REPORTAGE AUTOPRODOTTO “FUORI TEMPO MASSIMO”
Un anno fa partecipavo al secondo festival “underground” di fumetti e autoproduzioni a stampa della mia vita, e per la prima recensivo un festival dove auto(nomi)produttori e auto(nomi)consumatori si incontravano, si fondevano, in una fiera underground che mi piaceva definire un “rave party editoriale” (tra l’altro in tempi “non sospetti”, e cioè quando non avevano ancora cacciato l’arma di distrazione e repressione di massa del decreto anti-rave)...
Un anno fa, girando tra quei banchetti, prendendo appunti a margine di quelle preziose presentazioni (che in alcuni casi sono diventati degli “articoli nell’articolo”), presentandomi, interagendo con altre singolarità e collettività senza la mediazione di uno schermo, sviluppavo una maggiore coscienza e riuscivo a esprimere meglio il ruolo che svolgo ecletticamente nella (e con) la collettività: sono un Cronista Autoprodotto e Fanrivista è una auto-produzione giornalistica, autofinanziata col sudore di lavori precari vari, autogestita con ancora molti problemi nella “forma” a vantaggio di un contenuto indipendente, fatto di giornalismo sperimentale, schierato e al contempo che aspira a essere il più obiettivo possibile.
Quest’anno ho rincontrato tante facce amiche e ne ho conosciute di nuove.
Quest’anno mi sono rifatto gli occhi e la mente ancora una volta, ricevendo nuovi e preziosi spunti di riflessione su arte e politica: grazie a tuttə quellə che hanno animato il fest ho avuto l’opportunità di arricchire il mio pensiero, osservando sfumature per me nuove che riguardano le risorse materiali che usiamo per stampare, e quindi la sostenibilità della carta, ma anche l’ignobile fenomeno del caporalato, i confini materiali e mentali delle nostre entità sociali e statali, le contenzioni fisiche e mentali, i bizantinismi delle amministrazioni locali che ostacolano l’arte indipendente dimenticandosi dei quartieri più complessi e costruendo città-vetrine, le politiche per regolamentare le sostanze, alternative alla fallimentare guerra alla droga e molto altro...
Ma soprattutto quest’anno non ero solo: Flora Molettieri, detta Floroformio, ha curato le recensioni delle presentazioni, ha scritto la parte "di cronaca" di questo maxi-post (si è verificata una spiacevolissima vicenda per realizzare un murales nel quartiere dell’Avvocata a Napoli, di cui parliamo fra poche righe) e mi ha aiutato a girare tra i vari banchetti, scattando foto e contribuendo con il suo impegno a documentare l’alto livello artistico e lo scintillante potenziale socio-politico che i festival underground, insieme a tutte le pratiche auto-gestionarie, racchiudono.
E allora vediamo cosa abbiamo combinato nel reportage di questa edizione (e potete sempre leggere con calma quello che si era combinato anche l’anno scorso, ponendo attenzione sempre ai vari “articoli nell’articolo”, e negli altri fest che abbiamo seguito nella sezione “Autoproduzioni”)
IL FESTIVAL “FUORI STAGIONE” E IL REPORTAGE “FUORI TEMPO MASSIMO”
Il tema del “fuori stagione” ha contrassegnato le tre giornate della sesta edizione del Festival Mediterraneo di Fumetto e Autoproduzioni a Stampa, ospitato dal Laboratorio di Muto Soccorso dello Scugnizzo Liberato.
Sul sito ufficiale dello UE' si spiega: <<Come pomodori a Gennaio anche quest'anno vogliamo costruire uno spazio che stia fuori.
Fuori dalla “stagionalità”, intesa come produzione di massa che segue le solite tossiche e aride dinamiche, progettando quel momento in cui diventiamo sperimentazione, apertura e contaminazione, il concime bio dinamico che fa fiorire contaminazioni artistiche e creatività ibrida.
Ci scagliamo contro ogni speculazione, come la manodopera stagionale, che annichilisce corpo e mente di chi la precarietà la vive tutti i giorni. Creiamo uno spazio di riflessione che ci protegge dal rischio di acclimatarci a queste modalità oppressive. Impariamo a costruire un immaginario critico e una realtà alternativa, fuori da ogni tipologia di sfruttamento e verso una cospirazione infestante e prospera>>.
