitto che si può in vista della maggiore libertà possibile oggi e della libertà completa da conquistare domani>>.

Ritornando al tema di cui parlavo all’inizio di questo paragrafo, e cioè della contrapposizione verso i principi e le idee di singole persone e non verso le singole persone in sé, e collegandolo sempre alla prospettiva realista sulla necessità di difendersi da diversi tipi di abusi e prepotenze, ma anche al tema che ho richiamato tramite la poesia di Pasolini, riporto un passo scritto nell’articolo “Il fascismo e la legalità”, redatto pochi mesi prima della marcia su Roma:

<<Alcuni compagni provenienti dalle regioni più travagliate dalla delinquenza fascista si sono meravigliati – e magari indignati – perché noi abbiamo detto, e diciamo, che preferiamo la violenza sfrenata alla repressione legale, il disordine all’ordine borghese, la licenza alla tirannia... in una parola, i fascisti ai carabinieri. Naturalmente non intendiamo parlare di fascisti e di carabinieri presi come individui. I carabinieri e le guardie regie sono il più delle volte dei poveri disgraziati vittime delle circostanze, più degni di pietà che di odio e di disprezzo, ed è probabile che personalmente siano migliori dei peggiori tra i fascisti. Noi parliamo dei carabinieri e degli altri corpi di polizia ufficiali in quanto sono i custodi ed esecutori della legge, in quanto rappresentano la forza esecutiva dello Stato, in quanto fanno i carabinieri sul serio – che nel fatto attuale è frequente il caso in cui i carabinieri fanno da fascisti come i fascisti fanno da carabinieri. E ci pare naturale per degli anarchici l’avversare principalmente tutto ciò che serve a dare autorità, prestigio, forza allo Stato, e trovare del buono in ciò che discredita ed indebolisce lo Stato, anche se è fatto con l’intenzione di difenderlo. Ora, noi comprendiamo lo stato d’animo di quei compagni che considerano come il bisogno più urgente del momento la distruzione del fascismo ed il ritorno alla «normalità», e non vorremmo, noi che viviamo in condizioni di relativa sicurezza, farci giudici di chi è tutti i giorni minacciato ed offeso nella dignità, nella persona, nella casa, nella famiglia. Se uno è aggredito di notte e si trova in pericolo di vita senza possibilità di difendersi, è naturalmente tutto contento all’apparire di due lucerne di carabiniere che mettono in fuga i malfattori. Ciò è umano ed accadrebbe a noi come a tutti gli uomini normali: è l’istinto di conservazione che reagisce contro il pericolo immediato e non lascia luogo e tempo a considerazioni d’ordine generale ed avveniristiche. Ma dal fatto singolo dei carabinieri che ci salvano da una aggressione ci parrebbe davvero esagerato il voler dedurre che nell’opera complessa e generale i carabinieri sono meno dannosi alla società di quello che siano i delinquenti>>.

Ci tengo ancora una volta a sottolineare che i contesti storici che ritroviamo nelle parole di Pasolini, Malatesta e nei fatti del Biennio Rosso sono chiaramente differenti da quello in cui viviamo oggi, in Italia. Tuttavia quello su cui ho cercato di concentrami in questo paragrafo sono soprattutto alcuni principi che ritengo validi a prescindere dalle variabili geografiche e temporali, correndo anche il rischio di decontestualizzare e forse stravolgere le parole del poeta comunista e del teorico anarchico, ma in qualche modo facendole mie.

In generale penso che la rabbia, sia quella fisica che quella verbale, può essere una preziosa risorsa difensiva e creatrice, ma anche una forza distruttrice da canalizzare sapientemente per non esserne divorati e per non dirigerla “a vagina di cagna”. Perciò quando vedo le scritte ACAB-1312 non mi vengono in mente solo le brutalità della polizia, le varie repressioni, gli abusi innegabili, le macchinazioni subdole (per esempio in questo post, realista e utopico, su “Come abolire il carcere” si parla dell’operazione Blue Moon) o gli stupri usati come arma di guerra (anche Stalin ne avrebbe parlato spiegando che i soldati dovevano per forza di cosa concedersi violenze del genere; oppure si pensi alle “marocchinate” e agli abusi di cui si sono macchiate diverse forze armate, anche quelle della Resistenza: non per questo però generalizzerò dicendo che tutti i/le poliziotti/e sono dei bastardi che abusano del loro potere o che tutti i partigiani sono stati degli stupratori)…

In molti casi i “tumulti” e le rivolte vengono concepite come un momento rivoluzionario sperimentale e un’occasione di radicalizzazione verso un tipo di scontro, magari immaginando un sommovimento generale che è preludio di uno sciopero generalizzato e permanente, in vista dell’agognata rivoluzione totale: questa concezione, per me, non funziona nel contesto in cui vivo, non funziona nello specifico “qui e ora”.

A mio dire cercare di radicalizzare lo “scontro” fisico e mentale, nel nostro contesto, può avere effetti controproducenti ed essere strumentalizzato dal potere e da certi suoi sgherri “traNSvestiti senza divise” e magari alcuni di loro, in particolare quelli che agiscono al di fuori delle diverse garanzie costituzionali e democratiche –forse insufficienti ma comunque utili-, potrebbero avere l’interesse a canalizzarlo in una direzione tutt’altro che rivoluzionaria e meramente violenta. Anzi, secondo la mia modesta opinione e in un’attivistica prospettiva, l’effetto potrebbe essere “suicida” o comunque miope nel contesto specifico in cui mi trovo, favorendo chi ricerca proprio l’innalzamento di un certo tipo di “scontro”, trasformandolo in un opposto strumento propagandistico per innalzare il grado di repressione. In più, secondo la mia etica di militante, il ricorso alla violenza verbale, e ancora di più a quella fisica, deve essere limitato per la difesa, per la “protezione” di idee e persone solo come extrema ratio, e ricordando che anche il/la mio/a più acerrimo/a nemico/a è tale perché combatto le sue idee, non il suo corpo di primate.