Anche chi ha scritto queste pagine è “fuori tempo massimo”, dato che la tre giorni (dal 12 al 14 di Maggio) si è conclusa due settimane fa: sulla stampa mainstream, di norma, la recensione di un evento dovrebbe essere pubblicata massimo il giorno dopo la sua conclusione... Ma il nostro scopo non è tanto quello di pubblicare prima degli altri, di sfornare notizie in rapida successione in una catena di montaggio mediatica: preferiamo prenderci il tempo che ci serve, fuori dalle ristrette “scadenze” imposte dalla competizione esasperata del “mercato”, con un approccio “slow-news” per documentare un evento e realizzando un articolo “a lunga scadenza”, che speriamo (e crediamo) sia utile da leggere anche molto tempo dopo dal verificarsi dell’evento stesso.
E soprattutto vogliamo intessere relazioni con chi quell’evento lo ha vissuto, con chi ci dedica il suo preziosissimo tempo per leggere queste pagine, trascendendo l’ambito digitale di questa Fanza/Rivista, superando la classica visione binaria del “produttore/produttrice – lettore/lettrice” e con l’obiettivo di instaurare legami e alleanze per sovvertire l’attuale sistema editoriale e superare quello economico-sociale, il capitalismo, ancora fermo a diversi secoli fa...
Cominciamo dunque partendo dalla denuncia di un increscioso fatto di cronaca relativo a un murale "annullato", nonostante una regolare richiesta "burocratica".
IL MURALE ANNULLATO E LE CITTÀ VETRINA
Venerdì 12 salivo la ripida strada che porta a Via Pontecorvo 46, lo Scugnizzo Liberato, per assistere al festival. Ho notato che il muro appena sotto le scalette intitolate alla scrittrice e intellettuale Fabrizia Ramondino era stuccato e vi erano dei segni a matita. Mi sono avvicinata e ho parlato con l'artista e ciclo-attivista Croma e Dogyorke.
I due, contattati dallo Scugnizzo, avrebbero dovuto dipingere su quella parete un murale che avesse un valore sociale e politico per la città. Croma mi ha spiegato che il loro lavoro è stato interrotto dall'arrivo di una volante della Municipale che le ha intimato di cancellare di sua mano le poche pennellate che era riuscita a realizzare, ridipingendo tutto di bianco.
La motivazione era l'assenza di permessi che in realtà, come racconta Salvatore, attivista di NaDir - Napoli Direzione Opposta, erano stati richiesti e approvati dalla Seconda Municipalità del Comune di Napoli, la stessa che pare abbia inviato la segnalazione per far sì che i lavori si interrompessero.
<<Se questa cosa funziona in una certa maniera all'interno della città, qualcuno si dovrà prendere delle responsabilità. Perché si preferisce avere un muro sporco e distrutto in quella che diventa purtroppo una sorta di "discarica" durante le giornate? -facendo riferimento alle quantità di sacchi di immondizia che vengono abbandonati in quel preciso punto della strada- A questa retorica dovremmo rispondere occupandoci di questi spazi e costruendo bellezza. Noi pensiamo che una certa cultura del murale in questa città sia necessaria, cultura a cui noi rivendichiamo di appartenere, non al fine di creare situazioni comode per fare di Napoli una vetrina per turisti ma che permettano alle persone di esprimersi realmente. A noi oggi, questa cosa è stata vietata, tralatro adducendo delle motivazioni che hanno dell'assurdo>>, prosegue Salvatore, sottolineando così la follia e le contraddizioni di una città dove vengono tarpate le ali creative di artiste e artisti quando non si vede in loro la possibilità di renderli attrattive remunerative per turisti.
In un post Facebook, il collettivo dello Scugnizzo Liberato, per offrire all* artist* un ambiente di lavoro decente e riqualificare la zona dove sarebbe sorto il murale, racconta di aver passato una settimana sotto la pioggia a pulire i marciapiedi -che riversavano in pessime condizioni-, spicconare, stuccare, intonacare e imbiancare il muro, rimettendolo a nuovo.
Dogyorke ha deciso di realizzare, nonostante il veto e il clima avverso, la sua parte dell'opera. Il contributo di Croma invece, dedicato proprio a Ramondino, si farà prima possibile.
CONFINI, QUATTRO STORIE DISEGNATE AL CONFINE CON IL GIORNALISMO ILLUSTRATO
Durante il primo giorno di festival, la rivista Napoli Monitor ha presentato la produzione collettiva "Confini. Quattro Storie Disegnate" il primo volume di una collana chiamata "Gli Scalpi" dedicata alla narrazione per immagini, vincitore del premio Attilio Micheluzzi per la migliore autoproduzione durante l'ultima edizione del Comicon (noto festival partenopeo "canonico" del fumetto).
Il concetto attorno a cui ruota il libro è quello del confine declinato in maniere personalissime e differenti da parte delle autrici e degli autori.
L'unica direttiva che Miguel Angel Valdivia -curatore dell'edizione- afferma di aver dato è quella di partire da coordinate realistiche. Le ambientazioni, infatti, sono ben distanti dall'essere luoghi di fantasia: un CIE (centro identificazione ed esplusione) in Puglia, la campagna foggiana dominata dalla violenza del caporalato, un rione di periferia dove un muro separa un campetto da gioco e un'ex base militare, un museo d'arte contemporanea dove un confine ideale decreta chi ha voce in capitolo e chi invece no.
Ed è proprio nel realismo delle vicende la loro forza: nel raccontare attraverso il medium grafico le ingiustizie e le contraddizioni del presente.
L'antologia si apre con la storia scritta e disegnata da Andrea de Franco traendo ispirazione dalla crisi migratoria che, nella Puglia di circa undici anni fa, ha dato vita ad esperimenti di biopolitica e repressione come gli stessi CIE per l'appunto, il primo dei quali fu aperto proprio nei pressi del paesino dove l'autore abitava. La narrazione segue le tracce di questo luogo che si è macchiato di crudeltà e ingiustizie insabbiate nel tempo. In questo senso il confine rappresenta uno strumento concettuale per eliminare dalla mappa ciò che non si vuole ricordare, le cose che non si vogliono ammettere, e questa rimozione dalla memoria collettiva si traduce sul piano grafico con la rappresentazione di una terra brulla, ripulita dai resti, abbandonata fin quando -come afferma de Franco- <<non arrivò qualcosa da disegnare>>.
Segue "Diario di campo": il contributo di Mario Damiano che narra le vicende di un giovane che, emigrato dalla Polonia, giunge in un paesino vicino Foggia e comincia a lavorare come bracciante.
Sullo sfondo un'ex sala per cerimonie, divenuta baraccopoli con un'insegna che recita ossimoricamente "Paradise" in primo piano, uno scorcio sull'inferno del caporalato nel Meridione d'Italia attraverso il racconto sotto forma di diario delle dinamiche di potere ma anche di emancipazione a cui il protagonista partecipa. I disegni di Damiano mirano alla distruzione della linearità del corpo attraverso l'utilizzo di linee ondulate per rendere il profondo senso di stanchezza oltre i limiti di ciò che un corpo umano può sopportare.
L'autore, durante la gestazione del suo contributo per il progetto, afferma di essersi ispirato al lavoro di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista che si è occupato a fondo delle "persone in movimento" e nello specifico dello sfruttamento dei migranti dell'est-Europa nel Foggiano.
Le vicende che coinvolgono il protagonista, calcano la storia vera dei braccianti della baraccopoli di "Paradise" che, denunciando le loro condizioni lavorative semi-schiavili, hanno contribuito in maniera sostanziale alla lotta contro il caporalato in Italia. Damiano infatti racconta, durante la presentazione, che la loro sia stata la prima denuncia legale al caporalato nel "Bel Paese" (si sarebbe dovuto attendere però il 2016 prima che l'apposito reato di "intermediazione illecita e fraudolenta" venisse introdotto attraverso la Legge 199/2016).
La terza storia, “Il Muro”, è ad opera di Federica Ferraro e prende le mosse da un suo ricordo d'infanzia: i racconti di un muro che separava, <<il Rione Luzzati dal resto del mondo>> e nel pratico, un campetto da gioco da un'ex base militare. L'autrice, purtroppo assente alla presentazione , narra attraverso il viaggio grafico della sua storia, i cambiamenti del piccolo pezzo di mondo che abita attraverso il tema del ricordo e del confronto tra le macerie pericolose e tetre della città di ieri e la gentrificazione di quella di oggi.