In una frase dell’intervento scritto e orale di Assembramentah si dice <<Se la legge un giorno vietasse il Pride chi impedirebbe di farlo secondo te>>, ossia proprio quello che è accaduto in Turchia (con 200 persone arrestate, tra cui anche colleghi/e giornaliste/i)! Fortunatamente, anche grazie alle lotte che ci hanno preceduto, incluse quelle dense di contraddizioni (ma comunque sacrosante) che derivano dalla Resistenza, per adesso almeno formalmente questo non accade a Napoli o a Bologna… E quelle stesse manifestazioni con uno scontro di livello “più alto”, “più violento”, (mi ripeto) potrebbero essere strumentalizzate pretestuosamente proprio per dare alla gente “maggiore ordine” e “maggiore polizia”, un po’ come è avvenuto dopo il biennio rosso con l’avvento di Mussolini. Per cui penso che sarebbe più opportuno dirigere lo “scontro” verso altri obiettivi e con altre modalità, più adatte a una guerra “psichica” subdola, quella contro un modo di vivere di cui anche noi, volenti o nolenti, ne siamo parte più o meno attiva e “complice”… E quindi penso che bisognerebbe fare una rivoluzione mentale, più che singole rivolte, anche contro alcuni nostri aspetti di militanti e di individualità vari, magari ritagliandoci delle “TAZ intellettuali” all’interno della nostra mente e in momenti anche brevi in cui affermare, e non reprimere, la nostra vera persona, il nostro vero essere!

Chiudo questo “post nel post” sul 1312 e sulla vicenda dell’esclusione di Polis Aperta con una canzone che richiama i temi dell’omosessualità nelle polizie, della corruzione, della violenza e dell'amore (si intitola “Targato NA” del duo “Principe e Socio M.”)




e meditando sul fatto che forse non è una casualità “socio-comunicativa” che l'acronimo e slogan ACAB, coniato da una band skinhead londinese, è usato anche negli ambienti di destra… 

Contro la turistificazione selvaggia e non contro i viaggiatori in generale

Un altro argomentAH che si è sfiorato è quello della turistificazione. Apriamo dunque una parentesi su un tema caro a questa fanza/testata, ossia la lotta geografico-umana e i cicli e le strategie del capitalismo urbanistico... Mentre si sfilava alcune persone, presumibilmente non italiane e tendenzialmente di colore bianco, facevano delle foto. A differenza di quanto accadeva quando a fare le foto erano dei presumibili abitanti di Napoli, qualcuno del corteo diceva frasi come “no photo, no photo! We don’t like tourists!”. Onestamente questo fatto non mi è piaciuto e mi è sembrato un po’ eccessivo, perché io sono sì contro la turistificazione selvaggia, ma non contro qualunque viaggiatore che si può trovare nella mia città per i motivi più disparati, incluso quello di visitare “pezzi di cultura”, come magari vorrei fare anche io in altri luoghi del pianeta senza sprecare cifre esorbitanti e nella maniera più sostenibile possibile...

Invece di generalizzare e “comandare” di non fare foto la cosa che avrei fatto io sarebbe stata quella di provare a persuadere con gentilezza di non fotografare, spiegando le mie lotte, inclusa quella contro la turistificazione selvaggia, e senza cadere nel pregiudizio che bolla “qualunque” turista come una persona da scacciare e stigmatizzare (ma anzi, potrebbero essere un prezioso/a “alleato/a”), neanche fosse stato/a lui/lei a “fabbricare” B&B che rendono impossibile trovare un affitto a prezzi equi e ad aprire attività commerciali di dubbio gusto (che appunto possiamo definire delle “tourist-trap”) e di opinabile utilità rispetto ad altri servizi commerciali e non.

A questo proposito potrei stravolgere e decontestualizzare due “slogan” o, per meglio dire, due “comandamenti” Zapatisti, e corro questo rischio facendoli miei (ancora una volta!) in questo contesto specifico. Il primo e il secondo dei <<sette principi del “comandare obbedendo”>> infatti recitano: <<convincere non vincere; proporre non imporre>>.

Comunque la pensate, grazie!

Nonostante alcune critiche che ho mosso in questo post devo dire che, almeno per me, la manifestazione è pienamente riuscita: oltre a essermi divertito ho avuto anche modo di approfondire alcuni temi che non conoscevo o determinati aspetti di questi su cui non mi ero mai soffermato. Le manifestazioni servono anche per formarsi intellettualmente, oltre che per sensibilizzare la popolazione e manifestare dissenso o affermare la propria identità e le proprie idee.

Anche per questo, oltre al fatto di essere giunt*@# fino a qui, ringrazio tutte, tutti, tutt#*@, il tutto e il tuttah, e vi invito a rivolgermi apprezzamenti, domande, insulti o critiche per quanto scritto nei commenti, nei social, nelle strade o dove vi pare…

Love!




Pruno






Quest'ultimo video è di Bruno, la parodia di cui Pruno è a sua volta una parodia. Oltre a un’assonanza nel nome sono tutti e due giornalisti, uno per vero/a, l’altro per finta/o. 



Nessun commento:

Posta un commento