Il muro appare alto e invalicabile ma il tentativo dei giovani protagonisti è quello di andare oltre, di evadere e di scoprire "cosa c'è al di là", di superare il confine imposto.
La raccolta si conclude con il racconto di Adriana Marineo. L'ultima storia ruota attorno a una donna che lavora come impiegata delle pulizie in un museo e si sforza di comprendere cosa abbia sognato il suo cane. Le persone che condividono il suo stesso ambiente di lavoro sono i cosiddetti "esperti" dell'arte che tentano di decifrare il senso di alcuni oggetti misteriosi per i quali l'autrice afferma di aver preso spunto da una serie di cose che nel suo percorso di vita si è trovata tra le mani: cianfrusaglie, pezzi, cocci.
Il "confine", in questo caso è inteso a più livelli. Da una parte è il limite che divide in maniera sempre più imprecisa il mondo onirico da quello reale e dall'altra rappresenta la separazione sociale tra chi ha il potere di decretare "cosa siano" gli oggetti e dunque di chi può tramandarne la memoria e chi no, anche nei musei, che possono trasformarsi in luoghi di colonialismo culturale.
Marineo afferma di aver pensato in fase di elaborazione del progetto che avrebbe utilizzato grigi e sfumature ma di aver deciso poi in seguito di lasciare solo le linee a definire i personaggi e gli oggetti da lei raccontati che si perdono tra i finti confini di inchiostro.
L'effetto è quello di un disegno che pare voler tendere sempre a qualcosa di quasi impossibile da raggiungere, come il sogno di un cane (a questo proposito l'autrice ha spiegato di essersi ispirata al libro "Come pensano le foreste" di Eduardo Kohn, una sfida alla visione dominante antropocentrica).
Il filo rosso del confine che separa mondi apparentemente diversi e che unisce tutte queste storie, a volte è una muraglia invalicabile, altre volte è labile e confuso. Da una sola parola sono fuoriuscite prospettive differenti che si intersecano tra loro dando vita allo sforzo collettivo che il curatore Valdivia ha definito un compromesso tra <<giornalismo a fumetti e visione creativa dell* autor*>> per raccontare la realtà in maniera personale.
“WANDERLUST” ED “EDNA AND EDEN”: ESSERI INDEFINIBILI PER SUPERARE IL MONOPROSPETTIVISMO ANTROPOCENTRICO
Durante la giornata conclusiva dello UE' Fest, si è tenuta la presentazione di due volumi cofinanziati e cooprodotti da Fortepressa, la casa editrice “fantasma” che nasce dal Forte Prenestino (storico centro sociale italiano, dove si organizza il Crack! festival “federato” allo UE’), e il progetto di serigrafia “Loscura”: “Wanderlust”, di Sara Bipede ed “Eden and Edna”, di Bambi Kramer.
Il tema al centro dei due volumi è il rapporto con l'altra specie: un po’ vegetale, un po’ aliena e a tratti indefinibile, e di conseguenza il dialogo impossibile tra due mondi ontologicamente dissimili.
La
fanzina di Sara Bipede parte da una situazione costrittiva a
livello fisico: l'esperienza carceraria, che prende le mosse dal suo vissuto
personale e che si può estendere, come lei stessa ci “confessa”, a
paradigma della condizione esistenziale dell'essere umano forzato a star dentro
a una condizione mentale che non ha scelto.
Il Wanderlust è questo: voglia di essere altrove, costante bisogno di scoprire mondi altri, dare valore al viaggio, nonché insofferenza nella sedentarietà, a cui la protagonista del volume però viene costretta in un primo momento a causa della reclusione. Curiosamente, nota l’autrice, ha poi scoperto che “wanderlust” è anche il nome con cui si indica una particolare condizione psicologica che spinge a viaggiare e spostarsi di continuo, e forse non è un caso che Sara si definisce anche “Nomade” (ha vissuto in 12 paesi diversi nell’arco di 13 anni), oltre che una “Cantastorie”.
Mentre si trova in carcere, le sue amiche le inviano una lettera in cui viene menzionata una particolare pianta tropicale che però cresce tra le quattro mura di una serra. In questa forma di vita vegetale, Sara e il suo alterego letterario, si rivedono e si instaura un'effettiva conversazione tra loro che spingerà la protagonista a seguire la pianta fino in Amazzonia, in un viaggio fisico e spirituale che si svolge attraverso tappe apparentemente casuali ma che in realtà rappresentano momenti necessari alla scoperta di sé. Dopo il primo capitolo, influenzato della sua esperienza personale, la narrazione prende nuove direzioni <<magiche e Sci-Fi>>, popolate da esseri “non decifrabili”, ibridi tra umani, animali e piante, ma fatti anche di mattoni.
Eden and Edna, invece, è la rielaborazione del mito cristiano della Cacciata dei progenitori. Bambi Kramer immagina che l'abbandono dell'Eden non sia una punizione, bensì una scelta cosciente e volontaria che affida a una donna: non più Eva ma Edna; questa decisione mette in crisi Dio che non può mettere in atto il sistema colpa-pena attraverso la tentazione e poi il "peccato". Anche nella sua storia la “natura” dei personaggi è un qualcosa di imprecisabile, mentre di certo si sa che l’unico organo percettivo è quello della bocca.
Il background dei due volumi è differente: l'uno riprende i temi dell'universo giudaico cristiano, riscrivendoli e ribaltandone i paradigmi, l'altro invece porta in seno quel realismo magico che caratterizza i sistemi mitologici delle culture dell'America centro-meridionale.
La funzione della pianta è simbolica però in entrambe le produzioni. Valerio Bindi, di Fortepressa, sostiene che il percorso evocativo del vegetale svolga, nelle due fanzine un percorso opposto e complementare: in Wanderlust è simulacro di fluidità, capacità di adattamento, in parole povere: libertà ed è l'umano che tende verso quest'ultima, a partire da una forma solida, artificiosa, costruita, simboleggiata graficamente da un mostro di mattoni; nel volume di Bambi Kramer, invece, la storia si articola in senso inverso: si parte da un luogo caratterizzato dalla ricca presenza dell'elemento vegetale: florido e incontaminato ma al contempo ipercontrollato e si vuole scoprire cosa c'è al di là, nel mondo strutturato, artificioso, costruito.
Entrambi i volumi sono carichi di valenza politica su più fronti: dai contenuti, al processo produttivo, fino ad arrivare alla sua distribuzione. La propulsione rivoluzionaria delle due storie in senso tematico sta, come sostengono le autrici, nel superamento del monoprospettivismo attraverso una spinta radicale e generativa.
E' anche d'obbligo però sottolineare che le autrici hanno assistito e curato ogni aspetto dei volumi, compresa la fase di stampa. Valerio Bindi ha spiegato che secondo loro una “fanzina” è definibile tale quando l’autore/l’autrice si impegna in tutti i processi produttivi, sporcandosi letteralmente le mani di inchiostro e non delegando nessuna delle fasi che porta al “prodotto” finito, <<altrimenti non è una fanzina ma una “zine”>>. Nel caso specifico dei due volumi, ha raccontato ad esempio, che i colori utilizzati non sono "da palette" bensì creati ad hoc in una tipografia idealmente e materialmente vicina al CRACK fest e che, per mantenere un rapporto etico con la carta, si è scelto di adoperare per la stampa dei volumi un tipo di carta, ottenuto con materiali di scarto dalla lavorazione delle bucce degli agrumi e, nel caso della fanza di Sara Bipede, anche alghe della laguna veneziana, e certificato “FSC”. Si è scelto quello specifico materiale perché molte volte, spiegano, le verifiche alla base dei certificati non sono sufficienti a garantire il rispetto effettivo dell’ambiente nascondendo delle <<magagne>>. Anche la scelta del tipo di copertine non è casuale: non sono rigide perché altrimenti non potrebbero entrare nelle strutture penitenziarie, e inoltre, consigliano, <<quando leggete “Made in China” sono il meno sostenibili possibile>>.
<<In questo modo -aggiunge Valerio- si esce dalla dinamica produttivo-industiale, per recuperare il processo artistico-artigianale che permea ogni aspetto della produzione dell'oggetto fisico>>. Fortepressa infatti fin dalla sua fondazione, insieme alle autrici (Bambi è anche editrice dell’associazione), hanno perfino deciso di aggirare il sistema canonico di compravendita, evitando di imporre prezzi fissi e "scambiando" i volumi con delle donazioni libere (e un prezzo minimo consigliato ma non vincolante) che vengono destinate al progetto editoriale e all* artist*.
IL “TOUR” VIRTUALE TRA LE MOSTRE E LE VARIE ESPOSIZIONI (cliccate o schiacciate le immagini per ingrandirle)
LE OPERE DI MICHAEL JABAREEN
Mentre mi aggiravo tra i vari stand, la mia attenzione si è posata sull’immagine di un muro con il filo spinato e la scritta <<Gaza, 15 anni di blocco illegale>>. Ho conosciuto così Michael, artista palestinese basato a Berlino, e gli ho spiegato che nell’ambito della militanza si parla molto di questione palestinese ma che difficilmente sono riuscito a incontrare persone della Palestina. Abbiamo così cominciato a parlare di politica, di storia, della praticabilità della soluzione di uno stato unico o di quella dei due stati...
Intanto mi mostrava le sue opere, oltre alle “kefiah” marchiate “Hirbawi”, sciarpe tradizionali e simbolo dell’autodeterminazione prodotte nell’ultimo stabilimento manifatturiero in Palestina di questo genere, e alle opere di “Embroided Exile”, delle fotografie arricchite da ricami per documentare le storie della diaspora palestinese.
L’INVASIONE DEGLI EXTRATERRONI: UN’AUTOBIOGRAFIA CONTRO OGNI CONFINE
Spesso la risposta a domande come “da dove vieni” o “di dove sei” non è così scontata, e potrebbe dare origine a delle gaffe, come quella commessa almeno in parte da me quando ho conosciuto Renald Hisi, che ha scritto i testi de “L’invasione degli extraterroni, un’autobiagrafia contro ogni confine”, storia a fumetti disegnata da Elena Rapa ed edita da Becco Giallo che solo a tratti fa ridere, ma in maniera amara: Renald è originario dell’Albania, da cui è partito con un “viaggio della speranza” insieme alla famiglia, negli anni in cui l’Italia passava dall’essere un paese principalmente di emigrazione in uno di immigrazione.
Purtroppo l’autore, come molt* altr* persone in movimento verso l’Italia (o addirittura nate nel “bel paese”), si trova ancora intrappolato in un limbo di paradossi burocratici e peripezie formali per cui, anche se il mio accento è decisamente più “terrone” del suo (posso dire la “T-word” perché sono campano, oltre a essere un cittadino della galassia come tutt*), non è ancora “tecnicamente” italiano.
Mentre ci fermiamo a parlare di labirinti legali che criminalizzano i/le migranti e di xenofobia mediatica, sul suo banchetto noto anche un altra storia a fumetti, con un stile grafico “realista”, si tratta di “Horror Squat Story”: molte persone non sono abituate a una vita “libertaria”, senza particolari restrizioni “normative” e preconcetti, e per questo molto spesso non sono in grado di “auto-gestirsi” all’interno degli spazi occupati, gli “squat” per l’appunto. Già dal titolo si evince che qualcosa andrà storto durante la festa organizzata nella fabbrica abbandonata al centro della storia...
MOSTRA KOMIKAZE
Abbiamo conosciuto Ivana Armamini del collettivo internazionale “Komikaze” che hanno preferito non fare la presentazione in programma e invitare gli/le interessatə a parlare direttamente con loro, e noi abbiamo accolto l’invito visitando la lora mostra: sono una rete di artistə, nonché una sigla editoriale che diffonde come virus strisce a fumetti e altre produzioni grafiche, privilegiando l’imprevedibile e la sperimentazione, finalizzati alla critica sociale e concependo l’atto di versare l’inchiostro come liberatorio.
Nascono come webzina nel 2002 e ogni anno pubblicano una raccolta delle loro produzioni in un volume, giungendo dunque al numero 21 della zina, con Ivana che è anche “l’Editor in (mis)chief” -in italiano potremmo dire la “Redattrice (dis)capo”.
Ci siamo rifatti gli occhi e la mente con tutte le diverse opere esposte nella mostra, ma quella che ci ha particolarmente colpito dal punto di vista concettuale consiste nelle 9 vignette di Ivana, intitolate “Searching for the human”, e incentrate intorno agli effetti delle tecnologie sui processi cognitivi dell’animale umano, mettendone in crisi la visione antropocentrica, oltre a quelle incentrate sulla propaganda dei media mainstream e sul consumismo.
Questi i nomi degli artisti che hanno contribuito alla mostra
Damir Stojnić, MP fikaris, elevatorteeth, Radovan Popović, Ravic, Juliette Bensimon-Marchina, Ronald Reiska, Arnus Horribilis, Ivana Armanini, Wostok, Miro Župa, Juraj Vranjić, Zsolt Vidak, Norihiro Sekitani, Ti-n-lalan, Wostok II, Seljak, Dalibor Barić, Vančo Rebac, Septik, Igor Hofbauer, Bruno Pogačnik, Kevin Barry
CANAPARK: UNA CAMPAGNA "AUTOPRODOTTA" IN FAVORE DELL'AUTOPRODUZIONE E CONTRO LE MAFIE
Al banchetto di Canapark, associazione antiproibizionista napoletana, si presentava un campagna politica, “autoprodotta” dall’associazione apartitica e "rete" “Free Weed” per regolamentare la cannabis, tramite una proposta di legge con il fine di modificare il testo unico sugli stupefacenti, dopo il sostanziale fallimento del referendum abrogativo.
Oltre a discutere di diversi temi riguardanti la pianta, nonché droga illegale più consumata sul pianeta, con espert* di diversi settori, alcun* artist* presentavano le loro autoproduzioni (tra quest* c'erano Anomiaz e Claudio Old Swords).
E a proposito di autoproduzione: l'attuale legge italiana considera un reato coltivare anche solo una piantina di "ganja" (nonostante ci siano delle sentenze, anche a sezioni unite della Cassazione, che recentemente hanno affermato il contrario, ma che senza l'intervento del legislatore non sono formalmente vincolanti nel nostro sistema giuridico), mentre il consumo è depenalizzato dagli anni '90... Chi si avvantaggia di questa "schizofrenia normativa"?! ...
Al banchetto “infodrugs” degli “Amici di Hybrid”, un servizio itinerante supportato anche dall’ASL napoletana che opera nei luoghi delle “feste” e della “movida”, si aumenta la consapevolezza sull’uso delle sostanze, mitigando i rischi del consumo (in particolare del “policonsumo” e quindi dei “mix” di diverse sostanze dagli effetti più difficilmente prevedibili e rischiosi) e promuovendo prassi di riduzione del danno, tramite informazioni pratiche (tra cui il simpatico quiz “gira la droga”) e strumenti materiali (come preservativi, filtri metallici per ridurre le sostanze dannose del tabacco, beccucci sterilizzati per evitare la trasmissione di malattie, ecc.).
Queste le immagini della mostra di Mats Stronberg che si è letteralmente “sporcato le mani” quasi tutto il tempo in serigrafia, completando a penna le sue opere quando l’inchiostro scarseggiava, preferendo anche lui annullare la presentazione in programma, mentre lasciava la custodia del suo banchetto ai “vicini”.
Incontriamo nuovamente Laura e i suoi "disegnetti", noto che ci sono delle aggiunte rispetto alle scorse edizioni (o forse non avevo già notato quel dolcissimo e vagamente malinconico panda, per esempio).
BEAX98
Quando ero stato al fest della Santa Feira mi avevano regalato una zina-poster di Manicomio (appesa nella mia stanza nonché sede ufficiale della pseudo-redazione), ma questa volta l'ho incontrato di persona. Il banchetto suo e della "crew" mi fa andare di matto, in senso buono!
LONA FANZINE
Le fanzine di (fannul)Lona, una pubblicazione sperimentale.
ALCATRAZ
Un artista che fa anche parte della "sezione" napoletana del collettivo Interiors
ARCHIVIO DI BEATE E VENUS SATIVA
FORTEPRESSA
ELEONORA IACOVELLI, IN ARTE VULPECULA
STAX 17 E SKIDADLES SKIDOODLES
ANTONIO DE LANDRO
Anche sul banchetto di Arte a Morte notiamo delle cose nuove rispetto alla passata edizione...
E pure su quello delle Dianare (per chi non lo sapesse le "Janare" sono le streghe del folklore meridionale).
Stesso discorso per Monstera
OTTO EFFE, DIEGO MEDIO E NAPOLIMONITOR
Le zine "3d" di Artemisia mi riportano nella trafficata capitale (e precisamente dove tram, ferrovie e tangenziali si incontrano tra la Prenestina e la Casilina), ma con il simile smog partenopeo
L'inquinamento capitolino emerge prepotentemente anche dai lavori di Randall 171-
FOGA E GERHART
LA LOCANDINA DEL FEST DI QUEST'ANNO DI TROPIDELIA
BANCHETTI “IGNOTI”
Ce l’abbiamo messa tutta, ma errare è umano e siamo un po’ pasticcioni: chiediamo sempre di poter scattare delle foto per documentare “storicamente” cosa succede nei fest e cosa si trova sugli stand, ma abbiamo dimenticato di prendere nota di chi ha allestito questi ultimi banchetti: ci stiamo attivando per riconoscerne la paternità/maternità e, appena potremo, aggiorneremo questo post con adeguate citazioni.
LA LOCATION: UNO SPAZIO LIBERATO NEL CUORE DI NAPOLI DOVE ERANO RISTRETTI “SCUGNIZZI”
Lo “Scugnizzo Liberato” si chiama così perché l’edificio seicentesco (il Complesso di San Francesco delle Cappuccinelle), negli ultimi decenni della sua storia, prima di essere occupato e restituito alla cittadinanza nel 2015 dalla rete “Scacco Matto”, è stato un “Istituto di Rieducazione” (è paradossale parlare di “rieducazione” nel caso di bambin* e fanciull* che dovrebbero essere, per definizione, educat* per la “prima volta”), durante il fascismo un “Istituto di osservazione minorile” e prima ancora un “riformatorio”.
Sul finire degli anni ‘90 una parte della struttura fu adibita a “Centro polifunzionale diurno” dopo una serie di iniziative avviate nel decennio precedente dall’allora senatore Eduardo De Filippo, ossia una “casa famiglia” dove i minorenni che ne usufruivano non incontravano mai i piccoli ristretti nel “carcere minorile”, e prima di essere acquistato da un’università finendo in stato di abbandono per poi venire occupato da alcune persone a scopo abitativo.
Dal 2016 è un “Bene Comune” dove si svolgono svariati corsi e attività, dallo sport popolare al web-design passando per quelli di lingua, si trovano diversi laboratori di artigian* e una biblioteca, si tengono proiezioni, concerti, presentazioni di libri e tutta una serie di attività sociali per cui vengono destinati sempre meno “spazi” (sia in senso fisico che di risorse), mentre cresce una cultura dell’intrattenimento all’insegna dello “spendi, mordi e fuggi” parallelamente alle dinamiche predatorie del capitalismo urbanistico.
CI VEDIAMO AI PROSSIMI FEST!
Prima di concludere, vi ricordiamo che per qualunque precisazione, richiesta di rimozione di contenuti da questo post o di aggiungere qualcosa (scritti, immagini ecc.) a questo “articolo-ricordo” e di altro genere, basta contattare la pseudo-redazione che si attiverà al più presto (potete usare i commenti qui sotto o sui social, inviarci una mail, incontrarci di persona, ma non sia accettano piccioni viaggiatori perché siamo seriamente contro lo sfruttamento di altri esseri senzienti, uman* inclus* ovviamente).
Siamo giunt* alla fine di questo post, e mentre sorge un po’ di malinconia perché il fest è finito da un pezzo ci risolleviamo con il morale perché altri ne sono già in programma.
Speriamo, ma soprattutto, ci attiviamo affinché momenti del genere si moltiplichino ulteriormente, espandendo le pratiche autogestionarie e “protagonistiche” a tutti gli ambiti del sociale contro l’imperativo del “consuma, produci, crepa” e delle deleghe che si trasformano in comandi, limiti e oppressione.
Grazie di essere arrivatə fin qui, ci vediamo al prossimo fest!
PEACE!
Flora Molettieri AKA Floroformio
Paolo Maria Addabbo AKA Cronista Autoprodotto
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l'autorizzazione la doveva dare il comune e non la municipalità, per questo l'hanno bloccati
RispondiEliminaCiao, sono il Cronista Autoprodotto. Grazie per la segnalazione: non a caso nel post si parla di "bizantinismi delle amministrazioni locali".
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